La dormiente di Napoli, quadro di Ingres
L’odalisca perduta di Jean Dominique Ingres (1780-1867) trasse e infine nuovamente diffuse il bagliore di una nobile bellezza dallo sguardo inebriante di una donna reale, amata nella platonica intenzione di unire lo spirito dell’amata al capolavoro celebrativo di un amore verosimilmente clandestino, ma che si rivelò maledetto e destinato a essere obliato. “La dormiente di Napoli” (1808) di Ingres riemerse dall’oscurità, ridestando l’ignaro fascino tra i connotati levigati delle odalische realizzate nel periodo tardo, cosicché, mostrandosi in forme nuove, riscattò il fallimento dell’illusoria promessa di essere glorificata dall’arte, quale promessa di quell’anima romantica che la ritrasse e cui mai si concesse.
Le sfortunate sorti dell’odalisca smarrita sembrano legarsi inevitabilmente alle disfatte subite dall’impero napoleonico a partire dal 1814, congiungendo gli esiti del dipinto alla figura del generale francese Gioacchino Murat (1767-1815) e della moglie e regina consorte di Napoli Carolina Bonaparte (1782-1839), sorella di Napoleone.
Nato per esprimere grazia e prestigio nelle blasonate dimore francesi dei Murat, la dormiente non giunse mai al fianco della tela conosciuta come “La grande odalisque” (1814), quale dipinto nato per essere combinato ed esposto con la tela smarrita.
La dormiente di Napoli: genesi del dipinto
La storia del dipinto, che richiama ineluttabilmente quella de “La grande odalisca“, si conclude nell’eclissi compenetrante ogni aspetto legato alle urgenti vicissitudini del Regno. Creata per Carolina Bonaparte, la tela di Ingres, raggiunse le dimore dei Murat intorno al 1814, per svanire nel nulla in seguito all’esecuzione per fucilazione del marito Gioacchino Murat, il 13 ottobre del 1815.
L’incresciosa sorte di un dipinto perduto accende periodicamente l’interesse verso la figura del pittore francese, aprendo la strada a piacevoli supposizioni legate alla figura della donna rappresenta.
Sarebbe estremamente emozionante rivedere quelle pallide membra rifiorire di attenzioni e lustro al fianco de “La grande odalisque“, in quella felice unione che mai si realizzò e che fece di una il riflesso esistente e dell’altra il mito da onorare nel ricordo.
Note tecniche e descrittive
“Era bella quella donna, sorridea nel sonno… Le nude forme del suo seno accusavano una sanità perfetta e una rigogliosa gioventù“. Il drammaturgo e giornalista italiano Francesco Mastriani descriveva così uno dei personaggi del noto romanzo d’appendice i “Misteri di Napoli” (1869), aprendo chiaramente l’attenzione su quella descrizione in cui è facile sentire gli echi di un secolo impregnato e continuamente influenzato dalla figura femminile della cortigiana.
La figura dell’odalisca, nella dormiente e svenevole espressione di una giovane donna abituata al destino di un corpo assiduamente in vendita, colpisce nella sua inesistenza, portando con sé il potere espressivo del corpo nudo e corrotto in molti dei capolavori di Ingres, quasi fosse il continuo rimando a un’eredità perduta, in quell’involontario tentativo di rivalsa verso un destino che aveva privato il pittore di quella bellezza raggiungibile solo attraverso degli strati di colore.
Ingres amava le donne, adorava e conquistava l’anima femminea attraverso l’arte. Il corpo femminile si fece vessillo di un’arte pienamente neoclassica, votata al romanticismo e a quella grande passione per le ambientazioni esotiche.
Il pittore francese era noto per le ricerche ossessive volte al miglioramento e arricchimento dei dettagli sulla tela, tanto da non risparmiarsi “nessuna pena pur di assicurare l’assoluta precisione dei dettagli nelle sue ricostruzioni pittoriche dei fatti del mondo intorno a lui (tanto che solo per l’accuratezza del costume e del décor, i suoi ritratti, al contrario di quelli di Delacroix, sono facilmente collocabili in uno specifico momento del XIX secolo)“.
Jean Dominique Ingres aveva l’abitudine di consultare un catalogo riccamente illustrato sui costumi orientali chiamato “Recueil de cent estampes représentant les diverses nations du Levant” (Raccolta di cento stampe che rappresentano le diverse nazioni del Levante, Parigi 1714-1715): molti dei capolavori di Ingres legano la propria iconografia al motivo dell’harem, come nel caso della stessa dormiente napoletana o de “La grande Odalisque”, che nascevano e traevano ispirazione dall’illustre e quanto meno raro “recueil” francese.
Ingres dimostrò di avere un profondo legame con l’arte persiana pur non avendo mai visitato l’Oriente, ma la “raffigurazione delle donne orientali rimane quella di oggetti passivi”.
Lo scrittore e poeta Pierre Jules Théophile Gautier (1811-1872), che aveva viaggiato in Oriente, non dissimulò mai la meraviglia che destava la conoscenza di Ingres in materia di harem, fascinazione profonda ed echeggiante in ogni suo capolavoro.
“Le sue odalische“, affermava Gautiere, “farebbero ingelosire il sultano dei Turchi, tanto l’artista pare a suo agio con i segreti dell’harem“.
“La dormiente di Napoli” rispecchiava probabilmente questa passione esotica, sentimento evidente anche nella celebre “Odalisca con schiava“, che per la tematica orientaleggiante richiama il nudo della donna assopita.
La bellezza de “La dormiente di Napoli” risuona tra le lettere dei romanzi ottocenteschi, riportando ciò che l’arte ha perduto nell’incantevole e spregiudicata letteratura romantica del XIX secolo; la cortigiana francese, la dea erotica di ogni matrimonio infelice, perde di ogni mistero nella lettura dell’illustre Gautiere, dove l’odalisca d’Ingres, totalmente disincarnata e idealizzata, lascia la pastosità dei colori e la durezza della tela per rinascere tra carta e inchiostro: “Era bruna e pallida, i suoi capelli ricci e inanellati, neri come quelli della notte, erano morbidamente appuntati alle tempie secondo la moda greca e, sull’incarnato diafano del suo volto, brillavano due occhi scuri e dolci, carichi di un’indefinibile espressione di tristezza voluttuosa e appassionato languore“.
La letteratura lascia posto alla pittura nelle uguaglianze che legano il capolavoro de “La dormiente di Napoli” a “La grande odalisca”, corrispondenze evidenti nella scelta nelle pose contrapposte (l’una di fronte con la testa a destra e una di schiena con la testa a sinistra ) e nel tema (un nudo occidentale e uno orientale).
Il mistero dell’odalisca smarrita di Ingres riempie l’immaginazione, lasciando la verità sopita tra le iridi vezzose dell’odalisca del Louvre.
Note Bibliografiche
P. Daverio, Louvre, Scala, Milano, 2016
F. Mernissi, L’harem e l’occidente, Giunti, Milano, 2010
F. Mastriani, I misteri di Napoli, Stabilimento tipografico del Commend. G. Nobile, Napoli, 1870
P. Tornese (a cura), T. Gautiere, Arria Marcella – Jettatura, Giunti, Milano, 1984