I titoli mondiali della nazionale brasiliana di calcio
Approfondimento
Svezia 1958, il primo
Con cinque trofei nel proprio palmares, sorprende che si sia fatto attendere così tanto, il Brasile, prima di cominciare la sua collezione di Coppe del Mondo. Il primo titolo, infatti, arriva nel 1958, in Svezia, dopo ben cinque competizioni, intervallate dalla drammatica parentesi bellica la quale, com’è ovvio, ha stoppato i giochi dal ’38 fino al ’50. Stando alle previsioni inoltre, sarebbe dovuta essere proprio quest’ultima edizione quella decisiva per il Brasile, atteso in casa per prendersi il primo storico titolo dell’allora Coppa Rimet. Invece, al Maracanà, ad imporsi in quel mondiale fatidico furono i cugini nemici dell’Uruguay, grazie ad alcuni campioni di origini italiane come Schiaffino e Ghiggia, tra i protagonisti di quella edizione.
Non è un caso, pertanto, che la parabola dorata del Brasile coincida con l’esplosione del giocatore di calcio a lungo considerato il più forte del secolo: “O Rey” Pelé. Nel 2000 infatti, sarà unanime il verdetto che dirà che “La perla nera”, insieme con il funambolico e folle Diego Armando Maradona, è da considerarsi, a ex aequo, il numero uno dei calciatori del secolo XX.
Ad ogni modo, la nazionale verde-oro che si presenta ai mondiali svedesi è sin da subito considerata tra le favorite, nonostante abbia avuto non poche difficoltà a qualificarsi durante le eliminatorie. Quello del ’58 infatti, con la nascita e la diffusione del media televisivo, è da considerarsi il primo vero campionato mondiale a lunga gittata mediatica. La conseguenza è una forte richiesta di partecipazioni da parte delle nazionali, di cui farà le spese la stessa nazionale italiana, esclusa, nell’unica volta della sua storia, dalle fasi finali mondiali, sconfitta nella partita decisiva contro la modesta Irlanda del Nord per 2-1.
Il Brasile viene da un Mondiale ’54 piuttosto deludente, dopo un avvio schioppettate che ha visto i sudamericani capitolare ai quarti di finale contro la corazzata magiara: il 4-2 degli ungheresi parla chiaro e in quell’edizione, Hidegkuti, Kocsis e Puskas risultano essere i veri “brasiliani” del torneo.
Quattro anni dopo, la kermesse calcistica si tiene nella neutrale Svezia, scelta come luogo ospitante anche e soprattutto per la sua lontananza dai blocchi occidentali e orientali, a quel tempo in piena tensione a causa della Guerra Fredda.
Didì, Vavà, Pelé e Garrincha.
La fase di qualificazione è favorevole ai brasiliani, i quali tengono al calduccio le caviglie del diciassettenne Edson Arantes do Nascimiento, detto Pelé. La “perla nera” verrà mandata in campo solo ai quarti, contro il sorprendente Galles, all’esordio mondiale, battuto proprio grazie ad un gol del giovane talento. A fare i fenomeni, nel frattempo, sono soprattutto Didì e Vavà, rispettivamente il centrocampista inventore della punizione “a foglia morta”, o “folha seca” in portoghese, e un centravanti di sfondamento come pochi a quel tempo. Ma a spiccare su tutti, è forse il giocatore che, con Pelé, è da considerarsi il vero, grande protagonista del mondiale: Garrincha.
Lo zoppo “passerotto” – il suo soprannome deriva proprio dal nome di un uccello tropicale dall’andatura zoppicante – è l’ala destra che mancava al calcio mondiale. Tecnico, rapidissimo, spietato sotto porta, Dos Santos Garrincha ha dalla sua una menomazione che, come nelle favole a lieto fine, è la sua grande caratteristica. Colpito da una poliomielite ancora bambino, a dir poco cagionevole per tutto il resto dei suoi giorni, il futuro “campeon” cresce con una deformazione fisica caratterizzata da una gamba più corta dell’altra e che, a ben guardare, lo dota di una finta ancora oggi impossibile da imitare. Quello del 1958 è senza dubbio il suo mondiale.
Tuttavia, il Brasile impone la propria forza solo nella semifinale contro la fortissima Francia, che fino a quel momento aveva dato spettacolo, trainata dal suo centravanti Just Fontaine, capocannoniere di quell’edizione con ben 13 segnature. È la partita di Pelé, questa. Il diciassettenne mette a segno una tripletta, consegnando alla sua nazionale uno straordinario 5-2. Emblematica, la seconda rete di “O’Rey”, con Garrincha che semina il panico sulla fascia, serve al centro il giovane attaccante e questi, senza pensarci due volte, aggancia al volo e trafigge il portiere avversario nell’angolino, con uno dei suoi gol tipici: un concentrato di potenza, classe e precisione. Intanto, a Goteborg, sempre alle ore 19 di quello stesso 24 giugno, l’altra grande favorita del Mondiale e non solo perché nazione ospitante, la Svezia, faceva poltiglia della Germania dell’Ovest, detentrice del titolo, battendola per 3-1, grazie a Kurt Hamrin e, soprattutto, all’uomo squadra Nils Liedholm.
Allo stadio “Rasuna” di Solna, il 29 giugno del 1958, la finale mette davanti due filosofie calcistiche differenti, due modi di intendere il football completamente avversi: da una parte la forza fisica e l’intelligenza tattica della Svezia del “barone” Liedholm, dall’altra il calcio “bailado” dei brasiliani, in campo con circa quattro attaccanti e almeno altri tre giocatori con caratteristiche offensive. Ad avere ragione però, sono i campioni del Brasile, nonostante il provvisorio vantaggio firmato da Liedholm, già al quarto minuto della partita. D’altronde, a detta degli stessi svedesi, il solo raggiungimento della finale è di per sé una sorta di vittoria.
La partita termina nuovamente per 5-2, sancendo lo strapotere sudamericano. Segnano Zagallo, Vavà e Pelé, entrambi autori di una doppietta. Nella segnatura di testa inoltre, quella del quinto gol, resterà per sempre nella storia di questo sport l’urlo del radiocronista per l’emittente nazionale brasiliana, tale Osvaldo Moreira: il primo di una serie interminabile di “gooooool!” che saranno il segno distintivo del modo di raccontare – e vivere – il football da parte dei brasiliani.
Cile 1962, I mondiali del gioco duro
Con la sorpresa di tutti, l’organizzazione del campionato mondiale del ’62 venne affidata al Cile, non proprio ai vertici del calcio internazionale e ancora sottoshock per il terribile terremoto del 1960. A spuntarla, durante una competizione non irresistibile per gioco e spettacolo, fu il Brasile, per la seconda volta consecutiva, impresa riuscita in precedenza unicamente all’Italia, negli anni ’30. Proprio gli azzurri fecero le spese della durezza cilena, nella partita che venne ricordata a lungo come la “Battaglia di Santiago”, nella quale subirono l’eliminazione proprio da parte dei padroni di casa, tra espulsioni ingiuste, falli al limite dell’incolumità umana e un arbitraggio a dir poco “casalingo” da parte dell’inglese Aston.
A conti fatti, quello cileno fu uno dei peggiori campionati mondiali di sempre. Ben 15 giocatori subirono incidenti piuttosto gravi, dal russo Dubinski, fratturato, al grande portiere russo Jascin, colpito proprio dal cileno Landa alla testa, nel corso di Cile – URSS. Uno dei grandi protagonisti del mondiale, Garrincha, espulso per aver reagito ad un fallo di reazione nella semifinale tra Brasile e Cile, venne colpito alla testa con una pietra lanciata dalle tribune, riportando diversi punti di sutura.
Nel frattempo, i detentori del titolo riuscirono a raggiungere le semifinali facendo a meno dell’allora giocatore più forte del mondo, il giovane e rampante Pelé. O’Rey segnò un solo gol, all’esordio contro il Messico, battuto per 2-0, ma già alla seconda partita dovette farsi da parte, a causa di un forte stiramento all’inguine. I brasiliani non riuscirono ad andare oltre il pari in quella gara contro la sorprendente Cecoslovacchia e dovettero giocarsi i quarti contro la Spagna, allora allenata dal mago Helenio Herrera. Le “furie rosse” difesero il vantaggio di Adelardo fino al ’72, per giunta sfiorando il raddoppio più volte e, in una occasione, persino realizzandolo.
L’arbitro cileno Bustamante, alla fine della partita accusato di corruzione, annullò inspiegabilmente il gol agli spagnoli e, soprattutto, non concesse un rigore per un nettissimo fallo del brasiliano Nilton Santos. Nonostante i 9 campioni del mondo, il Brasile giocò male e riuscì a vincere solo grazie al solito Garrincha, il quale risorse negli ultimi minuti del match regalando alla punta Amarildo, bravo sostituto di Pelé, i due palloni giusti che consentirono ai verde-oro di passare ai quarti di finale. Anche in questa gara, il “passerotto” fu determinante, battendo praticamente da solo la forte Inghilterra di Charlton, Moore e Haynes, la quale quattro anni più tardi si sarebbe aggiudicata in casa propria il primo e unico titolo mondiale. Garrincha ubriacò il diretto marcatore Wilson, segnò un grandissimo gol e servì su un piatto d’argento il 2-1 definitivo siglato dal bomber Vavà.
La semifinale cilena e la finale contro la Cecoslovacchia
Nonostante i pugni di Sanchez e compagni, il Brasile, trascinato ancora una volta da Garrincha, che fu espulso per reazione ma non squalificato per la finale, riuscì ad imporsi per 4-2 contro il Cile. In finale, fu ancora una volta l’ala “auri-verde” a valere il prezzo del biglietto, nonostante le difficili condizioni fisiche, ancora reduce dalle botte rimediate contro i cileni. Il 17 giugno del 1962, allo Stadio Nacional di Santiago del Cile, il Brasile si impose per 3-1 contro la sorprendente Cecoslovacchia, trascinata da Willy Schroiff, portiere dello Slovan di Bratislava e grande protagonista del torneo. I cechi passarono addirittura in vantaggio, al minuto 14, con il gol di Masopust. Tuttavia, sostenuti dagli oltre sessantamila tifosi quasi tutti di fede brasiliana, Garrincha e compagni riuscirono a venire fuori, grazie alle segnature dell’ottimo Amarildo, di Zito e del solito Vavà. La perla nera Pelé, nonostante le suppliche all’equipe medico brasiliano, non fu mai mandato in campo.
Messico 1970, il tris del Brasile
La competizione messicana fu quella a cui, per la prima volta, presero parte tutte le nazionali vincitrici almeno una volta del massimo trofeo internazionale. A preoccupare quasi tutti i team partecipanti, chiamati a preparazioni atletiche particolari, fu soprattutto l’altura di alcune città messicane. Oltre al Brasile, protagonista del torneo fu, quasi a sorpresa, l’Italia, la quale divenne famosa per la staffetta tra Mazzola e Rivera. Per gli azzurri fu il mondiale di Nando Martellini, il commentatore che accompagnò anche la vittoria nell’82. La sua voce raccontò quella che per tutti, esperti e non, è passata alla storia come la partita del secolo: la semifinale Italia – Germania, terminata dopo i tempi supplementari con il risultato di 4-3.
Ad ogni modo, nel girone di qualificazione i verde-oro liquidarono a suon di gol tutti gli avversari: quattro all’esordio con la Cecoslovacchia, uno di misura agli inglesi e tre ai romeni. Oltre ad un Pelé maturo e forse mai così forte, ci sono Tostao, Jairzinho, Rivelino e Clodoaldo, insieme a Gerson e al capitano Carlos Alberto, vero uomo squadra. È un Brasile sontuoso davanti, ma anche attento e forte dietro, soprattutto fisicamente. Secondo molti, risulterà la squadra più forte che abbia mai preso parte ad un mondiale.
Una coppa per due
Mentre all’Azteca di Città del Messico andava in scena la scellerata e palpitante partita tra italiani e tedeschi, allo stesso orario di quel 17 giugno del 1970, il Brasile rispondeva con tre marcature al tentativo dell’uruguaiano Cubilla di insidiare il cammino verso il trofeo dei verde-oro. Ci pensarono Clodoaldo, Jairzinho e Rivelino a portare la nazionale brasiliana in finale, contro l’Italia di Valcareggi.
Di scena, le due nazionali vincitrici di due mondiali: stando al regolamento, una delle due squadre, vincendo la terza coppa Jules Rimet, avrebbe potuto portarsi a casa, fisicamente, il trofeo più ambito di sempre. E fu il Brasile a farlo.
Il 21 giugno del 1970, i verde-oro scrissero quattro volte la loro firma sul tabellino finale, contro l’unica segnatura italiana. Il primo tempo terminò in parità: 1-1. Tuttavia, la partita fu un dominio dei sudamericani. Al 18′, O’Rey Pelè rimase sospeso in aria e trafisse Albertosi con un colpo di testa magico, imprendibile. Allo stremo delle forze, ancora provati dalla faticaccia contro i tedeschi, gli azzurri reagirono con Boninsegna, il quale approfittò di un errore di Everaldo.
L’allenatore Valcareggi tradì la staffetta e mandò in campo per soli sei minuti il giovane Rivera, al posto di un inconcludente Mazzola, attirando su di sé tutte le polemiche possibili al suo ritorno in patria. Ad ogni modo, anche il golden boy del Milan, poco o nulla avrebbe potuto fare, contro un Brasile così forte. Al minuto 65 arrivò il gol di Gerson, con un bellissimo tiro dai sedici metri, cinque minuti più tardi Jairzinho fece tris, e allo scadere, Carlos Alberto raccolse l’ennesimo assist di Pelé e segnò la rete del finale 4-1, nell’azione più bella del match e forse del Mondiale. Il Brasile, si portava a casa la coppa.
USA 1994, Brasile all’americana
Il 4 luglio del 1988, a Zurigo, si celebra un evento storico. Sponsorizzati dalle vecchie volpi Kissinger e Reagan, gli Usa ottengono a sorpresa l’organizzazione dei Mondiali di calcio, battendo la concorrenza di Marocco e, soprattutto, del Brasile. Per la prima volta, la competizione sportiva più seguita ed economicamente rilevante del mondo, esce dai confini europei e sudamericani. Il risentimento, per la federazione brasiliana, è enorme.
Tuttavia, sarà la nazionale di Romario e Bebeto, sul campo, a fare giustizia, portandosi a casa il quarto titolo mondiale: prima nazionale a farlo. E sarà anche il mondiale della Bulgaria dei fenomeni, di Stoichkov, capocannoniere, Balakov e Lechkov, che arriverà addirittura quarta. E anche quello della Nigeria che, come il Camerun quattro anni prima in Italia, rivelerà la freschezza e la grande crescita nel soccer da parte del continente africano.
A farne le spese, per oltre ottanta minuti, sarà l’Italia di Sacchi, promossa agli ottavi dopo un girone poco esaltante. In quell’occasione, “codino” Roberto Baggio risorgerà dalle sue stesse ceneri contro gli africani Sunday Oliseh, Daniel Amokoachi e Finidi George, segnando la riscossa azzurra fino alla finale, per giunta nuovamente contro il Brasile.
Gli uomini di Alberto Parreira dal canto loro sono pratici: pochi fronzoli, tre mediani d’esperienza in mezzo al campo, Dunga, Mauro Silva e Zinho, il lento ma tecnico Rai (fratello minore di Socrates) dietro i due veri fenomeni della squadra, Romario e Bebeto. A dare vivacità, sono soprattutto i terzini, come Cafù e Leonardo, o in alternativa Jorginho e Branco: due attaccanti aggiunti, in pratica. In panchina, senza mai entrare in campo, c’è anche il diciassettenne Ronaldo: considerato già da molti il vero “fenomeno”.
I verde-oro battono in scioltezza la Russia e il Camerun, pareggiando contro la forte Svezia di Kennet Andersson ed Henrik Larsson, che arriverà terza al Mondiale. Agli ottavi, dopo “l’urlo di Maradona” davanti la telecamera, trovato positivo ad un “dimagrante” proibito, la Selecao incrocia e batte di misura gli Usa, la cui qualificazione tra le sedici migliori del mondo è già un grande risultato. Ai quarti, i brasiliani superano anche l’Olanda di Bergkamp, non prima di essersi fatti rimontare di due reti. A decidere, una punizione-bomba del vecchio Claudio Ibrahim Vaz Leal, in arte Branco, vecchia conoscenza del Genoa.
Semifinali e Finale.
Mentre l’Italia ormai di Roberto Baggio dà una prova di forza contro la sorprendente Bulgaria, stesa proprio da un uno-due micidiale del “codino” allora bianconero, dall’altra parte fa altrettanto il Brasile, il quale ritrova la Svezia, con cui ha già pareggiato durante la fase a gironi. Thern, Brolin e il portierone Tomas Ravelli si rivelano un avversario ostico, il quale però deve capitolare davanti alla velocità dei singoli verde-oro: il colpo di testa di Romario basta a riportare in finale il Brasile, dopo ventiquattro anni dall’ultima volta. All’epoca c’era Pelè e c’era soprattutto l’Italia, come avversaria.
Per esigenze televisive si gioca a mezzogiorno e mezzo e il Rose Bowl di Pasadena, a Los Angeles, in quel 17 luglio del 1994, è letteralmente infuocato. L’Italia è in emergenza e, soprattutto, presenta un Roby Baggio evidentemente infortunato, afflitto da una contrattura ai flessori della coscia destra. Dall’altra parte, il Brasile è la squadra che ci prova di più e che va più vicina al gol, nell’arco dei 120 minuti di gioco, compresi i tempi supplementari. A testimoniarlo, un palo su punizione di Branco e una clamorosa palla gol fallita dal mediano Mazinho, uno dei tanti ruba palloni schierati dal pragmatico Parreira.
Il Brasile vince ai rigori, grazie alle segnature di Romario, Branco e Dunga. Per gli azzurri sbagliano i migliori: Franco Baresi e, quello decisivo, Roby Baggio, oltre al tiro parato di Massaro. Vince il Brasile 3-2, per la quarta volta campione del mondo.
Corea-Giappone 2002, Il Brasile è pentacampeon
Superato lo shock del 1998, quando i verde-oro sono stati meritatamente affondati dai francesi, in casa loro, guidati da un formidabile Zinedine Zidane, a soli otto anni dall’ultimo trofeo, in terra asiatica, Ronaldo consegna per la quinta volta il trofeo iridato alla propria nazionale.
Tra disastri arbitrali e falle organizzative di varia natura, il Mondiale di Corea e Giappone non passerà di certo alla storia, anche e soprattutto per il mediocre livello generale delle squadre. Sarà forse unicamente la Turchia di Hakan Sukur, l’unica vera nota positiva del campionato, tanto da arrivare terza alla fine del torneo.
Per gli azzurri, sarà un disastro, soprattutto a causa delle scelte dell’allenatore Trapattoni e di quelle, ben più in mala fede, dell’arbitro ecuadoregno Byron Moreno, autore di una direzione di gara nell’ottavo tra Italia e Corea del Sud a dir poco imbarazzante, che ha segnato l’uscita proprio dei quotati italiani.
Ad ogni modo, il Brasile passeggia sugli avversari praticamente fino alle semifinali, con gol a raffica, soprattutto contro Cina e Costarica. Spicca Ronaldo, ovviamente. Ma anche Rivaldo, grande partner d’attacco, e il giovane e brillante fantasista del Monaco, che al termine della stagione passerà al Barcellona. Si chiama Ronaldinho e sembra davvero un fenomeno. Ai quarti, l’unica partita davvero da mondiale, per la cavalcata verde-oro, contro la forte Inghilterra allenata dalla vecchia volpe Sven-Göran Eriksson, miglior difesa fino a quel momento. A passare, infatti, sono proprio i britannici, con il furetto Owen, che sfrutta uno svarione di Lucio per freddare Marcos.
Proprio a pochi istanti dall’intervallo, però, il genio di Ronaldinho illumina ancora una volta la squadra di Felipe Scolari, l’allora ct brasiliano, mandando in rete il compagno d’attacco Vito Rivaldo. Il 2-1 definitivo è firmato proprio dal futuro fantasista del Barcellona e poi del Milan, che beffa con una punizione velenosa il colpevole portiere inglese David Seaman.
Brasile – Germania, finale senza storia.
In semifinale poi, i verde-oro ritrovano i turchi, beffati durante la fase a gironi con un rigore inesistente. La squadra di Sukur e compagni, ha superato di misura forse l’unica bella realtà del torneo, il Senegal di Fadiga, Bouba Diop e Diouf, che alla prima giornata si era “permessa” persino di battere i campioni in carica della Francia. Ad ogni modo, mentre dall’altra parte i tedeschi battono i coreani, giunti tra le prime quattro dopo l’ennesimo arbitraggio a favore (la nazione spagnola si sta ancora chiedendo il perché di due gol annullati ai quarti di finale), grazie al terzo 1-0 consecutivo, il Brasile ringrazia il suo bomber Ronaldo, che con una “puntata” da calcio a 5 concretizza l’assist del bravo Kleberson. Finisce anche qui 1-0, ma il team di Scolari legittima la vittoria, grazie ad un gioco spumeggiante e ad una serie di conclusioni a rete parate da Rustu, estremo difensore turco di grande talento.
A Yokohama poi, il 30 giugno del 2002, dopo un primo tempo intenso e giocato alla pari, è Ronaldo, ancora una volta, a consegnare il titolo iridato alla sua nazione. Il suo uno-due è micidiale: prima ribatte in rete il tiro di Rivaldo mal trattenuto dal fortissimo Kahn, poi se ne va ben lanciato da Gilberto Silva, e sigla il 2-0 finale. Il Brasile è campione del mondo per la quinta volta, unica squadra della storia.