Romeo e Giulietta, di Shakespeare

Quando l’amore incontra il teatro, l’anima si fa specchio delle umane passioni, ricongiungendo, almeno nell’illusoria finzione, la storia della propria anima a quella del mondo. La tragedia shakespeariana conosciuta col titolo di “Romeo e Giulietta” (1594), deve gran parte della propria fortuna alla giusta combinazione dei sentimenti umani, nell’audace racconto di una storia d’amore funestata dall’ostilità di un mondo brutale, riportando l’eterna modernità del tema erotico ai tempi di una cultura splendente, ambigua e allo stesso tempo spietata.

Romeo e Giulietta, di Shakespeare (film di Zeffirelli, 1968)
Un bacio tra Romeo e Giulietta, interpretati da Leonard Whiting e Olivia Hussey nel film del 1968 di Franco Zeffirelli.

William Shakespeare (1564-1616) si fece interprete di un mondo complesso, quello elisabettiano, da cui seppe trarre il nucleo drammatico di una storia innovativa non nel motivo ma nell’interpretazione teatrale, rendendo eterne le tragiche sorti dei due giovani protagonisti, eroi indiscussi di ogni cuore infranto.

Romeo e Giulietta, la trama

Il dramma shakespeariano verte sull’angosciante susseguirsi di eventi che si oppongono all’unione dei due innamorati: Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti, rampolli delle due famiglie più potenti della città di Verona, vivono la tragedia di un’eterna faida sortita ai danni di coloro che amano; la storia, l’orgoglio dei Montecchi e dei Capuleti conseguirà l’effetto mortale di una punizione, ingiusta ma prevedibile dell’amore negato che genera il sonno eterno.

La storia d’amore sboccerà sotto il segno della sciagura, conducendo con sé il tocco fatale della morte dove era atteso l’amore. L’odio atavico delle due famiglie non impedirà l’incontro tra Giulietta e Romeo e l’organizzazione di un matrimonio segreto, lontano dagli echi irti d’ira e d’odio.

Il matrimonio non avrà mai luogo a causa della rivalsa fatale di Romeo ai danni di Tebaldo, cugino di Giulietta, con cui il giovane Montecchi vendicò il sangue dell’amico Mercuzio. Dopo la fuga di Romeo a Mantova, Giulietta è costretta a sposare un altro uomo.

Per sfuggire alle sorti di una vita lontana dall’amore, Giulietta beve una pozione che le consente di sembrare morta per molte ore. Romeo, non avendo ricevuto la notizia dell’inganno, crede di aver perduto la sua amata per sempre e nel dolore si avvelena. Terminati gli effetti dell’incantesimo, Giulietta si sveglia dal sonno di una finta morte e vedendo il corpo esamine dello sposo segreto, si pugnala, finendo nella tragedia più commovente l’esito dell’umana follia generata dal rancore.

Romeo e Giulietta
Romeo e Giulietta (Leslie Howard e Norma Shearer nel film del 1936 di George Cukor)

Note tecniche e descrittive

“Non vi è nome più celebre nel teatro elisabettiano; non vi è piuttosto, nome più celebre nell’intero mondo elisabettiano. Pure, colui che, agli occhi di tutti, è il teatro elisabettiano, potrebbe per molti aspetti apparire l’autore meno elisabettiano che possa darsi” (ZAZO).

Un’interpretazione, quest’ultima, di una complessità contorta che ben chiaramente lascia intravedere la difficoltà di inquadrare la figura del drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare nel tortuoso girone del teatro elisabettiano, quale passo indispensabile per comprendere la produzione letteraria, nonché i dettagli tecnici di una tragedia in cinque atti che rispose ai requisiti di un’età contraddittoria e in continuo mutamento.

William Shakespeare
William Shakespeare

Shakespeare affrontò i pericoli della sua epoca, navigando, in un tempo in cui per amore o per ventura viaggiatori e pirati cercavan fortuna per mare e per terra, nelle rischiose acque degli affari teatrali, nell’umile quanto lungimirante desiderio di raccontare l’anima elisabettiana attraverso le storie avventurose e tragiche di personaggi storici o germogliati dalla punta di una penna d’oca.

In un clima di gaia e feroce passione per l’esistenza, nell’esuberante e tumultuoso sentimento degli “innamorati della vita, non di una teorica immaginazione [shadow] della vita”, Shakespeare rimase personalmente al riparo dall’ansia per l’avventura e dal gusto per la brutalità tipicamente elisabettiani, pacificando illusoriamente, tramite la nobile arte del teatro, la contraddittorietà di un’epoca ambigua, dove l’angoscia e il rimorso erano strettamente connessi al diletto dell’amore e dell’amicizia. Il senso dell’arte drammatica, come avviene nella somma tragedia “Romeo e Giulietta“, è

“offrire alla natura uno specchio; mostrare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, e all’età stessa e al corpo del secolo la sua forma e la sua impronta” (Amleto, III, due).

La simbologia dello specchio era molto comune nel corso del Rinascimento, nei molteplici significati designava l’irrealtà, l’immagine contrapposta alla realtà, che nella produzione drammatica si traduce in degli opposti significativi: vita/teatro, saggezza/pazzia, vita/sogno, sono gli elementi fondamentali e ricorrenti del teatro di Shakespeare.

L’opera “Romeo e Giulietta” di Shakespeare nacque tragedia dal tiepido grembo della poesia, raffigurandosi in un capolavoro quasi totalmente in versi rimati, soprattutto nella prima parte del testo, carica di ricercate metafore e di artifici retorici nella maniera eufuistica.

La tragedia si caratterizza per l’insolita ampiezza dei ruoli femminili e l’antiquata retorica che si riscontra nelle battute dei personaggi più anziani, peculiarità che fanno pensare, come sosteneva il saggista e critico letterario Giorgio Melchiori (1920-2009), che se non altro, in un primo tempo, Shakespeare non fosse sicuro della destinazione del dramma e che si proponesse di

“fornire un testo che potesse essere presentato non solo in un teatro pubblico, ma all’occorrenza, anche a una corte e nei più sofisticati teatri privati; un dramma che anche i “letterati” potessero apprezzare e che si presentasse eventualmente ad essere recitato da quelle compagnie di ragazzi (per esempio i coristi di San Paolo)”

Questi ultimi, capaci di recitare con maggiore verosimiglianza le parti femminili, avevano l’abilità di conferire delle cadenze caricaturali ai personaggi dall’età avanzata.

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La prima parte del dramma è resa da una serie di eufemismi dal linguaggio cortese che, diffuso in Italia dal Petrarca, raggiunse l’Inghilterra attraverso i modelli francesi della tradizione sonettistica.

In una prospettiva drammaturgica, la tragedia rivela come Shakespeare sapesse sfruttare abilmente le soluzioni imposte dal teatro elisabettiano: il palcoscenico su cui era recitato il dramma risultava essere in parte scoperto, per le scene previste dal copione in ambientazioni esterne, e coperto, per gli interni e il giardino, con una galleria sul fondo costituente il balcone e un vano interno, utilizzato per rappresentare la tomba e la camera di Giulietta.

La divisione delle scene, che si raffronta nelle edizioni moderne, non compare nell’in-quarto del 1599: un tale accorgimento tecnico, di fatti, non aveva ragione di esistere nella prospettiva di una concezione drammaturgica che sfruttava abilmente il valore convenzionale dei punti del palcoscenico e che affidava il compito scenografico alla parola.

L’edizione del 1599 era priva di divisione in atti, poiché prevedeva una costruzione delle vicende drammatiche per lunghe sequenze, corrispondenti ai giorni in cui si adempie la trama, dunque le vicende di Romeo e Giulietta.

L’opportunità di privare il testo di una scansione in atti conferisce al dramma una meravigliosa potenza teatrale, in una durata scenica calante, tale da comunicare al pubblico la vivacità di un’azione incalzante, cadenzata dalla presentazione e dalla premesse dei personaggi.

Un’altra importante caratteristica del teatro elisabettiano, e di quello shakespeariano, è il “doubling“, in altre parole di affidare ad un attore più ruoli correlati nella stessa interpretazione teatrale, rispondendo alla necessità delle compagnie elisabettiane di ridurre le spese, questo ingegnoso metodo recitativo s’innestava perfettamente alla costruzione teatrale; l’autore doveva dunque essere in grado di operare una precisa e compiuta concatenazione delle entrate e delle uscite di scena dei protagonisti sul palcoscenico, dove

“ad uguale funzione uguale attore; se il pubblico riconosce lo stesso attore nei due personaggi ciò non sarà fonte di confusione od equivoco ma piuttosto arricchirà la sua presenza del significato della vicenda rappresentata” (MELCHIORI).

Il giudizio della critica si rivela interessante nell’ipotesi che, al contrario di quanto avviene nelle grandi tragedie dell’età adulta, la catastrofe finale non è determinata dalla drammaticità dei personaggi, ma dall’infausto susseguirsi di circostanze fatali, permettendo di esibire agli occhi del pubblico la dimensione dolorosa del testo, i cui personaggi, “nati sotto la contraria stella” in un “amore segnato dalla morte“, legano la genesi dell’infausta sorte alla faida terrena tra Montecchi e Capuleti.

Romeo e Giulietta, Leonardo DiCaprio
Un’altro bacio tra Giulietta e Romeo: Claire Danes e Leonardo DiCaprio (allora ventiduenne), nel film di Baz Luhrmann del 1996 “Romeo + Giulietta di William Shakespeare“.

Controversie cronologiche

La prima edizione di “Romeo e Giulietta” risale al 1597: un volumetto in-quarto privo d’indicazioni riguardanti l’autore e l’editore, realizzato mnemonicamente dopo la prima teatrale, indicava sul frontespizio della tragedia “rappresentata pubblicamente dai servitori dell’onorevolissimo Lord Hunsdon“.

La compagnia del Lord Ciambellano, Henry Carey Lord Hunsdon (1526-1596), era stata fondata nell’estate del 1594; con la morte di questi il titolo della compagnia passò a Sir William Brooke, decimo Barone di Cobham (1527-1597) e discendente di Sir John Oldcastle (1360 -1417), il “Sir John Falstaff ” dell'”Enrico IV” (1598) di Shakespeare.

La fedeltà degli attori alla compagnia emerse dalla scelta di rimanere alle dipendenze della famiglia precedente, in altre parole come servitori di Lord George Hunsdon, il figlio del defunto Henry Hunsdon.

In conformità a questi elementi, in passato si soleva congetturare la prima della tragedia con l’anno 1596, ovvero col breve periodo in cui la compagnia era tecnicamente di Lord Hunsdon; ma è più plausibile considerare che lo stampatore facesse riferimento al nome attuale della compagnia che, tra il 1594 e il 1596, aveva assiduamente messo in scena la tragedia di “Romeo e Giulietta“.

Poiché Shakespeare era entrato a far parte della compagnia del Lord Ciambellano dopo la fondazione, la data della prima potrebbe risalire alla fine del 1594; vagliando la considerazione che dal 1592 al 1594 i teatri di Londra furono chiusi per motivi politici e per l’imperversare della peste, è legittimo pensare che Shakespeare ideasse la tragedia amorosa proprio negli anni ardui della sospensione teatrale.

Tale ipotesi sarebbe ulteriormente comprovata dalla presenza di precisi riferimenti storici e dalle caratteristiche stilistiche coerenti con il periodo della produzione, anche se, nel margine indefinito e incerto dell’ipotesi, emergono altri elementi che portano a considerare teorie differenti: J. J. M. Tobin rintracciò nell’opera di Thomas Nashe (1567-1601) dal titolo “Have with You to Saffron Walden” (“Gabriell Harveys hunt is up”) alcune particolari espressioni riscontrabili solo in “Romeo e Giulietta“, dunque in nessun altro lavoro shakespeariano, e alcuni riferimenti che Shakespeare avrebbe usato per l‘ideazione dei personaggi di Mercuzio, di Benvolio, della Nutrice e dei servitori della casa dei Capuleti.

Poiché “Have with You to Saffron-Walden” risale al 1596 si potrebbe dedurre che la tragedia, o parte di essa, fu ideata in quello stesso anno.

Note Bibliografiche
W. Shakespeare, Romeo e Giulietta, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 2006

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Simona Corciulo

Simona Corciulo nasce a Gallipoli il 5 maggio del 1992. Appassionata di arte e antiquariato, ha conseguito la laurea in ''Tecnologie per conservazione e il restauro'' nel 2014. Fervida lettrice, ama scovare e collezionare libri di arte, storia, narrativa - italiani e stranieri - desueti o rari.

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