Il Proibizionismo
Sotto la Presidenza del Democratico Thomas Woodrow Wilson, il 28 ottobre 1919 viene ratificato il XVIII emendamento, con il quale gli USA bandiscono l’alcool vietandone categoricamente fabbricazione, vendita, trasporto ed importazione. Il “nobile esperimento”, come viene definito, dà avvio al Proibizionismo.
Nel 1914 gli Usa già rappresentano la maggiore potenza economica mondiale e si apprestano ormai a sostituire la sfiancata Europa nel ruolo di faro irradiatore di cultura, scienza ed economia. La prima guerra mondiale si rivela per essi l’affare del secolo: le precarie condizioni economiche dei Paesi europei dell’Intesa (soprattutto Inghilterra, Francia e Italia) ne determinano un indebitamento complessivo di oltre diecimila milioni di dollari verso la potenza d’oltreoceano, somma che, per giunta, fa in gran parte ritorno nel Paese d’origine per pagare le ingenti forniture belliche con annesse tecnologie.
Questo, insieme ad una intelligente politica economica americana che, finita la guerra, sa trasformarsi e dedicarsi ad una produzione industriale “di pace” (edilizia privata, automobili, radiofonia ed elettrodomestici) dà vita ad una esplosione del prodotto nazionale lordo e del reddito pro-capite. Il boom economico arriva improvviso ed inatteso e, insieme agli indiscutibili benefici, porta con sé insani desideri di trasgressione ed euforia. Lo smodato incremento del consumo di alcool, che investe tanto le fasce benestanti della popolazione quanto le masse di diseredati composte dai neri e dai bianchi del sud, diviene presto un fenomeno dilagante e preoccupante.
Riacquistano voce piccole organizzazioni a sfondo moralistico o religioso – come la “American society for the promotion of temperance”, il “Prohibition Party” o la “Anti-Saloon League” – che da decenni predicano il rigore dei costumi, e la battaglia contro l’alcolismo diviene bandiera di un movimento di opinione sempre più vasto e ineludibile, che giunge ad annoverare nomi altisonanti quali quelli di Henry Ford e John D. Rockefeller.
Approfondimento
Una data storica
Il XVIII emendamento, detto “Volstead Act”, che sancisce l’inizio del Proibizionismo entra definitivamente in vigore il 16 gennaio 1920, una data che rimarrà incisa nella storia americana non tanto per l’evento che la richiama quanto per gli sconvolgenti effetti che lo stesso determinerà nei decenni a venire.
Il provvedimento legislativo è accompagnato, infatti, dalle migliori intenzioni e tende a sanare una pessima piega che la società americana va assumendo: donne che manifestano pubblicamente la propria rabbia per i maltrattamenti ormai quotidiani da parte di mariti ubriachi (in una fase, peraltro, in cui il ruolo della donna americana è in forte ascesa); etilismo fra i giovani; violenza per le strade; crollo dei rendimenti sul lavoro e, quindi, della produttività.
Quello che non viene compreso dalla classe dirigente è che un atteggiamento proibizionistico in una società ricca e libera non può che sortire un effetto contrario a quello desiderato, e che sarebbe stato molto meglio lanciare una campagna educativa sul rapporto con l’alcool insieme a misure restrittive, piuttosto che bandirlo. L’effetto che ne sortisce, infatti, è quello di determinare una reazione negativa in buona parte della popolazione che, per procacciarsi birra e whisky, non esita a rivolgersi al contrabbando.
La malavita, vissuta fino a quel momento in una nicchia fisiologica, coglie al volo l’opportunità di impadronirsi di un intero settore industriale e commerciale: fioriscono distillerie clandestine in tutta la nazione parallelamente all’importazione illecita di bevande alcoliche, e le grandi città registrano l’apertura di migliaia di locali, gli “speakeasy” che, sfidando o eludendo i divieti, servono regolarmente birra e liquori di pessima qualità traendone profitti altissimi. Il rigoglio della criminalità promuove il fenomeno del gangsterismo, e le guerre fra clan per il controllo del mercato dell’alcool provocano quotidianamente violenza e morte per le strade.
I “ruggenti anni venti”
La grande ondata di vitalità determinata dal diffuso benessere porterà a definire il decennio successivo alla Grande Guerra come il “Roaring Twenties”, “I ruggenti anni venti”, espressione che sintetizza molto bene – tanto in positivo quanto in negativo – l’esaltazione vissuta dalla società americana.
Insieme ad importanti conquiste sociali è grande il fermento culturale: fioriscono le lettere con autori del calibro di Ernest Hemingway, Ezra Pound, Francis Scott Fitzgerald; nella pittura emergono, tra gli altri, Edward Hopper, Thomas Hart Benton, Georgia O’Keeffe; sorgono le prime case cinematografiche e a Los Angeles, in California, nasce Hollywood, ma è soprattutto nella musica che deflagra una vera rivoluzione culturale. Si affermano nuovi generi musicali come il ragtime, il blues e, soprattutto, il jazz.
Espressione della cultura dei neri d’Africa giunti in America come schiavi e poi emancipati, il nuovo linguaggio musicale varca in questi anni i confini dei quartieri poveri per irrompere prepotentemente nell’intera società americana e nel mondo, avviando così la “Jazz Age”. Pionieri indimenticati di questa avventura rimangono – per citarne soltanto alcuni – Louis Armstrong, Duke Ellington, Fletcher Henderson, Elizabeth “Bessie” Smith, Coleman Hawkins, Porter Granger, Scott Joplin, Billie Holiday, Benny Noton.
Ma il “Roaring Twenties” si caratterizza anche per l’isolazionismo economico americano, per l’acuirsi di sentimenti xenofobi e per un generalizzato degrado sociale. La malavita che, grazie al proibizionismo, compie un esorbitante salto di qualità, giunge a condizionare pesantemente la vita nelle grandi città americane, ed alcuni fra i suoi capi assurgono ad una notorietà che affianca quella dei maggiori personaggi del mondo artistico e culturale. Fra tutti assume carattere addirittura leggendario la figura di Al Capone.
Al Capone
Nato a Brooklyn nel 1899 da genitori immigrati dall’Italia, Al Capone (Alphonse Gabriel Capone) si dedica sin da ragazzino ad attività di piccola criminalità, distinguendosi per crudeltà ed astuzia. All’età di vent’anni ha già al suo attivo due omicidi, oltre ad una serie di altri reati, tanto che il capo della sua banda, Frankie Yale, decide di trasferirlo a Chicago. Qui entra nel clan di un altro boss, Johnny Torrio che, qualche tempo dopo, gli affida le redini dell’organizzazione.
Si lancia subito nel contrabbando dell’alcool, riuscendo a trarne una vera fortuna economica e divenendone, grazie alla sua spietatezza, ad una campagna di corruzione ed alla speciale abilità nella gestione finanziaria, capo indiscusso e temutissimo. Ne fa le spese la gang rivale di Bugs Muran, sterminata dagli uomini di Al Capone nella “Strage di San Valentino”, il 14 febbraio 1929. La potenza del boss italo-americano continua a crescere fino a quando, non riuscendo ad accusarlo di alcun delitto, gli agenti federali riescono ad arrestarlo per evasione fiscale, ponendo così fine alla sua carriera.
La fine del Proibizioismo
Quando, nel 1932, Franklin Delano Roosevelt viene eletto Presidente degli USA, si trova a dover fronteggiare una gravissima crisi economica conseguente al crollo della Borsa di New York dell’ottobre 1929. Alla disastrosa situazione si aggiungono gli effetti nefasti del proibizionismo che hanno raggiunto proporzioni davvero preoccupanti. Roosevelt dà immediato avvio ad un vasto programma di riforme, il “New Deal”, ed ottiene che il Congresso approvi, nel 1933, il XX Emendamento con il quale si liberalizza l’uso dell’alcool ponendo fine al Proibizionismo.