La strage di Ustica
Era il 27 giugno 1980 quando il volo Itavia 870 partito da Bologna con rotta Palermo si inabissò con 81 persone a bordo tra Ponza e Ustica. Da allora ci sono voluti anni affinché si arrivasse alla verità su quella terribile strage: “Il Dc-9 fu abbattuto da un missile”. Lo hanno affermato i giudici della prima sezione civile della Corte d’Appello di Palermo, che hanno rigettato i ricorsi dell’Avvocatura dello Stato contro le quattro sentenze del Tribunale siciliano.
Prima di questa sentenza del 2015, sono state formulate nel corso delle indagini quattro ipotesi: la prima, cedimento strutturale, la seconda, collisione con un altro aereo in volo, terza, bomba a bordo, quarta, un missile sparato da un altro aereo. Ma andiamo con ordine.
Approfondimento
Rigettato il ricorso dei ministeri, 15 aprile 2015: Lo Stato dovrà pagare
La Corte di Appello civile di Palermo ha rigettato il ricorso dei ministeri della Difesa e dei Trasporti contro la sentenza del settembre 2011, sentenza del giudice Paola Protopisani, con la quale condannò lo Stato a risarcire con oltre 100 milioni di euro i 42 familiari di 17 vittime. La sentenza di Protopisani stabilì che la causa dell’abbattimento dell’aereo fu «un missile o collisione in una scena militare».
La corte ha confermato la responsabilità dei ministeri per la morte dei passeggeri a bordo del volo Itavia 870. In più i giudici hanno rinviato alla sentenza definitiva, per la quale dovrà pronunciarsi la Cassazione a sezioni unite, l’esame delle singole voci del danno, rinviando la causa al 7 ottobre 2015.
La sera del 27 giugno 1980 e le prime indagini
L’aereo parte dall’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna: sono le 20.08, con due ore di ritardo rispetto all’orario previsto. L’arrivo a Palermo è previsto per le 21.15. Il Dc 9 viaggia con regolarità, con a bordo 81 persone: 64 passeggeri adulti, 11 ragazzini tra i due e i dodici anni, due bambini di 24 mesi e 4 uomini dell’equipaggio.
Il volo prosegue la sua rotta, sino a quando, poco prima delle 21 del Dc 9 si perdono le tracce radar, l’aereo scompare in mare. Da allora sino al 1986 della strage di Ustica non si parlerà più. Le indagini procedono molto lentamente. Viene fondata l’associazione dei familiari delle vittime perché, come dice Daria Bonfietti “appariva sempre più chiaro che coloro che lottavano contro la verità esistevano, erano esistiti fin dagli istanti successivi il disastro e operavano a vari livelli, nelle nostre istituzioni democratiche, per tenere lontana, consapevolmente la verità”.
A novembre del 1984 viene nominato il primo collegio peritale e il 16 marzo 1989 il collegio consegna al giudice istruttore Bucarelli la relazione. Quindi i sei periti che fanno parte del collegio rilasciano alla stampa una dichiarazione: “Tutti gli elementi a disposizione fanno concordemente ritenere che l’incidente occorso al DC9 sia stato causato da un missile esploso in prossimità della zona anteriore dell’aereo. Allo stato odierno mancano elementi sufficienti per precisarne il tipo, la provenienza e l’identità”.
Dunque il giudice gli assegna il compito di proseguire nelle indagini per identificare il tipo di missile, ma le pressioni fanno sì che vacillino le iniziali certezze: due periti su sei non saranno più certi del missile. Nel frattempo, a seguito di uno scontro tra l’onorevole Giuliano Amato, ai tempi Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e il giudice Bucarelli, il giudice abbandonerà l’indagine, che di conseguenza passerà al giudice Rosario Priore.
La Commissione Stragi
Il Parlamento si interessa direttamente della vicenda, a seguito di una vasta mobilitazione dell’opinione pubblica, con la Commissione Stragi, presieduta da Libero Gualtieri, che nell’aprile 1992 approva una relazione: “per la Commissione è possibile indicare al Parlamento le responsabilità delle istituzioni militari per avere trasformato una ‘normale’ inchiesta sulla perdita di un aereo civile, con tutti i suoi 81 passeggeri, in un insieme di menzogne, di reticenze, di deviazioni, al termine del quale, alle 81 vittime, se ne è aggiunta un’altra: quell’Aeronautica militare che, per quello che ha rappresentato e che rappresenta, non meritava certo di essere trascinata nella sua interezza in questa avventura”.
Il 15 maggio 1992 i generali all’epoca dei fatti ai vertici dell’aeronautica vengono incriminati per alto tradimento, “perché, dopo aver omesso di riferire alle Autorità politiche e a quella giudiziaria le informazioni concernenti la possibile presenza di traffico militare statunitense, la ricerca di mezzi aeronavali statunitensi a partire dal 27 giugno 1980, l’ipotesi di un’esplosione coinvolgente il velivolo e i risultati dell’analisi dei tracciati radar, abusando del proprio ufficio, fornivano alle Autorità politiche informazioni errate.”
Le indagini del giudice Priore
Sono i primi mesi del 1994 quando vengono resi noti i risultati delle perizie commissionate dal giudice Priore. Dalle perizie emerge che è escluso che sul Dc 9 sia esplosa una bomba. Non ci sono infatti tracce di esplosione sulle vittime, né segni di strappi da esplosione sui metalli, le analisi chimiche escludono l’ipotesi di una bomba e persino gli esperimenti e le simulazioni danno esito negativo.
Passano pochi mesi e a luglio gli stessi periti avanzano l’ipotesi di una bomba, ma non sapranno dire come era fatta e né dove fosse collocata. Per i pm Coiro, Salvi e Rosselli e anche per il giudice Priore, “il lavoro dei periti d’ufficio é affetto da tali e tanti vizi di carattere logico, da molteplici contraddizioni e distorsioni del materiale probatorio da renderlo inutilizzabile”. Rimangano i dubbi sull’attività svolta dai periti, alcuni dei quali verranno estromessi dal giudice istruttore che li aveva nominati.
Le indagini si spostano sui radar: viene chiesta la collaborazione della Nato
Il cielo si vuole fare credere vuoto da ogni presenza di voli militari, ma a questo punto si chiede la collaborazione della Nato. A fine agosto del 1999 il giudice Priore sentenzia: “l’incidente al DC9 è occorso a seguito di azione militare di intercettamento”. Quindi quella notte sul cielo di Ustica c’era la guerra. Nel 2000 inizia il processo contro i vertici dell’Aeronautica che nell’aprile del 2004 vengono assolti per prescrizione. Tuttavia si riconoscerà che hanno omesso di riferire alle autorità politiche i risultati dell’esame dei tracciati radar di Fiumicino/Ciampino.
Proprio quei tracciati vedono la presenza di una manovra d’attacco al Dc9. Inoltre, viene riconosciuto che hanno fornito informazioni errate alle autorità escludendo la presenza di altri aerei militari nella tragedia dell’aereo civile. La vicenda della strage di Ustica sembrava conclusa il 10 gennaio 2007, quando la Prima sezione penale della Corte di Cassazione conferma la sentenza di assoluzione, con formula piena, per i generali Lamberto Bartolucci e Franco Ferri dall’accusa di alto tradimento: non è stato individuato nessun colpevole.
I due generali nell’informare il ministero della Difesa sulla situazione nei cieli italiani della sera dell’abbattimento del Dc 9 avevano escluso il coinvolgimento di altri aerei italiani o della Nato, militari o civili. Così, con questa sentenza, a distanza di 27 anni, il processo penale si chiude senza la possibilità di ottenere giustizia. Ma nel febbraio 2008, la dichiarazione dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che sostiene ai microfoni della Rai che il Dc9 è stato abbattuto da un missile lanciato da un jet militare francese, la procura della repubblica di Roma apre il 21 giugno 2008 una nuova inchiesta.
Le morti sospette
L’elenco di morti sospette dei cosiddetti “suicidi in ginocchio” è lungo. L’elenco si apre il 3 agosto 1980 con l’incidente stradale in cui muore il colonnello dell’Aeronautica militare Pierangelo Tedoldi, 41 anni, comandante dell’aeroporto di Grosseto.
È il 23 gennaio 1983 quando in un altro incidente stradale muore il sindaco di Grosseto, Giovanni Battista Finetti. Il sindaco aveva raccolto le testimonianze di alcuni ufficiali dell’Aeronautica. Secondo tali confidenze, due caccia italiani si erano sollevati in volo dalla base toscana per abbattere un Mig libico.
Il 28 agosto 1988, in Germania, a Ramstein, nel corso di un’esibizione aerea delle Frecce Tricolori, muoiono i due piloti, Mario Naldini, 41 anni, e Ivo Nutarelli, 38 anni, gli stessi che la sera del 27 giugno 1980 avevano lanciato segnali di emergenza, decollati da Grosseto.
Il 1° febbraio del 1991 il maresciallo dell’Aeronautica, Antonio Muzio, viene ucciso con tre colpi di pistola a Vibo Valentia; nell’anno della strage di Ustica prestava servizio alla torre di controllo di Lamezia terme. Segue, il 2 febraio 1992, l’incidente stradale in cui rimane vittima il maresciallo Antonio Pagliara: negli anni Ottanta era in servizio a Otranto con funzioni di controllo per la Difesa Aerea.
Il 12 gennaio 1993 viene ammazzato a Bruxelles l’ex generale Roberto Boemio, testimone – chiave. L’alto ufficiale aveva collaborato su Ustica con la magistratura e le modalità dell’omicidio secondo la magistratura belga coinvolgono “i servizi segreti internazionali”.