Il disastro del Moby Prince avvenuto a Livorno il 10 aprile 1991
Il disastro della nave traghetto Moby Prince avvenne il giorno 10 aprile del 1991. In quella buia sera, entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada del porto di Livorno. Lo scontro fece divampare un incendio che causò la morte di 140 persone a bordo del Moby Prince. Nell’articolo che segue ricostruiamo i fatti di questo terribile incidente.
Approfondimento
Lo scontro tra Moby Prince e la petroliera
Sono le ore 22.03 quando il traghetto Moby Prince della Nav.Ar.Ma. (Navigazione Arcipelago Maddalenino – oggi Moby Lines) molla gli ormeggi dal porto di Livorno per salpare verso Olbia. È il 10 aprile 1991. Mezzora dopo è in fiamme, trasformata in una bara galleggiante. Nella rada del porto toscano, la prua del traghetto è finita contro la petroliera Agip Abruzzo. Intanto, il porto toscano sembra essere diventata una base americana: è pieno di navi militari di ritorno dalla Guerra del Golfo.
I soccorsi sono impegnati sulla petroliera. Poi, per caso, alle 23.35 due ormeggiatori si accostano al traghetto in fiamme: è troppo tardi, le 140 persone a bordo sono già morte. C’è solo un superstite: si tratta del mozzo Alessio Bertrand, che si salva gettandosi in mare e che viene soccorso dagli ormeggiatori.
Da allora sono passati molti anni: secondo la Commissione d’inchiesta parlamentare, che attacca i soccorsi, l’indagine è stata «superficiale».
Le indagini: l’allarme, i dubbi, la ricerca della verità
In quella sera è la petroliera a lanciare l’allarme per un incendio a bordo, dopo la collisione con una bettolina:
«Come abbiamo fatto a scoprire noi che a finire contro la petroliera non era stata una bettolina bensì il Moby Prince? Abbiamo dato retta all’istinto; eravamo sotto l’Agip Abruzzo offrendo aiuto ai marittimi nel caso volessero abbandonarla. Abbiamo sentito che i soccorritori stavano dando l’allarme perché qualcuno aveva notato avvicinarsi una nave che si muoveva come se nessuno la guidasse, era senza più governo in mezzo a quel caos. È stato un flash. Abbiamo capito che doveva avere qualcosa a che fare con qualcosa di strano che avevamo scorto poco prima; come un inverosimile baluginare di fiamme dietro una sagoma scura. E ci siamo buttati da quella parte».
Sono le parole dei soccorritori. I due ormeggiatori sono Valter Mattei e Mauro Valli. Raccontano i due uomini:
«Che si trattava del Moby Prince ce l’ha detto il mozzo Alessio Bertrand, l’unico che ce l’ha fatta»
Si trovano a bordo dell’imbarcazione della Coop ormeggiatori, solo sette metri di vetroresina. La nave è fantasma; dopo aver portato in salvo il superstite, i due ormeggiatori tornano indietro, ributtandosi nella mischia, ma i motori sono ancora in funzione e la Moby Prince continua a girare; seguono una scia di odore di petrolio e la ritrovano: le lingue di fuoco escono dagli oblò.
Il processo di primo grado a Livorno
La Procura di Livorno, dopo l’incidente, apre un fascicolo per omissione di soccorso e omicidio colposo. Il processo inizia il 29 novembre 1995. Gli imputati sono quattro: si tratta del terzo ufficiale di coperta dell’Agip Abruzzo Valentino Rolla, accusato di omicidio colposo plurimo e incendio colposo; Angelo Cedro, comandante in seconda della Capitaneria di Porto, l’ufficiale di guardia Lorenzo Checcacci, accusati di omicidio colposo plurimo per non avere attivato i soccorsi immediatamente; Gianluigi Spartano, un marinaio di leva, imputato anche lui per omicidio colposo ma per non aver trasmesso la richiesta di soccorso.
In fase istruttoria vengono archiviate le posizioni dell’armatore di Nav.Ar.Ma, Achille Onorato, e quelle del comandante dell’Agip Abruzzo, Renato Superina. Il processo va avanti per due anni. Poi la sentenza arriva nella notte tra il 31 ottobre e il primo novembre del 1997.
Il presidente Germano Lamberti legge la sentenza che assolve i quattro imputati perché «il fatto non sussiste». Quindi si va in appello.
Nel 1999, è il 5 febbraio, la terza Sezione della Corte d’Appello di Firenze afferma di “non doversi procedere nei confronti del Rolla in ordine ai reati ascrittigli perché estinti per intervenuta prescrizione”.
Nella sentenza si legge però: “(…) non si può non rilevare, che l’inchiesta sommaria della Capitaneria, che per alcuni versi è la più importante perché interviene nell’immediatezza del fatto ed è in qualche modo in grado di indirizzare i successivi accertamenti e di influire sulle stesse indagini penali, può essere condotta da alcuni dei possibili responsabili del disastro”.
Dal processo principale al processo parallelo
Insieme al processo principale, in pretura vengono giudicate due posizioni stralciate: sono quelle del nostromo Ciro Di Lauro, che si autoaccusò della manomissione, sulla carcassa del traghetto, di un pezzo del timone; e quella del tecnico alle manutenzioni di Nav.Ar.Ma, Pasquale D’Orsi, nominato da Di Lauro.
Entrambi sono accusati di frode processuale: hanno infatti modificato le condizioni del luogo del delitto, cioè hanno orientato in modo diverso, in sala macchine, la leva del timone da manuale in automatico. Tutto per tentare di addossare la colpa del tragico incidente al comando del Moby Prince. Entrambi non vengono puniti per «difetto di punibilità». In altre parole succede che sia il pretore sia il pubblico ministero concordano sulle responsabilità degli imputati, ma non li ritengono punibili, perché, pur essendoci stata la manomissione, i periti non sono stati tratti in inganno. Tale sentenza sarà confermata sia dal processo di appello sia in Cassazione.
La procura di Livorno riapre un filone d’inchiesta
È il 2006: su richiesta dei figli del comandante Angelo Chessa che comandava la Moby Prince, la procura di Livorno riapre un filone d’inchiesta sul disastro del traghetto. In particolare i familiari chiedono di indagare sul possibile traffico illecito di armi, e anche della presenza di navi militari o navi fuori dal controllo della Capitaneria di Porto. Il 5 maggio del 2010 il gip (giudice per le indagini preliminari) accoglie la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Livorno.
L’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta
Dopo una campagna per avere verità e giustizia durata due anni, nel 25° anniversario della strage, il 22 luglio 2016 al Senato all’unanimità viene votata l’istituzione della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Moby Prince. Vengono fuori nuove verità: tra queste nella relazione finale emerge come dalla Capitaneria di porto, dopo la collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo:
«non siano partiti ordini precisi per chiarire l’entità e la dinamica dell’evento e per ricercare la seconda imbarcazione (il Moby)». Emergono strumentazioni inadeguate, dove è a disposizione un solo radar in possesso della stazione piloti, nessuna formazione in caso di incidenti in mare, soccorsi improvvisati non coordinati dalla Capitaneria di Porto.
E ancora: un’inchiesta giudiziaria frettolosa, dalla quale emergono conflitti di interesse. Poi, a distanza di 27 anni, si sono verificate omissioni da parte dei protagonisti che nel corso delle audizioni hanno dato dichiarazioni «convergenti nel negare evidenze in atti a loro attribuiti o fornito versioni inverosimili degli eventi».
Dalla relazione
Dalla relazione emerge anche che:
«Non fu avviata nessuna attività finalizzata alla ricerca del secondo mezzo coinvolto nell’incidente. E neppure di mettersi in contatto radio con i mezzi recenti usciti dal porto. Inoltre, anche quando, con incredibile ritardo, ci si imbatte nel traghetto incendiato, non risultano tentativi di spegnere a bordo e tantomeno di prestare soccorso ai passeggeri del traghetto».
E poi:
«Il contesto emerso, determinato forse dalla convinzione che la nave investitrice fosse una bettolina e non una nave passeggeri, desta sconcerto. Anche in considerazione del fatto che diversi elementi, fra i quali il posizionamento dei corpi nel traghetto, evidenzia che il comando della nave avesse predisposto un vero e proprio piano di emergenza con la raccolta dei passeggeri nel salone De Luxe in attesa che arrivassero i soccorsi. […]
Appare grave come anche all’epoca dei fatti non fossero previste attività periodiche di formazione e addestramento tali da consentire al personale militare e civile di affrontare avvenimenti di tale portata».
La riflessione finale della commissione
«La disamina degli atti porta a una univoca conclusione: la Capitaneria di Livorno, tanto nella fase iniziale dei soccorsi quanto nel momento in cui assunse la direzione delle operazioni il comandante Albanese, non ha valutato l’effettiva gravità della situazione con specifico riferimento al coinvolgimento di una nave traghetto.
Sia perché non sono stati resi disponibili dati utili all’identificazione del traghetto sia per l’incapacità di valutare la situazione, così determinando un’impostazione delle operazioni di soccorso unicamente volte verso la petroliera».
La commissione non riesce neppure a dare una risposta:
«Non è dato comprendere come e per quali motivi il comando della Capitaneria non sia riuscito a correlare l’avvenuta partenza di un’unica nave dal porto con la collisione; né a richiedere informazioni al personale presente sulla torre degli Avvisatori. È di palmare evidenza che se ciò fosse stato fatto si sarebbe tempestivamente apprezzato che l’altro natante coinvolto nella collisione era il Moby Prince».
Da qui la commissione ritiene che l’autorità marittima: «avrebbe – vista la situazione – dovuto valutare la possibilità di un intervento dei mezzi dipendenti dell’alto Comando periferico della Marina», invece – affermano – «durante le prime ore cruciali, prima e dopo il ritrovamento del traghetto, la Capitaneria appare del tutto incapace di coordinare l’azione di soccorso verso il Moby Prince».