Camorra, Cosa nostra e ‘ndrangheta (mafie): differenze e cose in comune
Se si potessero analizzare al microscopio, si scoprirebbe che camorra, Cosa nostra e ‘ndrangheta si distinguono una dall’altra. E’ vero, che condividono diverse caratteristiche – le analizziamo dopo – tuttavia, nella loro essenza sono diverse dalla criminalità organizzata, quella oggetto del diritto comune.
Approfondimento
Il libro
Tale dichiarazione, come le informazioni qui sintetizzate, sono tratte dal seguente libro di Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Catanzaro noto per la sua lunga attività antimafia, e Antonio Nicaso, giornalista e storico delle organizzazioni criminali.
Ossigeno illegale. Come le mafie approfitteranno dell’emergenza Covid-19 per radicarsi nel territorio italiano (Copertina flessibile)
Differenze
Camorra, Cosa nostra e ‘ndrangheta sono differenti perché ognuna, nel proprio ambito, riflette il contesto geografico, sociale, economico e culturale da cui ha avuto origine.
- La camorra è più cittadina, pulviscolare, senza una struttura unitaria.
- Cosa nostra nasce come fenomeno rurale e comincia a dotarsi di una struttura di coordinamento già alla fine dell’Ottocento.
- La ’ndrangheta nacque sul modello della camorra ottocentesca, ma con il tempo ha mutuato le caratteristiche della consorteria siciliana, dando vita a un’organizzazione più «familistica», prevalentemente incentrata sul vincolo di sangue.
Un’inchiesta di fine ‘800 su Cosa nostra
Il rapporto di un’inchiesta condotta dall’allora questore di Palermo Ermanno Sangiorgi alla fine del secolo XIX, include una mappa dettagliata delle otto cosche mafiose che dominano i sobborghi e i paesi satelliti situati a nord e a ovest di Palermo:
- Piana dei Colli;
- l’Acquasanta;
- Falde;
- Malaspina;
- l’Uditore;
- Passo di Rigano;
- Perpignano;
- l’Olivuzza.
Oltre ai profili di 218 uomini d’onore, tale rapporto ricostruisce il rituale d’iniziazione e illustra i metodi imprenditoriali della mafia, la maniera in cui si infiltra e controlla le aziende ortofrutticole, falsifica banconote, commette rapine, terrorizza e uccide testimoni.
In quel lungimirante rapporto, Sangiorgi spiega anche come la mafia centralizzi i fondi per il sostegno delle famiglie dei detenuti e il pagamento degli avvocati. Racconta come i capi delle cosche lavorino assieme per la gestione degli affari dell’associazione e il controllo del territorio.
Tre sorelle
Pertanto le prime a manifestarsi storicamente sono state nell’ordine camorra e Cosa nostra. Negli anni ’60 del XIX secolo si aggiunse un’altra mafia: la ‘ndrangheta. Le origini territoriali sono quelle calabresi: la particolarità di quest’ultima è che successivamente, per oltre un secolo, è stata sottovalutata. Oggi è la più ricca, potente e ramificata.
Queste tre «sorelle» come è facile immaginare hanno diverse cose in comune.
Le cose in comune
- La cosa più importante che hanno in comune è quella di essersi date un nome che le distingue, un nome con il quale i loro affiliati si identificano.
- Hanno tutte un modello organizzativo, seppure diverso l’uno dall’altro.
- Hanno tutte un apparato normativo, costituito da leggi e tribunali interni.
- Usano riti, miti e simboli per creare senso di identità e senso di appartenenza.
- Come è noto, gestiscono attività illecite di varia natura.
- Godono di consenso sociale e fanno di tutto per mantenerlo.
- Creano e gestiscono relazioni, grazie alle quali riescono a fare sistema.
- Usano la violenza in modo strategico.
- Governano il territorio.
- Reinvestono direttamente o indirettamente nell’economia legale gran parte dei proventi ricavati dai loro traffici illeciti.
- Sanno adattarsi ai cambiamenti.
Ognuno di questi aspetti è ben articolato e approfondito nel libro su citato.
Andrea Camilleri in una intervista del 2009 disse:
Non si può fare di un mafioso un protagonista, perché diventa eroe e viene nobilitato dalla scrittura. Don Mariano Arena, il capomafia del Giorno della civetta, giganteggia. Quella sua classificazione degli uomini – omini, sott’omini, ominicchi, piglia ‘n culo e quaquaraquà – la condividiamo tutti. Quindi finisce con l’essere indirettamente una sorta di illustrazione positiva del mafioso e ci fa dimenticare che è il mandante di omicidi e fatti di sangue. Questi sono i pericoli che si corrono quando si scrive di mafia. La letteratura migliore per parlare di mafia sono i verbali dei poliziotti e le sentenze dei giudici.