Storia del Libro

I libri rappresentano una delle più curiose esternazioni della ratio umana: fin dalla preistoria è prevalso il desiderio di lasciare traccia dell’umano pensiero, di concretare la realtà astratta dell’idea attraverso l’uso di segni impressi su una superficie. La storia del libro varia unicamente nel supporto, tuttavia ha sempre accompagnato il pensiero evolvente dell’umanità, trasformando una necessità nella nobile arte della scrittura.

Storia del libro: Papiro
Papiro: un’illustrazione dal Libro dei morti

Il papiro

La pianta di Cyperus papyrus L (papiro egiziano) era raccolta e lavorata: suddetto procedimento richiedeva l’estrazione del midollo che, dopo la sagomatura in strisce sottili, era intrecciato e poi infine bagnato, seccato e battuto fino all’ottenimento di fogli piani.
A questo punto della preparazione il papiro assumeva le sembianze di un foglio, divenne libro solo con l’incollatura di più pagine in parallelo fino a formare una lunga striscia orizzontale, su cui la scrittura procedeva per una serie di linee incolonnate.

Su queste pagine lo scriba, figura riguardante il sacro perché “padrone della sapienza dello scrivere”, si serviva della scrittura ieratica.
Il papiro divenne libro sacro con la diffusione del “Libro dei morti e della rinascita“, raccolta di formule e rituali che, a partire dalla XVIII dinastia, era collocata nel sarcofago della mummia per consentirgli di raggiungere l’aldilà.

L’uso del papiro e la concezione di uno scrivere alto durarono per molti secoli: nel mondo bizantino l’impiego del papiro era ampiamente diffuso ancora nel II millennio d.C., dove chi scriveva, nell’ambito della cancelleria imperiale, era considerato una persona eletta.

Volumen
Volumen

Il Volumen

L’utilizzo del papiro a rotoli fu ereditato dal mondo greco e romano: il termine latino volumen deriva da volvere, arrotolare.
Il volumen era una striscia di papiro scritta a colonne di linee parallele su un solo lato e arrotolato intorno a un bastoncello (umbilucus) in avorio o legno, terminante agli estremi con dei pomelli (cornua), cui era appeso un cartoncino (titulus) nel quale era riportato l’argomento de libro. Il papiro era custodito e arrotolato in un astuccio cilindrico (capsa o theca).

Mausoleo di Galla Placidia - Lunetta musiva di San Lorenzo - Ravenna
Mosaico presente nel Mausoleo di Galla Placidia (Ravenna): Lunetta musiva di San Lorenzo

Nella prima metà del V secolo d.C. la lunetta musiva di San Lorenzo nel Mausoleo di Galla Placidia, a Ravenna, mostra una “bliotheca” (l’armadio continente i volumina), testimoniando simultaneamente l’altra evoluzione conclusiva dell’avvicinamento all’attuale forma di libro, quella dal volume al codex.

Il codice

Il passaggio dal volumen al manoscritto “trova la sua ragione storica nella prima metà del II secolo a.C., quando, secondo la tradizione, la riduzione delle esportazioni di papiro dall’Egitto induce Eumene II re di Pergamo, il centro che compete con Alessandria per il possesso della maggior biblioteca de mondo antico, a incentivare la produzione della pergamena” (GUALDONI).

La pergamena, conosciuta tra i latini come “membrana”, era ricavata dalla pelle di montone, pecora o capra inseguito a un trattamento con acqua e calce; posta su un telaio ed essiccata in tensione, la membrana, era levigata con una pietra pomice e in alcuni casi colorata.

Rispetto al papiro, la pergamena, richiedeva un costo del materiale e della manodopera maggiore, svantaggio compensato dalla straordinaria durabilità e robustezza, era inoltre riscrivibile: “con latte e crusca si può lavare la pergamena […] I Greci chiamavano la pulizia della pergamena “palin psao”, “raschio nuovamente”, e noi chiamiamo di conseguenza “palinsesto” il foglio di riutilizzo” (GUALDONI).

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La forma tendenzialmente rettangolare della pergamena indusse a un taglio e a una piegatura delle pagine che portava inevitabilmente e per ragioni di praticità alla sovrapposizione dei fogli, in altre parole rettangoli tutti uguali, legati insiemi e scritti su entrambi i lati. Nasceva così il “codex”.

Miniatura - Manoscritto miniato
Un manoscritto miniato

Scriptoria

Lo scriptorium monastico esercitava un fervido monopolio sulla produzione libraria, qui i monaci si esercitavano nella lingua latina, tanto sui testi sacri tanto sui testi pagani, fino al raggiungimento di un livello di conoscenza tale da renderli dei “copisti provetti”.
A capo dello scriptorium vi era l’”armarius”, un monaco dalla grande esperienza che svolgeva molteplici compiti come: assegnare il lavoro, controllare i tempi di produzione e la resa della copiatura.

Il monaco cui era affidato l’elevato compito di copiare dei testi, lavorava poggiando un quaderno di fogli di pergamena su un leggio inclinato che consentiva di tenere la penna d’oca opportunamente orientata e di evitare le macchie.

Una volta concluso il lavoro di copiatura il testo era riletto e paragonato con il testo originale, per poi terminare in legatoria, dove le pergamene erano legate tra di loro e dotate di due coperte.

La stampa

Nella seconda metà del 1300 si diffuse una tecnica di stampa nota come “xilografia” (dal greco xilon, legno, e graphein, scrivere). Tale tecnologia permetteva la riproduzione in serie d’immagini e rappresentava perfettamente “il precedente concettuale perfetto della stampa a caratteri mobili” (GUALDONI).

Una tavoletta di legno era incisa in modo tale da far emergere una figura in rilievo, quest’ultima parte era inchiostrata e premuta con un tampone su un pezzo di carta. Ben presto oltre alle immagini si aggiunsero delle linee di testo, in un primo momento scritte a mano e poi incise direttamente nel corpo della tavola.

L’opera d’incisione era imprecisa e lenta, imparagonabile con la qualità delle opere manoscritte e miniate. Queste difficoltà alimentarono nuove suggestioni nell’ambito dell’arte del libro: tra i rilegatori si diffuse l’usanza di imprimere con punzoni metallici decorazioni, singole lettere e brevi testi, da cui lo stesso Johann Gutenberg (1399 – 1468) trasse spunto per il suo operato.

Volantini e pubblicazioni settimanali

Già nel corso del Quattrocento era consuetudine distribuire fogli stampati singolarmente o all’interno di fascicoli: dal 1588 al 1598 Michaël Eytzinger (1530 – 1598) pubblicò, per due volte l’anno, un volume che raccoglieva la cronologia degli avvenimenti principali del semestre, tali volumi erano poi venduti in occasione della fiera di Francoforte in autunno e in primavera.

All’inizio del Settecento iniziarono a diffondersi le gazzette: le più antiche copie giunte fino a noi risalgono al 1609 e sono dell’”Avisa Relation oder Zeitung”, pubblicate ad Augusta e Strasburgo.
Le pubblicazioni settimanali iniziarono a fiorire in Germania, Inghilterra e Francia con le “Nouvelles ordinaires de divers endroits” (1631), dei fratelli Vendome, la “London Gazzette” (1665) e la “Boston News Letter” (1704).

Note Bibliografiche
F. Gualdoni, Una storia del libro, dalla pergamena a Ambroise Vollard, Skira, Milano, 2008

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Simona Corciulo

Simona Corciulo nasce a Gallipoli il 5 maggio del 1992. Appassionata di arte e antiquariato, ha conseguito la laurea in ''Tecnologie per conservazione e il restauro'' nel 2014. Fervida lettrice, ama scovare e collezionare libri di arte, storia, narrativa - italiani e stranieri - desueti o rari.

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