L’invasione della Baia dei Porci a Cuba: riassunto
L’invasione della Baia dei Porci, situata sull’isola di Cuba, avvenne il 17 aprile 1961. Tale invasione avvenne ad opera di 1.453 esuli cubani che avevano lo scopo di rovesciare il regime di Fidel Castro. La strategia prevedeva l’aiuto, ma non l’alleanza, del governo americano e la fusione degli esuli con i guerriglieri anticastristi presenti sull’isola al fine di creare un governo provvisorio che avrebbe dichiarato guerra a quello di Castro. A quel punto gli americani sarebbero intervenuti con tutte le loro forze.
Un fallimento durato due giorni
L’invasione della Baia dei Porci (in inglese Bay of Pigs) durò solo due giorni e si rivelò un fallimento per i ribelli, che vennero sconfitti e in parte catturati dalle truppe di Castro. Il piano era stato organizzato e approvato dall’amministrazione di Dwight D. Eisenhower, che nel marzo del 1960 aveva deciso di far cadere il governo di Cuba al cui vertice c’erano i rivoluzionari; questi, assieme a Fidel Castro e a Che Guevara, avevano sconfitto l’esercito del precedente dittatore dell’isola, Fulgencio Batista.
Quando John F. Kennedy si insediò alla Casa Bianca, nel gennaio del 1961, decise di procedere con il piano del predecessore, malgrado gran parte del suo staff, compreso lo storico John Schlesinger, che riportò quei giorni in un libro, fosse contrario. Furono le navi americane a gestire le operazioni di sbarco che si svolsero il 17 aprile del 1961.
Baia dei Porci: i fatti e i numeri
Durante le operazioni logistiche la situazione volse subito a favore dell’esercito cubano; due navi, piene di rifornimenti di apparecchiature per le comunicazioni, armi, cibo e acqua e carburante vennero affondate dall’aviazione di Castro. A questo punto i ribelli, che non avevano equipaggiamento né vettovaglie, si trovarono in una situazione senza struttura logistica all’interno della giungla; in questo luogo gli uomini di Castro erano abituati a muoversi senza difficoltà.
Il 18 aprile la situazione per gli esuli nella Baia dei Porci appariva drammatica e disastrosa. Pertanto fu ordinata la ritirata. Dei 1.453 combattenti, 1.189 furono catturati e 238 morirono durante le operazioni di cattura e guerriglia con l’esercito cubano. Solo 26 esuli furono salvati dagli americani e riportati negli Stati Uniti.
Le conseguenze di questo fallimento possono essere facilmente immaginate:
- in primo luogo ci fu il trionfo della politica estera cubana, che vide crescere l’appoggio dell’URSS e dei suoi Stati satelliti alle sue istanze;
- ci fu poi un’impennata della simpatia di altri Paesi, sia africani che europei, quest’ultimi non attraverso i propri governi, bensì attraverso i partiti politici di opposizione; questi elessero a veri e propri simboli della rivoluzione cubana le persone di Fidel Castro e Che Guevara.
Tutto questo accadeva mentre l’amministrazione Kennedy riceveva molte critiche soprattutto per quanto riguardava l’operazione logistica diretta dalla CIA.
Il presidente americano riuscì a gestire bene la crisi di immagine e ne uscì rafforzato. Nel frattempo silurò il direttore della CIA Allen Dulles e il suo vice Charles Cabell.