Intervista a Emanuele Trevi

Emanuele Trevi. Nato a Roma nel 1964, scrittore e noto critico letterario, tra le voci italiane più ricercate e richieste nel panorama delle curatele letterarie e saggistiche.

Emanuele Trevi
Emanuele Trevi

Ha esordito come autore di narrativa con “I cani del nulla” (Einaudi, 2003) e ha pubblicato per la collana della casa editrice Laterza, Contromano, i due libri “Senza verso” e “L’onda del porto”, entrambi nel 2005. Il suo ultimo romanzo si intitola “Il libro della gioia perpetua”, edito dalla casa Rizzoli nel 2010. Tra le numerosissime pubblicazioni non di narrativa, vanno segnalate “Istruzioni per l’uso del lupo” (Castelvecchi, 1994) e “Musica distante” (Mondadori, 1997). È autore inoltre dei libri-intervista “Invasioni controllate” (con Marco Trevi, Castelvecchi 2007) e “Letteratura e libertà” (con Raffaele La Capria, Fandango, 2009). Collabora con le testate Repubblica, Il Manifesto, Il Messaggero e Il Foglio. È conduttore di programmi radiofonici culturali per Rai Radio 3 ed è anche autore teatrale, tra i più apprezzati sulla scena capitolina.

Un punto di svolta della sua carriera letteraria è rappresentato senza dubbio dal romanzo-saggio edito nel 2012 “Qualcosa di scritto”, pubblicato da Ponte alle Grazie e giunto al secondo posto del Premio Strega 2012, a soli due voti di distanza dal romanzo “Inseparabili” di Alessandro Piperno. Il libro indaga e approfondisce l’intensa amicizia tra Pier Paolo Pasolini e l’attrice e cantante Laura Betti, conosciuta personalmente da Emanuele Trevi nel corso della sua collaborazione presso il Fondo Pasolini. Ma non solo. Il romanzo dell’autore romano – vero e proprio caso letterario prim’ancora di sorprendere tutti allo Strega – racconta la storia dell’ultima, enigmatica opera di Pasolini, “Petrolio”, cercando di fare chiarezza sulla sua poetica e sull’ultima parte della sua vita, tragicamente conclusasi con un omicidio del quale non sono mai state accertate tutte le dinamiche. Nel corso di una presentazione, Emanuele Trevi ha rilasciato alcune dichiarazioni in merito al suo lavoro, inserite di seguito.

Saggio, romanzo, tutte e due le cose, o soltanto una di esse. Che tipo di lavoro è “Qualcosa di scritto”?

A me piacciono i libri che più che raccontare, più che dare una trama, sono la traccia di una trasformazione. Una persona è in una certa maniera e alla fine del libro, dimostra di aver subito qualcosa che l’ha toccato. È difficile che qualche cosa tocchi davvero nel profondo e quando questo accade, è come un fulmine a ciel sereno: un annessione di nuovi territori nella propria esistenza. È il miracolo di trasformarsi.

Nel libro, coprotagonista della vicenda pasoliniana è sicuramente Laura Betti, con cui hai avuto a che fare. Come si può descrivere un personaggio così sopra le righe?

Emanuele Trevi: La conoscevo di fama, questa donna. Si pensi all’interpretazione che fa in “Novecento” di Bertolucci o alle sue performance vocali, una cantante straordinaria, con un talento innato, naturale. Ma mi ritrovai di fronte ad una dimensione del tutto diversa: era completamente impazzita. E me ne accorsi subito, che era pazza, perché il primo appuntamento me l’aveva dato il 1° gennaio alle 8.00 di mattina. Lei mi odiava, si capiva: io ero un ragazzo per bene, la mia provenienza sociale era alto borghese e infatti me lo disse subito: “Tu sei un paraculo”. Ed io mi chiesi: come ha fatto a capire tutto di me in così poco tempo? Tuttavia, sentivo che il rapporto tra lei e Pasolini, per quanti studi avessi fatto, era un qualcosa che mi era completamente sfuggito.

Che cos’è “Petrolio” e quanto è legata, come opera, alla morte del grande scrittore?

Pasolini era una persona che negli ultimi tre anni si era dedicato ad una trasformazione della sua vita. Ma soprattutto negli ultimi giorni della sua vita, si pensi al servizio fotografico nudo fatto per Pedriali … Non regge la storia ufficiale della sua morte. Quando è uscito Petrolio, nessuno si è accorto di questa doppia trasformazione di cui si narra nel libro.

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Si racconta di questo Carlo Valletti, ingegnere petrolifero per conto dell’Eni, il quale viaggia molto in Oriente e che, ad un tratto, si trasforma in due persone, Carlo Il Buono e Carlo Il Cattivo. A loro volta, queste due persone si trasformano in due donne, è un doppio prodigio, una metamorfosi, un’identità che Pasolini mette in contatto con la realtà e con una realtà del potere.

Egli allude direttamente ad una realtà precisa, come quella di Enrico Mattei, il quale è stato uno degli ultimi, veri servitori dello Stato, e dall’altra parte, anche, ad un finanziere democristiano, Eugenio Cefis, facendo riferimento ad una rivalità reale tra i due, risalente addirittura all’epoca della Resistenza. Quando ritrovano Petrolio, dopo la morte di Pasolini, la teoria che subito tirano in ballo tutti è che è stato ucciso per queste ragioni, per delle rivelazioni tra questi due personaggi importanti della politica e dell’economia nazionale. Ma non regge assolutamente come cosa, non si sono informati bene, perché Pasolini non solo cambia i nomi di queste allusioni, ma si serve unicamente di ritagli di giornale, di qualche articolo preso da L’Espresso e niente di più: non era un grande ricercatore, Pasolini.

Perché allora uccidere lui e non l’articolista dell’Espresso? Non regge. Secondo me, la pista va ricercata nella malavita romana ed è legata al film Salò, forse, al famoso furto delle “pizze” del film, tanto che ha dovuto montare il film in modo completamente diverso rispetto alla sua idea iniziale, e non è un caso che la riapertura delle indagini finalmente sia ripartita da lì. Non vedo perché i servizi segreti avrebbero dovuto uccidere uno che copiava dall’Espresso: non ha senso, questa cosa.

Come mai questo nuovo interesse? Questa riapertura delle indagini e delle storie attorno a Pasolini?

Si deve al sublime senatore Dell’Utri, va ammesso, il quale lancia l’idea del capitolo mancante di Petrolio, il numero 21, dal titolo, si dice, “Lampi sull’Eni”. Dell’Utri dice di aver avuto dei contatti con alcuni personaggi che gli avrebbero promesso di vendergli il capitolo di Pasolini, cosa poi saltata a causa dell’attenzione mediatica fiorita attorno a questa cosa. Può essere anche vera questa sottrazione del capitolo, ma sono convinto che, carte alla mano, ciò di cui era in possesso Pasolini non era affatto materiale segreto, proprio perché non era il suo modo di lavorare.

Il tema di Petrolio, dal punto di vista letterario, è un altro, questo non si è capito in tutti questi anni: è il rapporto con la verità. È un’allegoria della conoscenza piuttosto sempliciona, a dire il vero, che fa riferimento a Tiresia, ad un mito greco: al sacerdote che per 9 anni diventa donna, per poi ritornare uomo. Conosce in pratica tutta la totalità dell’essere umano, cosa che gli conferisce la possibilità della conoscenza, come da sempre il mito dell’androginia suscita nei racconti umani, percorrendo addirittura tutte le religioni, le credenze e quant’altro.

Quando uscì Petrolio parlarono di scene di sesso omosessuali, altro esempio della superficialità con la quale si sono avvicinati all’opera, questo perché il protagonista di quelle scene aveva subito una trasformazione, era diventato una donna, non c’era alcuna omosessualità in quelle scene. Il mio lavoro è consistito in questo, nell’analizzare e decifrare i manoscritti di questo enigmatico volume, questo magma intricato che, secondo me, andrebbe pubblicato così com’è. È un’ombra di Pasolini, Petrolio, una vera e propria ombra. Il mio merito è quello di averlo reso, diciamo così, comprensibile.

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