L’Infinito di Leopardi: testo, analisi, importanza e storia
“L’Infinito” è la prima delle poesie che Giacomo Leopardi pubblicò nel 1815, scritta appunto negli anni della sua gioventù. È composta da 15 endecasillabi sciolti. La lirica indica nel titolo il tema che sarà sviluppato. Le stesure definitive risalgono al 1818-1819; la poesia è stata poi inserita negli Idilli, pubblicati nel 1926.
È un quadro tutto interiore di straordinaria purezza espressiva, dove le limpide immagini naturali sono quasi un pretesto per esprimere una vasta meditazione.
L’infinito: testo della poesia
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare
Analisi
Il poeta è sul colle Tabor, a Recanati, detto colle dell’Infinito. Un luogo caro al poeta perché è un posto solitario e silenzioso, dove si può sognare e meditare. Leopardi è seduto sul colle, una siepe non gli permette di guardare e spaziare sino all’estremo orizzonte. Questo limite dato dalla siepe, permette però al poeta di lasciarsi andare con l’immaginazione.
Si aprono così spazi sterminati, silenzi sovrumani, superiori cioè all’intendimento umano, e una grande quiete. Questa percezione dell’infinito genera nel poeta un senso di sgomento religioso per l’intuizione che egli ha di una realtà che lo trascende (vv.1-8).
Il fruscio delle foglie mosse dal vento, lo richiama alla realtà: il poeta fa quindi un confronto tra l’infinito silenzio dello spazio, le stagioni (età) passate e la stagione presente e viva.
Questo confronto dà al poeta l’intuizione dell’infinito temporale, l’idea stessa dell’eternità. In un primo momento, la percezione dell’infinito, suscita nel poeta un senso di paura, ma poi passa alla dolcezza del “naufragare”, del perdersi in esso, perché la percezione dell’infinito gli fa perdere, per qualche istante, il senso dei limiti in cui egli come uomo è chiuso, dandogli il senso di una realtà infinita, eterna.