La marcia su Roma – riassunto
La marcia su Roma avvenne il 28 ottobre 1922 e fu una manifestazione ispirata e voluta da Benito Mussolini, capo del Partito Nazionale Fascista (PNF). Vi parteciparono decine di migliaia di fascisti che raggiunsero la capitale nella notte fra il 27 e il 28 ottobre dando vita ad una concatenazione di eventi che portarono il re Vittorio Emanuele III a dare incarico a Mussolini di guidare il nuovo governo con il quale iniziò il ventennio fascista.
Approfondimento
Preambolo
Le cause che permisero il successo della Marcia su Roma vanno cercate nella debolezza dello Stato liberale e dei governi che si erano succeduti negli anni precedenti. Il distacco sempre più forte dalle esigenze e necessità a delle rappresentanze economiche e sociali e delle classi medie avevano generato un pericoloso vuoto politico.
Le istituzioni apparivano incapaci di mantenere l’ordine, mentre movimenti rivoluzionari formati da socialisti, comunisti e fascisti, ognuno seguendo propri scopi politici, creavano seri problemi all’ordine pubblico.
Mussolini fu uno dei leader politici più abili nel saper governare questi moti rivoluzionari, fondando il Partito Nazionale Fascista nel 1921 e riuscendo a pilotare le sue diverse anime verso un unico obiettivo: la conquista del potere politico attraverso un colpo di mano.
Fu aiutato da Gabriele D’Annunzio che gli permise di ottenere il consenso popolare e contemporaneamente di contenere i moti più violenti.
Tenendo sotto controllo le bizzarrie del poeta e avvicinando i poteri economici e politici del paese, Mussolini realizzò le prime strategie politiche che lo portarono rapidamente a controllare gli equilibri politici del paese.
La sua tattica fu copiata successivamente da Hitler che ammirava il Duce proprio per la sua abilità nel gestire diverse alleanze politiche, senza dividere il potere con nessuno.
Una della mosse più scaltre che realizzò Mussolini fu rompere l’alleanza fra D’Annunzio e Luigi Facta, delfino di Giolitti, facendo credere allo stesso Facta che ricopriva la carica di Presidente del consiglio, che avrebbe appoggiato le sue istanze politiche.
La marcia su Roma
La realizzazione della marcia su Roma ebbe due prove generali.
La prima si tenne ad Ancona, dove i fascisti occuparono gran parte della città senza alcuna resistenza da parte dei militanti socialisti e comunisti che malgrado il loro aperto contrasto al fascismo decisero di non contrastare le colonne fasciste. Il successo della manifestazione di Ancona galvanizzò Mussolini e i suoi seguaci.
A questo punto era inevitabile puntare su Roma.
Tuttavia quattro giorni prima della marcia, Aurelio Padovani, un alto dirigente del partito, organizzò un’altra adunata di fascisti alla quale partecipò anche Mussolini; durante questa seconda prova, Mussolini tenne due discorsi entrambi minacciosi ma che non compromisero il piano della marcia.
La sera stessa nella città partenopea il Duce si riunì con il suo stato maggiore per ragionare sull’organizzazione della marcia e mettere a punto gli ultimi dettagli.
Dopo Napoli il governo presieduto da Facta si riunì in un Consiglio dei ministri durante il quale furono rimesse le deleghe al Presidente del consiglio affinché avesse la possibilità di trattare con i fascisti e di usare le poltrone dei ministeri come merce di scambio. Infatti, dopo Napoli, Facta sapeva – anche se lo sottovalutava – che Mussolini e i suoi fascisti erano diventati una minaccia concreta per il proseguimento del suo governo.
Il 27 ottobre alcune squadre di fascisti presero possesso di edifici pubblici a Cremona, Pisa e Firenze. Facta chiese al re di proclamare lo stato d’assedio che comportava una serie di limitazione dei diritti e della libertà dei cittadini ponendo in allerta le forze dell’ordine.
Il re rifiutò.
Lo stato di assedio
Il 27 ottobre i fascisti partirono per raggiungere in migliaia Roma.
Il Presidente del consiglio convocò una riunione d’urgenza al Viminale, sede del suo ufficio, a cui parteciparono tutti i ministri. Decretò lo stato di assedio.
Nelle stesse ore il re si consultò con lo Stato maggiore dell’esercito che di fatto sconsigliò uno scontro diretto con i fascisti. Probabilmente per questo motivo il re decise di non avallare lo stato d’assedio, provocando inevitabilmente le dimissioni di Facta.
Mentre il re rifiutava lo stato d’assedio e Facta si dimetteva, Mussolini si trovava a Milano.
La mattina del 28 ottobre il re, dopo aver accettato le dimissioni del Presidente del consiglio, diede immediatamente avvio alle consultazioni di rito.
I suoi uomini gestivano le operazioni organizzative della marcia e il Duce, malgrado sapesse il rischio di uno scontro con l’esercito o della possibilità di defezioni e tradimenti da parte dei suoi, manteneva una strategia bilaterale: da una parte l’unità del partito e dei suoi dirigenti, e dall’altra la possibilità di ripiegare qualora il re avesse avvallato l’ipotesi dello stato d’assedio.
Il potere a Mussolini
A questo punto l’incarico di formare il nuovo governo sembrava già di Mussolini.
Così fu, infatti; anche se per poche ore Antonio Salandra, ex Presidente del consiglio e senatore, sembrò essere il copilota di un nuovo governo con il futuro Duce.
Il 29 ottobre Benito Mussolini ricevette un telegramma da parte del generale Arturo Cittadini, uomo vicinissimo al re, che gli confermava l’incarico come Presidente del consiglio.
La mattina del 30 ottobre Mussolini arrivò a Roma e incontrò il re.
Ricevuto l’incarico formò rapidamente un governo e autorizzò i fascisti, accampati fuori della capitale, ad entrare e sfilare per le vie della città.
Il 31 ottobre Mussolini ordinò di lasciare la capitale e iniziò a ricoprire il ruolo di Primo ministro che mantenne per più di vent’anni.