La magia della radio e del rock: intervista a Maurizio Faulisi (Dr. Feelgood)

Maurizio Faulisi. Milanese, speaker radiofonico, musicista, motociclista, divulgatore di buona musica, teatrante. Ma soprattutto: Doctor Feelgood, com’è conosciuto dagli ascoltatori di Virgin Radio, che lo seguono dal 2009 e lo conoscono essenzialmente con questo nome d’arte, il quale altro non è che il nome della trasmissione radio da lui condotta: Buongiorno Doctor Feelgood, in onda dal lunedì al venerdì a partire dalle 7.00 del mattino.

Maurizio Faulisi, Dr. Feelgood
Maurizio Faulisi, Dr. Feelgood

Maurizio Faulisi è una delle voci radiofoniche più apprezzate a livello nazionale, tra i più importanti all’interno del team di Virgin Radio: l’emittente interamente dedicata al rock, dai classici fino alle novità più recenti, che ha portato una ventata di novità nel panorama nazionale. Curiosità, aneddoti, strane storie: sono i tre punti di riferimento di Doctor Feelgood quando è alle prese con il microfono di Virgin Radio, per condurre la sua appassionante trasmissione.

Prima di arrivare a Virgin ha trascorso un biennio su Radio Popolare (dal 2008 al 2010); precedentemente il dj milanese ha raccontato e lanciato il rock nelle sue mille derivazioni e sfumature sulla storica emittente Rock Fm, esattamente dal 1993 fino al 2008: un lungo periodo di lavoro e ricerca. Ha cominciato invece, nel 1979, giovanissimo, su Radiosupermilano.

All’attività radiofonica, ha sempre accostato quella del divulgatore, collaborando con moltissime riviste di settore e scrivendo articoli incentrati sulla musica e, molto spesso, sul rock e i suoi derivati, materia della quale è ormai un grande esperto. A proposito della sua attività a Virgin Radio, ma soprattutto in merito al suo modo di lavorare, di fare e pensare la musica, Maurizio Faulisi ha risposto ad alcune domande nel corso di una interessante intervista.

Partiamo con un interrogatorio. L’incontro con la musica: dov’eri, quando e con chi. E poi, quale il tuo primo idolo musicale e quale l’ultimo, in ordine di tempo (e perché, ovviamente).

Avevo 12 anni, passavo i pomeriggi con la mia radio alla ricerca di certi suoni, che ho scoperto poi essere americani e rock. Dopo aver sentito alcuni nomi (alcuni soltanto, si tenga conto che era il 1974, le emittenti in FM non esistevano ancora ed erano poche le occasioni di ascoltare rock alla radio) cominciai ad acquistare dischi. Il primo lo comprai tredicenne nel 1975, era l’LP Rock & Roll di John Lennon.

Il primo e unico ‘idolo’ è stato Elvis, ascoltavo i suoi dischi e vivevo nel suo mondo, ero un adolescente e vivevo quel mito da adolescente. Lo ascolto e apprezzo molto ancora oggi, ovviamente in maniera diversa.

Ho amato molti altri artisti durante il mio percorso di approfondimento musicale, su parecchi mi sono concentrato e ho cercato di conoscerli meglio possibile, ma non ho mai avuto ‘idoli’ superata l’età adolescenziale.

In questo periodo sto riscoprendo Bob Dylan, il mio rapporto con la sua musica in passato era limitato ad alcuni dischi fondamentali. E’ un artista eccezionale, ha scritto e registrato una quantità impressionante di canzoni meravigliose.

Dal 1979 ad oggi: quanto è cambiato il ruolo del dj e quanto è cambiato Maurizio Faulisi, dalle prime esperienze rispetto a quelle attuali?

Non so dire quanto sia cambiata la figura del dj, non mi ha mai molto interessato il modo di condurre trasmissioni degli altri. Il dj per me era una figura direi cinematografica, legata a immagini viste in tanti film. Non ho mai ascoltato la radio per il piacere di seguire il dj, anche se devo riconoscere che ne abbiamo di bravissimi. Trovavo l’impostazione del dj negli anni ’80 e ’90 molto omologata e standardizzata e mi interessava poco.

La mia all’inizio era seriosa e dal taglio giornalistico, un’impostazione che ho gettato nel cestino e che ho sostituito con uno stile leggero ma al contempo informativo e stimolante.
Il mio obiettivo non era quello di diventare dj, ma di fare ascoltare la buona musica che la mia inesauribile curiosità mi faceva scoprire. Le ragioni che mi hanno spinto a fare radio sono conseguenti al desiderio di trasmettere cultura musicale, un desiderio che ho sempre sentito, sin da giovanissimo, avevo 17 anni nel 1979 quando iniziai a condurre trasmissioni.

Quello di condividere con altri il piacere della scoperta di certa musica è stato ciò che mi ha motivato per 30 anni, ho sempre condotto trasmissioni musicali di approfondimento, rock and roll, country, blues, folk, rock. Posseggo migliaia di dischi, riviste e video, e diverse centinaia di libri. Nei miei primi 30 anni di radio ho utilizzato i miei dischi per trasmissioni tematiche in fascia oraria serale.

Poi il cambiamento, dal 2010 conduco il morning show, una trasmissione di intrattenimento nella fascia oraria 07.00/10.00 su Virgin Radio, una radio importante, l’ottava a livello nazionale per numero di ascoltatori, l’unica emittente in Italia che tratta solo rock. Rivolgersi a un pubblico di 2.300.000 persone implica un approccio, un modo di porsi differente, che faccia certamente tesoro dell’esperienza e del bagaglio culturale acquisito, ma differente.

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Molti ricordano la tua esperienza a Rock FM ed è nota la tua perizia in materia. Ebbene, alcuni esperti, negli ultimi anni, hanno definito proprio il rock come “la musica classica” del Novecento, secolarizzandolo una volta e per sempre. Ritieni che sia una definizione adeguata, questa? O c’è il rischio, in un certo senso, di dichiararlo per sempre come un’esperienza conclusa, appartenente ad un secolo che ormai è finito e a cui bisogna guardare con un’ottica lontana (com’è stato fatto, forse,  con la musica classica vera e propria e, anche, con il jazz)?

Amo ascoltare anche musica classica (il Barocco in particolare), ma non ne conosco bene la storia, quindi non posso esprimermi sulla sua crisi o presunta morte. Posso farlo con il rock, e non concordo con chi ne teorizza la fine. E’ musica popolare, nata dal basso e per qualche tempo espressione libera. E’ stata subito controllata dall’establishment e dall’industria, i margini di libertà artistica di cui si può godere volendone fare una professione sono limitati, come in qualsiasi altro settore di questa società.

E’ in crisi il rock? Sì, nella misura in cui lo è la società stessa: la malattia si chiama ‘appiattimento’, la causa il marketing, che da strumento utilizzato per capire come migliorare il business è diventato manuale d’uso e metodo unico.

RockFM era una radio priva di controllo editoriale, la sua linea editoriale era di fatto l’autonomia, la libertà d’azione dei suoi conduttori. Era la sua forza, ma anche il suo limite. Un sogno destinato inevitabilmente a concludersi.

La tua esperienza a Virgin Radio: un po’ di innovazione, un buon rispetto per la tradizione e tanta, tanta gioventù e vivacità. È sempre questa la ricetta giusta, soprattutto quando si parla di radio e di radio di qualità? Quale la tua esperienza (o la tua idea, se ne hai una differente)?

La selezione discografica operata da Virgin Radio mi pare la ponga in una posizione di perfetto equilibrio, il suono è attentamente bilanciato tra classici del passato (dalla metà degli anni ’60 in poi) e proposte attuali. Essere l’unica radio rock le consente di poter abbracciare liberamente l’intero panorama senza doversi necessariamente concentrare su settori specifici. Questo la rende ‘generalista’, quindi di facile fruizione, all’interno di un enorme bacino di ascolto.

Se mi chiedi come farei io una radio rock, rispondo che la radio perfetta non esiste, la radio perfetta è quella che ognuno di noi creerebbe a proprio gusto e piacere. Una radio che si rivolge a milioni di persone non può che essere un compromesso, e in quanto tale farà sempre fatica a farsi accettare da tutti, normalmente le estremità soffrono, ma il grande pubblico medio gode.

Ancora una domanda sulla “cara vecchia”: doveva spegnersi già con l’avvento della Tv, poi ha resistito e molto, tra radio libere e quant’altro, rigenerandosi alla grande. È arrivato internet  e secondo molti l’apocalisse era dietro l’angolo. Invece, tra web radio e social network che rilanciano il vostro lavoro in studio, la barca ha continuato a galleggiare e anzi, sembra tenere bene.  Non è che alla fine ci seppellirà tutti?

La radio è un media ‘caldo’, che non rende passivo chi lo segue, non subirà mai crisi preoccupanti, potrà trasformarsi, evolversi e modificarsi, ma la magia della radio vivrà per sempre.

Non sei mai veramente finito finché hai una buona storia da raccontare”. Da “Novecento”, il monologo di Alessandro Baricco. Un citazione che ben si confà con la grande storia del rock e con il modo di lavorare di Dr. Feelgood. È così? Quanto contano le storie in radio, in musica, nel rock?

Adoro raccontare storie, a tal punto che il microfono radiofonico non mi basta più, ho ripreso a scrivere di musica per la carta stampata (Chop’n’Roll e Suono) e internet (sulla mia pagina Facebook e per il sito The Long Journey) e sono anche tornato a suonare la chitarra seriamente, con l’idea di esibirmi (in duo con un noto musicista) in spettacoli cultural-musicali dedicati alle radici del rock and roll, particolarmente quelle country old time, raccontando storie che aiutino a conoscere e capire le condizioni della società e degli artisti che hanno dato vita al rock and roll.


Per la foto di Maurizio Faulisi si ringrazia Achille Jachetti: jachetti.me

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