Lezione di piano (opera di Matisse): analisi del dipinto
E’ nel suo studio di Issy-les-Moulineaux, dove si trasferisce alla fine del 1915 dopo aver tentato invano di essere arruolato durante la Prima Guerra Mondiale, che Henri Matisse inizia a studiare le opere dei cubisti e si esercita: l’esprit de géometrie diventa il suo punto di riferimento. Qui si verifica quel cambiamento che vediamo nell’opera “La lezione di piano“, realizzata nel 1916.
La lezione di piano: analisi del quadro
Si tratta di un olio su tela di centimetri 245,1 x 212,7, custodito presso il MoMA, a New York. Si nota, ad esempio, il cambiamento nell’uso delle tinte. Quelle chiare lasciano il posto ai grigi e ai toni cupi, tinte che vanno dal verde al bruno sino al nero. Quindi in quest’opera, Matisse rappresenta il figlio Pierre mentre suona il piano. Proprio suo padre lo costrinse a lasciare il liceo per diventare un artista. Seduta alle spalle del sedicenne c’è, in un alto sgabello, in un disegno stilizzato, Germaine Raynal, la moglie del critico del Cubismo Maurice Raynal.
Nell’opera “La lezione di piano” vengono evidenziate le linee rette e le forme geometriche, in particolare i triangoli, come si nota per la tenda verde, o per il metronomo che è poggiato sul piano in evidenza e anche sull’ombra che copre l’occhio destro del figlio pianista.
Tutto è rappresentato in una grande stanza costituita da astratte linee geometriche con una finestra ampia che lascia intravedere un prato verde stilizzato. Poi vi è una piccola scultura con “Figura decorativa” (realizzata nel 1908), che è in primo piano in un angolo a sinistra del pianoforte. Questa è realizzata con forme sinuose che vanno a contrastare con l’insieme geometrico. A contrastare il grigio del metronomo c’è un piccolo candeliere dai colori accesi, che si trova sul pianoforte.
Il pensiero di Matisse
In poche righe Matisse riassumeva il suo pensiero:
“Non bisogna considerare il pensiero di un pittore come estraneo ai suoi mezzi, perché è solo nella misura in cui essi lo servono che quel pensiero ha un valore; e quei mezzi devono essere tanto più completi (dico completi, non complicati) quanto più il pensiero è profondo. Per me è impossibile distinguere tra il sentimento che nutro della vita e la forma in cui lo traduco”.
Poi sull’artista il pittore affermava:
“Vedere è già un atto creativo che richiede impegno. Tutto ciò che osserviamo nella vita quotidiana subisce, più o meno, la deformazione prodotta dalle abitudini acquisite, questione forse più tangibile in un’epoca come la nostra, dove cinema, pubblicità e riviste ci impongono ogni giorno un cumulo di immagini già predisposte, che nell’ordine della percezione sono un po’ come il pregiudizio nella sfera dell’intelligenza. Lo sforzo che ci vuole per liberarsene esige una sorta di coraggio; e questo coraggio non può mancare all’artista, che deve vedere ogni cosa come fosse la prima volta”.
E ancora il suo concetto di semplicità e dei mezzi:
“I mezzi che usiamo per dipingere non sono mai troppo semplici. Per parte mia ho sempre mirato a diventare più semplice. La semplicità assoluta coincide con la massima pienezza. E il mezzo più semplice per quanto concerne la visione, libera al massimo grado la percezione dello sguardo. Alla lunga solo il mezzo più semplice è efficace. Ma serve coraggio per diventare semplici, da sempre. Credo che nulla al mondo sia più difficoltoso. Chi lavora con mezzi semplici non deve temere di apparire banale.”