Intervista a Salvatore Mercadante su Henri Cartier-Bresson

Con Henri Cartier-Bresson nasce la “teoria del momento decisivo“: il fotografo ha il compito di cogliere la vita di sorpresa. In lui convivono la passione per la fotografia e per la pittura, a cui si dedica verso la metà degli anni Sessanta. La sua fotografia artistica si basa sull’osservazione continua della vita quotidiana. Immagini senza posa, caratterizzate da realismo e spontaneità e che regalano allo spettatore una misteriosa armonia.

Henri Cartier-Bresson
Una foto di Henri Cartier-Bresson con la sua macchina fotografica

«La fotografia non è come la pittura. Vi è una frazione creativa di un secondo quando si scatta una foto. Il tuo occhio deve vedere una composizione o un’espressione che la vita stessa propone, e si deve saper intuire immediatamente quando premi il clic della fotocamera. Quello è il momento in cui il fotografo è creativo. Oop! Il momento! Una volta che te ne accorgi, è andato via per sempre.».

E’ questo il pensiero del grande fotografo francese, Henri Cartier-Bresson, nato a Chanteloup-en-Brie, un piccolo paesino a pochi passi da Parigi, il 22 agosto del 1908, e morto il 3 agosto del 2004 a Céreste, lasciando al mondo le sue immagini. Per tutta la sua vita ha utilizzato una macchina fotografica 35 mm Leica con un obiettivo di 50 mm.

Foto famose di Bresson

Tra gli scatti più famosi ci sono: Marilyn Monroe sul set del film di John HustonThe Misfits“, Nevada-Usa,1960, Albert Camus, Parigi, 1944, Dessau. Germania, aprile 1945, Alberto Giacometti nella Galleria Maeght. Parigi, 1961, Hyères (Francia), 1932, Srinagar, Cachemire. India, 1948, Domenica sulle rive della Marna. Francia, 1938, Henri Matisse a casa – Matisse, Via Mouffetard. Parigi, 1952, Dietro la stazione Saint-Lazare. Parigi, 1932, Truman Capote a New Orleans. Stati Uniti, 1947.

Quella che segue è un’intervista al fotografo palermitano Salvatore Mercadante sull’arte fotografica di Bresson.

Salvatore Mercadante
Salvatore Mercadante

Intervista

D: Bresson diceva che “ci sono scuole per qualsiasi cosa, dove si impara di tutto e alla fine non si sa niente, non si sa niente di niente. Non esiste una scuola per la sensibilità. Non esiste, è impensabile. Ci vuole un certo bagaglio intellettuale“. Lei cosa ne pensa?

R: Impossibile trovarsi in disaccordo con un uomo che è stato definito “L’occhio del 900“. Ogni volta che mi trovo a leggere di lui rimango colpito dalla efficacia e dalla profondità, ogni sua considerazione la sviluppo dentro di me facendone oggetto di riflessioni.

In questi giorni ho avuto modo di valutare l’importanza dello studio, non inteso però come viene fatto spesso, l’ho inteso come sinonimo di libertà di esprimersi, libertà di sorprendersi e di sorprendere creando quel terreno fertile per coltivare quella sensibilità che fa parte del bagaglio culturale di ognuno di noi. La stessa scelta di fare un percorso di studi è manifestazione di quella sensibilità che non ci fa smettere di meravigliarci.

Certo ognuno ha poi una sensibilità e ci sono tante scuole.

Lo studio inoltre ci libera da quel vincolo uomo/macchina, che spesso limita la ricerca dell’attimo tanto a cuore a Bresson e che credo sia presente in tutta la storia fotografica del Novecento.

La capacità di vedere comunque non si impara sui banchi di scuola, in un laboratorio fotografico o in un qualsiasi ambito fotografico, credo che la sensibilità possa portare semmai allo studio come ricerca e mai viceversa.

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D: E ancora affermava: “Quando mi interrogano sul ruolo del fotografo ai nostri tempi, sul potere dell’immagine, ecc. non mi va di lanciarmi in spiegazioni, so soltanto che le persone capaci di vedere sono rare quanto quelle capaci di ascoltare“. Qual è, secondo lei, il potere dell’immagine?

R: La capacità di vedere, come la capacità di ascoltare sono peculiarità rare, viviamo in un periodo di “iperfotografismo”, i social network ed i media ci sommergono di immagini costantemente, mi viene in mente un sondaggio di alcuni giorni fa in cui un social network si cercava di capire quanti rispondevano per il solo fatto che il messaggio era accompagnato da un’immagine o meno.

Ad oggi la fotografia ha avuto una enorme evoluzione soprattutto nei numeri, diventando essa stessa immagine di una società che cambia.

Tralasciando ogni critica e l’aspetto che riguarda la velocità con la quale raggiunge ogni punto del mondo, vorrei porre l’attenzione sulla capacità di legarla attraverso semplici link a tutte le informazioni necessarie alla sua comprensione donando all’immagine un grande potenziale espressivo tale da rappresentare un evento meglio di mille parole o dibattiti. La sua diffusione, se è vero che permette a chiunque di avere una fotocamera performante non intacca i principi cardine della fotografia lasciando a chi sa vedere la capacità di emozionare.

D: Bresson sottolinea: “Guardi certi fotografi di oggi: pensano, cercano, vogliono, in loro si avverte la nevrosi della nostra epoca attuale… ma la gioia visiva, quella in loro non la sento. Si sentono delle ossessioni, il lato morboso, a volte, di un mondo suicida“. Lei cosa pensa in merito?

R: La fotografia nell’uso comune ha avuto una diffusione talmente vasta che sembra subire tutto l’influsso del valore economico. È un mezzo di sostentamento, di apprezzamento, di valorizzazione del proprio pensiero, molti acquistano in base a quello che il mercato vuole e non in basa alle proprie esigenze. L’autore in questione in una sua citazione afferma : “In realtà la fotografia di reportage ha bisogno solo di un occhio, un dito, due gambe“.  Del resto la complessità del mezzo fotografico potrebbe condizionare la nostra  capacità di ricerca e scelta dell’attimo decisivo. Tutto questo “apparire” ha fatto dimenticare il piacere di vedere… 

D: Quanto è importante la tecnica per un fotografo? Lo studio è fondamentale?

R: Lo studio è fondamentale quando coltiva la nostra sensibilità. Da piccolo ricordo la mia ossessiva voglia di fare con la mia polaroid e l’ammirazione per le mitiche macchine 6×6… iniziai a studiare da autodidatta, alcune fotografie mi lasciavano indifferente altre mi emozionavano fino alle lacrime, alcuni autori dimostravano una profonda sensibilità ma anche una consapevolezza dello scatto, della composizione, della formazione… Alcuni avevano sviluppato delle tecniche sensazionali, ricordo i libri letti e le prove fatte.  Perfino lo studio del corpo macchina diventa fondamentale per gestire il tempo di reazione durante lo scatto. Fondamentale non trovarsi impreparati di fronte a quell’attimo che Bresson mise al centro della sua fotografia.

Ritengo pertanto lo studio, insieme alla capacità di emozionarsi, il valore fondamentale di ogni fotografo.

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Serena Marotta

Serena Marotta è nata a Palermo il 25 marzo 1976. "Ciao, Ibtisam! Il caso Ilaria Alpi" è il suo primo libro. È giornalista pubblicista, laureata in Giornalismo. Ha collaborato con il Giornale di Sicilia e con La Repubblica, ha curato vari uffici stampa, tra cui quello di una casa editrice, di due associazioni, una di salute e l'altra di musica, scrive per diversi quotidiani online ed è direttore responsabile del giornale online radiooff.org. Appassionata di canto e di fotografia, è innamorata della sua città: Palermo.

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