Opere prime di Paolo Salvati
Pensieri liberi su intuizioni artistiche: espressione forma e sintesi dell’arte nelle opere prime di Paolo Salvati
Entrare in contatto con l’opera di Paolo Salvati, significa necessariamente abbandonare la propria anima alla straordinaria bellezza intuitiva dell’arte.
Fare arte, come affermato dal filosofo Benedetto Croce, è un evento che esprime l’intensità intuitiva dell’artefice, che agisce in piena libertà seguendo il principio di autonomia dell’arte, intrinseco nel principio spirituale che presiede il processo costituente.
A partire dalla metà degli anni Settanta, tuttavia, gli artefici del fare artistico iniziarono a incontrare i primi ostacoli, espressivi e contenutistici, determinati a seguito delle nuove regole imposte dal mercato dell’arte, e dalla governance che ne è a capo.
Paolo Salvati, Maestro indiscusso della Storia dell’arte moderna e voce cromatica del secondo espressionismo romano, si accorse immediatamente dell’impoverimento che il mercato e il denaro inflissero all’arte e alla purezza ed eccezionalità dei suoi attori e dei suoi prodotti.
La produzione artistica dell’artista romano, a partire dagli anni Settanta, si concentra sulla personale e chiara dichiarazione d’intenti, rispetto al panorama artistico contemporaneo. L’arte come narratrice dell’uomo e del mondo, devia la sua funzione verso necessità “commerciali” cui è chiamata a rispondere, inglobando in un meccanismo consumistico e globalizzato le tendenze degli artefici del mestiere. Pochi sono gli artisti che resistono alla tentazione, saldamente ancorati al fine puro e intrinseco del “fare arte”, e dunque raccontare dell’uomo, in senso profondamente intimo: sono i Grandi Maestri, lucciole rare in un contemporaneo artistico deformato.
E nel scegliere di non sottostare alle moderne leggi di mercato, lo scotto da pagare è certamente una definitiva esclusione dalla “vetrina” della critica e dei connoisseurs, limitando il proprio linguaggio ai pochi seguaci di un’arte pura.
Paolo Salvati, volendo difendere fortemente la propria integrità come artista e come uomo, decise di tutelare la sua opera dalle moderne sfumature conferite all’arte. E sarà lui stesso, nei suoi ultimi anni di produzione, ad affermare che:
Paolo Salvati fu un Grande Maestro, scoperto tardi dalla critica e dagli artefici dell’arte, ma prima di tutto fu un Grande Uomo, nel senso profondo del termine, e la sua produzione racconta i pensieri intimi di un anima grande che trovò rifugio nell’arte per dar voce alla sua essenza.
Secondo il pittore statunitense Jackson Pollock (Cody, 28 gennaio 1912 – Long Island, 11 agosto 1956), “dipingere è azione di autoscoperta” e “Ogni buon artista dipinge ciò che è”.
Indiscussa l’adesione di Paolo Salvati all’assunto di uno dei massimi esponenti dell’espressionismo astratto e Action painting, autore di una delle pagine più interessanti , e controverse, della storia dell’arte moderna americana.
Per l’autore romano, infatti, in un presente intriso di “sottocultura artistica” l’arte rappresenta il luogo sicuro in cui lasciar trasparire la propria libertà, sfondo prediletto per firmare attraverso il colore il più personale degli autoritratti.
Una lunga premessa per un piacevole viaggio tra alcune opere prime del Grande Maestro romano.
Un viaggio emozionante, attraverso i colori e le emozioni di Paolo Salvati, che vorrei inaugurare con un’opera del 1974, significativa per la titolazione che porta, e per la chiarezza espositiva della tavolozza cromatica.
Evasione di un artista è un preludio alla vivacità cromatica e serenità espressiva dell’ultima produzione di Paolo Salvati.
Composizione, inquietudine cromatica e di tratto, indefinitezza del contesto, rimandano alla più importante opera conosciuta di Edvard Munch, simbolista e precursore dell’arte espressionista.
Segnato da una vita complicata e particolarmente intrisa di malessere interiore, il pittore norvegese nel 1893 dipinse L’urlo, opera confluita nella serie Il fregio della vita, con la volontà di esplorare i temi principe dell’essere umano: vita, amore, paura, morte, malinconia ed ansia. E ognuno di questi aspetti è indagato nella composizione, nella disegno come nella resa cromatica. Un’indagine cruda, senza possibilità di sfumature, che conferma la caducità e finitezza della condizione umana.
L’uomo e artista Paolo Salvati, drammaticamente convinto della “disfatta del colore” e “della profondità artistica”, voluta dall’arte contemporanea, generatrice di meteore e povera di Grandi Maestri, in Evasione di un artista si trova a dover affrontare Se stesso, continuando a sperare nella rigenerazione finale dell’animo con l’infinito, oltrepassando il dato fisico della natura umana e guardando verso un trascendente imminente e necessario, appena accennato nel viola sull’orizzonte del cielo.
L’opera definisce la condizione di profonda inquietudine e senso di incertezza vissuto da chi decide di non scendere a compromessi con le regole di un presente sempre più impersonale, decidendo di salvaguardare la propria integrità interiore.
Il primo passo verso un nuovo respiro per l’anima, Paolo Salvati lo manifesta in tre opere diverse, unite dalla simbologia del soggetto rappresentato. Parliamo di Montagna Blu su Fronde Rosse (DATA), Montagna Gialla (1991) e Pietra Blu (2000- 2008).
Il parallelo,in questo caso, è doveroso con una delle prime serie realizzate da Paolo Salvati, e certamente una delle più intimamente sentite e vissute.
A partire dal 1973, infatti, il pittore romano iniziò a sperimentare il colore dipingendo una tela con una grande pietra centrale, spigolosa e di colore blu, abbracciata da una natura selvaggia e tormentata. È il viaggio della vita di ogni singolo uomo, fatto di ostacoli da superare e sfide da affrontare, attraverso sentieri spesso impervi e pericolosi.
Nelle prime opere della serie, si legge chiaramente il peso dell’esistenza umana, fatto di amore, gioie, fatiche, dolori e lacrime, che si deve necessariamente vivere e affrontare, per arrivare alla consapevolezza di una serenità trascendente e ultima.
Evoluzione del tema della Pietra Blu sarà la serie delle Montagne, fortemente influenzata dalla spettacolarità cromatica della serie Fronde Rosse. Nelle opere realizzate a partire dagli anni Novanta, sembrano riecheggiare le parole di Paolo Salvati, convinto che “ancora oggi il colore è il [..] vero ed unico amico, che [..] consola senza mai rimproverarmi”.
I toni si fanno delicati, i paesaggi morbidi, e i cieli si riempiono di luce. L’opera si carica di poesia espressiva, il peso dell’esistenza è stato affrontato e inglobato in una sensazione di pace eterea. Si sciolgono le catene della sofferenza e del dolore, giungendo alla consapevolezza che, come afferma lo scrittore statunitense Richard Bach, “ciascuno di noi è in verità, un’immagine di un grande gabbiano, un’infinita idea di libertà, senza limiti”. (Cit. Il gabbiano Jonathan Livingston)
Paolo Salvati non si piega alle regole del mercato, conservando la propria integrità come uomo e come artista, e contrasta la disfatta del colore impressa nell’arte contemporanea rifugiandosi nel colore stesso, unico strumento per dare concretezza materica e visiva alla libertà dell’anima e alla personale idea di arte.
Atmosfere trascendenti , invece, caratterizzano la serie dei sogni (Sogno di Primavera d’alta montagna, 1974; Sogno d’estate, 1975; Sogni di Primavera, 1994) che trasportano l’occhio dello spettatore in una profonda quiete interiore.
La tela si prepara ad accogliere una cascata di colore, a formare le immagini. Immagini appena accennate, che al tema delle stagioni assegnano il ruolo di narratore dei sogni. Sono sogni interiori, espressioni della pace finale raggiunta dal Grande Maestro che, stremato di fatica per gli innumerevoli ostacoli imposti dalla vita, tuttavia nel colore riesce a trovare respiro e valido rifugio, dove poter essere se stesso, senza maschere da indossare. I colori a olio e il supporto in tela sono per Paolo Salvati come il calamaio e la pergamena per il poeta, strumenti per ottenere il medesimo scopo: creare poesia, l’artista attraverso il colore, il poeta mediante le parole.
Il ricordo impressionista, in queste opere, è evidente, soprattutto facendo riferimento alla serie intitolata Ninfee. Sogni di paesaggi acquatici, dipinta da Claude Monet a partire dal 1909.
In queste opere l’occhio del maestro impressionista viene assorbito completamente dal vibrante gioco di colori che questi fiori, insieme con il cielo, creano sulla superficie dell’acqua, la quale diviene soggetto dominante quasi assoluto.
Allo stesso modo, Paolo Salvati nel dipingere la serie dei Sogni, si lascia trasportare dal gioco di riflessi che la luce solare determina sulla natura, osservato nei minimi dettagli. E, esattamente come la tecnica impressionista di pittura en plain air, l’artista romano parte dall’osservazione per costruire un’immagine impregnata di sensazioni e di impressioni, facendo del tema del sogno il linguaggio con cui parlare delle percezioni inconsce emerse nel corso del viaggio della vita.
Spaziando tra colori, natura, sogni e orizzonti da decifrare, lo stream of consciousness sull’opera di Paolo Salvati si conclude con tre tele che, seppur abbozzato, vedono la presenza dell’uomo nel contesto del disegno. Una casa, o una serie di abitati, ci parlano dell’elemento umano, che l’artista romano difficilmente utilizza come soggetto parlante della sua arte. E’ infatti attraverso la natura, e le cromie proprie della stessa, che Paolo Salvati ama descrivere la caducità dell’esistenza umana e lo stato d’animo dell’uomo nel corso del viaggio della vita.
Dalla Pastorale (1976), Paese (1978) e Paesaggio inventato (2008), raccontano la presenza umana attraverso una casa, ideologicamente intesa come nido, rifugio, cuore pulsante del vivere quotidiano, luogo in cui il giorno ha inizio e fine. Casa come senso di appartenenza, casa come focolare, casa come famiglia, casa come senso dell’Io.
Nelle opere di Paolo Salvati, tuttavia, l’elemento umano viene rappresentato come appena accennato, come debole presenza sovrastata dal tripudio cromatico della natura che lo circonda.
Dimensione onirica per imbastire il disegno, linee morbide a sottolineare la quiete assoluta a fondamento delle divagazioni sensoriali dell’artista, tinte pastello per assecondare a livello cromatico la narrazione del Se.
La decisione di Paolo Salvati di rimanere fedele al proprio linguaggio artistico, senza piegarsi alle regole del mercato contemporaneo, obbligò l’artista romano alla rassegnata accettazione della messa in disparte della sua arte, troppo potente e poco malleabile dai finti guru del sapere in fatto artistico che dagli anni Settanta modificarono le specifiche attraverso cui dare un significato all’arte.
Il Grande Maestro, dunque, si trovò isolato, decidendo di conferire alle sue opere il compito di tramandare ai posteri il personale messaggio del loro autore. Dalla Pastorale e Paesaggio inventato, dunque, testimoniano il sereno abbandono alla solitudine artistica da parte dell’artista, consapevole che non riuscirà a godere in vita del riconoscimento delle sue opere come capolavori, ma intimamente sicuro che in futuro la sua arte potrà avere giustizia.
La storia, come tutte le scienze, presenta delle leggi, dei principi universali che si ripetono costantemente allo stesso modo e che, come attestato dal filosofo, storico e giurista italiano, Giambattista Vico, nel XVII secolo, costituiscono il punto di riferimento per la nascita e il mantenimento delle nazioni.
Paolo Salvati era profondamente convinto di questo, e questa certezza è conservata nella straordinaria gamma cromatica a vestimento dei due dipinti, che racconta allo spettatore l’integrità di un grande uomo e artista che, nonostante la solitudine, mantiene fieramente vivo il suo linguaggio e il suo credo artistico.
Paese, olio su tela dipinto nel 1978, è sicuramente l’opera che meglio tutte esprime il senso profondo del concetto di abbandono.
Un’immagine intrisa di espressionismo, corrente artistica di cui Paolo Salvati rappresenta uno dei capisaldi, che parte da un dato oggettivo recepito attraverso l’osservazione diretta, per elaborarla in ogni sua sfaccettatura attraverso il sentimento, arrivando a produrre un disegno che esprime le sensazioni più intime e profonde percepite dall’artista attraverso l’osservazione del reale.
L’immagine di partenza è quella di un piccolo paese abbandonato dai suoi abitanti, nell’inevitabile esodo verso le città e verso la speranza di un futuro migliore. Rimane una realtà privata del suo carburante, l’uomo e il suo vivere quotidiano, intrisa della memoria del tempo passato, e destinata a una progressiva morte.
Vediamo una via lunga e stretta, costeggiata da bassi caseggiati. Una strada che volge a un orizzonte indecifrabile e indefinito. In primo piano, anche qui, la natura, sotto forma di cespugli disordinati e un albero, di cui si vede solo il tronco.
Ritornano a memoria le linee e le scelte cromatiche delle serie Albero Blu e Pietra Blu, testamento visivo del credo più intimo di Paolo Salvati.
Il Paese dipinto è espressione del senso di abbandono provato dall’uomo e artista Paolo Salvati, nei confronti di un contemporaneo che parla una lingua troppo diversa da quella dell’artista romano.
Il Grande uomo e il Grande Maestro si trovano descritti nella stessa scena, rappresentati simbolicamente dall’albero blu in primo piano, pronti ad affrontare un viaggio verso un traguardo che solo il cammino potrà rendere noto.
Non è un viaggio fisico, ma piuttosto sensoriale e mentale, alla scoperta del Se e alla ricerca di risposte alle domande ataviche dell’essere umano: chi siamo? Da dove veniamo? Dove siamo destinati a proseguire il cammino?
Paolo Salvati non vuole imporre risposte ai quesiti che ognuno di noi si pone ma, attraverso l’arte, vuole condividere le sue personali risposte, lasciando all’opera il compito di portarne memoria per il futuro.
Pier Paolo Pasolini, firma essenziale della storia artistica del Novecento, affermò che:
La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza.
Paolo Salvati, attraverso la sua arte, riuscì a trasformare la debolezza della solitudine in straordinaria forza espressiva, capace oggi di annoverare e riconoscere il grande Maestro tra i principali autori della storia dell’arte contemporanea.
Conoscere l’arte di Paolo Salvati è un viaggio nel cuore della vita e della speranza perché “Vivere senza speranza significa rinunciare a vivere” (Fedor Dostoevskij).