Espressionismo
Con il termine espressionismo si è soliti definire la volontà e la propensione degli artisti a privilegiare il lato emotivo della realtà rispetto a quello più concreto e percepibile oggettivamente; l’artista espressionista si focalizza quindi sul lato emotivo cercando di esprimerlo con esasperazione.
Approfondimento
La definizione di Espressionismo
Nell’arte, l’espressionismo proponeva una rivoluzione del linguaggio che contrapponeva la sua soggettività al senso di oggettività tipico dell’impressionismo, che invece tendeva a rappresentare la realtà così come la percepiscono gli occhi.
Il movimento espressionista non trova una facile definizione. Così lo definisce lo storico Walter Laqueur:
“Gli espressionisti furono un sismografo sensibilissimo […] erano quasi altrettanto commoventi di certi poeti del XVII secolo […]. Il punto più vulnerabile del movimento fu che non conobbe limiti… un difetto tedesco tutt’altro che raro. Non seppe più controllare le proprie emozioni, divenne disordinato e incoerente, incapace di parlare in maniera chiara al mondo esterno. Se fosse stato soltanto uno dei tanti movimenti d’avanguardia, le sue manchevolezze non avrebbero avuto gran peso. Ma siccome si proponeva di cambiare la vita e non soltanto di offrire una nuova forma d’arte, non è possibile valutarlo sulla base d’un metro puramente estetico. L’espressionismo […] era un fermento senza scopo.”
Interessante anche la descrizione del saggista francese François Orsini che lo paragona al Futurismo così:
“Se il Futurismo si ferma alla pelle dell’individuo, l’Espressionismo fruga nel sangue, nell’anima.”
O ancora quella dello scrittore tedesco Carl Sternheim:
“La caratteristica della forma d’espressione che oggi viene chiamata Espressionismo è la seguente: essa non esprime le cose essenziali e rifiuta tutto ciò che è accessorio, il che avviene ogni volta che il sostantivo si presenta senza articolo, senza epiteto, senza attributo e rende la nozione più esatta e più chiara; ogni volta che la nudità monumentale del verbo permette di salvare per il mondo un’essenza che si credeva perduta, scartando tutti gli ornamenti superflui, stupidi, tutti i cliché, aggiunte inutili che non hanno altra utilità se non quella di permettere una comprensione progressiva e comoda al lettore medio.”
Il contesto storico
Il contrasto, l’assiduo conflitto innervante vite e scenari storici, si configura spesso come il proscenio di un’avanguardia, di un cambiamento radicale nato dalla cruciale rottura con l’intima realtà del passato.
Le avanguardie dei primi anni del Novecento si mossero nel teatro della consapevolezza, interpretando le sorti dell’arte – nella sua reale natura – nell’ottica offuscata dal riverbero stridente di risolutive e dolorose vicende storiche: dagli anni ottanta dell’Ottocento fino ai primi anni del secolo nuovo, il positivismo divenne il ridente vessillo dietro cui schierarsi per opporsi a quella crisi che febbrilmente aveva avvelenato ogni strato sociale e culturale dell’Europa del XIX secolo.
Nel culmine di quell’era galvanizzata, dove i “congressi delle scienze, il vasto impulso industriale, le grandi esposizioni universali, i trafori, le esplorazioni erano tante bandiere agitate al vento impetuoso del Progresso” (DE MICHELI), iniziarono a emergere tutte le contraddizioni covate nel cuore del secolo e che inevitabilmente esplosero nel terribile massacro della prima guerra mondiale.
Il progresso avanguardistico ambì alla ricerca introspettiva dell’essenza, convogliando, di fatti, sensibilità, storia e società in un sentimento di comune identità infranta, di assoluta delusione e di completa e spudorata consapevolezza.
Il Novecento, sulle profonde orme del “secolo lungo”, innovò la realtà moderna, svecchiando e ripulendo dal torpore dell’approccio positivo lo sguardo impressionista, in una prospettiva guidata dall’ideale del superamento, di opposizione alla realtà filosofica, artistica e letteraria che aderì e fece del proprio motto il “Discours sur l’esprit positif” (1844) del filosofo e sociologo francese Auguste Comte (1798 – 1857), nell’utopico tentativo di “spegnere un’attività perturbatrice trasformando l’agitazione politica in un movimento filosofico”(COMPTE).
La nascita dell’espressionismo
L’espressionismo nacque reazionario e ribelle, radicandosi nell’intuizione di uno sguardo interno alla realtà, lontana dai macchinosi ingranaggi del positivismo, ormai divenuto per molti una “filosofia di convenienza”.
L’espressionismo è un movimento che non rientra negli schemi di una precisa definizione accademica – nella sua complessità e nel distacco non privo di radici dall’arte passata – poiché si manifestò sotto varie forme (il sentimento espressionista saturò il contesto pittorico tedesco con i gruppi conosciuti come “Die Brücke” (il “Ponte”) e “Der Blaue Reiter” (il “Cavaliere Azzurro”), mentre in Francia l’anti-positivismo ritrovò la propria fede del movimento dei “Fauves” (delle “belve”), assumendo in ogni caso i connotati di un movimento artistico d’opposizione.
Nella vastità del fenomeno, la cavalleria espressionista tedesca si mosse sul terreno del rifiuto dell’ideale ottocentesco, approdando prepotentemente sulla sponda legata al mito dell’evasione, aderendo al sentimento di un’arte insofferente verso il falso splendore dell’epoca guglielmina, sottraendosi con ogni forza alla volgarità, rifugiandosi, infine, nello spirito.
Ogni sentimento volitivo ed espressivo venne condensato nella realtà divulgatrice dal supremo intelletto del pittore e incisore tedesco Ernst Ludwig Kirchner (1880 – 1938), faro indiscusso del movimento del Die Brücke:
“La pittura è arte che rappresenta su un piano un fenomeno sensibile […] Il pittore trasforma in opera d’arte la concezione della sua esperienza. Con un continuo esercizio impara a usare i suoi mezzi . Non ci sono regole fisse per questo. Le regole per l’opera singola si formano durante il lavoro, attraverso la personalità del creatore” (KIRCHNER).
La resa pittorica espressionista, nella matrice del gruppo di artisti tedeschi capeggiati da Kirchner, risulta essere sgradevole, brusca e ben poco edonistica, esibendosi al pubblico come una scossa rivelatrice e palesando il proprio monopolio espressivo optando assiduamente per una scelta figurativa stridente e in cui prevale l’ibridazione.
I colori sono acidi, violenti e l’immagine appare scomposta, tagliente e totalmente lontana dal “frastagliamento atomistico” impressionista, indice dell’audacia espressionista e ben constatabile nel dipinto dal titolo “Scena di strada berlinese” (1913) dello stesso Kirchner.
L’espressionismo tedesco trovò la sua seconda natura nel movimento del Der Blaue Reiter, impegnando le proprie forze intellettuali verso il purismo della missione artistica.
Il gruppo monacense, sin dalla sua fondazione, assunse dei risvolti dai toni esoterici (“Parlare del recondito attraverso il recondito“) , distaccandosi mirabilmente dalla poetica della Brücke, pur condividendone alcuni ideali, quali l’anti-positivismo e l’anti-impressionismo:
“Essi cioè tendevano a una purificazione degli istinti anziché al proprio scatenamento sulla tela; non cercavano un contatto fisiologico col primordiale; quanto piuttosto un modo di cogliere l’essenza spirituale della realtà” (DE MICHELI).
Nel clima di uno “spiritualismo neoromantico”e nel segno dell’ “espressionismo lirico“, il pittore russo Vasilij Vasil’evič Kandinskij (1866 – 1944), realizzò la tela nota con il titolo di “Il cavaliere blu” (1912).
Il divorzio dall’arte dalla società, l’estraniazione dal mondo e la conseguente evasione nell’Io interiore si concretizzarono nel tentativo di ogni artista aderente al movimento di trasporre, sulla fissità della tela, le più intime verità assolute, dunque spirituali.
L’articolo dal titolo “L’influenza di Gauguin” (“L’influence de Paul Gauguin“), scritto il 23 Ottobre 1903 dal pittore francese Maurice Denise (1870 – 1943) per la rivista “Occident”, appare, nel dedalo dell’affermazioni delucidati i caratteri del movimento espressionista francese, un’utile incursione verso quello moto artistico così prepotentemente innovativo da spingere il critico d’arte Louis Vauxcelles (1870 – 1943) ad esclamare “È Donatello in mezzo alle belve (“fauves”, ovvero «bestie dal pelo fulvo») !“, quando nel corso di un’esposizione vide accostati dei capolavori di Matisse, Rouault e Derain insieme ad una scultura dal gusto rinascimentale.
Maurice Denise indicò l’assolutezza di un’evoluzione che si sublimò lentamente dai margini del naturalismo impressionista per connaturarsi nell’estremismo dolente e sofferto tipicamente espressionista, macchiandosi, in questa particolare circostanza, di quella conversione di cui fu protagonista lo stesso Gauguin:
“Come vedete quest’albero?” Aveva detto Gauguin davanti ad un angolo del bosco d’Amour. “Verde ? E allora mettete del verde , il più bel verde della vostra tavolozza; e quest’ombra? Piuttosto blu? Non temete allora di dipingerla col blu più intenso possibile […]“.
I fauves accolsero a pieno titolo la lezione di Gauguin, il quale restituì all’arte il massimo compito della trasposizione, adottando l’espediente della sintesi come unico mezzo per rendere caricaturale la realtà, in quell’iperbole pittorica che trova la sua figura gemella nella metafora poetica.
Note bibliografiche
M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del ‘900, Feltrinelli, Milano, 2005