Francesco Bordi, intervista all’autore del romanzo “Non è tutta colpa del pipistrello”
Francesco Bordi ama definirsi un novelliere fantasma, perché la penna l’ha spesso messa al servizio delle idee degli altri senza mai farsi vedere. Quelli come lui li chiamano ghost writer, in realtà sono scrittori a tutti gli effetti, e l’urgenza di venire allo scoperto a un certo punto deve averlo convinto a scrivere finalmente una sua storia. Così Francesco Bordi, oggi direttore editoriale della rivista Culturalismi.com, dopo un master in editoria ed una laurea in lingue orientali con tanto di tesi preparata a Parigi, firma la sua opera prima “Non è tutta colpa del pipistrello” e decide di farlo con lo pseudonimo di Fabien C. Droscor, l’anagramma del nome e cognome con cui ha scelto di farsi conoscere ai lettori.
Hai alle spalle un lungo cammino da ghost writer. Com’è venire allo scoperto?
Diciamo che sono venuto “parzialmente” allo scoperto, visto che ho deciso di utilizzare come pseudonimo l’anagramma del mio nome e cognome.
In realtà, nella bandella laterale dedicata alle notizie sull’autore viene rivelata la mia identità e quindi si tratta solamente di un piccolo, primissimo e sottile filtro, che però ha contribuito a rendere sufficientemente “soffice” l’uscita sul mercato del mio romanzo.
La sensazione è piuttosto piacevole, anche perché i riscontri sono davvero positivi tanto da aver ricevuto numerose richieste di un seguito da più livelli, ma rimane in me la convinzione che questa sia l’unica via con cui potevo presentarmi al pubblico dei lettori. Altre strade più “dirette”, benché siano state prese in considerazione, non suscitavano in me né entusiasmo, né euforica curiosità.
Perché la decisione di usare uno pseudonimo?
Le ragioni sono diverse. Per farla breve posso dire che se già ti cercano come ghost writer senza che tu non abbia mai fatto uscire un titolo letterario che porti la tua firma, la presenza di un romanzo di circa trecento pagine con il tuo nome e cognome tende con buona dose di probabilità ad incentivare ulteriormente quel tipo di prassi che per quanto (a volte) sia ben pagata, non rende mai davvero soddisfatti del proprio lavoro. E’ un figlio che avrà sempre un falso padre o, tutto al più, un padre parziale.
Sotto quale urgenza hai scritto il romanzo “Non è tutta colpa del pipistrello” ?
Dopo 39 anni ho finalmente avuto un’ottima ispirazione. L’idea mi è venuta osservando la morbosa passione di una mia amica verso l’attore Christian Bale, protagonista della trilogia di Batman realizzata dal buon Christopher Nolan.
Sulla base di questa maniacale fissazione, che io ho estremizzato ed oltremodo esasperato, ho costruito una vicenda piuttosto imprevedibile che includesse anche luoghi, caratteri ed elementi d’atmosfera a me molto cari.
Dal punto di vista pratico, invece, ho considerato che le entrate, piccole o grandi che fossero, derivanti dalla vendita di “Non è tutta colpa del pipistrello” avrebbero potuto aiutare la mia neonata casa editrice, che occupandosi unicamente di e-book, fatica a decollare. Il libro elettronico ha ancora molta strada da percorrere nei paesi “neolatini”.
A chi lo hai fatto leggere per primo?
Nessuno ha letto il mio manoscritto se non i pochi editori a cui l’ho spedito. Ho avuto pareri lusinghieri, ma la Robin Edizioni è stata, senza dubbio, la più convincente.
Potremmo definire questo racconto un “noir del precariato culturale” ?
In realtà è una definizione che viene dai ragazzi di Radio Radicale, che mi hanno intervistato pochi giorni dopo l’uscita del romanzo. Molti colleghi della comunicazione l’hanno poi mutuata e giustamente apprezzata. Direi che la fatica a portare avanti i propri “bi-sogni” letterari, che non devono sempre essere percepiti come sogni di serie B, è in un certo senso l’arteria del racconto.
Leggendo poi la vicenda si può appurare che sono molti altri gli aspetti presenti nel testo e ancora si può verificare che lo stesso “precariato culturale” assuma tonalità e sfumature divertenti, passionali e soprattutto internazionali… ma sostanzialmente credo che sia una buona definizione.
Come definiresti il tuo libro se dovessi usare tre aggettivi?
Divertente, interpersonale, inaspettato.
A quale pubblico si rivolge?
Si rivolge a tutti coloro che vogliono pretendere di condurre un’esistenza che vada al di là di ciò che il quotidiano propone.
A chi lo dedichi?
Sicuramente ai miei affetti più cari, ma voglio essere ancora più banale: lo dedico a mia nonna che avrebbe certamente gioito di questo piccolo traguardo. Purtroppo non ha fatto in tempo a vederlo.
Chi sono i personaggi di “Non è tutta colpa del pipistrello” ?
Semplificando: una mentalmente devastata, una sognatrice, un caparbio inde(fesso), una francesina decisamente avvenente e… Porto, una ragazza il cui soprannome altro non è se non l’abbreviazione di “Scaricatrice di porto”. Lascio immaginarne indole e carattere!
A chi pensavi mentre creavi i protagonisti del tuo romanzo?
Vorrei mantenere ancora delle amicizie…
I tuoi modelli?
Non ho mai avuto modelli, né quando ho scritto le mie recensioni su varie riviste (incluso il mio sito editoriale) né quando mi sono ritrovato a fare il ghost writer. Tuttavia mentre scrivevo sul pipistrello mi sono accorto che la fluidità fra un capitolo e l’altro era sostanzialmente fornita da una tecnica che avevo riscontrato principalmente nelle mie letture italiane più recenti; quindi l’arte di chiudere ed aprire ogni capitolo con la stessa “chiave” semantica è probabilmente ispirata dall’ottimo Andrea Vitali.
Sin dal titolo è evidente un riferimento al Batman cinematografico. Cosa c’entra l’uomo pipistrello con il tuo libro?
Il Batman cinematografico della trilogia di Nolan interpretato da Christian Bale è l’Ossessione della protagonista, nonché della sopracitata amica. Doveva necessariamente essere presente nel titolo e ha anche un richiamo in copertina.
Hai mai pensato di scrivere per il grande schermo?
In realtà è già successo, ma l’entourage dei registi purtroppo spesso costruisce un muro eccessivo intorno ai Maestri della cinepresa. Non sono sicuro che questa situazione sia voluta dagli stessi cineasti e non credo che sia una prassi. Così può accadere che tu scriva un soggetto, lo presenti ad un regista e che poi quella sorta di pre-sceneggiatura rimanga dichiaratamente e incontrovertibilmente a chi? … Al suo staff, ma senza che tu riceva risposta alcuna.
A quale regista l’affideresti?
In realtà a fine aprile ho cercato di contattare Gabriele Mainetti per mail e attraverso un messaggio privato su Facebook presentandogli il mio lavoro.
Ho visto la sua fatica artistica proprio quando stava per uscire il mio libro. Mentre ero in sala ho avuto la netta sensazione che avrebbe potuto fare un lavoro grandioso con il mio titolo, soprattutto nella prima parte ambientata a Roma.
Purtroppo per me, ma per sua sacrosanta e doverosa fortuna perché meritata, il suo “Lo chiamavano Jeeg Robot” ha trionfato ai David di Donatello e quindi il buon Gabriele Mainetti avrà ben altre e più altisonanti richieste della mia e probabilmente non mi risponderà mai. Ma non mi arrendo, tenterò con altre cineprese.