Il diritto di decidere: intervista a Beppino Englaro
Beppino Englaro: “Nessuna famiglia dovrà patire quello che abbiamo subito. Io posso solo continuare a battermi per una legge che rispetti la persona, che non dia ad altri se non a lei stessa il diritto di decidere del proprio corpo”.
Nelle sue parole, pubblicate da Rizzoli nel libro dal titolo “La vita senza limiti”, tutta l’anima, la forza e la vicenda del papà di Eluana Englaro, la ragazza che il 9 febbraio 2009, dopo 17 anni di stato vegetativo irreversibile e dopo una battaglia culturale, legale e civile operata dalla sua famiglia, ha ottenuto il diritto alla sospensione della nutrizione artificiale.
A settembre 2012 inoltre, la storia della famiglia Englaro ha ispirato anche il regista Marco Bellocchio, nel suo “Bella addormentata”, film presentato anche al Festival di Venezia e considerato tra i più interessanti andati in sala negli ultimi anni.
La storia di Beppino Englaro è diventata famosa per la sua ostinazione, la volontà di credere nella legge e in uno Stato di diritto, nonostante tutte le strumentalizzazioni, politiche e culturali, che ha dovuto subire, prima che la sua volontà e quella di sua figlia, venissero riconosciute definitivamente.
In un’intervista, la storia e il calvario, oltre che le considerazioni di Beppino Englaro, alla luce di una vicenda che ha appassionato e diviso, per anni, l’Italia.
Una battaglia durata 17 anni per affermare un diritto, quale, precisamente?
Il diritto era quello di non portare Eluana in una condizione clinica estranea al modo di concepire l’esistenza che lei aveva molto chiaro, pur nella sua giovane età. Prima del suo incidente, un anno prima, era andata a trovare un suo amico che versava nelle stesse condizioni nelle quali si sarebbe ritrovata lei. Avendo percepito questi pericoli, ossia le evoluzioni che può avere la rianimazione ad oltranza in certi casi, essendosi espressa anche in casa, perché se ne parlava sempre, di morte, vita, e dignità della persona, noi abbiamo solo dato voce a quello che voleva lei: questa è la nostra rivendicazione.
Eppure, attualmente, nonostante si parli tanto di “testamento biologico”, la soluzione, almeno in termini legislativi, sembra ancora ferma.
Le cose si sono evolute, invece. L’opinione pubblica è bene informata, rispetto a quando ho cominciato io a muovermi, e questa è una cosa importantissima. La gente vuol sapere, adesso. Grazie anche a questa vicenda la gente si cautela, dà la propria disposizione, e poi c’è una sentenza della magistratura, della Corte Costituzionale che parla chiaro.
Un calvario, il suo e della sua famiglia, vissuto anche in Parlamento. In che modo?
Il Parlamento, prima che scoppiasse il caso di Eluana, non aveva mai legiferato come avrebbe dovuto, nonostante gli appelli della stampa. A quel punto però, è intervenuta la magistratura, la quale non poteva non rispondere alla domanda di giustizia del cittadino e ha risposto, infatti, lo ha fatto con precisione. Sono loro, sono stati loro, o meglio alcuni rami del parlamento che, di fronte alla risposta della magistratura, hanno sollevato un conflitto di attribuzione, parlando di sentenza creativa, come se la magistratura non avesse voce in capitolo. Loro hanno sollevato questo conflitto assurdo che di fatti la Corte Costituzionale, dopo, ha giudicato inammissibile.
Cosa può dire alle famiglie che vivono una situazione simile a quella di Eluana?
Io, solo cadendoci dentro, ho capito di avere idee diverse. Bisogna ritrovarsi in certe situazioni, per capire bene. Qui è in gioco la coscienza comune: altri accettano queste condizioni, a differenza di Eluana, di come la vedeva lei, la vita. Ma è una vicenda che non va contro nessuno, la nostra: noi abbiamo rispetto delle persone e dei convincimenti della gente, punto. È una questione interiore, nient’altro, e di fatti la magistratura stessa, prima di emettere la sentenza, ha voluto sapere i convincimenti etici, confessionali e filosofici della ragazza. Questo il punto.
Credo che le famiglie non hanno bisogno di me, delle mie informazioni. Ciò che ha sorpreso è stato il nostro modo di muoverci: noi avevamo un modo di concepire la cosa diametralmente opposta a quella di allora, ma il clima culturale per fortuna adesso è diverso, la magistratura si è allineata alla Costituzione, che prevede “l’inviolabilità della persona e della sua dignità e libertà”. Anche questo va rispettato, come l’idea religiosa della sacralità umana, spesso sventolata. Eluana aveva le idee molto chiare sulla sua vita e noi l’abbiamo rispettata.
C’è una lettera di Eluana, inserita nel libro, in apertura, e risalente a un mese prima dell’incidente nella quale è evidente il rapporto che avesse con noi, con la sua famiglia: un rapporto basato sul rispetto e sull’aiuto reciproco. Noi l’abbiamo applicato.
Per il cardinale Martini è stato rifiutato l’accanimento terapeutico, accompagnandolo verso la morte. Quali differenze con la vicenda di Eluana?
Le gerarchie ecclesiastiche non vogliono sentir parlare di questo, parlano di sacro e profano. Martini è stato accompagnato con cure palliative nella fase terminale della sua vita. Per Eluana bisognava riprendere il processo per morire, che era stato interrotto. Ma è stata accompagnata anche lei: le due situazioni non vanno mescolate ma sono un accompagnamento attraverso le cure palliative verso la morte.
Come giudica il film di Marco Bellocchio, “Bella addormentata”?
Bellocchio ha fatto una creazione artistica notevole, muovendosi dentro i sette giorni cruciali di Eluana, ossia gli ultimi. È un film molto elegante, non ideologico. Semplicemente, un gran bel film.