L’isola di Pasqua e il mistero delle statue che camminano
L’isola di Pasqua conserva due misteri che sono oggetto di diverse interpretazioni:
1. Quali cause sterminarono la popolazione degli indigeni polinesiani che la abitavano.
2. In quale modo gli indigeni trasportarono le statue, chiamate moai e che hanno reso l’isola famosa in tutto il mondo, dalle cave in cui realizzate fino ai luoghi in cui tutt’ora risiedono.
La questione numero 1 ha due interpretazioni. Ecco la prima.
L’isola è nata cinquecentomila anni fa da tre vulcani spenti. Non ha corsi d’acqua e la sua ricca vegetazione di alberi e palme è completamente scomparsa, lasciando un terreno brullo e inospitale. Quando l’isola fu scoperta dai polinesiani nell’800 d. C. era ricoperta di alberi ma la difficoltà nel coltivare e sviluppare un’adeguata agricoltura di sussistenza era la stessa di oggi.
La popolazione che la abitò e che inizialmente era composta da poche decine di persone giunse sull’isola in canoa e fin dall’inizio dovette affrontare una serie di disagi di notevole portata per creare coltivazioni che gli permettessero di sopravvivere. In questo senso diverse sono le interpretazioni sulla storia della popolazione dell’isola di Pasqua.
Alcuni studiosi, fra cui Jared Diamond, autore del libro “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere”, hanno teorizzato che la popolazione dell’isola abbia compiuto un ecocidio, cioè abbia sfruttato in modo disordinato e non pianificato la natura fino ad esaurirla. Quando gli europei arrivarono sull’isola trovarono una civiltà risalente all’età della pietra, composta da pochi indigeni rispetto a quelli che c’erano quando la popolazione era al suo massimo splendore. Erano in pieno declino. Fu la tratta degli schiavi a dare il colpo finale a questa civiltà ma la situazione che gli europei trovarono era già molto precaria.
Secondo Diamond e i teorici dell’ecocidio, gli alberi furono abbattuti per trasportare i moai e il terreno fu, per quel poco che poteva dare, mal coltivato. Inoltre la lontananza da altre isole non ha permesso l’arrivo di semi e quindi l’aumento della fertilità della terra. L’abbattimento degli alberi invece ha impedito l’approvvigionamento di cocco e la costruzione di canoe per pescare. Probabilmente a questo punto, secondo questa teoria, la popolazione ha cominciato a nutrirsi solo di uccelli, poi è passata allo scontro fra le varie fazioni fino a cadere nel cannibalismo.
La seconda teoria.
Un’altra teoria, invece, ritiene che gli abitanti dell’isola fossero ingegnosi agricoltori e che avessero sfruttato bene le scarse risorse della loro terra. In particolare, secondo gli archeologi Terry Hunt e Carl Lipo, i polinesiani avevano costruito delle barriere per proteggere i campi dal vento che distruggeva le coltivazioni. Inoltre cosparsero i terreni con ceneri vulcaniche per mantenerli umidi e fertilizzarono la terra con sostanze nutritive per renderla fertile.
Secondo i ritrovamenti degli archeologi furono i ratti a distruggere il ciclo vitale degli alberi divorando le noci di cocco e impedendo di conseguenza la diffusione dei semi e la ricrescita degli alberi. Secondo questa teoria gli abitanti dell’isola erano dei pacifici agricoltori che sfruttarono con cognizione le risorse e che utilizzarono l’arte della costruzione dei moai come confronto pacifico fra le varie tribù per mostrare la loro abilità. Insomma un popolo amante della pace che non si auto-distrusse né praticò il cannibalismo ma fu sfruttato dal colonialismo europeo quando giunsero i primi esploratori olandesi nel 1722.
La questione numero 2, il trasporto delle statue, ha diverse interpretazioni che indicano l’utilizzo degli alberi per il trasporto delle statue. Una invece teorizza “il cammino delle statue”.
Molti studiosi ritengono che gli indigeni trasportarono le statue moai dalle cave in cui venivano realizzate ai punti dell’isola in cui sono in gran parte ancora collocate, trasportandole su binari di tronchi che si polverizzavano sotto il peso delle statue e con corde ricavate sempre dagli alberi con le quali venivano tirate anche per diversi chilometri.
Questo spiegherebbe la deforestazione dell’isola. Una teoria più recente, sempre formulata dagli archeologi Terry Hunt e Carl Lipo, e che soddisfa l’opinione degli archeologi locali e di molti discendenti dei primi colonizzatori polinesiani dell’isola, identifica il trasporto delle statue con l’azione di “farle camminare.”
E’ stato provato che con l’utilizzo di corde e con tre squadre di uomini che tiravano da una parte e dall’altra la statua si poteva far ondeggiare sul piedistallo in modo tale da farla avanzare come se camminasse. Le tre squadre erano poste a destra, sinistra e dietro il moai; ogni squadra teneva una fune agganciata alla testa della statua. Secondo gli ordini di un capo squadra gli uomini posti dietro teneva in bilico il moai e quelli a sinistra e a destra, in sincrono, la tiravano a turno verso di loro per farla ondeggiare.
Questa teoria priverebbe i nativi della responsabilità del disboscamento e troverebbe conferma in molte storie che i polinesiani si sono tramandati sullo spirito che si impossessava delle statue e le faceva “camminare” fino al punto che gli era stato assegnato.