Intervista a Umberto Sangiovanni

Umberto Sangiovanni, pianista, compositore, jazzista e contaminatore della scena tradizionale, soprattutto pugliese, sua terra natia. Di recente a teatro con “Di fame di denaro di passione”, spettacolo cucito su misura per l’attore Sergio Rubini e di cui ha curato le musiche con la sua “Dauniaorchestra”, traendo spunto dall’immenso repertorio di brani folk di uno dei cantatori meridionali più apprezzati degli ultimi vent’anni, Matteo Salvatore.

Umberto Sangiovanni
Umberto Sangiovanni

Dopo le rivisitazioni e i tributi ricevuti da Vinicio Capossela e Teresa De Sio, l’indimenticabile cantastorie pugliese riceve il tributo anche da parte di un jazzista di nicchia, compositore di tutto rispetto che dai primi del 2000 è sulla breccia con un progetto di contaminazione musicale interessantissimo.

Dopo i dischi “La Controra” e “Calasole”, prodotti da Rai Trade, ed il terzo cd “Sciamboli e Nuovi Inverni”, Sangiovanni e la sua Dauniorchestra tornano con un nuovo disco, il quale riprende il titolo dello spettacolo di Rubini: “Di fame di denaro di passioni”. Con lui, in quest’avventura, c’è la cantante e percussionista Gabriella Profeta, il basso di Adriano Matcovich e la tromba di Tiziano Ruggeri. Intervistato, Sangiovanni ha parlato di musica folk, del mercato discografico e, soprattutto, del suo ultimo lavoro dedicato alla figura di Matteo Salvatore.

Matteo Salvatore è il centro del tuo ultimo disco. Come mai hai deciso questo tributo alla sua figura di cantatore della tradizione meridionale?

Si parla di un personaggio che segna e che ha segnato questo territorio. Lo ha fatto con la sua musica, soprattutto, e con i suoi testi, e anzi continua a segnare gli artisti in qualche modo legati al Sud. Il motivo specifico però, che mi ha portato a dedicare a questa figura il mio ultimo lavoro, va ricercato in un progetto più ampio, che è quello teatrale al quale ho partecipato e sto partecipando, con Sergio Rubini. Il disco stesso, prende il nome dallo spettacolo teatrale: “Di fame di denaro di passioni”. Per questa ragione, dopo aver lavorato allo spettacolo di Sergio Rubini ho trovato naturale pensare poi ad un lavoro esclusivamente musicale.

Com’è nata questa esperienza di Umberto Sangiovanni con Rubini?

In realtà, non è ancora finita, come esperienza. Una bellissima avventura, senza dubbio. Il lavoro sta girando la Puglia e non solo. È stato un lavoro interessante, soprattutto perché finalmente sono riuscito ad approfondire la figura di Matteo Salvatore, di cui avevo solo ascoltato la sua musica, nient’altro. Inoltre, con lo spettacolo teatrale, ho avuto modo di entrare e di conoscerlo meglio anche dal punto di vista della personalità. Allo stesso modo, ho potuto apprezzare un grande attore come Sergio Rubini, il quale ha restituito al pubblico una figura che ha molti chiaroscuri, ma che resta molto importante per il meridione italiano.

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Invece, rispetto ai tuoi precedenti lavori realizzati con la Dauniaorchestra, quali differenze ci sono, sostanziali, con questo?

umberto sangiovanni - disco - dauniaorchestraÈ assolutamente diverso dai precedenti. Cerco sempre di fare qualcosa di differente, ogni volta che mi accingo a scrivere, a comporre musica nuova per un disco. Una cosa mi ha colpito però: di solito, quando terminano le incisioni, faccio sempre fatica a riascoltarmi e finisce che mi dimentico persino del lavoro. Questo non è successo con quest’ultimo disco, perché continuo a ritenerlo interessante e in grado di affascinare. Stranamente, è quello che vorrei ascoltare io, da musicista, e quello che mi piacerebbe acquistare in questo periodo, da semplice ascoltatore. Ed è la prima volta che mi capita.

Restando nell’ambito del mercato discografico: com’è la situazione per certi musicisti come te che, di sicuro, non godono della spinta di forti etichette e che, soprattutto, realizzano un tipo di musica più di ascolto, di nicchia, sia jazz o folk o altro?

Il mercato della musica vive una contrazione forte, così come la vive il cinema d’autore in questo periodo, o come tutta quell’arte che cerca di dire qualcosa di diverso rispetto a tutto quello che ci viene propinato di solito. È ovvio che in questa fase bisogna cercare di fare meno cose, probabilmente, e meno progetti. Concentrandosi magari solo su idee che si ritengono di qualità, difendendole in ogni maniera. Magari, una buona idea è quella di incontrare il più possibile il pubblico, cosa che prima si faceva di meno. Forse è opportuno che l’artista, adesso, si faccia conoscere quasi porta a porta, attraverso tutti i mezzi possibili.

Cosa pensi, in ultimo, della riproposizione di brani tradizionali in maniera pura, senza variazioni, rispetto a chi invece come te, cerca sempre di contaminare la tradizione con nuovi linguaggi musicali, variando dal jazz alla musica classica?

Questa è una questione annosa: se sia più giusto riproporre fedelmente la tradizione folk o cercare una chiave di rinnovamento… Io dico che questo rimane nella coscienza del singolo artista. Se sei più vicino alla musica jazz, come nel mio caso, è forse meglio cercare una chiave più personale, che riesca a variare sull’argomento.

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