Mark Rothko e le sue opere
Erroneamente si associa, troppo spesso, Mark Rothko con l’Espressionismo astratto di cui fu promotore Jackson Pollock, trascurando il fatto che quasi subito, Rothko, si allontanò dalla pittura gestuale, che esprime una spontanea necessità di gettare il colore sulla tela con implicazioni tanto profonde quanto è semplice il gesto in sé.
Rothko, infatti, già agli inizi degli anni ’50, aveva sviluppato un linguaggio astratto del tutto personale, che non permetteva alcuna categorizzazione o peggio ancora nessuna etichettatura. Al contrario, il fascino della sua pittura consiste proprio nel misterioso processo che gli permise di semplificare la complessa visione che i suoi quadri esprimono.
Le due caratteristiche principali dei suoi quadri, quasi sempre di ampia dimensione, sono la divisione della superficie in rettangoli spesso orizzontali e l’utilizzo del colore che viene distribuito in modo omogeneo sopra a questi spazi, fino a far quasi scomparire la traccia della pennellata. Entrambe queste scelte compositive servono a rendere la contemplazione dello spettatore più intima, permettendo una sorta di volo prospettico nel colore.
Lo spettatore, insomma, compie un viaggio ipnotico, sia mentale che spirituale, all’interno dell’opera, grazie alla fusione del colore con la geometria dell’immagine. Ma non si tratta di un viaggio allucinatorio o di un’esperienza sensoriale, perché i quadri di Rothko sono dei capolavori del dramma. Sono una rappresentazione della tragedia esistenziale del loro autore, senza che vi sia una soluzione di continuità e senza alcuna pausa salvifica data dal tempo.
Il tempo non esiste nei quadri di Rothko, il loro lento procedere verso l’animo dello spettatore è un’ infinita testimonianza della tragedia di nascere, vivere e morire. Questa forza emotiva, intensissima, che lo spettatore prova di fronte all’opera, produce una particolare esperienza contemplativa che riguarda il proprio modo, unico, di vivere il rapporto con un’ opera d’arte.
Rothko riteneva che il colore potesse suscitare forti emozioni, se fosse stata assente la pennellata e quindi il colore sulla tela apparisse con una compattezza assoluta. Il colore, aiutato dalla luce, secondo Rothko, entra in relazione con l’anima e comporta conseguenze emotive inattese. Dopo gli anni ’60 la cultura del colore cambia nei quadri di Rothko, e da colori brillanti e vivaci il pittore americano passa a colori più cupi. E in questa nuova scelta pittorica che viene concepito e realizzato, Green on maroon.
Questa opera dipinta nel 1961 e che misura 258 x 229 cm è attualmente esposta al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. Probabilmente è il primo esempio di questo cambiamento nella scelta del colore che Rothko operò, mentre iniziava a colpirlo una depressione esistenziale che lo porterà al suicidio il 25 febbraio del 1970.
Le opere di Mark Rothko sono considerate indecifrabili o difficili da comprendere. Il loro significato richiede uno studio approfondito sulla genesi dell’opera del pittore statunitense, che nell’arco della sua vita ha sempre predicato la necessità di raggiungere, quadro dopo quadro, una chiarezza espositiva immediata, grazie alla crescita spirituale e artistica che lui stesso riteneva necessaria per eliminare gli ostacoli alla comprensione del fine ultimo del suo lavoro.