Caso Ilaria Alpi. Al processo di 1° grado, la madre: “Ilaria era ancora viva”

In questo articolo riportiamo la testimonianza di Luciana Alpi (madre della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi) resa durante il processo di primo grado, dove si evince che Ilaria Alpi, a un’ora dall’agguato – avvenuto a Mogadiscio il 20 marzo 1994 – era ancora viva.

Una foto di Ilaria Alpi
Una foto di Ilaria Alpi

L’arresto di Hashi Omar Hassan

È il 12 gennaio 1998 quando Hashi Omar Hassan viene arrestato con l’accusa di concorso in duplice omicidio, lo aspettano 12 mesi di galera nel carcere romano di Rebibbia prima che inizi il processo a suo carico. Contro di lui ci sono le testimonianze di Ahmed Ali Rage, detto Gelle (è il principale teste d’accusa ma non testimonierà al processo: si renderà infatti irreperibile) e l’autista della Alpi, Ali Mohamed Abdi, che lo hanno indicato come uno dei componenti del commando, che ha fatto fuoco contro Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio il 20 marzo 1994.

Aula bunker di Rebibbia, 2 febbraio 1999

Hashi Hassan è seduto tra i suoi avvocati, a pochi passi da Luciana Alpi. Nel silenzio che avvolge l’aula bunker di Rebibbia, le parole del presidente della Corte quasi rimbombano mentre dichiara aperto il dibattimento. Si procede con la lettura del capo di imputazione.

Luciana Alpi: «Ilaria era ancora viva»

C’è un certo imbarazzo in aula il 4 marzo, è il momento di ascoltare due testimoni: si tratta di Luciana e Giorgio Alpi. La prima ad essere sentita è la madre di Ilaria. La signora Alpi riesce a vincere l’emozione e racconta le amarezze e le delusioni subite in questi anni nel tentativo di sapere la verità sulla morte della figlia. Tutto comincia il giorno del funerale: «Il funzionario cimiteriale ci disse che Ilaria non poteva essere tumulata perché non era stato riconosciuto il suo corpo. Ci chiesero se volevamo andare a fare il riconoscimento, ma noi preferimmo non andare […] ci avevano detto che il corpo era martoriato e allora io e mio marito abbiamo pensato che volevamo ricordarla come il giorno in cui è uscita da casa nostra.

Andarono mio fratello e mio cognato a riconoscere il corpo. Quando tornarono, ci dissero che il corpo di Ilaria era integro e aveva solamente la testa fasciata». Da questo momento i coniugi Alpi iniziano a diffidare delle istituzioni e decidono di indagare da soli. E scoprono che mancano dei documenti medici e degli oggetti della figlia. In più, nel tentativo di recuperare materiale che potesse chiarire la dinamica dell’agguato e quindi il movente, nel 1996, i genitori della giornalista hanno un’intuizione: l’agguato potrebbe essere stato registrato dal satellite usato dai militari statunitensi.

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Ci vuole un anno e un copioso scambio di lettere tra il ministero degli Esteri e i genitori di Ilaria, e finalmente i signori Alpi riescono ad appurare la presenza del satellite. Ecco come sono andate le cose: «Chiedemmo al sottosegretario del ministero degli Esteri, Rino Serri, se quel giorno sui cieli di Mogadiscio ci fosse un satellite – ha raccontato la madre della giornalista -. Prima ci disse che non c’era, poi che c’era ma era un satellite che girava su un cielo nuvoloso e le immagini non erano chiare». Insomma, l’immagine non è mai arrivata in Italia.

La testimonianza della signora Alpi prosegue e subito un’altra amarezza: «Il 20 luglio del ’98 il dottor Gianni Minà fece uno speciale su nostra figlia. Tre giorni dopo la trasmissione, mi telefona il cappellano (padre Giovanni Montano, ndr) della nave Garibaldi. Durante la trasmissione, sente dire a me che il giorno in cui Ilaria e Miran sono stati uccisi i militari praticavano gare di pesca sulla nave Garibaldi. Queste notizie le ho dedotte dai registri di bordo. Lui mi disse: “ sì, è vero… ma lei deve capire che erano militari che stavano da 4 mesi a Mogadiscio, erano stanchi e avevano bisogno di rilassarsi”. Io risposi che non avevo niente in contrario e che non ce l’avevo con i militari. Lui si scusò per non essere venuto prima da noi e gli risposi che ormai erano passati 4 anni e mezzo e non era più neppure il caso di scusarsi […] gli chiesi se lui aveva dato una benedizione a Ilaria e lui mi disse: “No, signora. Io ho dato l’estrema unzione a sua figlia”. L’estrema unzione è un sacramento che si dà alle persone ancora in vita».

Quindi dopo circa un’ora dall’agguato Ilaria era ancora viva. «[…] Tra il luogo dell’omicidio e il Porto vecchio c’erano circa 800 metri – precisa Giorgio Alpi commentando la lettera ricevuta dal generale Fiore – e gli facemmo notare che nessun militare era andato sul luogo dell’eccidio».

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Serena Marotta

Serena Marotta è nata a Palermo il 25 marzo 1976. "Ciao, Ibtisam! Il caso Ilaria Alpi" è il suo primo libro. È giornalista pubblicista, laureata in Giornalismo. Ha collaborato con il Giornale di Sicilia e con La Repubblica, ha curato vari uffici stampa, tra cui quello di una casa editrice, di due associazioni, una di salute e l'altra di musica, scrive per diversi quotidiani online ed è direttore responsabile del giornale online radiooff.org. Appassionata di canto e di fotografia, è innamorata della sua città: Palermo.

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