Colapesce: la leggenda
Approfondimento
Colapesce: una leggenda, tante varianti
Quella di Colapesce è una leggenda diffusa nell’Italia meridionale. Le origini di questa storia risalgono al XII secolo. Esistono alcune varianti: le più note sono quelle siciliana e napoletana.
La leggenda siciliana di Colapesce
La versione più celebre della leggenda di Colapesce è quella di Messina. La storia racconta di Nicola, o Cola di Messina, figlio di un pescatore. Cola passava moltissimo tempo in mare, tanto che divenne un nuotatore abilissimo nelle immersioni. Soprannominato Colapesce, quando faceva ritorno dalle sue tante immersioni in mare, si soffermava a raccontare a tutti le meraviglie viste. Qualche volta riportava sulla terra dei veri e propri tesori.
La fama del pescatore messinese arrivò al re di Sicilia ed imperatore Federico II di Svevia; il re decise di metterlo alla prova. Assieme alla sua corte si recò in mare a bordo di un’imbarcazione e buttarono in acqua una preziosa coppa. Colapesce recuperò l’oggetto facilmente. Il re gettò allora la sua corona in un punto più profondo del precedente. Colapesce si immerse e recuperò la corona. Per una terza prova il re gettò in mare un oggetto prezioso ancora più piccolo in un posto ancora più profondo: un anello. Colapesce in questa occasione non riemerse più.
La versione di Italo Calvino
Questa leggenda è stata trascritta e rielaborata da Italo Calvino. Nella versione (Colapisci) di Calvino, per il lungo tempo che passava in mare, la madre sgridava Cola:
– Cola! Cola! Vieni a terra, che fai? Non sei mica un pesce?
Un giorno la madre, stanca di riprenderlo sempre a gran voce gli lanciò una maledizione:
– Cola! Che tu possa diventare un pesce!
In questa versione l’imperatore chiese a Cola di fare un giro subacqueo della Sicilia per poi tornare a fargli rapporto. Colapesce dopo la sua esplorazione raccontò che in fondo al mare c’erano montagne, valli, caverne e pesci di tutte le specie. Aveva però avuto paura passando dal Faro, perché lì non era riuscito a trovare il fondo.
– Messina è fabbricata su uno scoglio, e questo scoglio poggia su tre colonne: una sana, una scheggiata e una rotta.
Il re curioso di sapere quanto era profondo il punto pericoloso del faro, spinse Colapesce a immergersi per recuperare la sua corona.
Colapesce, conscio del pericolo, chiese di avere delle lenticchie in modo che se non fosse più riemerso, sarebbero riemerse le lenticchie. E così accadde.
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Colapesce sorregge la Sicilia
Un altra versione molto diffusa narra che, delle 3 colonne che sorreggono la Sicilia, una è pericolante: in una versione è pericolosamente segnata dal tempo, in un’altra ancora, la colonna è consumata dal fuoco dell’Etna. In entrambe queste storie Colapesce decise di restare sott’acqua sorreggendo egli stesso la colonna, per evitare che la Sicilia sprofondasse. Ancora oggi Colapesce si troverebbe lì a reggere l’isola e ogni 100 anni riemerge per rivedere la sua amata terra.
La variante catanese
In una variante catanese della leggenda, Colapesce vide il fuoco sotto l’isola; lo stesso fuoco che alimentava il vulcano. L’imperatore chiese una prova: Cola si tuffò con un pezzo di legno, ma non fece più ritorno. Il legno invece tornò in superficie bruciato.
La versione napoletana: Pesce Nicolò
Nella tradizione napoletana, Cola (Nicola) Pesce, o Pesce Nicolò, è un ragazzo maledetto dalla madre per le sue continue immersioni. Finisce per diventare esso stesso pesce e squamarsi. Cola cercava rifugio nel mare, usando il corpo di grossi pesci dai quali si faceva inghiottire, per uscire all’arrivo tagliandone il ventre.
Questa storia trae origine dal culto tardo pagano dei figli di Nettuno, ossia dei sommozzatori dotati di poteri magici, in grado di trattenere il respiro in apnea per poterne carpire i tesori e i segreti. Essi acquistavano tali poteri magici accoppiandosi con misteriosi esseri marini (probabilmente le foche monache) e con l’aiuto della sirena Partenope.
L’origine della leggenda è sostenuta da Benedetto Croce in Storie e leggende napoletane.