greci antichi Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 24 Nov 2023 13:07:43 +0000 it-IT hourly 1 Le 12 fatiche di Ercole https://cultura.biografieonline.it/ercole-12-fatiche/ https://cultura.biografieonline.it/ercole-12-fatiche/#comments Fri, 24 Nov 2023 11:52:47 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22264 Le 12 fatiche di Ercole, detto Eracle in greco, sono delle storie che fanno parte della mitologia greca. Si ipotizza che siano state unite in un unico racconto chiamato L’Eracleia dall’autore Pisandro di Rodi, intorno al 600 a.C. Purtroppo però nulla si sa di certo perché questo testo è andato perduto. Certamente sappiamo che le storie sono state tramandate oralmente e sicuramente in un primo momento in maniera distinta. Esse raccolgono tutte quelle imprese che l’eroe Ercole ha dovuto compiere per espiare il peccato di aver ucciso sua moglie e i suoi figli durante un attacco d’ira. Tale condizione fu scatenata dalla dea Era per gelosia nei suoi confronti.

Ercole - Eracle - Dodici fatiche - Leone di Nemea - 12 fatiche di Ercole
Illustrazione: Ercole sconfigge il Leone di Nemea nella prima delle sue dodici fatiche. Esiste anche un riferimento astrologico con la Costellazione del Leone.

La nascita di Ercole

Ercole nacque da una relazione tra sua madre Alcmena, moglie di Anfitrione re di Tirinto, e Zeus, re degli dei. Quest’ultimo si innamorò della fanciulla e, per possederla, decise di assumere le sembianze del marito per una notte, così da potersi introdurre nel suo letto senza destare sospetti. Da questa relazione nacque Eracle, chiamato poi Ercole nella mitologia romana. Era, la moglie di Zeus, era molto gelosa del bambino che suo marito aveva avuto da un’altra donna e per questo rese la vita impossibile al fanciullo sin da quando aveva una tenera età. Mise due serpenti velenosi nella culla del bambino, che però fu così forte – la forza è la caratteristica principale dell’eroe Eracle – che riuscì ad ucciderli.

L’Oracolo di Delfi

L’ira di Era non si placò nel corso degli anni, anzi restò sempre vivida: fu a causa sua che l’eroe ebbe un attacco di rabbia e, in preda a questo sentimento, uccise la moglie Megara e i loro otto figli. Dopo questo evento, egli volle suicidarsi ma il suo amico Teseo e il re Tespio lo convinsero a recarsi presso l’oracolo di Delfi per purificarsi.

L’Oracolo consigliò all’eroe di mettersi al servizio del re di Argo, Micene e Tirinto, Euristeo. Egli fu colui che gli ordinò di eseguire le dodici fatiche, nell’arco dei dodici anni in cui sarebbe rimasto al suo servizio. Euristeo era però la persona che aveva usurpato il trono, posto che sarebbe invece spettato di diritto ad Ercole. L’eroe quindi provava un forte risentimento nei confronti di Euristeo. Se avesse superato queste prove, Eracle-Ercole avrebbe ottenuto l’immortalità.

Le 12 fatiche di Ercole: l’elenco

Le dodici imprese che Ercole dovette compiere sono nell’ordine:

  1. L’uccisione del leone di Nemea

    Eracle doveva cercare questo leone che terrorizzava la gente e che viveva nella zona compresa tra Micene e Nemea. Riuscì nell’intento strangolandolo con la forza delle sue mani. Con la pelle dell’animale (che aveva il dono dell’invulnerabilità) si cucì poi un mantello.

  2. L’uccisione dell’immortale Idra di Lerna

    Questo mostro, l’Idra di Lerna, era un serpente enorme che viveva in una palude. Aveva sette teste e non appena venivano recise, ricrescevano. Ercole riuscì a sconfiggerlo bruciando i tronconi da cui spuntavano le teste e schiacciandolo con un masso.

  3. La cattura della cerva di Cerinea

    La cerva era l’animale sacro ad Artemide, dea della caccia, e aveva il potere di incantare chiunque la inseguisse, conducendolo in luoghi dai quali non avrebbe più fatto ritorno. Ercole riuscì a condurre la cerva di Cerinea al re, ferendola leggermente. Euristeo rimase stupito della riuscita dell’impresa. Rimise poi la cerva in libertà per non far infuriare la dea Artemide.

  4. La cattura del cinghiale di Erimanto

    Ercole riuscì a catturare il feroce cinghiale di Erimanto che stava devastando la regione dell’Attica.

  5. Ripulire in un giorno le stalle di Augia

    Le stalle di Augia non venivano pulite da circa trent’anni. Ercole riuscì a portare a termine l’impresa in un solo giorno, deviando il corso di un fiume.

  6. La dispersione degli uccelli del lago Stinfalo

    Gli uccelli stavano devastando la regione del lago di Stinfalo cibandosi di carne umana. Erano uccelli mostruosi, con penne, becco ed artigli di bronzo. Con le loro penne che fungevano da dardi erano capaci di trafiggere mortalmente le loro vittime. Avevano inoltre un finissimo senso dell’udito. Ercole per sconfiggerli sfruttò proprio questa caratteristica. La dea Atena donò all’eroe delle potenti nacchere (o sonagli) di bronzo, il cui suono rese i mostruosi uccelli vulnerabili. Uccise così buona parte dello stormo utilizzando frecce avvelenate con il sangue dell’Idra di Lerna. Gli uccelli sopravvissuti invece volarono via per sempre.

  7. La cattura del toro di Creta

    L’eroe riuscì a catturare la terribile bestia, il toro di Creta, che stava creando molti problemi nell’isola. Vi riuscì grazie all’utilizzo di una particolare rete da lui costruita.

  8. Il rapimento delle cavalle di Diomede

    Le terribili cavalle di Diomede venivano nutrite con carne umana. Ercole riuscì a catturarle dopo aver ucciso il proprietario. Questi venne divorato dai suoi stessi animali.

  9. La presa della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni

    La richiesta relativa alla nona fatica di Ercole venne da Admeta, figlia di Euristeo. Ella desiderava la bellissima cintura d’oro della regina delle Amazzoni, Ippolita. L’oggetto, che le era stato donato dal padre Ares, la rendeva fortissima. Ercole partì con alcuni eroi, tra cui Teseo (anch’egli protagonista di 6 mitologiche fatiche), e riuscì ad ottenere la preziosa cintura dopo una battaglia con le terribili donne guerriere. Queste erano inoltre state spinte da Era ad odiarlo.

  10. Il rapimento dei buoi di Gerione

    Gerione fu un mostro con tre teste e sei braccia. I suoi buoi erano ben custoditi ai confini del mondo allora conosciuto. Ercole separò due monti e vi piantò due colonne (le colonne d’Ercole, oggi identificate con lo stretto di Gibilterra) pur di raggiungere gli animali. Nonostante una dura lotta con Gerione, riuscì nell’intento.

  11. La presa delle mele d’oro nel giardino delle Esperidi

    Ercole riuscì ad ottenere le preziose tre mele d’oro, scoprendo dove si trovava il giardino delle Esperidi. Lo fece mettendo in atto un tranello di cui fu vittima Atlante, l’unico a sapere l’esatta ubicazione del luogo.

  12. Portare vivo Cerbero a Micene

    Ercole riuscì con la forza delle sue mani a domare Cerbero, il terribile cane a tre teste che era posto a guardia degli inferi. Una volta giunto a Micene con Cerbero, il re Euristeo però ebbe così tanta paura dell’animale che ordinò ad Ercole di riportarlo indietro. Colpito dal suo coraggio, il re decise che era arrivato il momento di far terminare le fatiche di Ercole, liberando l’eroe dalla sua prigionia.

Le dodici fatiche di Ercole - Ercole e le tre mele d'oro - Eracle e Atlante
A sinistra Ercole con i tre pomi d’oro. A destra Atlante, che sorregge il mondo sulle sue spalle.

La metafora delle dodici fatiche di Ercole

Le 12 fatiche di Ercole possono essere interpretate come metafora di un cammino spirituale e di purificazione. Esse sono 12 perché nella più famosa rappresentazione scultorea nel tempio greco dedicato a Zeus ad Olimpia, sono appunto rappresentate in 12 metope (elementi architettonici del fregio dell’ordine dorico dell’architettura greca e romana).

Le leggende che circolavano intorno all’eroe e alle sue dodici fatiche, divennero poi famose nel corso dei secoli. Esse sono state narrate in particolare nella Teogonia di Esiodo e in numerose tragedie, sia di Sofocle che di Euripide. La fama dell’eroe Eracle-Ercole è rimasta intatta fino ai giorni nostri, grazie al suo coraggio e alla sua forza ma soprattutto al suo voler sfidare la morte.

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Venere di Milo: storia, descrizione e significato dell’opera https://cultura.biografieonline.it/venere-di-milo/ https://cultura.biografieonline.it/venere-di-milo/#comments Tue, 03 Oct 2023 17:44:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17625 Scultura di marmo, la Venere di Milo è una statua greca tra le più note e famose del mondo. Estremamente riconoscibile e simbolica è priva delle braccia e del basamento originale. La giovane Venere ritornò al mondo solcando le smarrite strade di un’età ormai perduta, vestita di una nobiltà marmorea e spogliata dal profano limite temporale, quale divinità scultorea di una bellezza bianca e immensa.

Venere di Milo - scultura
La Venere di Milo è una delle sculture più celebri della storia dell’Arte

Capelli raccolti, larghi fianchi fecondi e uno sguardo che ancora oggi colpisce nel complesso di una nudità incompleta ma sensuale, priva dell’illusorietà dell’imbelletto effimero, si fa effige di un’arte suprema, senza raffronti, nella crudele mutilazione del corpo solido che non eclissa l’originaria stupefacente bellezza, ma che paradossalmente fa della mancanza la via prediletta per comprendere la grandezza.

La “Venere di Milo” (130 – 100 a.C.) è tra le afroditi più suggestive scolpite nelle feconde terre del mondo classico, in quelle calde e brune terre egee, da cui fu rapita per incontrare lo sguardo del dispotismo francese e le pallide sale del Louvre, dove è collocata attualmente, in memoria di quella libertà erotica e sessuale che perse la sua purezza tanto tempo fa.

Quando la scultura diventa realtà, non esiste concezione temporale che contempli l’oblio. La grandezza è destinata a durare, la gloria a generare l’ eternità nella memoria, anche se sepolta.
Quando la polvere sotterra, l’uomo riporta alla luce il passato delle grandi ere umane, fiancheggiando la magnificenza di quella conoscenza nascosta che fa della storia umana il più grande mistero.

Venere di Milo - Louvre
La sala del Louvre in cui è esposra la statua della Venere di Milo

La Venere di Milo: genesi dell’opera

Le grandi scoperte archeologiche legano spesso la celebrità del proprio nome all’inusuale contesto esplorativo, casuale e ben lontano da una progettazione voluta, ma in ogni caso desiderata. La “Venere di Milo” come la “Nike di Samotracia” (190 a.C.) è figlia di un destino inatteso, che vide nell’indegna sepoltura la strada per risorgere e risplendere nuovamente.

Nike di Samotracia
Nike di Samotracia

Le fortuite sorti della Venere ricaddero nelle mani di un contadino che individuò, l’otto aprile del 1820, la scultura nel proprio campo, vicino al teatro antico dell’isola di Milo.
La statua venne fortemente contesa tra Francia e Grecia, fino al trasporto a Parigi per volontà dell’ammiraglio Jules Sébastien César Dumont d’Urville (1790 – 1842) e il Marchese di Rivière, ambasciatore francese alla corte ottomana, che la donò a Luigi XVIII, per raggiungere il Louvre solo un anno dopo, nel 1821.

Al momento della scoperta il marmo era terribilmente danneggiato, separato di netto in due parti era privo di braccia e del piede sinistro, mai ritrovati nonostante le ulteriori spedizioni archeologiche.

Note tecniche e descrittive

Modellata dal mare, custode del potere universale, tu regni sovrastandoci mediante la tua grazia perfetta, attraverso quella tranquillità che già di per sé possiede un’immensa forza. La tua nobile serenità si manifesta ai nostri occhi, affondando nei nostri cuori come il fascino di alcune tombe, come quieta musica.

Così Auguste Rodin (1840-1917) elevava l’esaltante bellezza di una dea impudente, nel motivo filosofico dell’invincibile giovinezza (“invincibile youth“), e dunque nel concetto dotto di arte viva, immutabile nella mutabilità del mondo, quale ideale permeante dell’anima umana.

Con la “Venere di Milo” l’arte diviene poesia, ispirazione e musa di ogni cuore sensibile alla bellezza. Poeti, scultori, filosofi e pittori di ogni epoca e inclinazione culturale posero su di essa le basi di una riflessione intima e appagante, lontana da un indottrinamento accademico, difforme dalla teoria scritta, dai trattati eruditi di una conoscenza studiata, meditata.

L’ideale che diventa forma, in un’emulazione dalla natura che non termina nella semplice imitazione, ma che si arricchisce di un sentimento emergente nella posa, nell’aura comunicativa di uno sguardo parlante.

L’incompletezza si accompagna ai segni testimonianti un rigore quasi scientifico nella resa di un panneggio bagnato, aderente ai fianchi levigati dell’inebriante Afrodite.

Il colore bianco e la poetica

Il bianco, forse un tempo policromo, del manto avvolgente, riecheggia violentemente la magnificenza solenne della Nike di Samotracia, la Vittoria alata che calò trionfante a salvare le umane sorti di un potere quasi sconfitto. Nel confronto appare chiara la straordinarietà delle due realizzazioni scultoree, dissimili e unite dal ideale classico, ricordano al mondo il potere dell’arte, il potere espressivo della figura femminile nell’arte, quale veicolo perfetto a comunicare le umane passioni, nell’armoniosità di un corpo nudo e mai volgare, di una somma bellezza e di una misurata concezione estetica.

La poetica del cuore umano conduce ad apprezzare l’inqualificabile potere di un’arte che si trasforma e che trova nei suoi pezzi mancanti il simbolo di ideali più alti e didascalici.

Quello che più colpisce la sensibilità dell’osservatore è proprio l’assenza, quel vuoto che, pur colmato dalla semplice immaginazione, non intende essere riempito.

La “Venere di Milo”, dono che riserva all’età moderna il sentimento glorioso di un’epoca passata, deve la sua incredibile fama proprio alla singolare combinazione di una perfezione fisica minacciata.

La forza della moderazione trova nelle tornite forme femminili le misure adeguate ad esprimere l’incredibile gioco di luci e ombre, in cui volumi emergono e si ammorbidiscono sotto le direttive luminose e sapientemente studiate della sala espositiva.

Lo sguardo della Venere di Milo

Lo sguardo ruota e avvolge l’intero corpo, quasi potendo cogliere quel movimento, quell’attesa meditativa di un istante bloccato nei recessi del tempo.

La grandiosità del tempo aureo dell’arte scultorea trova ovviamente le basi solide di un eccezionalità constatata, indiscutibile e volgente all’intera orbita delle opere d’arte classica. L’ideale classico trova nella capolavoro di Milo il tempo di elevarsi e di porre svariati quesiti sull’identità del suo autore, sull’ispirazione mitologica generatrice di un’ideale scultoreo che abbandona la rigida frontalità nella scelta di una torsione del corpo nello spazio, in quella posa leggermente riversata all’indietro, nel piede che regge il corpo in un dinamismo perfetto.

Nell’ “Antologia; giornale di scienze, lettere e arti” dell’ottobre del 1832, l’archeologo e abate Battista Zannoni (1774 – 1832) ripercorse varie tesi interpretative allo scopo di configurare un profilo, se pur del tutto mitologicamente identificativo, di colei che ispirò il mondo alla conquista del tempo (“O conqueror of time !“, Rodin).

Le ipotesi fornite dall’abate chiaramente tratteggiano i connotati confusi del volto femminino dei culto greco, dove risulta impossibile stabilire con convinzione chi fosse realmente la Venere rappresentata.

Venere di Milo - dettaglio del volto
Venere di Milo: dettaglio del volto

Ipotesi e teorie

Dal confronto con altre sculture scoperte fino a quel momento e dallo studio del possibile orientamento nello spazio delle braccia verso sinistra, il filosofo, archeologo e critico d’arte francese Antoine Chrysostome Quatremère de Quincy (1755 – 1849) teorizzò la presenza della statua all’interno di un gruppo scultoreo insieme alla figura di Marte, ipotesi che venne confermata e poi screditata dal ritrovamento di un braccio sostenente un pomo, dalle stile nettamente inferiore rispetto alla statua madre.

Una conclusione di questo tipo risultava convincente nel frangente di una connessione che congiungeva gli artefatti archeologici alla mitologia classica, dunque alle vicenda della vendetta di Eris (dea della discordia) ai danni di Atena (dea della saggezza), Era (regina degli dei) e Afrodite (dea della bellezza) e della tragica guerra di Troia.

A questi Marte, a quei Minerva è sprone, e quinci e quindi
lo Spavento e la Fuga, e del crudele
Marte suora e compagna la Contesa
insaziabilmente furibonda

Iliade, cap. IV, Omero

L’attitudine del mondo antiquario era quella di attribuire le opere ripetute entro un certo profilo iconografico ad un gruppo scultoreo originale e dalle qualità stilistiche superiori, giungendo a considerare i gruppi del medesimo motivo originati tutti dalla celebre “Venere di Milo”; per tale motivo si pensò che il volto della Venere delle Cicladi si rassomigliasse a quello della Venere del Museo Pio – Clementino il quale, grazie a due medaglioni imperiali battuti a Gnido, era attribuita a Prassitele (400/395 a.C. – 326 a.C.); fu proprio tale congettura ad indirizzare Quatremère de Quincy all’ipotesi che la scultura fosse uscita dallo studio o dalla scuola dello scultore ateniese.

L’ipotesi del gruppo scultoreo venne ritrattata dall’archeologo francese, nel proponimento di una scultura nata per vivere nella solitaria collocazione e al contempo in una relazione intensa con le statue di altre due dee.

Le qualità espressive della giovane dea sono sublimi, dove la franchezza dello sguardo severo collide con il torso magnificamente nudo, di “un ventre splendido, largo come il mare“.

Venere di Milo
Venere di Milo

Note Bibliografiche

G. Bejor, M. Castoldi, C. Lambrugo, Arte Greca – Dal decimo al primo secolo a.C., Mondadori Education, Milano, 2008
P. Daverio, Louvre, Scala, Firenze, 2016
A. Rodin (1911), To the Venus de Milo, Art and Progress (2), vol. III, 409 – 413.
B. Zannoni (1822), Sulla statua antica di Venere, scoperta sull’isola di Milo, in G. P. Vieusseux, Antologia; giornale di scienze, lettere e arti, vol. VIII, Firenze: 47 – 52

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Panta Rei, riassunto del libro di Luciano De Crescenzo https://cultura.biografieonline.it/panta-rei-de-crescenzo/ https://cultura.biografieonline.it/panta-rei-de-crescenzo/#comments Mon, 04 Sep 2023 06:27:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20529 Luciano De Crescenzo (scrittore, regista, attore e conduttore televisivo italiano) scrisse il saggio “Panta Rei” nel 1994, ispirandosi al pensiero del filosofo greco Eraclito. Nel libro, l’autore finge di sognare il filosofo, uno dei maggiori pensatori presocratici che li espone il suo pensiero. Il libro si suddivide in dodici capitoli. I titoli sono: Blob, Case Chiuse, Sogno, Vita di Eraclito, scritta da lui medesimo, Panta Rei, Logos, Polis, Eros, Stupidità, De caelo, Sapere e, in ultimo, Frammenti.

Panta Rei - Libro - Riassunto - Luciano De Crescenzo
Panta Rei“, copertina del libro di Luciano De Crescenzo • Panta Rei, significa “Tutto scorre

Il pensiero di Eraclito

Inizialmente, altri filologi e storici della filosofia, come Hermann Diels e Walther Kranz, cercarono di interpretare il pensiero del filosofo Eraclito. Cercarono di darne una loro personale interpretazione, seguendo ovviamente un criterio logico. In seguito, tale pensiero venne reinterpretato da altri ricercatori e dallo stesso scrittore Luciano De Crescenzo. De Crescenzo nel suo saggio cerca di cogliere gli aspetti più personali del modo di essere e di pensare di Eraclito.

In “Panta Rei”  l’autore, con l’aiuto di alcuni suoi collaboratori, ha studiato un modo per narrare le gesta, la vita e il pensiero di Eraclito.

Le parole usate sono quelle che lui stesso avrebbe sussurrato in passato. Esse ci arrivano attraverso l’autore napoletano, ancora oggi, come un importante insegnamento filosofico.

Il pensiero di Eraclito resta a volte di difficile comprensione. La causa è probabilmente il suo stile troppo oracolare. Un’altra causa è la frammentarietà nella quale ci è pervenuta la sua opera.

Panta Rei: tutto scorre

Con la celebre frase “Panta Rei” (tutto scorre), l’autore ci introduce il tema del divenire, in contrasto con la filosofia dell’Essere divulgata dal filosofo greco Parmenide. Ed ecco la spiegazione del titolo del libro di De Crescenzo, Panta Rei. Secondo Eraclito, l’uomo non può mai fare la stessa esperienza per due volte consecutive, perché ogni ente terreno, che si trova immerso nella sua realtà apparente, è sottoposto purtroppo alla legge inesorabile del mutamento. Non ci si può bagnare nello stesso fiume per due volte consecutive.

Non a caso Caos è l’anagramma di Cosa o Caso.

Luciano De Crescenzo, all’inizio del libro PANTA REI

Tutto scorre, anche la nostra vita quotidiana e non possiamo fare nulla per cambiare questo dato di fatto. Anche noi stessi cambiamo attimo dopo attimo. Perfino le lancette dell’orologio scorrono velocemente cadenzando il tempo che vola inesorabile, proprio come la nostra vita, anche se spesso noi non ce ne rendiamo conto.

Secondo il discepolo di Eraclito, Cratilo, invece, non sarebbe possibile bagnarsi nemmeno una volta nello stesso fiume. Figuriamoci due.

Riassunto del libro

Il libro Panta Rei di Luciano De Crescenzo si apre con lo stesso scrittore che parla delle sua vita e delle sue esperienze passate. Usa una sorta di flash-back, prima di narrarci il pensiero del filosofo greco.

L’autore poi continua il suo viaggio, sognando il grande filosofo greco Eraclito e lo immagina proprio dove lui è nato, ad Efeso nel 540 A.C. Dopo aver fatto la sua conoscenza, i due iniziano a parlare dei loro pensieri più intimi.

Il dialogo con Eraclito

L’autore inizia a dialogare con il filosofo su tematiche a lui care come, per esempio, quella di tutte le contrarietà esistenti nella nostra vita e nel nostro mondo. Tra queste vi sono il sorriso e il dolore, la pace e la guerra, la morte e la vita, l’amicizia e la contesa ed infine il paradiso e l’inferno.

Luciano De Crescenzo ascolta attentamente le parole del filosofo che lo invita alla riflessione e, nel frattempo, prende appunti. Rimane affascinato dal sapere e dalla capacità oratoria di Eraclito. Da qui, il filosofo inizia ad introdurre il concetto di Logos. A detta di Eraclito, esiste comunque il logos che governa la perenne e costante lotta fra contrari, che “provoca il divenire perpetuo degli stessi enti sensibili”.

Continuando a parlare con Eraclito, De Crescenzo scopre che il simbolo predominante del Panta Rei è il fuoco, ipotizzando che all’interno della materia sia contenuta tanta di quella energia da poter sconvolgere l’intero mondo.

A Napoli

L’autore sposta poi la sua ambientazione letteraria a Napoli. Qui immagina Eraclito in un altro tipo di contesto, totalmente differente dal suo iniziale. Così crea, nei capitoli centrali del saggio, una sorta di dialogo e descrizione quasi comica.

In questo particolare contesto, De Crescenzo e il filosofo compiono un viaggio nella città di Napoli. L’autore mostra al filosofo il suo mondo fatto di automobili, vetrine, mass media, televisori, traffico e tanta gente. Eraclito rimane particolarmente colpito da questo modo di vivere. E’ completamente nuovo ai suoi occhi.

Cosmos, caos e logos

Alla fine del lavoro letterario di Luciano De Crescenzo, troviamo due termini greci fondamentali che ci permettono di comprendere al meglio la filosofia di Eraclito. Essi sono: Cosmos, ovvero l’ordine, e Caos, ovvero il disordine.

Da questi, prende vita il termine Logos, una legge superiore che permette in ogni caso di regolare la lotta fra gli opposti. Ed è proprio la dottrina dei contrari che fa dello stesso filosofo il fondatore di una logica degli opposti, antitetica a quella del filosofo Aristotele.

Eraclito ci lascia così, con la consapevolezza di non essere solo governati dal Caos ma anche dal Cosmos. O, per meglio dire, dal Logos. Il libro dell’autore Luciano De Crescenzo finisce così, in questo modo.

Luciano De Crescenzo
Foto di Luciano De Crescenzo

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Commento all’opera

Il libro Panta Rei ottenne subito un ottimo successo sia in termini di critica che di pubblico. Il motivo del successo fu la capacità dello scrittore di colpire l’attenzione delle diverse fasce di lettori. Lo fece riportando in modo semplice e assolutamente comprensibile il pensiero filosofico del grande filosofo Eraclito.

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L’ira di Achille https://cultura.biografieonline.it/ira-di-achille/ https://cultura.biografieonline.it/ira-di-achille/#comments Tue, 14 Dec 2021 14:18:21 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=37416 L’episodio dell’ira di Achille è uno dei più importanti e famosi di tutta l’Iliade, nonché il filo rosso del poema. È inserito all’interno del primo canto e dà inizio alla vicenda narrata.

Il protagonista è Achille, considerato l’eroe per eccellenza, sempre pronto a combattere e a morire per la gloria. Già nel proemio dell’Iliade La sua ira è definita come funesta, cioè portatrice di dolori: essa provocò molte morti tra i valorosi guerrieri greci, e non solo.

Eroe leggendario

Achille è uno dei protagonisti dell’Iliade, eroe della mitologia greca e combattente leggendario della guerra di Troia. Molti sono i filoni narrativi che si sono sviluppati intorno alle leggende legate alla sua storia poiché era uno dei personaggi più amati per la sua personalità forte e combattiva.

Achille è un semidio, figlio del mortale re Peleo (per questo infatti viene chiamato spesso Pelide – figlio di Peleo) e della ninfa Teti.

Secondo una leggenda, la madre Teti, sapendo che il figlio sarebbe morto sotto le mura di Troia, lo immerse appena nato nel sacro fiume Stige per renderlo invulnerabile tenendolo per il tallone. Per questo motivo il tallone di Achille era l’unico punto debole.

Tallone di Achille: Achille morente, scultura di Filippo Albacini
Achille morente, scultura del 1823 realizzata da Filippo Albacini (Chatsworth House Sculpture Gallery, Inghilterra).

L’eroe ebbe un’ottima educazione e partecipò a molte imprese, ma la più importante, senza dubbio, fu la guerra di Troia alla quale prese parte insieme ai migliori guerrieri greci.

L’episodio che scatenò l’ira di Achille

Nel primo canto dell’Iliade, dopo il proemio, viene spiegato il motivo dell’ira dell’eroe: la guerra fra achei e troiani durava già da 9 anni e la città di Troia, nonostante fosse sotto assedio, continuava a resistere.

Crise, sacerdote di Apollo, si recò al campo acheo per riscattare la figlia Criseide, che era stata fatta schiava da Agamennone, capo degli Achei; Crise venne trattato molto male e respinto. Questo rifiuto di Agamennone provocò l’ira del dio Apollo, che per vendetta fece scoppiare una terribile pestilenza fra i greci.

Essi interpellarono l’indovino Calcane per trovare una soluzione: egli spiegò che la pestilenza era proprio dovuta all’ira di Apollo, causata dal rifiuto di restituire Criseide, tenuta come schiava. Quindi l’unica cosa da fare per fermare l’epidemia era quella di restituire la fanciulla a suo padre.

Agamennone prima si infuriò poi decise di cedere, a patto che gli venisse ceduta Briseide, la schiava del suo guerriero più forte: Achille.

Da qui si scatenò quindi l’ira dell’eroe.

Achille, dopo aver ascoltato la richiesta di Agamennone, pronunciò un discorso contro di lui chiamandolo ubriacone e vile, comandante di uomini da nulla.

Decise quindi di ritirarsi dalla battaglia e pronunciò una minaccia:

« verrà il giorno in cui i figli degli achei avranno bisogno di Achille sul campo di battaglia perché saranno minacciati dalla mano di Ettore omicida e tu, Agamennone, non potrai fare nulla, perché negasti l’onore al più forte dei guerrieri achei ».

Dall’ira alla vendetta

Senza l’aiuto di Achille il campo acheo sembrava subire l’avanzata dei troiani, quasi pronti a dar fuoco alle navi.

La situazione stava precipitando, ma Achille restò irremovibile: Patroclo, il suo migliore amico, decise quindi di scendere in battaglia; Achille gli donò le sue armi.

Patroclo venne scambiato per Achille da Ettore, che lo uccise.

Fu per questo motivo che l’eroe decise di tornare sul campo di battaglia e vendicare così la morte del suo amico.

Seguirà poi lo scontro cruento tra Achille ed Ettore.

L’ira di Achille nell’arte e nella cultura

L’ira di Achille è stata rappresentata nella storia dell’arte da molti pittori. Tra i quadri più importanti e intensi spicca il dipinto La furia di Achille, del pittore francese Charles-Antoine Coypel, realizzato nel 1737.

L’eroe si trova al centro del dipinto. Alle sue spalle c’è la dea Atena che cerca di fermarlo, ma lui calpesta e travolge corpi per dare sfogo alla sua rabbia.

La furia di Achille, quadro di Coypel, 1737
La furia di Achille (Coypel, 1737)

Achille è l’unico ad indossare un’armatura, proprio per sottolineare la differenza tra la sua furia e gli altri personaggi nudi e disarmati.

Un’altra opera è quella di Giambattista Tiepolo.

Atena impedisce ad Achille di uccidere Agamennone. Dettaglio del quadro di Giambattista Tiepolo
Atena impedisce ad Achille di uccidere Agamennone. Dettaglio dell’opera di Giambattista Tiepolo (1757) – Villa Valmarana ai Nani, Vicenza

A teatro L’ira di Achille è un’opera in due atti di Giuseppe Nicolini, su libretto di Felice Romani. La prima rappresentazione ebbe luogo al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre 1814.

Il cinema ha narrato molte volte i classici greci: tra le opere apparse sul grande schermo ricordiamo L’ira di Achille (film del 1962 di Marino Girolami) e il celeberrimo Troy (2004, di Wolfgang Petersen).

La storia di Achille è stata raccontata anche in prosa, in anni recenti, dalla scrittrice Madeline Miller nel libro La canzone di Achille (2019); il libro pone l’accento su Achille uomo e non eroe; l’autrice ricostruisce la sua vita proprio a partire dall’amore trai due giovani, Achille e Patroclo, narrato in maniera naturale e intensa.

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Il mito di Zeus: riassunto https://cultura.biografieonline.it/zeus-mitologia/ https://cultura.biografieonline.it/zeus-mitologia/#comments Sun, 07 Nov 2021 10:28:58 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21971 Secondo la mitologia greca, Zeus è il re di tutti gli dei che governa il mondo dal Monte Olimpo. La sua sposa è Era. Ella però lo tradiva spesso e volentieri sia con uomini che con donne mortali e non, generando figli illustri che diventavano poi eroi. Questa divinità, a capo di tutti gli dèi, era anche venerata dai Romani col nome di Giove e dagli Etruschi col nome di Tinia.

Zeus

Il mito di Zeus è stato tramandato nel corso dei secoli prima oralmente, così come tutti gli altri miti greci. Poi in forma scritta, proprio a partire da Esiodo e dalla sua Teogonia, un poema che racchiude tutta la genealogia dei miti stessi e che ebbe una diffusione straordinaria. È infatti impossibile narrare la storia di Zeus senza conoscere la storia dell’origine del mondo, seguendo la già citata Teogonia.

L’origine del mondo

All’origine del mondo Gea, la Terra, generò Urano, ovvero il cielo stellato. Poi tutti gli altri elementi come i monti, il mare e i fiumi. Insieme ad Urano generò i Ciclopi, i Centimani e i Titani, che vennero confinati nel Tartaro. Il Tartaro era una sorta di luogo remoto nelle profondità della terra.

Uno solo di loro si salvò dal confino: Crono. Una volta cresciuto, Crono evirò suo padre e prese il potere sulla terra. Egli sposò Rea, una delle sue sorelle, da cui ebbe sei figli: Estia, Demetra, Era, Poseidone, Ade e Zeus. Per paura che qualcuno dei suoi figli potesse spodestarlo dal trono, egli decise ingoiarli appena nati. Zeus, l’ultimogenito, riuscì però a salvarsi grazie alla madre. Ella fece ingoiare a Crono una pietra invece del bambino, che poi nascose.

La vita e il mito di Zeus

Le versioni sulla sua infanzia e sulla sua crescita sono molte. Alcune affermano che egli sia stato educato dalla nonna Gea. Altre che fu allevato da una capra. Altre ancora raccontano che ad allevarlo sarebbe stata una Ninfa. L’unica verità comune è che egli fu l’unico dei figli di Crono che riuscì a salvarsi.

Una volta cresciuto, con uno stratagemma egli riuscì a far vomitare a suo padre Crono tutti i suoi fratelli. Zeus iniziò così una guerra contro il padre e gli altri Titani (Titanomachia). Al suo fianco ebbe l’aiuto dei Ciclopi, liberati dal Tartaro. Insieme riuscirono a sconfiggere Crono. Dopo la battaglia, Zeus decise di spartire il trono con i suoi fratelli, sorteggiando le diverse parti del mondo.

A Poseidone toccò il regno delle acque. Ad Ade il regno dei morti. A Zeus il regno dei cieli e l’aria. La terra venne divisa invece in parti uguali. Da quel momento Zeus iniziò a regnare sul Monte Olimpo, considerato sacro dai Greci. Sul monte vivevano tutte le divinità. Il re degli dei, per prima cosa, cercò di riordinare e ricostruire tutto quello che il padre aveva distrutto.

I figli di Zeus e la vita sull’Olimpo

Dal matrimonio con Era nacquero Ares, Ebe ed Efesto. Ma Zeus spesso tradiva la moglie, generando numerosi figli illegittimi. Tra questi i più celebri sono:

Durante queste sue avventure extraconiugali, si tramutava anche in forma animale. Aveva infatti la possibilità di potersi trasformare in qualsiasi cosa volesse.

La moglie aveva un carattere molto iracondo e sfogava la sua rabbia per i tradimenti del marito, vendicandosi sia con le sue amanti che con i loro figli. Questi secondo il mito non avevano vita facile. Nonostante i tradimenti e le ripicche, l’unione di Zeus ed Era rimase comunque salda nel corso del tempo.

Era (Giunone, per i romani) aveva generato il dio Efesto da sola, senza ricorrere ad atti sessuali. Il marito decise di generare a sua volta un figlio senza bisogno di un’altra donna: così nacque Atena, uscendo dal cranio spaccato di Zeus.

Il compito di gestire la vita sul Monte Olimpo non era certo facile per il sovrano degli dèi. Soprattutto perché gli dèi non possedevano un carattere umile. Incarnavano anzi tutti i difetti degli uomini, facendoli emergere ancor di più. Zeus cercava quindi di governare seguendo il buon senso e sedando tutte le liti che si scatenavano quotidianamente.

La sua occupazione preferita, oltre la ricerca delle amanti, era sicuramente banchettare. Famosi erano i sontuosi pranzi che duravano per giorni, organizzati sul Monte Olimpo.

Zeus, causa prima, primo motore. Quali cose sarebbero state fatte dai mortali senza Zeus? (ESCHILO)

Il mito di Zeus: Giove di Smirne (statua conservata presso il Louvre)
Giove di Smirne, statua conservata presso il museo del Louvre. Zeus (Giove) è rappresentato con la folgore in mano.

I simboli

Grazie alla sua importanza e ai numerosi ed enormi poteri che gli venivano attribuiti, Zeus era una delle divinità più venerate dell’Antica Grecia (insieme ad Apollo). A Zeus erano dedicati templi e oracoli in moltissime località quali Dodona, nell’Epiro, Creta, nell’Arcadia e anche in Sicilia (con il nome di Zeus etneo). Il re degli dèi incarna proprio la cultura greca e la sua complessa religiosità.

E’ considerato li dio del cielo e del tuono. I suoi simboli sono la folgore, il toro, l’aquila e la quercia. Nella mitologia si possono trovare molte analogie tra il capo dell’Olimpo e il norreno Odino, così come con lo slavo Perun.

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9 febbraio 2021: è la Giornata Mondiale della Lingua Greca https://cultura.biografieonline.it/9-febbraio-giornata-mondiale-lingua-greca/ https://cultura.biografieonline.it/9-febbraio-giornata-mondiale-lingua-greca/#respond Tue, 09 Feb 2021 14:53:07 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=32649 La lingua e la cultura ellenica permeano la nostra società: basti pensare che molte delle parole di uso comune sono state coniate proprio dagli antichi Greci. Allo scopo di rivalutare e promuovere l’importanza e l’attualità di questa lingua “antica” sempre moderna e della cultura ellenica, è stata istituita la “Giornata Mondiale della Lingua Greca”.

L’edizione 2021 è patrocinata da: Ambasciata di Grecia a Roma, Agenzia ANSA, Ufficio Scolastico Territoriale di Milano, Università degli Studi di Milano, la Società Fillelenica Lombarda, la Federazione delle Comunità e Confraternite Elleniche in Italia.

Le origini di questa Giornata

A lanciare la proposta di una giornata celebrativa della lingua ellenica è stato il professor Ioannis Korinthios, nel 2014. Tre anni dopo, nel 2017, il Governo ellenico ha promulgato ufficialmente l’istituzione di tale ricorrenza, che è stata estesa in tutti i paesi del mondo.

Perchè il 9 febbraio

La scelta della data, il 9 Febbraio, deriva dal desiderio di rendere omaggio al poeta ellenico Dionysios Solomos, morto a Corfù il 9 Febbraio 1857. La sua opera più importante è “Inno alla Libertà”, le cui prime strofe sono state poi traslate nel testo dell’Inno nazionale ellenico, composto dal musicista Nikolaos Mantzaros.

Cultura greca e opere dei filosofi

Nelle aule universitarie e nei centri di studio ellenici in questa giornata si ricordano i principi e i concetti che la nostra cultura ha ereditato da quella greca, attraverso le opere dei più grandi autori e filosofi di tutti i tempi (come Socrate e Platone).

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Il mito di Europa https://cultura.biografieonline.it/europa-mitologia/ https://cultura.biografieonline.it/europa-mitologia/#comments Wed, 05 Apr 2017 10:22:13 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22058 Il mito di Europa è uno tra i più famosi della mitologia greca. La storia è stata tramandata oralmente in origine. Gli avvenimenti descritti potrebbero essere compresi tra il XIX e il XV sec. a. C. La leggenda divenne poi così famosa che venne trascritta dai più grandi scrittori antichi, come Omero ed Esiodo (VIII sec. a.C.) rispettivamente nell’Iliade e nella Teogonia. Successivamente la storia e il mito di Europa vennero poi ripresi da Ovidio nelle sue Metamorfosi. Di fatto è grazie a lui che si è diffusa attraverso i secoli ed è stata riproposta ciclicamente da scrittori e artisti.

Il rapimento di Europa - Rembrandt - The Abduction of Europa - 1632
Il rapimento di Europa, opera di Rembrandt (1632) • Olio su tavola, 62×77 cm, J. Paul Getty Museum, Los Angeles

Chi era Europa

Europa era la figlia di Agenore, re di Tiro, un’antica ed importante città fenicia. Il re degli dei, Zeus, si innamorò perdutamente della fanciulla e decise di trasformarsi in un animale per poterla possedere e conquistare. Decise di assumere le sembianze di un toro bianco. Europa lo vide per la prima volta mentre si recava sulla spiaggia con le sue ancelle.

Ella trovò quell’animale molto bello e tentò di cavalcarlo. Il toro, allora, la rapì e scappò con lei attraverso il mare, fino a raggiungere l’isola di Creta.

Le versioni del mito e le sue interpretazioni su questo punto sono discordanti. Secondo alcuni il toro usò violenza sulla fanciulla. Secondo altri, si trasformò in un’aquila e riuscì a possederla.

I figli e i fratelli di Europa

Ad ogni modo, dall’unione tra Zeus ed Europa nacquero tre figli, due dei quali famosi ed importanti. Uno è Minosse, che divenne re di Creta. L’altro è Radamanto, che divenne il giudice degli inferi. Il terzo fu Sarpedonte. Essi vennero adottati da Asterio, il re di Creta, che sposò poi Europa.

Nel frattempo i fratelli della ragazza erano stati inviati da Agenore a cercarla in tutto il Mediterraneo. Il fratello Fenix divenne il capo dei fenici. Il secondo fratello, Celix, si stabilì in Asia Minore e divenne re dei Cilici. Cadmo arrivò invece in Grecia e fondò la città di Tebe.

Europa, grazie al matrimonio con Asterio, divenne quindi regina di Creta e ricevette da Zeus tre doni: Talo, un gigantesco uomo di bronzo che faceva da guardiano all’isola; Laelaps, un cane; e un giavellotto che non sbagliava mai la mira.

Quando morì Asterione, Minosse divenne il re di Creta e, in suo onore, i Greci chiamarono Europa il continente che è situato proprio a nord dell’isola.

Ratto di Europa - Tiziano Vecellio - Rape of Europe
Ratto di Europa, opera di Tiziano Vecellio • Quadro realizzato tra il 1560 e il 1562, su commissione di Filippo II di Spagna • Olio su tela, 178×205 cm, Isabella Stewart-Gardner Museum, Boston.

Il mito di Europa

Il mito di Europa è stato uno dei più rappresentati da artisti e pittori a partire proprio dall’antichità. Una delle prime sue iconografie risale al 580 a.C. ed è stata ritrovata nel tempio di Selinunte, in Sicilia. La donna è rappresentata insieme al toro, nell’atto di attraversare il mare. Questa era la rappresentazione tradizionale del mito.

Nell’iconografia, e anche secondo la narrazione di Ovidio, il rapimento del toro non è rappresentato come negativo. Anzi, la fanciulla appare consenziente e serena.

Nel Medioevo il mito di Europa, tramandato grazie ad Ovidio, subisce una interpretazione in senso religioso cristiano. Europa viene vista come l’anima umana e il toro è considerato invece come Cristo che la trasporta dalla terra fino al Paradiso.

Dal Cinquecento in poi, il mito viene invece rappresentato dai pittori in tutta la sua drammaticità. Viene quindi accentuato il ratto del toro e la violenza nella scena.

Questo mito è stato poi anche massificato in epoca nazista e utilizzato in molti manifesti di propaganda per dimostrare l’origine mitica della razza ariana.

In anni più recenti il mito ha assunto invece un significato multiculturale: Europa rappresenta una donna che spostandosi da Oriente ad Occidente ha saputo unire le tradizioni di più popoli.

Ad ogni modo, questa storia resta una delle più importanti della mitologia greca, in particolare perché racconta le origini mitiche del nome del nostro continente.

Il mito di Europa nella moneta da 2 euro greca - coin greek
La moneta greca da 2 €

Una curiosità

La Scena del rapimento di Europa da parte di Zeus, nelle sembianze del toro, è raffigurata sulla moneta da 2 Euro del conio greco.

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Il mito di Efesto: riassunto https://cultura.biografieonline.it/efesto-mitologia/ https://cultura.biografieonline.it/efesto-mitologia/#comments Fri, 10 Mar 2017 17:37:46 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21630 Efesto, nella mitologia greca, è il dio del fuoco e della metallurgia. Nell’Iliade, principale fonte di mitologia greca insieme all’Odissea, si narra che Efesto fosse uno degli dei più brutti dell’Olimpo e che avesse anche un pessimo carattere. Aveva però il pregio di essere bravissimo a lavorare i metalli. Egli, infatti, viveva in un’officina sotto il vulcano Etna, dove lavorava tutto il giorno ai suoi progetti di ingegneria, aiutato dai terribili Ciclopi. Per questo, Efesto era considerato il protettore di tutte le attività artigianali ed era venerato in tutta la Grecia. Anche nella mitologia romana esisteva un dio dalle caratteristiche simili, chiamato Vulcano.

Venere nella fucina di Vulcano - Antoon van Dyck
Venere nella fucina di Vulcano (quadro di Antoon van Dyck). Afrodite (Venere) era moglie di Efesto (Vulcano).

Efesto nella mitologia

La storia del dio Efesto non è delle più rosee. Egli venne concepito da Era, moglie di Zeus, in uno dei suoi frequenti attacchi di gelosia nei confronti del marito. Quando lo partorì, si accorse che era brutto e deforme. Per questo motivo lo lanciò giù dall’Olimpo.

Il bambino riuscì a sopravvivere perché cadde nel mare, dove fu raccolto da due ninfe, Eurinome e Teti, che lo accolsero nella loro grotta sottomarina e lo crebbero come un figlio. Egli rimase lì per nove anni e imparò il mestiere di fabbro. Lì installò anche una piccola officina.

Dopo un po’ di tempo, riuscì a ricucire il rapporto con la madre e venne invitato in uno dei tanti banchetti che si tenevano sul Monte Olimpo. Qui però litigò con Zeus, che lo scagliò di nuovo giù dal monte. A seguito di questa seconda caduta, Efesto si fratturò entrambe le gambe. Da quel momento poté camminare soltanto mediante l’ausilio di un bastone.

La vendetta e il matrimonio con Venere

Dopo queste brutte esperienze, Efesto decise di vendicarsi di Era. Le costruì un trono d’oro, dove non appena si sedette, la dea fu imprigionata e non riuscì più ad alzarsi. Iniziò ad urlare infastidendo tutti gli dei, che implorarono Efesto di liberarla.

Egli acconsentì, a patto che gli fosse concessa una sposa. Il matrimonio venne combinato con Afrodite, dea della bellezza, la più bella tra tutte. La donna, però, non fu affatto contenta di sposare un uomo così brutto. Per questo cominciò una relazione extraconiugale con Ares, il dio della guerra.

Efesto, che era venuto a conoscenza di questo tradimento grazie al dio del sole, decise di cogliere in una trappola i due amanti. Costruì una rete che venne posta sul letto, in modo da imprigionarli. Il meccanismo funzionò e i due amanti vennero catturati e costretti a rimanere nudi su quel letto per essere visti ed umiliati da tutti gli altri dei. Afrodite implorò tutti gli dei maschi che andarono a vederla, affinché la liberassero. Essi cedettero alle sue lusinghe.

Marte e Venere sorpresi da vulcano (Efesto) - Alexandre Charles Guillemot - 1827
Marte e Venere sorpresi da vulcano (quadro di Alexandre Charles Guillemot, 1827)

Le altre passioni

Efesto quindi archiviò definitivamente il matrimonio con la dea Afrodite e si dedicò ad altre passioni. Alcuni studiosi di mitologia affermano che egli ebbe come amante la più giovane delle Grazie e che venne anche respinto dalla dea Atena. Secondo la tradizione Efesto ebbe alcuni figli: Palemone, uno degli Argonauti; Ardalo, un celebre scultore; Caco, un pastore a tre teste nato dalla relazione con Medusa (la celeberrima gorgone uccisa da Perseo).

Efesto, come detto, era però famoso per avere grandi abilità manuali. Sin da giovane, aveva iniziato a costruire dei monili stupendi, che aveva regalato a Teti ed Eurinome in segno della sua gratitudine. Forgiò perfino una collana d’oro che regalava un fascino irresistibile a chiunque l’avesse indossata. Afrodite regalò tale collana a sua figlia in occasione delle nozze.

Il dio del fuoco non costruì solo monili ma anche dei robot. Veniva utilizzati nella sua officina come inservienti, ed avevano aspetto umano. Costruì anche dei tavolini automatici che venivano utilizzati durante i banchetti che si tenevano sull’Olimpo. La sua creazione più famosa fu Talo, un grande robot che regalò a Minosse, re di Creta (e padre di Arianna), che messo a guardia della sua isola, venne utilizzato per spaventare e uccidere i pirati sardi, che compivano continue incursioni sull’isola.

I magnifici oggetti di Efesto

E’ un lungo elenco quello che comprende le splendide armi che il dio della metallurgia forgiò per gli dei e per gli eroi. Spesso queste armi erano anche dotate di poteri magici. Oltre agli oggetti già citati fin qui, ricordiamo le sue creazioni più importanti:

  • Un bastone a forma di martello dal manico allungato
  • Gli edifici di tutti gli abitanti dell’Olimpo
  • L’arco e le frecce d’oro di Apollo e l’arco e le frecce d’argento di Artemide, sua gemella
  • Le opere artistiche a Lemno
  • L’elmo e i sandali alati di Ermes
  • Lo scettro e l’Egida, il fenomenale scudo di Zeus
  • La cintura di Afrodite
  • Il bastone di Agamennone
  • L’armatura, le armi e lo scudo di Achille
  • I batacchi di bronzo di Eracle
  • Il carro di Helios
  • La corazza e l’elmo di Enea
  • La spalla di Pelope
  • L’arco e le frecce di Eros
  • L’intera armatura di Memnone
  • Pandora, la prima donna creata (su ordine di Zeus), e il suo vaso

Il mito di Efesto nell’arte

Il mito di Efesto si è tramandato nel corso dei secoli grazie soprattutto alle citazioni ad esso inerente e che si trovano nell’Iliade, ma esistono anche numerose rappresentazioni grafiche e pittoriche su affreschi o antichi vasi che mostrano il dio in diverse posizioni, quasi sempre accompagnato da un bastone.

Anche a Pompei, su un affresco oggi conservato al Museo Archeologico di Napoli, si trova una rappresentazione della sua officina. Quello di Efesto è un mito che, come spesso accade, è riuscito ad affascinare la popolazione sin dai tempi antichi e che è rimasto uno dei più importanti e conosciuti nel corso del tempo.

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Saffo e Faone https://cultura.biografieonline.it/saffo-e-faone/ https://cultura.biografieonline.it/saffo-e-faone/#comments Fri, 17 Jun 2016 09:10:41 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18736 L’olio su tela noto con il titolo di “Saffo e Faone” fu commissionato al pittore e politico francese Jacques-Louis David (1748 – 1825) dal diplomatico russo Nikolaj Borisovič Jusupov (1750 – 1831), per raggiungere, in seguito, le gallerie fastose del museo russo che deve la nascita a Caterina II (1729 – 1796): l’Ermitage di San Pietroburgo.

Saffo e Faone - quadro - Sappho and Phaon - picture
Saffo e Faone (Sapho, Phaon et l’Amour). Questo quadro di Jacques-Louis David del 1809, è conservato a San Pietroburgo presso il museo dell’Hermitage.

Il capolavoro francese Saffo e Faone testimonia il cambiamento, in termini d’attenzione, verso un tipo d’iconografia non più orientata verso gli ampi respiri dell’etica della Roma Repubblicana, ma in direzione della rievocazione mitologica e allegorica, marcata dal neoclassicismo ostentato da Johann Joachim Winckelmann (1717 – 1768), in quella pacifica armonia vivida di sfrenate passioni, quelle innervanti la mitologia, la realtà storica della Grecia antica vinta dalla pace, dalla guerra, dai sentimenti di un’umanità nascente e cui siamo immensamente debitori.

La “Divina”

Di nobil versi fu Saffo, d’amore truce fu il suo pensiero ardito, cantico ideale dell’infatuazione amorosa, del tempo delle foglie d’ortica, del crepuscolare girovagare intorno ad una solitaria stella danzante, erotica e mai abietta, rischiarente “l’avvolgente sicurezza delle tenebre” (SAFFO).

La poetica di Saffo, l’intuizione romantica di versi lacrimevoli, di perpetue e tormentate fughe verso amori malati, “oltre il cristallino, oltre l’apparenza“, resero il fine ultimo dell’elevazione spirituale, dell’estremo sentimento amoroso.

Incontrare la poetessa Saffo nelle sorti mitologiche, nei frammenti di una grecità antica, negli echi di sentimenti eredi di un sodalizio al femminile, significa ripercorrere letteratura, storia, arte, nel periodo fulgido del VII secolo a.C., nelle acque miti dell’Egeo, fresco di avventure marittime e di naviganti inesperti.

Saffo

Accolta dall’iconografia, dall’arte avanzante di secoli lontani, nuovi, simili solo nei sentimenti di donna, la poetessa di Metilene arricchì di bellezza, eleganza aristocratica e sensualismo ellenico le cornici delle grandi dimore ottocentesche, dei celebri musei. Stemperò la modernità nell’antichità, il valore delle antiche virtù alla luce di nuove priorità.

Ritratta nei suoi mille volti, accolse il futuro dalle mani dei suoi “ritrattisti”, da coloro che forgiarono il suo bel volto, le solide membra giovani, gli occhi dalla brillantezza intelligente e languida. Caratteristiche di una donna versificatrice, vittima del suo cuore.

L’eco della sua voce affiora dalle parole tramandate, mutandosi in emozione tra le pagine, tra le pieghe dell’anima di chi è disposto ad accogliere il suo richiamo.

Poetessa di Metilene

Visse per colmare di poesia l’eredità dei posteri, frodando la fugacità del tempo, il ritorno alle polveri. Visse, s’innamorò e mai tacque. Affiorò dal verbo, dal tempo degli atavici chiarori, tra l’isola che ne fu dimora e l’oblio del tempo che fu. Dalla profondità delle acque che l’accolsero, dal cuore gemente di un’anima spezzata, frammentata nei versi di un eterno poema:

E l’mio Faon lieto Ove Etna arde e s’infiamma, ed io nel core
Ho maggior fuoco assai che quel che ‘l vecchio
Nel monte Sicilian Vulcano accende.

(OVIDIO)

Dai “Dialoghi delle Cortigiane” di Luciano XII emerge che

le bagasce d’Atene, almeno al tempo dello scrittore, nominavano Faone ogni lor prediletto anco d’altro nome” e “da Suida (V) che correva un proverbio o dettato greco siffatto: – tu sei di bellezza e di costume un Faone – […]” (BUSTELLI).

L’opera filosofica e poetica dell’antica Saffo ritorna come le onde della marea lunare, dispiegandosi nel lungo arco temporale ottocentesco. Lentamente, come un’amante, come un’antica statua che riaffiora.

Il politico e pittore Jacques-Louis David sperimentò l’esito della ricerca neoclassica votata agli studi di Johann Joachim Winckelmann contemplando il mistero reale dell’armonia classica, degli antichi e gloriosi splendori della Grecia antica:

La generale e principale caratteristica dei capolavori greci è una nobile semplicità e una quieta grandezza, sia nella posizione che nell’espressione. Come il mare che in superficie appare calmo e tranquillo anche se sotto, in profondità, ci sono le correnti, l’espressione delle figure greche, per quanto agitate da passioni, mostra sempre un’espressione grande e posata.

(WINCKELMANN)

Il mito

La sofferenza inerente il mito di Saffo e Faone, dell’amaro amore tra il traghettatore e la poetessa, concluso nella terribile morte di chi cercò nel suicidio la soluzione al male d’amore, vede nelle epistole amorose dell'”Eroidi” (“Heroides“, le eroine), il lasso di un lontano dolore.

Alma, che più di Leucarle ?
Ecco il sacrato sasso; Ardita questo accingiti
irremeabil passo.
Tempo è che ormai decidasi
La tua funesta sorte:
Sia dé tuoi affanni il termine,
O libertate, o morte !

(OVIDIO)

La storia dell’amore perduto tra la poetessa Saffo e Faone ridondò nella storia, smuovendo la vocazione leopardiana all’amor smarrito, palesandosi nell’estro romantico del incipit dell'”Ultimo canto di Saffo” (1822)

Placida notte, e verecondo raggio / Della cadente luna; e tu che spunti / Fra la tacita selva in su la rupe, Nunzio del giorno; oh dilettose e care / Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato, /Sembianze agli occhi miei; già non arride / Spettacol molle ai disperati affetti

fino all’esibizione iconografica del mito attraverso il capolavoro di Jacques Louis David, un olio su tela realizzato nel 1909.

Saffo e Faone - dettaglio del quadro
Saffo e Faone: dettaglio del quadro

Saffo e Faone: il quadro

L’indole rivoltosa ostentata dagli ideali della Rivoluzione erano ormai tramontati quando Jacques-Louis David intraprese la fulgente carriera di primo pittore presso la corte napoleonica.

Colpì nel segno di un successo grandioso, costellato di trionfi e richieste da parte dei più vari committenti europei, tra questi l’aristocratico russo Nikolaj Borisovič Jusupov, diplomatico russo e direttore dell’Hermitage. Fu lui inoltre che commissionò la tela ritraente Saffo e Faone.

L’artista francese intraprese la strada delle allegoria mitologiche abbandonando, di fatti, le rievocazioni storiche della Roma Repubblicana, intrise di esempi di virtù civiche.

In una lettera a Nicolai Yusupov si legge che la tela “rappresenta Saffo, la sensibile poetessa, e il suo innamorato Faone che cupido è riuscito ad infiammare col proprio fuoco“.

Da una missiva successiva indirizzata al principe, datata 30 novembre 1809, si comprende che l’opera già in quell’anno risultava terminata.

Seguendo la poetica neoclassica, “David non distilla nei due innamorati il minimo accenno a un sentimento genuino, e il fuoco che li arde sembra paradossalmente raggelarli nella staticità dei gesti” (FREGOLENT).

Alla base dell’inquietudine, del fasto edonistico dei gesti e delle stoffe, affiora l’armonia e l’unità di tutti gli elementi, la limpidezza e il coronamento delle forme. Così come l’equilibrio dei toni cromatici.

Note Bibliogarfiche
A. Fregolent, Ermitage San Pietroburgo, Electa, Milano, 2005
G. Bustelli, Vita e frammenti di Saffo di Metilene – Discorso e versione (II), Gaetano Romagnoli, Bologna, 1863
Ovidio, R. Fiorentino, Epistole d’Ovidio, Niccolò Capurro, Pisa, 1818
G. Leopardi, Canti, Felice Lemmonier, Firenze, 1860

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Colosso di Rodi https://cultura.biografieonline.it/colosso-di-rodi/ https://cultura.biografieonline.it/colosso-di-rodi/#comments Fri, 26 Feb 2016 09:16:01 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16701 Più di duemila anni fa il dio del sole Helios si ergeva sulle tiepide acque egee di cui si bagnavo le coste dell’isola di Rodi. Una divinità tangibile e bronzea, immensa e assoluta come lo spirito di chi investì la grandezza dell’umana forza per esprimere gratitudine alla divinità protettrice. Il Colosso di Rodi, realizzato nel IV a.C., accoglieva i naviganti e ricordava loro la potenza divina che gli aveva sottratti alla guerra, memoria che viene rinforzata dalla presenza della statua bronzea nel novero delle sette meraviglie del mondo antico.

Colosso di Rodi
Colosso di Rodi: illustrazione

Cenni storici

Nel IV secolo a.C. l’isola di Rodi presentava un impianto di tipo ippodameo, ovvero una pianificazione del tessuto urbano realizzata partendo dalla tracciatura delle strade e la successiva distribuzione diversificata degli edifici, permettendo una netta separazione tra aree pubbliche, private e sacre. L’ isola era organizzata in terrazzamenti ed era dotata di una cinta muraria di cui, grazie a delle indagini archeologiche, è stato possibile individuare la fase classica e quella ellenistica, probabilmente realizzata dopo l’assedio di Rodi da parte del re macedone Demetrio Poliorcete nel 305 a.C. .

Lo scontro con i macedoni era nato in seguito ai tentativi di interrompere i vantaggiosi rapporti tra l’isola di Rodi e l’Egitto, complicità che ostacolava la politica degli Antigonidi.

La conquista dell’isola avvenne con i mezzi più alti che l’arte poliorcetica poteva elargire: lo storico siceliota Diodoro Siculo (90 a.C. circa – 27 a.C. circa) raccontava della costruzione di una torre con ruote chiamata “Helepolis”, realizzata dall’ingegnere Epimaco, necessitava di 3400 uomini per essere manovrata (Βιβλιοθήκη ἱστορική, Biblioteca storica, XX, 5-6). Nonostante il considerevole coinvolgimento di uomini e armi, Demetrio fu obbligato ad arrendersi e a firmare la pace con Rodi.

Helepolis - Torre con ruote
Helepolis, la torre con ruote (illustrazione)

L’acropoli della città era situata sull’altura naturale del Monte S. Stefano, luogo che restituì le tracce del santuario di Atena e Zeus Poliadi e quello di Apollo Pizio, al di sotto della quale era collocato l’Odeion.

“La presenza di tombe monumentali come il cosiddetto Ptolemaion nei dintorni di Rodi o le altre grandi tombe nelle necropoli della stessa Rodi o l’archokrateion sono gli esempi più imponenti di una produzione di monumenti funerari tipologicamente varia e di grande impatto visivo che fanno di Rodi uno dei centri più interessanti per lo studio della architettura funeraria, di cui tuttavia ancora manca una trattazione complessiva” (CALIÒ).

Ricostruzione storica ed iconografica del Colosso di Rodi

Uno dei riferimenti più completi attestanti l’esistenza del Colosso di Rodi è da attribuirsi a Plinio il Vecchio (23 – 79 d.C.):
“Ma sopra tutti fu ammirato il Colosso del Sole in Rodi, opera di Chares Lindio discepolo di Lysippos. Fu dell’altezza di 70 cubiti questo simulacro, il quale poi cadde a terra dopo 66 anni a causa di un terremoto; ma anche a terra è uno spettacolo meraviglioso. Pochi arrivano ad abbracciare il pollice; le sue dita sono più grosse di molte statue. Vaste caverne si aprono nelle fratture della membra; e dentro si vedono dei sassi di grande mole, col peso dei quali l’artista aveva consolidato la massa durante la costruzione. Dicono che fu fatto in dodici anni e con 300 talenti che si erano ricavati dalla vendita del macchinario bellico abbandonato davanti a Rodi dal re Demetrio stanco del prolungarsi dell’assedio” (Naturalis Historia).

I 300 talenti indicati nel brano vennero utilizzati per la realizzazione del Helios Eleutherios. La storia classica rimanda alla memoria la tradizione di dedicare enormi statue per la salvezza ottenuta, come nel caso dello Zeus Eleutherios, costruito dopo la cacciata dei tiranni Dinomenidi di Lindo, nel V secolo a.C. .

Nonostante i numerosi riferimenti filologici, sono poche le informazioni legate all’aspetto e alla precisa collocazione del Colosso di Rodi: per il geografo e storico greco Strabone (60 a.C. –24 d.C.) il Colosso di Rodi, in seguito al terremoto del 227- 226 a.C. che ne aveva provocato la distruzione, venne nuovamente ricostruito in età romana-imperiale su volontà di un oracolo.

Filone di Bisanzio (280 a.C. – 220 a.C.) riportò alle cronache che la statua, realizzata in bronzo, era stata costruita assemblando pezzi fusi separatamente e in seguito giustapposti in progressione a partire dai piedi: tale supposizione è in netto contrasto con l’ipotesi più recente di un’esecuzione a martellatura su metallo.

L’aspetto del Colosso, secondo Albert Gabriel, era quello di un bellissimo kouros (scultura greca del periodo arcaico) dotato di torcia e lancia, descrizione che coinciderebbe con le serie montali dell’isola.

La ricostruzione iconografica del Colosso è stata facilitata dal ritrovamento di due reperti scultorei, probabili copie della statua bronzea: la testa fittile di Rodi, con dei fori sulla testa che lascerebbero pensare alla presenza di una corona ed identificata con Helios, e la statua in marmo di poro che, rivenuta a Santa Marinella e conservata a Civitavecchia, risale ad al periodo adrianeo (117 – 138 d.C.).

Nella statua di Santa Marinella il kouros ha una faretra sulle spalle e probabilmente nella mano destra porgeva una fiaccola, mentre nella sinistra un arco che fungeva da sostegno.

In un epigramma dell’Antologia Palatina, da molti considerato un carme celebrativo all’opera, compare un riferimento alla luce, precisamente alla “luce che brilla in mare e in terra“, espressione che confermerebbe la presenza della torcia nelle mani del rinomato Colosso di Rodi.

Colosso di Rodi incisione 1790
Il Colosso di Rodi illustrato in un’incisione del 1790

Per quanto riguarda la collazione è davvero molto difficile esprimere un responso conclusivo:
dalle note incisioni di Maarten van Heemskerck (1498 – 1574) e Joseph Emanuel Fischer von Erlach (1693 – 1742), il Colosso era posto a gambe divaricate all’entrata del porto, con i piedi separati e posti sulle due sponde.

Questa figurazione, ormai fortemente consolidata nell’immaginario collettivo, deve la sua sussistenza alla testimonianza di un italiano: Niccolò de Martoni, tornato da un viaggio a Rodi nel 1394, riportò ai contemporanei che le tradizioni locali parlavano dell’ubicazione del Colosso nell’attuale porto di Mandraki, nei pressi nel forte di San Nicola.

L’archeologo inglese Reynold Higgins (1916 – 1992) indicando certe discrepanze logistiche sulla presenza di alcuni frammenti nei pressi del forte, suppose che il Colosso era un tempo posizionato nelle vicinanze del Tempio di Helios, nel quale era custodita la “Quadriga del Sole” realizzata dallo scultore greco Lisippo (390/385 a.C. –306 a.C.).

Colosso di Rodi
Colosso di Rodi

Un contributo importante alla definizione dell’esatta collocazione fu dato dal classicista tedesco Wolfram Hoepfner che, attraverso l’esame dei blocchi in marmo grigio – blu presenti nella zona nord est del forte di S. Nicola, rilevò il basamento del Colosso, talmente alto che probabilmente fungeva anche da cinta muraria difensiva.

Per Hoepfner la statua presentava la mano destra alzata in un gesto di saluto e la sinistra, per ragioni statiche, era poggiata su una roccia. Gli ultimi frammenti del Colosso furono venduti ad un mercante arabo che, grazie all’ausilio di 900 cammelli, li trafugò da Rodi nel VII secolo d.C. .

Note Bibliografiche
D. Barbagli, Le sette Meraviglie del mondo antico, Giunti, Firenze, 2003
L. M. Caliò, Un architetto a Rodi. Amphilochos di Laago, (2008)
http://www.raco.cat/index.php/SEBarc/article/viewFile/208187/277370 [Accesso: 11/02/2016]

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