Sono una creatura, poesia di Ungaretti
La poesia “Sono una creatura” compare per la prima volta nella raccolta Porto Sepolto nel 1916 ed è stata composta da Giuseppe Ungaretti proprio durante il periodo vissuto come soldato semplice nel Carso, durante la Prima Guerra Mondiale. La lirica reca come sottotitolo il luogo di composizione e la data precisa: Valloncello di cima Quattro, 5 agosto 1916. Ungaretti era solito aggiungere il sottotitolo alle poesie poiché rappresentavano per lui una sorta di diario di quella dura esperienza.
Approfondimento
La raccolta di poesie
Le liriche di Porto Sepolto, prima raccolta stampata nel 1916, sono dedicate al tema della realtà tragica della guerra. Esse raccontano, attraverso simboli e parole chiave, la condizione del soldato di trincea che Ungaretti visse in quel periodo.
Tutte le poesie di Porto Sepolto confluirono poi nella raccolta Allegria di Naufragi, poi pubblicata col titolo L’Allegria nel 1931. L’ultima edizione definitiva è del 1942 ed è suddivisa in cinque sezioni, disposte in ordine cronologico di composizione.
Con questa raccolta, Ungaretti si propone come poeta della crisi del Novecento. L’umanità viene infatti travolta dalla Grande Guerra e deve affrontare una vita piena di difficoltà e dolori. A questi naufragi, si contrappone però l’allegria. C’è sempre qualcosa di umano che resta, e che sopravvive a tutte le difficoltà.
Sono una creatura: storia e analisi
Tra le poesie di Porto Sepolto spicca Sono una creatura, un testo dedicato alla condizione di isolamento nella quale si trovava il poeta nelle trincee, che diventa il simbolo della condizione di tutti gli uomini.
La lirica è formata da tre strofe di versi liberi, alcuni composti anche da una sola parola, in linea con lo stile ermetico, prosciugato che utilizza il poeta nella prima raccolta di poesie. Scompare anche la punteggiatura e la parola arriva ad assumere un ruolo fondamentale.
Analisi delle strofe
La prima strofa è la più lunga di tutto il componimento. Si tratta di una lunga similitudine nella quale vengono utilizzati tutti verbi al participio passato, e che non si conclude. Il primo termine di paragone è quindi questa pietra del monte San Michele, che si trova vicino Gorizia, definita arida, insensibile e vuota.
Nella seconda strofa si riprende la similitudine ma compare finalmente il secondo termine di paragone: il pianto del poeta, che viene definito come invisibile.
Nella terza strofa, l’ultima, le pause sono scandite in modo molto netto, soprattutto il gerundio finale: le parole formano quasi un aforisma o una sentenza.
Testo completo della poesia
Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata
Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede
La morte
si sconta
vivendo
Interpretazione
Questi ultimi tre versi possono essere interpretati in due modi: il fatto di essere sopravvissuti alla morte si sconta con il dolore provato durante il resto della vita, oppure il dolore stesso che si prova durante la vita anticipa l’arrivo della morte.
In qualunque caso la si interpreti, la strofa finale è quella messa maggiormente in evidenza dal poeta e che racchiude il messaggio che egli vuole lasciarci.
Il testo è molto breve, la sintassi è frammentaria, la punteggiatura è assente. Importante è l’anafora della parola “così” presente nella prima strofa che sottolinea dei termini molto forti riferiti all’aridità del paesaggio.
Da sottolineare inoltre la posizione dell’aggettivo “disanimata” (v. 8), che viene posto in un verso singolo per farlo risaltare maggiormente. La scelta proprio di questo aggettivo rappresenta l’incapacità di reagire, di quel dolore che ha reso l’anima del poeta dura come una pietra.
La guerra, le atrocità hanno pietrificato tutti i sentimenti di Giuseppe Ungaretti, che diventa il simbolo della condizione di tutta l’umanità. Questa sensazione che emerge dalla poesia contrasta fortemente con il titolo: sono una creatura. In esso spicca comunque un messaggio positivo: nonostante tutte le ingiustizie e i dolori provati, il poeta ribadisce proprio nel titolo tutta la sua umanità.