Il giornalismo negli anni ’70: i media nell’Italia in fermento
L’Italia nel biennio 1968-1969 è in fermento, come abbiamo detto in un articolo precedente dal titolo “I fogli della contestazione negli anni 1968 e 1969”. Avvengono diverse dimostrazioni di studenti e operai in varie città contro la stampa borghese e contro la Rai. In primis, il quotidiano preso di mira è il “Corriere della sera”. Siamo all’inizio degli anni Settanta e si apre un decennio drammatico durante il quale mutano gli assetti della stampa. E non solo: anche quelli televisivi. In questo articolo andiamo proprio a riassumere ed analizzare il giornalismo negli anni ’70, periodo di fermento per i media italiani.
Approfondimento
Il giornalismo negli anni ’70
Di fronte al successo di “Panorama” e de “L’Espresso” e alla concorrenza della televisione, i settimanali di attualità tradizionali non raggiungono più tirature eccezionali. In questo contesto si difendono con successo “Oggi” e “Gente”, mentre “Epoca” e “La domenica del Corriere” cominciano ad entrare nella fase calante. Si verifica altresì un fatto nuovo, ovvero la crescita di “Famiglia Cristiana”, il settimanale che viene venduto solo in chiesa.
Negli anni Settanta le maggiori novità maturano nei settori dei quotidiani d’informazione e di opinione e in quello televisivo. Mutamenti che vanno a coincidere con l’aggravarsi della crisi finanziaria dei quotidiani. Tra i giornali in crisi ci sono il “Corriere” e “La Stampa”. Per questo motivo il governo vara un provvedimento legislativo di soccorso che garantisce ai quotidiani una boccata d’ossigeno.
Una nuova guida al Corriere
Si verifica il cambio del direttore al “Corriere”: è il 1972 e ad assumere la guida del quotidiano è Piero Ottone, che sostituisce Giovanni Spadolini. Si notano l’abbandono del fiancheggiamento della Dc e del governo e anche delle ostilità nei confronti del Pci. Ottone apre il giornale al dibattito sui problemi economici e finanziari, pubblica in prima pagina gli articoli di Pier Paolo Pasolini, creatore della metafora del Palazzo.
Il nuovo corso del “Corriere” influenza altri giornali, quali “La Stampa” e “Il Messaggero”. Questo cambiamento procura però lo scontento dei lettori tradizionalisti. E’ così che a Milano un gruppo anticomunista promuove campagne contro il “Corriere”. Anche all’interno della redazione si levano voci critiche contro le scelte del direttore Ottone. Tra questi, il leader degli scontenti, è Indro Montanelli, le cui critiche sono così spinte da provocare il suo licenziamento nel 1973.
La situazione si complica quando due dei tre proprietari decidono di vendere le proprie quote, spaventati dal deficit. E’ questa l’occasione attesa da Eugenio Cefis, presidente della Montedison, che tuttavia non riesce nel suo intento di entrare nelle quote societarie. Allora Cefis adotta strade diverse, procura a Montanelli i soldi per fondare l’anti-corriere, cioè il moderato “Giornale Nuovo”, che esce a Milano nel 1974. Poi compra “Il Messaggero” e, infine, riesce ad entrare nel “Corriere” perché dà a Rizzoli una mano che gli è indispensabile per comprare il gruppo di via Solferino.
La famiglia Rizzoli
Nel 1974 Andrea Rizzoli assume la presidenza del maxi gruppo ma il factotum è suo figlio Angelo. I Rizzoli confermano Piero Ottone alla direzione del “Corriere”. Si presentano come editori “puri”, moderni e aperti, ma nello stesso tempo hanno instaurato buoni rapporti con i partiti che contano, compreso il Pci.
Gli attacchi alla linea di Ottone si intensificano nel 1975. Così la polemica sulla linea del quotidiano milanese diventa incandescente. “Il Corriere è comunista?” così è intitolata la copertina di “Panorama”. Decisiva, per il catastrofico futuro del gruppo, è la scelta dell’espansione editoriale. In un solo anno “Mattino”, “Gazzetta dello sport”, “L’Alto Adige”, “Piccolo” sono tutti in mano alla Rizzoli. Il risultato è che la Dc è soddisfatta del “Corriere”, mentre i socialisti, guidati da Bettino Craxi, si dimostrano scontenti. Da editore “puro” Rizzoli sta diventando un editore di “servizio”, a confermarlo è il successivo acquisto del “Lavoro”, compiuto per fare piacere a Craxi. L’impero è quindi basato sui deficit e sugli intrecci politici.
Nel 1977 si indaga per sapere chi ha fornito i soldi e vengono avanzate diverse ipotesi. Si fanno i nomi di Roberto Calvi, boss del Banco Ambrosiano e del finanziere Umberto Ortolani. Non si parla invece né di Licio Gelli, capo della Loggia segreta P2, né dello Ior, che invece sono i veri protagonisti dell’affare.
Le dimissioni di Piero Ottone
Nel 1977 Ottone improvvisamente si dimette. Al suo posto viene designato con “parere concorde” (partiti, Gelli e Ortolani), Franco Di Bella. Il nuovo direttore rende il “Corriere” più vivace e lo arricchisce con l’inserto settimanale sull’economia. Tra le novità vi sono l’avvio della corrispondenza da Pechino e le sortite su problemi esistenziali, come, ad esempio, la lettera di un lettore che vuole togliersi la vita perché innamorato di una ragazza.
Nel 1979 esce “L’Occhio” diretto da Maurizio Costanzo. Si tratta di un tabloid popolare, a basso prezzo, che dovrebbe conquistare i non lettori. Registra tuttavia un solo successo iniziale. Altra iniziativa è rappresentata dalla costituzione di una rete televisiva nazionale con un telegiornale diretto da Costanzo e intitolato “Contatto”, ma viene bloccato dalla Magistratura perché va contro le norme in vigore.
Forti degli appoggi politici Rizzoli e Bruno Tassan Din tentano di scaricare sull’Erario i pesanti costi delle loro operazioni. Essi premono affinché la legge sull’editoria preveda un cospicuo stanziamento cancella-debiti. L’emendamento è sostenuto da quasi tutti i partiti, Pci compreso, da Rizzoli e altri editori. Gli sono contro i radicali, pochi giornali e il presidente della FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) Paolo Murialdi.
Roberto Calvi a questo punto esce allo scoperto finanziando alle casse di via Solferino 150 miliardi. Il 21 maggio 1981 viene arrestato sotto l’accusa di esportazione di capitali.
Il giornalismo e la P2
La stessa sera, il presidente del consiglio, il democristiano Arnaldo Forlani, rende pubblico l’elenco degli iscritti alla P2 trovato nell’archivio di Gelli. Nell’elenco compaiono 28 giornalisti, quattro editori, tra cui Angelo Rizzoli e sette dirigenti editori tutti del maxi gruppo, capitanati da Tassan Din.
Tra i 28 giornalisti, ci sono sette direttori e quattro di questi dirigono testate Rizzoli a cominciare da Di Bella. Lo scandalo è enorme e il “Corriere” subisce un calo di diffusione. Di Bella è costretto a lasciare il giornale. Al suo posto subentra Alberto Cavallari. Nel frattempo Roberto Calvi fugge dall’Italia e muore impiccato a Londra.
Rizzoli vuole vendere e nonostante il gruppo sia disastrato, gli acquirenti non mancano. Tra i partiti allora si scatena una guerra che blocca diverse trattative. Vengono chiusi “L’Occhio”, “Il Corriere d’informazione”, i supplementi settimanali, la rete televisiva. Vengono inoltre ceduti “Il Piccolo”, “L’Alto Adige e “Il Lavoro”. Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din conoscono anche il carcere.