Età giolittiana (riassunto)
Con il termine “età giolittiana” si identifica il periodo storico agli inizi del XX secolo (che va dal 1901 al 1914) che caratterizzò la vita politica italiana negli anni che precedettero la prima guerra mondiale. Il termine è mutuato dal nome del politico liberale Giovanni Giolitti, eletto più volte presidente del consiglio dei ministri del giovane stato unitario che l’Italia era ormai diventato.
Gli ultimi anni dell’Ottocento furono molto duri per l’Italia. Fu una periodo molto confusionario, specialmente durante gli ultimi anni del governo Crispi, dimessosi a seguito della disfatta di Adua nel 1896; il sostituto fu Antonio Di Rudinì, che si trovò a fronteggiare le grandi proteste infuriate nelle piazze italiane del nord.
Il nuovo ministro, però, utilizzò il pugno duro: il generale Bava Beccaris, infatti, ordinò all’esercito di sparare sulla folla protestante. Questo gesto fu clamorosamente elogiato e premiato dal Re Umberto I il quale, per tale atteggiamento, fu ucciso dall’anarchico Gaetano Bresci il 29 luglio 1900.
Il nuovo Re Vittorio Emanuele III decise di sollevare dall’incarico Di Rudinì e affidare il governo a Giuseppe Zanardelli, al quale tuttavia subentrò, dopo pochissimo tempo, un nuovo personaggio: Giovanni Giolitti.
Approfondimento
L’età giolittiana
Personaggio particolare, Giolitti è considerato da alcuni storici il più grande statista italiano dopo Cavour. Giolitti fu un liberale che capì l’importanza di una necessaria collaborazione tra i liberali e i socialisti, dunque fra il movimento operaio e quello di borghesia, poiché capì che con il movimento operaio (allora rispecchiato dal socialismo) bisognava inevitabilmente interloquire.
Questo tentativo fu guardato con scetticismo dai socialisti, che si divisero in “riformisti”, ossia coloro che si mostrarono favorevoli al nuovo rapporto con Giolitti, e i “massimalisti”, che invece si basavano su un’opposizione totale ad esso. Successivamente il presidente del consiglio chiese anche al leader dei socialisti, Filippo Turati, di entrare a far parte del governo, ma egli rifiutò per l’influenza dei massimalisti, che in quel periodo erano comunque minoritari. Costoro non erano gli unici a non appoggiare la nuova politica giolittiana, poiché nel sud Italia si levò un secondo fronte di opposizione, ossia quello di alcuni proprietari fondiari e di industrie siderurgiche.
Vi era, inoltre, un terzo movimento di opposizione antigiolittiana, quello probabilmente più pericoloso, in quanto i suoi membri optavano per un socialismo rivoluzionario. Tra le sue fila c’era Benito Mussolini.
In questo periodo (siamo nel 1905) il governo di Giovanni Giolitti cadde per la seconda volta, in seguito ad alcuni scioperi indetti dai ferrovieri. Gli subentrarono dapprima Alessandro Fortis, in carica solo un mese e mezzo, e immediatamente dopo Sidney Sonnino, il cui ministero, come nel primo caso, durò abbastanza poco, prima di far spazio ancora a Giolitti , nel 1906.
Proprio in quest’anno, sotto la sua presidenza nacque la CGL (Confederazione Generale del Lavoro), istituita nel congresso di Milano del 29 settembre 1906.
In questi anni iniziarono ad acuirsi le distinzioni tra nord, centro e sud: quest’ultimo fu contrassegnato da un generale arretramento e da qui si spiegano i vari scioperi e i primi cenni di emigrazione dal sud al nord causati appunto dalla disoccupazione. Questo fu il motivo per cui Giolitti venne denominato da un’intellettuale socialista del sud, Gaetano Salvemini, come il “ministro della malavita”.
La politica estera di Giolitti
Per quanto riguarda la politica estera, Giolitti, memore del patto tra Italia, Austria e Germania del 1882, era molto più vicino ai tedeschi; pur tuttavia decise di entrare anche nelle grazie della Francia. Questa fu senz’altro una mossa astuta da parte di Giolitti, perché con l’avvicinamento alla Francia ebbe appoggio e manforte per il piano di occupazione della Libia studiato dall’Italia.
La guerra che scaturì sul suolo africano fu abbastanza dura; pare inoltre che il nostro Paese non si comportò lealmente, facendo uso di armi vietate. L’occupazione della Libia determinò un’ulteriore opposizione ad opera di alcuni esponenti del partito socialista, tra cui il solito Salvemini, mentre altri membri dello stesso partito, come Ivanoe Bonomi, lo appoggiarono.
La fine dell’età giolittiana
Con le elezioni del 1913, in cui votarono oltre 5 milioni di italiani sui quasi 10 aventi diritto, il nuovo parlamento confermò la maggioranza allo schieramento liberale. Giolitti pensò nuovamente a dare le dimissioni, credendo di riuscire a riottenere l’incarico poco dopo. Ma il Re lo gelò quando nel 1914 affidò al liberale conservatore Antonio Salandra l’incarico di formare il nuovo governo.
Ciò sancì, di fatto, la fine dell’età giolittiana, nel corso della quale possiamo registrare alcuni progressi da parte dell’Italia, bollata invece come un’“Italietta” dai nazionalisti, rimanendo ancora in bilico tra il radicamento di vecchie tradizioni e l’affermarsi di elementi nuovi di trasformazione, ma che comunque vide un miglioramento delle condizioni di vita in quasi tutti gli strati sociali.