Il teatro ateniese e le tragedie del V secolo A.C.
Per comprendere come venivano rappresentate le opere dei grandi tragici ateniesi dell’età periclea, Eschilo, Sofocle ed Euripide, è necessario dare uno sguardo alla struttura dell’edificio teatrale della scena, facendo riferimento, in particolare, al teatro ateniese di Dioniso Eleutero, in cui quelle tragedie vennero rappresentate per la prima volta nel corso delle Grandi Dionisie.
Il teatro ateniese di Dioniso Eleutero
La forma della cavea, cioè della gradinata dove sedevano gli spettatori, sembra essere stata, ancora ai tempi di Sofocle, a forma trapezoidale, vicino alla pianta dei teatri arcaici: si sono trovati cortili di questo genere nei palazzi cretesi e micenei. Vediamo ora l’area nella quale si svolgeva la rappresentazione. Erano stati creati due piani distinti per l’azione tra il VI e il V secolo. L’attore, e in seguito i due e tre attori, agivano su una piattaforma che era stata innalzata nel fondo dell’orchestra. Tale piattaforma si appoggiava su una specie di baracca di legno chiamata skenè, che veniva usata dagli attori per cambiarsi: la piattaforma sarebbe l’equivalente del nostro palcoscenico. Per altri invece, coro e attori recitavano tutti nell’orchestra, senza la distinzione di piani, che si ebbe più tardi, cioè nel periodo alessandrino, quando la skenè divenne un ampio edificio a due piani, il tetto del primo servendo da palcoscenico.
Ma nel V secolo, quando vennero rappresentati i drammi di Eschilo, di Sofocle, di Euripide e di Aristofane, gli attori non utilizzarono mai un palco, anzi la skenè era sconosciuta ai primissimi autori tragici (Tespi, Pratina), né c’era quando Eschilo mise in scena le sue prime opere: l’orchestra era circondata da una stretta terrazza e su essa comparivano, salendo attraverso un passaggio chiamato parados – come il canto di ingresso del coro – il coro e gli attori, che poi avrebbero svolto la loro azione nello stesso ambito dell’orchestra. La skenè comparve solo più tardi, appunto per essere utilizzata come spogliatoio degli artisti, ciascuno dei quali interpretava più di una parte.
Secondo la tradizione fu Sofocle che la fece adornare con pitture e motivi architettonici. In seguito la sua porta centrale venne certe volte adornata con un protiro e, attorno al 450, ai suoi lati vennero aggiunti due piccoli edifici: due ali, detti paraskenia, forse dotati di una porta o forse adorni di colonne. Il teatro assunse la sua forma definitiva nel corso di circa un secolo: l’orchestra assunse la forma circolare e le gradinate si disposero in conseguenza.
Antichi spettacoli tragici
Per ricostruire le forme generali dell’antica rappresentazione tragica possiamo servirci da un lato dei testi, le cui indicazioni sono generiche, dall’altro possiamo far riferimento ad alcune pitture vascolari e infine alle testimonianze letterarie, fra le quali quelle delle commedie di Aristofane, relative alla dizione ed al costume. Gli spettacoli tragici avevano carattere eccezionale, venivano realizzati una volta l’anno, per conto e sotto la sorveglianza dell’autorità pubblica: si trattava di un concorso, o agone, al quale venivano ammessi tre poeti selezionati in precedenza, mentre la cura e le spese della messa in scena erano affidate a ricchi cittadini. Alla migliore messa in scena e al miglior poeta veniva assegnato un premio.
La tragedia classica era costituita dal dialogo dei due o tre attori – che rappresentavano diversi personaggi, cambiando maschere e costumi – fra loro e con un coro composto da quindici persone, a nome delle quali parlava il corifeo. Questi dialoghi costituivano gli episodi, oggi atti, della tragedia, intercalati da intermezzi lirici cantati dall’intero coro, e detti stasimi, ad eccezione del canto d’ingresso che si chiamava parados.
Durante gli stasimi nessun attore era presente nel teatro, ma nel momento di maggiore tensione drammatica anche uno o più attori erano coinvolti nel canto e forse anche nella danza del coro: era il kommòs. Il coro entrava in scena ordinato su tre file di cinque coreuti, e manteneva questa disposizione durante tutto lo spettacolo. Mentre l’orchestra era il luogo della danza. Il costume degli attori tragici era costituito da un lungo chitone con maniche. Nel breve trattato intitolato “Poetica”, Aristotele ha trattato in maniera dettagliata la struttura della tragedia del V secolo.
Vi troviamo importanti notizie che ci permettono di determinare come, prima di Eschilo, la tragedia consistesse nel semplice dialogo tra attore e il coro: fu Eschilo, infatti, a introdurre un secondo attore, mentre Sofocle ne aggiunse un terzo. Sempre secondo Aristotele, a Sofocle si deve l’impiego della scenografia dipinta. Nel periodo di Euripide vennero utilizzati accessori, comparse e anche gli elementi meccanici che servivano a introdurre le apparizioni divine: deus ex machina.