Intervista a Walter Siti
Walter Siti, originario di Modena, vive a Roma. È critico letterario, saggista e scrittore. Ha insegnato nelle università di Pisa, Cosenza e L’Aquila. È il curatore delle opere complete di Pier Paolo Pasolini per la pregiata collana editoriale “I Meridiani” (Mondadori). Importanti, alcuni suoi saggi su Eugenio Montale e Sandro Penna. Tra i suoi libri ricordiamo “La magnifica merce” (2004), “Troppi paradisi” (2006) e “Il contagio” (2008), di cui “Il canto del diavolo” è la naturale prosecuzione. Dal novembre del 2008 tiene sulla “Stampa” di Torino una rubrica di televisione intitolata La finestra sul niente. Da segnalare, anche la recente uscita di critica per la casa Nottetempo: “Il realismo è l’impossibile”, tratta da una celeberrima frase di Pablo Picasso.
Nel 2012 Walter Siti ha pubblicato, con la casa editrice Rizzoli, lo splendido romanzo dal titolo “Resistere non serve a niente”, vincitore, durante la finale del 4 luglio 2013, del riconoscimento letterario più importante e prestigioso d’Italia: il Premio Strega. In realtà, il romanzo di Walter Siti ha letteralmente trionfato a Roma, nella suggestiva cornice di Villa Giulia, avendo totalizzato la bellezza di 165 voti. Moltissimi, rispetto al secondo classificato Alessandro Perissinotto, con il suo “Le colpe dei padri” (Piemme), giunto a quota 78 voti. (soltanto un voto in più di Paolo Di Paolo, autore di “Mandami tanta vita”, edito da Feltrinelli).
In questa intervista – colta durante una delle poche presentazioni dello scrittore modenese, soprattutto prima dell’assegnazione dello Strega – Walter Siti parla del mondo sotterraneo della finanza, del denaro, del corpo: tre elementi importanti del suo “Resistere non serve a niente”. Ma traccia anche paragoni con i suoi precedenti lavori, come il noto e apprezzatissimo “Troppi paradisi”, infine soffermandosi su cosa sia diventato, negli ultimi tempi, il desiderio, per gli occidentali in generale e per gli italiani in modo particolare.
Intervista a Walter Siti
Leggendo il suo libro, c’è una frase che dice: “L’unica soluzione è la Rivoluzione”. Tuttavia, andando a fondo dello stesso romanzo, viene fuori che forse la Rivoluzione sia stata già fatta e non dal popolo, ma da chi sta molto, molto in alto. È così?
Questa è una cosa che si è detta molte volte nella storia. Prima si è detto che la vera Rivoluzione, in Europa, sia stata quella industriale, ad esempio. Poi, in Italia, si è detto che la vera Rivoluzione l’abbiano fatta i mass media, intorno agli anni sessanta… Naturalmente, succede sempre che ci sono dei movimenti sotterranei che sono molto più decisivi delle cose che salgono in superficie. Resta il fatto che in questo momento si ha l’impressione che, anche se le cose vanno molto male, le persone hanno troppo da perdere da uno sconvolgimento totale. C’è questa specie di immobilismo superficiale sotto il quale si muovono queste correnti profonde che però bisognerebbe capire anche in che direzione vanno.
Rispetto a “Troppi paradisi”, il mondo del gossip, del glamour, è visto in maniera differente: che cosa è successo nella società italiana?
Qui è molto più marginale rispetto al romanzo citato, è vero. Se ne parla soprattutto all’inizio, quando il protagonista incontra l’autore, durante una delle solite feste d’ambito televisivo… Direi che in generale il libro rispecchia anche un cambiamento che è successo nella società italiana: mentre dieci anni fa, quando ho scritto Troppi paradisi, il mondo del glamour era nel suo periodo trionfante, adesso si può dire che è in una fase calante, come durante la “fine di un impero”…
Un esempio?
Mah, per esempio succedono cose come il matrimonio di Valeria Marini, con le persone assiepate alla scalinata che gridano offese e altre cose del genere. Insomma, si ha l’impressione che sia un mondo che in questo momento è molto, molto in decadenza.
Com’è cambiato il desiderio degli italiani, in questi ultimi anni?
Domanda molto difficile. Intanto, spero che ogni italiano ne abbia conservato una buona parte… Volendo generalizzare, ho l’impressione che spesso, al valore d’uso del desiderio, che significa desiderare una cosa per farne poi uso, si sia sostituito il valore di scambio, cioè desiderare qualcosa perché fa status symbol, perché ti mette in una certa posizione rispetto agli altri…
In altre parole?
Diciamo che è come se si desiderassero cose sempre un po’ più finte, magari, rispetto a quelle che si desideravano prima. Ma non ne sono sicuro.