Ritratti di Tiziano
Tiziano non è soltanto autore di quadri sacri o profani, ma è anche un ritrattista tra i più famosi. Nella sua lunga carriera ha rappresentato duecento o duecentocinquanta personaggi. Molti dei quali più di una volta, ma mai nello stesso modo, perché Tiziano reagisce in maniera nuova all’ispirazione che gli viene dal soggetto da rappresentare, anche se è lo stesso. In questo articolo andremo ad analizzare i più celebri ritratti di Tiziano.
Tiziano Vecellio, come Raffaello, analizzando l’aspetto fisico della persona ritratta, riesce a interpretarne il significato interiore e lo rende visibile mediante il proprio linguaggio pittorico. È tale questa sua facoltà di interpretazione che talvolta nascono dei capolavori senza neppure che egli abbia davanti a sé la persona che deve dipingere, ma solo appunti disegnati in maniera rapida in qualche occasione precedente, se non addirittura un ritratto realizzato da un altro artista. È una qualità che possiede sin dall’età giovanile e che si raffina via via che accresce la propria maturità.
Tra i ritratti di Tiziano abbiamo quello del giovane ignoto, detto “L’uomo dal guanto” del 1523; olio su tela; centimetri 100 x 89. Parigi, Museo del Louvre.
Il dipinto è reso con il gioco dei grigi e degli scuri del fondo unito e dell’abito, ravvivato dal bianco luminoso della camicia. Non si sa chi sia il personaggio rappresentato, anche se c’è chi ha creduto di identificarlo con Gerolamo Adorno, ambasciatore a Venezia di Carlo V.
Il ritratto di Paolo III con i nipoti Alessandro e Ottavio Farnese del 1546; olio su tela; metri 2,10×1,74. Napoli, Galleria Nazionale di Capodimonte. Il ritratto è stato eseguito durante il soggiorno di Tiziano a Roma e trae spunto da quello di Papa Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi, realizzato da Raffaello.
Anche qui, nell’opera di Tiziano, si sta svolgendo un colloquio riservato fra il papa e uno dei presenti, mentre l’altro, il cardinale Alessandro, è in posa ufficiale e guarda lo spettatore. Il pittore interpreta tre diversi caratteri. Ma, più di Raffaello, sonda in maniera spregiudicata l’intimo del loro animo, soprattutto del papa e di Ottavio.
Da un lato c’è il vecchio pontefice rappresentato con le spalle curve per il peso degli anni, i piccoli occhi acuti scrutatori, la mente attenta a cogliere ogni piccola sfumatura del discorso, diffidente, forse anche crudele; dall’altro lato Ottavio, strisciante, ambiguo, ipocrita, il cappello in mano, l’altra mano posta a sostegno della spada mentre si accinge a inginocchiarsi, nell’atto formale e interessato dell’ossequio.
Il ritratto di Carlo V a cavallo del 1548, olio su tela, metri 3,32×2,79. Madrid, Museo del Prado. Il ritratto celebra la vittoria di Muhlberg. Ma Tiziano non rappresenta soltanto la gloria dell’imperatore; ne rende anche il senso umano, la solitudine, la tristezza, la stanchezza; quella stanchezza, causata da anni di lotte politiche e militari, che lo indurrà, qualche anno dopo, ad abdicare e a ritirarsi nella pace di un convento spagnolo.
In un paesaggio solitario, sotto un cielo nuvoloso, nella luce arrossata del tramonto, al termine del combattimento che lo ha visto vittorioso, il sovrano passa sul suo cavallo, rivestito di quella splendida armatura, la lancia in pugno, lo sguardo fisso davanti a sé, fermamente determinato nella volontà di adempiere fino in fondo il suo compito.
Piccolo, magro, invecchiato, curvo, la barba percorsa da peli grigi, non trionfatore in gloria, ma uomo conscio della tragedia della guerra, della quale è, sì, protagonista, ma solo perché costretto dal ruolo, che gli è stato assegnato sin dalla nascita, di guida del più grande stato del mondo.