Battaglia di Vittorio Veneto, riassunto e fatti storici
La battaglia di Vittorio Veneto fu combattuta fra il 24 ottobre e il 4 novembre 1918, fra l’esercito dell’Impero austro-ungarico e il Regio Esercito Italiano. Terminò con la disfatta degli austro ungarici e la resa incondizionata dell’Impero di fronte alle Potenze dell’Intesa. Di fatto sancì la vittoria dell’Italia nel primo conflitto mondiale.
Approfondimento
La situazione alla viglia
Gli austro-ungarici
Dopo il gigantesco sforzo logistico e militare che aveva portato alla vittoria di Caporetto, e ancor più dopo la fallita offensiva della cosiddetta “Battaglia del solstizio” o “Seconda battaglia del Piave” (15-24 giugno 2018), le forze Imperiali austriache erano allo stremo.
Sotto il profilo morale, la condizione era determinata dal disfacimento dell’impero, dovuto alle crescenti spinte secessionistiche che caratterizzavano un impero multietnico come quello di Francesco Giuseppe. Ne risentivano il morale e la volontà delle truppe non austriache di combattere.
Inoltre, dopo quattro anni di guerra la situazione dei rifornimenti per le potenze centrali era decisamente preoccupante. Soprattutto sotto il profilo alimentare, i militari austriaci ricevevano razioni sempre più scarse e nettamente inferiori rispetto a quelli del riorganizzato esercito italiano.
Gli italiani
A ottobre 1918 l’esercito italiano aveva ben poco a vedere con quello di Caporetto. Il reclutamento dei “ragazzi del ‘99” aveva consentito di colmare le perdite e riportare le singole unità vicine alla forza nominale.
Il materiale in dotazione era infinitamente migliore rispetto a quello del 1915: i veicoli, l’artiglieria, le maschere antigas, ecc. Ma soprattutto la destituzione del detestato generale Cadorna, responsabile della disfatta di Caporetto, con la nomina del Generale Armando Diaz a capo di stato maggiore dell’esercito, aveva infuso nuovo morale nelle truppe. La sensazione generale era che la vittoria definitiva fosse vicina.
I piani delle due parti
Il Generale Diaz non era del tutto convinto dell’opportunità di lanciare un’offensiva a ottobre. Tuttavia, le pressioni degli alleati anglo-francesi lo convinsero e concepì il piano che aveva come obiettivo strategico Vittorio Veneto, che all’epoca si chiamava semplicemente Vittorio.
Questa cittadina venne scelta perché si trovava esattamente a metà strada rispetto ai punti di partenza delle due direttrici principali della avanzata. Inoltre, in base ai piani, la conquista di Vittorio Veneto avrebbe consentito anche di tagliare la via di ritirata alle truppe austro-ungariche, qualora si fosse riusciti a ottenere lo sfondamento lungo il fronte.
Riguardo alla situazione del nemico, le opinioni all’interno dello Stato Maggiore Italiano erano contrastanti. Alcuni ritenevano che gli austriaci avrebbero opposto una ferma resistenza, come sempre era stato fino a quel momento. Altri consideravano ormai sconfitto l’esercito austro-ungarico.
Fra tutti si distingueva l’opinione del colonnello Tulio Marchetti, Capo dell’Ufficio Informazioni della 1ª Armata, il quale riteneva che le truppe di prima linea del nemico sarebbero state un osso duro. Ma, una volta infranta la loro resistenza, non si sarebbero più trovati grossi ostacoli. Cosa che, puntualmente, si verificò.
Gli austriaci erano tutt’altro che ignari della possibilità, anzi probabilità, di una imminente offensiva italiana, nel breve periodo. In alcune aree del settore, come il Monte Grappa, si riteneva di poter fermare l’avanzata del nemico, appoggiandosi alle truppe di élite di prima linea e alle asprezze del terreno.
Peraltro, nel complesso si era ben consapevoli delle difficoltà e soprattutto delle lacune. Le unità imperiali erano ampiamente sotto numero, i materiali e i pezzi di artiglieria scarseggiavano ma, soprattutto, il problema principale era la denutrizione.
Il settore del Grappa
In base ai piani, le operazioni ebbero inizio il 24 ottobre 1918 nel settore del Monte Grappa. Qui, preceduta dal fuoco di preparazione dell’artiglieria, la 4a Armata del generale Gaetano Giardino sferrò l’attacco. In questo settore, però, le forze erano numericamente equilibrate e, anche grazie all’asprezza del terreno montagnoso, gli austro ungarici seppero resistere validamente.
Il gruppo di armate del Tirolo (Arciduca Giuseppe) riuscì a non cedere terreno e, anche nelle occasioni nelle quali gli italiani sembravano aver conseguito successi locali, seppero contrattaccare e riconquistare le posizioni perdute. Si andò avanti così, tra successi tattici italiani e controffensive austriache, alternate da proteste del generale Giardino che non vedeva vantaggi nel continuare un’offensiva che stava dissanguando le sue truppe, fino al 30 ottobre. La rotta austro-ungarica divenne generale su tutto il fronte e la 4 a Armata potè conseguire i suoi obiettivi.
Tuttavia, se si considera che, nel piano originale, la 4a Armata avrebbe dovuto assolvere a un compito strategico, inchiodando il nemico nel settore e, anzi, obbligandolo ad inviarvi delle riserve, si può concludere che l’offensiva in questo settore fu un insuccesso almeno parziale.
Il fronte del Piave
Il nerbo dell’offensiva era costituito dalla 8a Armata del generale Enrico Caviglia, che doveva avanzare nel settore del Piave. In particolare, tra Vidor e le Grave di Papadopoli (un’isoletta formatasi in seguito a un’alluvione che divise il Piave in due rami), il Regio Esercito era riuscito a conseguire una notevole superiorità locale.
Proprio qui, truppe inglesi conseguirono il primo successo locale, occupando l’isola con il supporto dell’artiglieria italiana. Sul resto del fronte, invece, le operazioni subirono un forte ritardo a causa delle forti piogge, che portarono a una semi-piena del Piave, rendendo di fatto il corso d’acqua impossibile da attraversare.
Fu solo il 27 ottobre che si riuscì ad attraversare il Piave, appoggiandosi soprattutto alla testa di ponte britannica. Il giorno 29 le operazioni offensive cominciarono a prendere una piega favorevole, grazie anche alle migliorate condizioni atmosferiche.
Come previsto dal colonnello Tullio Marchetti, superata l’opposizione della prima linea imperiale, le truppe italiane poterono avanzare subendo un contrasto molto relativo.
Soprattutto nel settore del Piave l’opposizione del nemico era minima: le unità di élite austriache, sconfitte, invocavano l’arrivo delle riserve, ma queste, soprattutto gli ungheresi, si rifiutavano di combattere. Il 30 ottobre si verificò un ulteriore sfondamento anche nel settore del Grappa e la ritirata austriaca si trasformò in rotta lungo tutto il fronte.
La resa
Intorno alle ore 15 del 30 ottobre 1918, il 20º reparto d’assalto del generale Caviglia entrò a Vittorio Veneto, accolto festosamente dalla popolazione. Dal 1º novembre, le operazioni dell’8ª Armata assunsero il carattere di inseguimento dell’esercito nemico in rotta.
Nel frattempo si trattava la resa. Dopo i primi approcci del 30 ottobre, le trattative proseguirono con alcune difficoltà. Da parte italiana si aspettava la trasmissione del testo della capitolazione da Versailles, dove si trattava la resa di tutte le potenze centrali.
La richiesta, inoltre, era di un cessate il fuoco posticipato di 24 ore rispetto alla firma dell’armistizio di Villa Giusti, mentre gli austriaci insistevano per una cessazione delle ostilità immediata. Alla fine, ci si accordò per l’entrata in vigore dell’armistizio alle ore 15,00 del giorno 4 novembre.
L’importanza della battaglia di Vittorio Veneto
All’epoca della battaglia di Vittorio Veneto, la capacità di opporsi al nemico dell’esercito austro ungarico era fortemente minata. Quattro anni di guerra e le contraddizioni interne (leggasi, il problema delle nazionalità) avevano logorato la volontà militare e politica di combattere dell’esercito imperiale.
Questo non significa però che le truppe del Regio Esercito si limitassero a sfondare una porta aperta. Soprattutto i veterani austriaci seppero combattere con valore, facendo appello allo spirito di corpo e alla fedeltà verso ufficiali che li avevano condotti attraverso le battaglie e i pericoli per 4 anni: in questo senso, la fedeltà al reparto si sostituì a quella alla Patria.
Da parte italiana, il documento più famoso a suggello della battaglia è il bollettino della vittoria del generale Diaz.
Il testo del generale Diaz
«Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12; Bollettino di guerra n. 1268
La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita.
La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente.
Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni.
I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.»
Considerazioni finali
Ci fu chi descrisse la battaglia di Vittorio Veneto come un evento senza nemico o dove il nemico si limitò al ruolo passivo di fuggitivo. Non fu così. Come non è nemmeno vera quella parte di storiografia secondo la quale fu soprattutto a Vittorio Veneto che si determinò l’esito della prima guerra mondiale.
La verità sta nel mezzo: nell’ottobre 1918 fu sancito un destino al quale l’esercito austriaco era andato incontro nei 4 anni precedenti, ma che non tutti i suoi componenti erano ancora pronti ad accettare. L’Esercito Italiano colse invece una vittoria che appare fulgida, ma che ebbe le sue premesse nella Battaglia del solstizio, quella sì realmente incerta.