Intervista a Giorgia Meloni

Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Giorgia Meloni. Romana, nel 2006 ministro per le politiche giovanili: la più giovane titolare di un dicastero nella storia della Repubblica. Cresciuta nel quartiere popolare della Garbatella, ha iniziato il suo impegno politico a quindici anni, trovando la propria dimensione ideologica all’interno delle frange democratiche dei giovani di destra e di centrodestra. È stata attivista del Fronte della Gioventù.

Presidente della Giovane Italia, movimento giovanile del Popolo della libertà, partito nelle cui liste è stata eletta in Parlamento, a novembre del 2011 pubblica anche il suo primo lavoro editoriale, il quale si intitola “Noi crediamo” (Sperling & Kupfer). Il libro raccoglie una serie di testimonianze fornite da giovani “italiani all’opera”, più o meno noti, dalla splendida nuotatrice Federica Pellegrini fino al rugbista Mirco Bergamasco, passando per altre voci attive del panorama nazionale. In questa intervista, Giorgia Meloni ha chiarito il senso della sua pubblicazione, rispondendo inoltre ad altri interrogativi sulla politica e sulla gioventù italiana.

Il suo libro si intitola “Noi crediamo” e viene pubblicato in un momento storico nel quale molti, indipendentemente dagli schieramenti, hanno perso letteralmente fiducia, tanto nella politica quanto nel futuro in genere. Qual è il messaggio del libro?

Quello che siamo nella vita dipende solo da noi e dalle nostre scelte, e questo è il primo messaggio che vuole dare il libro. Non c’è nessuno che può decidere al posto nostro: se abbiamo passione da dare, se abbiamo deciso di prendere in mano la nostra vita. E soprattutto vale sempre la pena di impegnarsi per migliorare la realtà circostante. Il problema è che noi utilizziamo, alle volte, il cattivo esempio degli altri come alibi per noi stessi, per essere pessimi anche noi. Il messaggio che cerco sempre di dare è sempre uno: nella vita ciò che siamo veramente dipende solo da noi e non dagli altri.

Foto di Giorgia Meloni
Giorgia Meloni

Prendendo in considerazione le parole del Presidente Mario Monti, senza entrare ulteriormente nella polemica di cui s’è abbondantemente discusso e anche prima dell’insediamento del cosiddetto governo tecnico, in riferimento al “posto fisso” e al fatto che i giovani abbiano ancora questa aspirazione. Ebbene, non è forse una considerazione fuori dal tempo, questa? Secondo la sua esperienza di ministra della gioventù, realmente i giovani pensano ancora al “posto fisso”?

È esattamente questo il punto. La cosa che ha indignato, secondo me, di quelle considerazioni fatte da Monti e da altri, non è dire che il posto fisso è monotono, com’è stato detto, ma il fatto che una dichiarazione del genere si facesse ai giovani italiani, i quali sono gli unici che hanno capito in Italia che non devono affatto rincorrere il posto fisso. Il problema è che c’è una società che invece ancora e molto lo rincorre, ce l’ha in testa, il posto fisso, nonostante quello che pubblicamente si dice. Perché quando poi vai in banca con il tuo posto di lavoro a tempo determinato, la banca, molto “monotonamente”, ti chiede la busta paga a tempo indeterminato, con quelle garanzie ad oggi ormai impossibili per certi settori. Dire di emanciparsi dal posto fisso è giusto ma, secondo me, è una cosa che andrebbe detta a tutti, salvo che ai giovani italiani, che sono gli unici che stanno pagando la flessibilità.

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È esagerato dire che la società italiana, soprattutto la classe dirigente, si trovi in una sorta di fase di “Ancien Regime”, cui per scuoterla, per operare una sorta di riabilitazione nella realtà, sia per forza di cose necessario un vero e proprio sommovimento che provenga dal basso?

Da una parte direi di sì: sicuramente c’è bisogno di una presa di consapevolezza da parte del popolo italiano. Tuttavia, mi spaventano un po’ le pulsioni, o meglio: come gli italiani stanno indirizzando le proprie pulsioni. Mi spaventa anche questo mito dell’antipolitica, che non distingue affatto la classe politica dallo strumento della politica. Per esempio, io ho cominciato a fare politica al tempo di Tangentopoli, all’interno del Fronte della Gioventù, perché a noi, come gruppo, faceva schifo una classe politica che aveva piegato ai propri i interessi la più straordinaria forma di impegno civile, cui noi rispondevamo però con la “bella politica”. Oggi invece, si butta il bambino con l’acqua sporca. Si dice: siccome la classe politica non è stata all’altezza, noi prendiamo i tecnici. Ma la politica è di tutti, è dei cittadini: e la differenza tra i tecnici e chi fa politica è che chi fa politica ha portato anche una visione del mondo. Questa differenza sembra non interessare più nessuno e a me questa cosa spaventa tantissimo. Quando noi ammettiamo che la politica è degenerata come strumento, diamo alibi a tutte le degenerazioni della politica. Il qualunquismo è il peggiore nemico della nostra democrazia.

Giorgia Meloni
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Che cosa significa la parola “Patria”, per un giovane, oggi?

La più bella definizione che io ho letto in merito è di Ernest Renan, a proposito del termine nazione, e dice:  “La nazione è una grande solidarietà, un plebiscito che si rinnova ogni giorno e che si fonda sulla dimensione dei sacrifici compiuti e di quelli che ancora siamo disposti a compiere”. Alla luce di questa definizione, che cos’è, dunque, la patria, per un giovane? È la consapevolezza che la terra nella quale oggi viviamo è data dalla somma dei sacrifici di gente che prima di noi ha sacrificato tutto quello che aveva, proprio perché noi potessimo avere una terra da chiamare patria, a partire dai ragazzi che hanno fatto il nostro Risorgimento, fino a quelli che ancora oggi difendono l’Italia nel mondo e ancora muoiono nelle missioni di pace. Se noi non capiamo questo concetto, non capiremo mai perché vale la pena di sacrificare qualcosa oggi, per chi verrà dopo di noi.

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