L’arte di Donatello: analisi di alcune opere
Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, è uno degli iniziatori dell’arte del Rinascimento. Formatosi dallo studio dell’arte antica, seppe unire il realismo del Quattrocento alla semplicità dei classici. Fu amico del Brunelleschi e come lui impegnato nel rinnovamento artistico, ma con una personalità ben diversa. Al contrario del Brunelleschi, per il quale il rapporto uomo-mondo è un rapporto sereno in virtù della ragione, per Donatello il rapporto uomo-mondo è un rapporto drammatico.
Per lui non esiste una verità certa e immutabile, frutto del calcolo matematico. La verità è ricerca, è conquista giornaliera. La vita è una lotta: l’ambiente dove viviamo deve essere faticosamente e duramente dominato. Insomma la concezione del Brunelleschi è “aristocratica”, quella di Donatello è “popolare”.
Già fin dalle prime opere egli mostra fierezza umana, che troviamo nel San Giovanni Evangelista. L’opera realizzata tra il 1412-1415, è in marmo e misura cm 210×88. Si trova a Firenze, Museo dell’Opera del Duomo. L’apostolo si colloca nello spazio grazie alle gambe che sporgono in quanto è seduto. Il movimento all’interno dello spazio culmina nella testa. Il pensiero e il vivere entro uno spazio sono l’elemento umano dominante.
Più nuovo è il San Giorgio, dove, di medievale, resta soltanto la linea del mantello. Realizzato fra il 1416-1420, in marmo, altezza m. 2,09, si trova a Firenze, Museo Nazionale del Bargello. Donatello imposta la figura su una forma geometrica: il triangolo. La figura di San Giorgio si appoggia solidamente sulle due gambe divaricate, che formano un triangolo. Anche lo scudo è formato da due triangoli: uno col vertice in basso, l’altro col vertice in alto. La totalità dello scudo, ornato con la croce, si scompone in altri triangoli.
L’appoggio dei piedi divergenti, e la punta inferiore dello scudo formano ancora un triangolo. Da questa base spaziale sorge la parte superiore della scultura. La verticale, segnata in basso dalla divisione centrale dello scudo, è idealmente ripresa in alto dal collo e dalla testa: dà alla statua fermezza morale. Anche qui, come in “San Giovanni”, la testa esprime il pensiero e l’occhio è fisso su un oggetto perché contempla la trascendenza divina. Il pensiero è la qualità che rende l’uomo “simile a Dio”: quindi protagonista e autore di se stesso. In questa opera la luce diventa protagonista.
Del 1427 è il rilievo Il banchetto di Erode, in bronzo dorato, cm 60×60, Siena, Fonte del Battistero. Donatello deve collocare nel breve spazio a disposizione una storia complessa e articolata in differenti momenti cronologici. Per questo usa la prospettiva. Il pavimento a scacchi e losanghe determina l’esatta collocazione dei personaggi in primo piano.
Successivamente è la tavola che assume questa funzione. Al di là dei commensali, c’è una parete aperta da arcate. Oltre le arcate, c’è un altro ambiente, in cui un suonatore accompagna con la musica il banchetto. Ancora oltre c’è un terzo luogo: vediamo passare, portata su un vassoio, la testa del Battista, che poi ritroviamo in primo piano a sinistra.
Donatello così facendo ottiene una straordinaria profondità spaziale. Egli comprime le figure sul piano di fondo e procede verso il primo piano e proporziona ad esse le altre giungendo sino all’”alto rilievo” del gruppo di destra e al “tutto tondo” della testa di colui che porta il vassoio. Da qui nasce lo “stiacciato”. Questo è un mezzo che serve all’artista per ottenere drammaticità. La scena rappresentata è contenuta nei Vangeli di Matteo e di Marco.
Erode Antipa, tetrarca della Galilea, conviveva con Erodiade, moglie del proprio fratellastro, fatto che aveva scatenato scandalo fra gli ebrei. Rimproverato per questo adulterio da Giovanni Battista, lo fece chiudere in carcere. Dopo aver visto ballare la “danza dei sette veli” a Salomè, figlia di Erodiade, le promise in premio tutto ciò che avesse chiesto. La giovane venne indotta dalla madre a chiedere la testa del Battista ed Erode ordinò che fosse decapitato e che la sua testa fosse consegnata a Salomè.
È di origine classica la scelta del nudo per il David. Il nudo, nel medioevo, è il simbolo del peccato. Con il Quattrocento esso riacquista il significato autentico di purezza ideale. L’eroe è nudo perché difeso solo dalla sua virtù morale.
Nel 1443 Donatello si reca a Padova dove resterà per una decina d’anni. Qui, nel 1446, l’artista firma il contratto per l’altare del Santo nella Basilica di Sant’Antonio. Tuttavia l’altare venne smembrato alla fine del ‘500 e ricomposto, lacunosamente, solo trecento anni dopo.
Sempre a Padova, dal 1447 al 1453, l’artista erige il Monumento equestre al condottiero della repubblica veneta Erasmo da Narni, detto il Gattamelata. Il monumento in bronzo, m.3,40×3,90 (zoccolo di base m.7,80×4,10), sorge sulla piazza antistante la basilica antoniana.
Forse per la prima volta dopo l’antichità classica, la statua si svincola dalla concezione della scultura come parte integrante dell’architettura per proporsi come forma autonoma. Il cavallo e il cavaliere costituiscono un insieme unitario e danno un’impressione di fermezza. Il collegamento tra i due serve a farceli sentire unico strumento di battaglia.
La lentezza della marcia e la calma del complesso statuario, ci fanno anche sentire che si tratta di una battaglia condotta dall’intelligenza dominatrice dell’uomo. Infatti il volto che ha i piani tesi e illuminati, le labbra strette e sottili esprime la determinazione di colui che guida il proprio cavallo in battaglia. Il cavaliere non è giovane, è espressione della maturità, che solo con gli anni si conquista.
Nel 1454 Donatello torna a Firenze: ha 68 anni e crea ancora capolavori, rinnovandosi continuamente. La Maddalena lignea (altezza m. 1,88) contenuta a Firenze nel Museo dell’Opera del Duomo, riprende e sviluppa il nuovo concetto donatelliano dell’aspetto esteriore e della santità. Maddalena, la peccatrice, torna dal deserto, dove attraverso la distruzione della propria bellezza fisica, ha raggiunto la purificazione. Per la prima volta, con Donatello, la Maddalena viene rappresentata invecchiata, come se la bellezza interiore avesse annullato la sua femminilità.