Francia Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 26 Mar 2024 07:05:40 +0000 it-IT hourly 1 Illuminismo, i personaggi principali: riassunto per la scuola https://cultura.biografieonline.it/illuminismo-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/illuminismo-riassunto/#comments Tue, 26 Mar 2024 05:42:01 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19649 L’Illuminismo è un movimento intellettuale, politico e ideologico che nacque nell’Europa del Settecento. Esso ha caratterizzato tutto l’orientamento culturale del secolo stesso ed è stato fondamentale perché ha stravolto il pensiero intellettuale e non solo. Nacque in Francia ma si diffuse molto presto in Inghilterra e poi in tutta l’Europa, arrivando perfino al Nord America.

Illuminismo - Enciclopedia
Il frontespizio della “Enciclopedia”, l’opera simbolo dell’Illuminismo

La parola Illuminismo (in francese Lumieres, in inglese Enlightenment) deriva da lume: esso infatti ha lo scopo di illuminare le menti e il mondo, attraverso la ragione, per allontanare le tenebre della superstizione e dell’ignoranza .

Questo movimento, fondamentale per la nascita della cultura moderna, parte da un’idea di fondo. Gli uomini possono salvarsi non attraverso il ruolo di Dio (e quindi attraverso la religione) ma mediante l’uso del libero pensiero.

La rivoluzione dell’Illuminismo

Questo concetto era profondamente rivoluzionario per un periodo, quello del Settecento, da cui si era appena usciti dall’epoca degli assolutismi. I sovrani sfruttavano, quindi, la religione per imporre il proprio potere. Il re in persona veniva considerato diretto discendente divino.

Il Seicento, per molti aspetti, fu quindi un secolo ricco di superstizioni e credenze che non avevano alcun fondamento scientifico. A tutto ciò gli intellettuali reagirono con l’Illuminismo, con lo scopo di creare un nuovo modo di vedere le cose solo attraverso la ragione.

Da un punto di vista politico, l’Illuminismo comportò evidenti cambiamenti. Per la prima volta un movimento mise al centro l’individuo, il suo bisogno di libertà e la creazione di migliori condizioni di vita per tutti. Si affermò, inoltre, il concetto di uguaglianza sociale e di sovranità popolare, temi che avrebbero cambiato per sempre le sorti politiche europee.

Gli illuministi

Il padre dell’Illuminismo può essere considerato John Locke (1632-1704). Egli fu un importantissimo filosofo inglese, creatore dell’empirismo ovvero la teoria secondo la quale la conoscenza dipende completamente dall’esperienza.

Secondo il suo pensiero, quando si deve conoscere qualcosa è importante partire dalla pratica. Perché è solo attraverso l’esperienza che si può capire la realtà. Insieme a Locke, altri grandi intellettuali inglesi  che ispirarono gli illuministi furono Isaac Newton e David Hume.

John Locke
John Locke

In Francia

Le loro lezioni furono quindi recepite in Francia da alcune delle figure che sono diventate i pilastri di questo movimento: Voltaire, Rousseau, Montesquieu, Diderot, Fontenelle, D’Alembert ed altri intellettuali borghesi che si erano formati nei salotti letterari del tempo.

Con questi grandi esponenti nacque la figura dell’intellettuale al servizio dell’umanità. Essi, con le loro opere, intesero diffondere le credenze dell’Illuminismo in tutti i campi del sapere. Dalla politica, alle scienze diffusero i valori e i costumi in modo tale da liberare la cultura dalla superstizione e dall’ignoranza.

Lo scopo primario degli illuministi era infatti quello di creare una cultura aperta a tutti, in nome dell’autonomia della ragione. Soprattutto in nome della fiducia nel progresso legato alle scoperte scientifiche.

L’Enciclopedia

Fondamentale divenne così la stesura di un’enciclopedia che toccasse tutti i saperi e che fosse riscritta secondo i canoni dell’Illuminismo stesso. Nacque così l’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. Sotto la direzione di Denis Diderot per la parte umanistica e di Jean D’Alembert per quella scientifica, l’opera cercò di valicare le differenze tra le diverse discipline per creare un sapere che fosse sempre aperto alla tecnica. A formare la monumentale opera che fu l’Enciclopedia, c’erano 17 volumi. Venne pubblicata tra il 1751 e il 1772.

Denis Diderot
Denis Diderot

Chiaramente, dando molta importanza alla ragione e criticando la religione e le sue credenze, l’Illuminismo entrò in collisione con la Chiesa. Questa inserì le opere degli intellettuali all’indice dei libri proibiti.

L’Illuminismo e la Chiesa

Anche l’Enciclopedia venne aspramente criticata perché la Chiesa era spaventata dalla diffusione di queste nuove teorie. In realtà Voltaire affermò spesso che l’uomo era naturalmente predisposto alla religione, dando vita ad una nuova dottrina chiamata deismo. Il deismo affermava l’esistenza di Dio ma rifiutava tutte le altre forme di religiosità.

In Italia

L’Illuminismo fu un movimento cosmopolita: si diffuse presto in tutto il Nord del mondo. In Italia si ricordano Pietro Verri (fondatore della rivista «Il Caffè») e Cesare Beccaria, che scrisse un trattato sulla pena di morte e la tortura (Dei delitti e delle pene). Questi furono temi davvero innovativi per l’epoca.

Dei delitti e delle pene
Dei delitti e delle pene, un’immagine dell’autore Cesare Beccaria e una delle prime pagine

Verso le rivoluzioni

Le nuove idee di libertà, uguaglianza e fratellanza si diffusero con grande successo tra gli intellettuali. Queste nuove idee aprirono talmente tanto le menti, da portare all’insorgere della Guerra d’Indipendenza Americana (1785-1783) e della Rivoluzione Francese (1789- 1799). Per la prima volta il popolo agì per contrastare l’assolutismo e ribadire i propri diritti di libertà e uguaglianza.

Liberté, Égalité, Fraternité (in italiano Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) sono le parole che compongono un celebre motto francese del periodo dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese. Esso è poi divenuto il motto nazionale della Repubblica Francese.

L’Illuminismo può pertanto essere considerato come un movimento che ha rivoluzionato il mondo, che ha portato grandi conquiste per l’umanità (come affermarono i grandi filosofi tedeschi Marx ed Hegel). Certamente però ha avuto i suoi limiti.

In particolare il fatto che queste idee siano rimaste ferme agli intellettuali borghesi senza il coinvolgimento dell’intera popolazione.

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L’Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia (quadro di Rubens) https://cultura.biografieonline.it/rubens-maria-de-medici-marsiglia/ https://cultura.biografieonline.it/rubens-maria-de-medici-marsiglia/#respond Fri, 03 Nov 2023 10:51:55 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17239 Quando la storia entra a far parte dell’arte e l’arte della storia, i motivi che conducono alla ricerca e allo studio di un capolavoro di questa portata sono innumerevoli ed impossibili da elencare. Il fascino della genialità e la ricompensa in termini di fama e prestigio condussero la storia di Pieter Paul Rubens (1577 – 1640) sulle strada di conquista del cuore di Francia. Citato dal Bellori (1613 – 1696) nella forma italianizzata di Pietro Rubens, il pittore fiammingo della corte di Francia, elaborò, intorno al 1620, ventuno tele per celebrare il destino e le sorti di Maria de’ Medici (1575 – 1642), moglie di Enrico IV (1553 – 1610). L'”Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia” rientra nel ciclo dei dipinti celebrativi della gloria regia, motivo encomiastico che ben si presta all’uso delle allegorie mitologiche tipiche del vocabolario artistico di Rubens.

L'Arrivo di Maria de' Medici a Marsiglia (quadro di Rubens)
L’arrivo della regina a Marsiglia: l’evento ebbe luogo il 3 novembre 1600. Rubens dipinse questo quadro tra il 1622 e il 1625. La tela misura 394×295 cm ed è conservata a Parigi, presso il Louvre.

Il tema riporta alla memoria lo storico sbarco di Maria de’ Medici a Marsiglia, avvenimento che venne accolto con entusiasmo dalla nobiltà francese e che definì le sorti future della corte borbonica.

La genesi del dipinto “Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia”

“Nel fine dell’anno MDCXX. la regina madre (Maria de’ Medici) essendo tornata a Parigi, dopo l’aggiustamento con il Re Luigi suo figliolo, si propose di adornare la nuova fabbrica del suo palazzo di Lucemburgo, e fra le altre cose di dipingere la Galleria. Al quale effetto per la fama, che in Francia correva del Rubens, fu egli chiamato, e si trasferì a Parigi, onorato, e liberalissimamente trattato. Il soggetto fu la vita di essa Regina Maria, moglie di Enrico Quarto, cominciando dalla nascita sino alla pace, e reintegrazione col figliuolo, dopo la ritirata a Blois. E perché quella Galleria è situata in modo, che dall’uno e dell’altro lato, riguarda nel giardino con dieci finestre per lato, collocò nei vani infraposti le storie tra una finestra e l’altra, che sono in tutto ventuno quadri ad olio, alti dodici piedi, e nove larghi; cioè dieci quadri per lato, ed uno in testa, i quali il Rubens dipinse in Anversa con poetiche invenzioni, corrispondenti alla grandezza della Regina” (BELLORI).

Il pittore, servendosi di un impianto allegorico di tipo mitologico, portò sulla tela le più note vicende storiche legate alla figura della regina di Francia Maria de’ Medici con lo scopo di glorificarne il ricordo, mettendo in evidenza la maestria nella conquista del prestigio di una giovane donna alla corte di Francia.

Con la reggenza napoleonica il palazzo del Lussemburgo venne riqualificato come sede del Senato, con ciò le tele furono trasferite nel museo del Louvre dove, agli inizi del XX secolo, furono collocate in una sala espositiva appropriata.

I protagonisti: l’arte e la storia

Il matrimonio tra Enrico IV di Borbone e Maria de’ Medici si concretò sotto il segno dell’opportunismo politico: la ricchezza della famiglia de’ Medici portò alla riconosciuta qualifica di “banchieri di Francia”, condizione che volgeva con gran favorevolezza all’indebolita corona francese. Una dote di 600.000 scudi d’oro assunse le fattezze di un matrimonio vantaggioso quanto infelice, un guadagno netto per il regnante di Francia che vedeva in siffatto modo estinguere l’enorme debito contratto nei confronti delle banche medicee, e che nell’immediatezza comportava un rimpolpamento consistente dei forzieri reali.

Il matrimonio fu suggellato, nel marzo del 1600, con la firma del contratto matrimoniale; la celebrazione ufficiale nelle nozze si protrasse per tre mesi sia in Francia sia in Toscana per concludersi in fine a Firenze dove, in assenza del re, il “favori des rois” Roger II de Saint – Lary de Bellegarde (1562 – 1646) colmò l’assenza regale “sposando”, il 5 ottobre del 1600, la poco più che ventenne Maria de’ Medici, nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore.

Maria de' Medici
Maria de’ Medici

Dopo le nozze per procura Maria de’ Medici lasciò Firenze per Livorno, imbarcandosi per Marsiglia il 23 ottobre dello stesso anno, raggiunse la meta francese il terzo giorno di novembre.

Maria de’ Medici

L’arrivo della futura regina di Francia fu accolto con gaudio dai vertici dell’aristocrazia marsigliese rappresentati da Antoinette de Pons (1570 – 1632), marchesa di Guercheville e dama d’onore scelta di Maria de’ Medici.

L’arrivo in Francia della rampolla de’ Medici segnò l’inizio di una lunga serie di avvenimenti legati alla vita intima e regale della giovane sposa di Enrico IV, la quale seppe combinare l’arguzia del suo ingegno a vantaggio di una politica demolente e ostacolante di un potere femminile in ascesa.

La giovane de’ Medici seppe conquistare l’agognato scettro resistendo alle riluttanze della figura coniugale e all’opportunismo avventato del Duca di Richelieu (1585 – 1642) che lei stessa appoggiò nell’avanzamento cardinalizio del 1622.

Maria de’ Medici fu una donna scaltra, nascondendo nel corpo femmineo il cuore di un grande sovrano seppe guardare con affetto ogni forma d’arte, tanto da sviluppare questa sua passione in forme di amicizia con chi era in grado di comprenderne il gusto sontuoso e di assecondarne la vanità; consolidò un forte rapporto di amicizia con Rubens, con cui trascorse da esule gli ultimi anni della sua vita e per cui essa provava la profonda gratitudine per l’eternità che il pittore l’aveva donato grazie alla serie di dipinti dedicati alla sua persona.

Il 1642 fu un anno particolarmente significativo per le sorti dei sovrani di Francia: in seguito alla morte di Maria a Colonia e di Luigi XIII, salì sul trono di Francia Luigi XIV, il “Re sole”, il quale si raffigurò come il protagonista di una nuova e densa fase della storia nazionale.

Note tecniche e descrittive del quadro

Nella tela nota come l’ “Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia” Rubens rappresentò in chiave del tutto mitologica lo sbarco di Maria de’ Medici al porto di Marsiglia.

Il Bellori nelle “Vite dei pittori, scultori ed architetti moderni” presenta una lunga lista descrittiva sulle “Immagini della Regina Maria, moglie del re Enrico IV. Dipinte nella Galleria di Lucemburgo”, dove la tela sopracitata viene descritta come la sesta di ventuno tele:

“Vedesi dopo lo sbarco al porto di Marsilia, figuratavi la Francia; il Vescovo, che va incontro a ricevere la Regina nel baldacchino sopra un ponte di barche riccamente adorno. Scorre in aria la Fama, e con la tromba annunzia a’ popoli la sua venuta, e seco Tritone nel mare suona la buccina con Nettuno, e le Sirene, restando nel porto le galere del Pontefice, e di Fiorenza, con quelle di Malta, scorgendosi sopra la più ricca d’oro, un cavaliere vestito di nero con la Croce bianca; ed allo sparo de’ cannoni lampeggia di lieta caligine il cielo” (BELLORI).

Come è possibile dedurre da questo breve estratto, le allegorie sono assai numerose, di fatti, il nobile corteo, preceduto dall’impersonificazione della Fama, è a sua volta accolto da due donne rappresentanti la Francia e la città di Marsiglia.

L’uso di tali ingegnosi accorgimenti allegorici trova la sua ragione principale nella necessità di non disturbare la sensibilità della giovane sovrana, il cui carattere irascibile e orgoglioso preoccupava e allarmava chiunque avesse l’onore di conoscerla di persona.

Osservando la tela si coglie immediatamente l’invisibile linea di demarcazione che separa la scena in due parti ben distinte, inganno ben reso grazie alla presenza grafica della passerella della nave posta esattamente al centro della quinta.

Sirene (dettaglio del quadro: Arrivo della regina a Marsiglia)
Un dettaglio del quadro “Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia”: le sirene. Il loro colore candido è in netto contrasto con quello dei drappi rossi.

Commento

La dinamicità nella solennità è resa percepibile dalle sirene e dai tritoni che, nudi e spogliati dall’umana civiltà, ondeggiano tra le agitate onde del porto di Marsiglia, in un perenne conflitto con la soffice eleganza dell’agiata vita di corte che invece domina la scena terrestre.

Come in un palcoscenico oltraggiato da una scenografia troppo grezza e soffocante, lo sbarco è rappresentato nel tripudio di un’ imponente resa di dettagli e personaggi nobilmente abbigliati, condizione che non intralciò l’ impeto espressivo del pittore fiammingo che seppe in egual misura creare

“meravigliosi effetti di leggerezza, soprattutto con la stesura mobile e veloce della materia pittorica, peraltro sempre tipica della sua foga espressiva” (DAVERIO).

Un secondo evidente contrasto emerge chiaramente nell’uso di colori fortemente antitetici: il rosso dei drappi, ad esempio, crea un leggiadro effetto di risalto da quel “candore madreperlaceo” che invece caratterizza le blasonate stoffe oppure i corpi torniti delle seducenti sirene.

Note Bibliografiche
G. P. Bellori, Vite dei pittori, scultori ed architetti moderni, Niccolò Capurro, Pisa, MDCCCXXI
P. Daverio, Louvre, Scala, Firenze, 2016

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L’altezza di Napoleone: era veramente basso? https://cultura.biografieonline.it/napoleone-altezza/ https://cultura.biografieonline.it/napoleone-altezza/#comments Tue, 04 May 2021 14:31:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23275 Un errore storico

L’altezza di Napoleone Bonaparte è storicamente motivo di discussione. Era piccolo Napoleone? No, non lo era. Napoleone, generale e imperatore dei francesi che nacque nel 1769 e morì nel 1821 (nella celebre data del 5 maggio), non era un tappo. La convinzione comune che fosse più basso della media è un errore storico.

L'altezza di Napoleone – Bonaparte e Giorgio III - vignetta di James Gillray
Napoleone Bonaparte e Giorgio III – vignetta di James Gillray

Il medico personale dell’impero, quando eseguì l’autopsia sul suo cadavere, registrò un’ altezza di 5 pieds et 2 pouces, cioè esattamente un metro e sessantanove centimetri.

Un’altezza normale, quindi, se si pensa che all’inizio dell’ottocento l’altezza media di un francese era di un metro e sessantaquattro centimetri.

Napoleone dunque poteva quasi “sovrastare” i suoi concittadini. E non solo.

Ad esempio, il suo temibile avversario, il Duca di Wellington (1769 – 1852), che lo sconfisse nella battaglia di Waterloo, era alto solo sei centimetri più di lui.

Wellington è un pessimo generale. Prevedo la vittoria entro l’ora di pranzo. (Celebre frase attribuita a Napoleone)

L’altezza di Napoleone e dei militari

Fu lo stesso Napoleone, dopo aver preso il potere in Francia, a stabilire l’altezza minima per entrare nell’esercito. Ad esempio per entrare nella Guardia imperiale, i granatieri, corpo speciale ed elitario, i richiedenti dovevano essere alti non meno di un metro e settantotto centimetri. I cacciatori a cavallo, guardia personale dell’imperatore, dovevano essere alti almeno un metro e settanta centimetri.

I militari erano quindi più alti di lui e accentuavano l’impressione che Napoleone Bonaparte fosse basso di statura.

Napoleone Bonaparte
Napoleone Bonaparte

La propaganda straniera

Anche la propaganda straniera cercò di sminuire la figura di Napoleone pubblicizzando in senso negativo la sua statura. Un caricaturista britannico, James Gillray, fu l’autore di una delle vignette più famose sull’imperatore dei francesi. In essa il condottiero veniva ritratto come un minuscolo generale, tenuto sul palmo della mano dal sovrano inglese, re Giorgio III (1738-1820). Quest’ultimo, osservandolo, (con riferimento ai lillipuziani e ai Viaggi di Gulliver) affermava che si trattasse di un essere orrendo.

Un’altra propaganda contro la statura di Napoleone riguarda un detto popolare che attribuisce alle persone basse il desiderio di essere aggressive e di prevaricare gli altri. Come, così si dice, fece il generale imperatore con le altre nazioni europee. E’ però una diceria non suffragata da prove scientifiche o storiche.

Il fatto che Napoleone Bonaparte fosse basso, anche se il contrario è provato da testimonianze storiche, sembra sia rimasta come credenza universale, forse anche per attribuire un difetto ad un uomo dalle molte qualità.

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Il Carnevale in Europa: le 9 sfilate più importanti https://cultura.biografieonline.it/carnevale-in-europa/ https://cultura.biografieonline.it/carnevale-in-europa/#comments Wed, 07 Feb 2018 07:03:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=24001 Il carnevale con i suoi colori diffonde allegria ed è una festa che si svolge nei Paesi di tradizione cattolica. Si celebra nel periodo che va tra gennaio e febbraio. Il periodo varia in funzione della Pasqua. Così elementi giocosi e fantasiosi con l’uso appunto del mascheramento si manifestano attraverso le parate in pubbliche piazze. La parola carnevale deriva dal latino carnem levare cioè “togliere la carne”, come già spiegato in un articolo precedente sulle origini di questa festa, che indica appunto il banchetto che si teneva il martedì grasso. Le origini del carnevale risalgono ai riti pagani, che celebravano la fine dell’inverno per dare il benvenuto alla primavera. A livello europeo esistono varie sfilate. In questo articolo raccontiamo proprio come si svolge il carnevale in Europa con uno sguardo su alcune delle sfilate più famose. Tra queste ci sono quelle di Basilea, di Nizza, di Dusseldorf, di Malta, di Rethtymno (in Grecia), di Maastricht, di Aalborg, di Notting Hill e ovviamente il carnevale di Venezia, che è anche uno dei più celebri al mondo.

Carnevale di Venezia
Carnevale di Venezia

Il carnevale di Venezia (Italia)

In Italia è molto famoso il carnevale di Venezia. Il carnevale del capoluogo veneto è tra i più conosciuti non solo a livello europeo, ma a livello mondiale. Dalle origini antiche, si pensi che la prima testimonianza risale addirittura ad un documento del Doge Vitale Falier del 1094, dove si parla di festeggiamenti pubblici e dove viene citata la parola carnevale per la prima volta.

Quindi si passa al primo documento ufficiale che dichiara il carnevale di Venezia una festa pubblica. Si tratta dell’editto del 1296 con il quale il Senato della Repubblica dichiara festivo il giorno che precede la Quaresima. Da qui, in quest’epoca e per molti secoli, il carnevale dura sei settimane, a partire dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri, facendo cominciare certe volte i festeggiamenti già nei primi giorni di ottobre.

In pratica durante il carnevale le attività della città di Venezia passano in secondo piano, mentre i veneziani si concedono i festeggiamenti, tra divertimenti e spettacoli, allestiti in particolare in piazza San marco, lungo la Riva degli Schiavoni e nei campi di Venezia. Qui ci sono attrazioni di ogni tipo: acrobati, giocolieri, musicisti, danzatori, e ancora: spettacoli con animali e varie esibizioni per un pubblico di varie età e di ogni classe sociale.

Il carnevale moderno di Venezia

Si basa su un programma di eventi e un calendario dettagliato che riguarda la grande manifestazione. La data ha inizio in coincidenza con il sabato precedente il Giovedì Grasso e termina il Martedì Grasso. I festeggiamenti durano undici giorni. In questi giorni si svolgono, proprio come in passato, feste di piazza ed eventi adatti ad ogni tipo di pubblico.

In Inghilterra: il carnevale di Notting Hill (Londra)

Lo spettacolare Notting Hill Carnival è nato nel 1964 in uno dei quartieri più eleganti di Londra, in Inghilterra, quello di Notting Hill appunto. Esso ospita una delle parate più importanti a livello europeo, seconda del mondo del genere caraibico, dopo quelle di Trinidad e Tobago. Il carnevale a Londra si celebra in estate, verso la fine di agosto, in questo famoso quartiere della parte ovest di Londra che si trasforma ogni anno in una meta simile ai Caraibi. E’ insomma una grande appendice, dove le sue strade vengono stravolte dal giocoso rumore e dai colori del carnevale. La folla raggiunge – o addirittura supera – il milione di persone.

Questa sfilata è seconda solo a quella di Rio de Janeiro ed è diventata proprio il più grande carnevale di strada in Europa. Il percorso dei festeggiamenti si articola su cinque chilometri, snodandosi nel centro del quartiere e lungo la Ladbroke Grove.

I partecipanti, dai vestiti di colore sgargiante, ballano al ritmo di jazz, soul, hip-hop, funk o semplicemente a ritmo di percussioni e tamburi. Si articola in quattro discipline: costumi e maschere, bande di ottoni, danze calypso e Soca, cioè un mix di musiche caraibiche e africane.

Il Carnevale di Londra, dai toni caraibici, si svolge nel quartiere di Notting Hill
Il Carnevale di Londra, dai toni caraibici, si svolge nel quartiere di Notting Hill

Danimarca: il carnevale di Aalborg

Nella città di Aalborg di circa 100.000 abitanti, che si trova nel nord dello Jutland, in pratica all’estremità settentrionale della Danimarca, il carnevale si svolge a maggio, per ovvi motivi legati alla temperatura. E’ una pittoresca città dove si fondono stili differenti che vanno dal rinascimentale al moderno. La nota caratteristica della sua sfilata è che ai festeggiamenti possono partecipare tutti. E’ sufficiente dipingersi il viso e poi partecipare alla parata insieme alle decine di migliaia di partecipanti. Il carnevale di Aalborg è il più grande di tutto il nord Europa.

Olanda: il carnevale di Maastricht

La festa a Maastricht per il carnevale dura tre giorni. Le fanfare sfilano per le strade della città a partire dalla Domenica del carnevale, dove la folla canta e balla lungo tutte le vie. I partecipanti indossano i tipici pekskes, cioè i costumi di carnevale. I bar per l’occasione restano aperti tutta la notte. Quindi i festeggiamenti si concludono il Mercoledì delle Ceneri, giorno successivo al carnevale, con un menu a base di Heering Biete, ovvero pane e aringhe.

Grecia: il carnevale di Rethymno

Proseguiamo l’articolo sulle sfilate più consigliate del carnevale in Europa, spostandoci in Grecia. Il carnevale in Grecia ha un tocco particolare sull’isola di Creta, a Rethymno, che si trova sulla costa nord-occidentale dell’isola. Qui si tengono i festeggiamenti che si articolano in sfilate, feste, costumi di fantasia, danza, musica, teatro e una enorme caccia al tesoro.

Il carnevale di Malta

A Malta il carnevale conta cinque secoli di tradizione. I festeggiamenti furono introdotti dal Gran Maestro Piero de Ponte nel 1535, proprio quando i Cavalieri Ospitalieri usarono l’isola come loro quartier generale. L’evento del carnevale si svolge nella capitale del paese, La Valletta. Qui sfilano carri allegorici con gruppi mascherati guidati dal Re Carnevale. Il programma ha inizio la settimana prima del Mercoledì delle Ceneri ed è fitto: gare di costumi, balli in maschera, oltre alla già citata sfilata dei carri.

Germania: il carnevale di Düsseldorf

A Düsseldorf, in Germania, lungo la valle del Reno, si celebrano vari festeggiamenti. È noto anche con il nome di carnevale Renano, caratterizzato dalla particolare presenza di molteplici balli in costume, feste, ricevimenti. La tipica maschera di questo carnevale è Hoppeditz: è una figura che rappresenta la pazzia, che si risveglia l’11 novembre di ogni anno per poi diventare protagonista dei festeggiamenti del mese di febbraio.

I festeggiamenti iniziano alle 11.11 dell’11° giorno dell’11° mese dell’anno, quindi l’11 novembre, giorno in cui la città viene consegnata a Hoppeditz e agli amici matti. Poi si passa ai festeggiamenti veri che precedono la Quaresima. Durante la festa c’è la tradizione dei Buetzchen, cioè i baci scambiati anche tra persone che non si conoscono. Mentre il giovedì grasso la città viene consegnata alle donne: sono le Moehnen a governare con il tipico carnevale delle donne. Si usa, alle ore 11.11, che le signore, presa in consegna la città, rapiscano il sindaco. Il sindaco riesce a liberarsi cantando melodie gioiose e offrendo alle signore bottiglie di vino.

Nel frattempo, le vie del centro vengono prese d’assalto con persone in costume che danzano e cantano. Secondo l’usanza poi, le donne devono tagliare le cravatte ai loro uomini, quindi si passa ai baci. La festa a Düsseldorf continua sino a notte inoltrata nei vari locali della città.

Carnevale Düsseldorf
Carnevale in Europa: Dusseldorf (2016) • Nella foto un carro allegorico in cui la Statua della Libertà americana, tiene in una mano la costituzione (verfassung) e nell’altra la testa del criticato presidente Donald Trump.

Il carnevale di Nizza (Francia)

Il carnevale di Nizza ha origini antichissime che risalgono al 1294. È la più importante festa invernale della Costa Azzurra. E’ una festa dove ogni anno partecipano oltre 600 mila spettatori che assistono alla famosa battaglia di fiori, alla parata del Martedì Grasso e ai fuochi d’artificio.

Durante la parata di quest’anno è in programma la partecipazione di 17 carri addobbati e automatizzati, di altezza che varia dagli otto ai sedici metri. Le sfilate si tengono di giorno e di notte. Mentre in Promenade des Anglais si tiene la battaglia dei fiori.

Il carnevale di Basilea (Svizzera)

A Basilea si svolge uno dei migliori carnevali d’Europa. Nella città svizzera si tiene il carnevale più grande del Paese dove sfilano i Fasnachtlers in costume lungo le vie della città. L’evento dura tre giorni e inizia con il Morgestraicht, ovvero il lunedì che segue al mercoledì delle Ceneri con strani personaggi travestiti che percorrono le vie della città con piccole lanterne poste sulla testa.

La particolarità della festa è data anche dalle caratteristiche lanterne che illuminano la città durante la parata, dove appunto vengono spente le luci dei lampioni. Al comando “Avanti, in marcia!”, si sentono i musicisti suonare. Incomincia così il carnevale.

Nei locali, la sera, si continua con esibizioni varie: dai versetti alle caricatura, dalle filastrocche ai commenti sull’anno precedente. Le esibizioni prendono il nome di Schnitzelbanken. Poi ci sono i Guggemuusige che sono i musicanti in maschera che si esibiscono il martedì sera. Il momento più spettacolare e bello è il cosiddetto Gassle. È il momento in cui si sviluppa lungo le vie più pittoresche la grande sfilata di partecipanti, singoli o in gruppi, tutti rigorosamente in maschera che suonano tamburi e pifferi, sino alle quattro del mattino del giovedì successivo al mercoledì delle Ceneri.

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Linea Maginot https://cultura.biografieonline.it/linea-maginot/ https://cultura.biografieonline.it/linea-maginot/#comments Thu, 05 Oct 2017 09:14:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23434 Un grande sistema difensivo all’avanguardia fu realizzato per difendere lo Stato francese e i suoi abitanti. In cosa consiste la Linea Maginot?

André Maginot è stato Ministro della guerra francese negli anni dal 1929 al 1931. A lui si deve la progettazione della complessa rete difensiva realizzata dal Governo francese nel decennio 1930-1940, la c.d. Linea Maginot (che appunto da lui ha preso il nome). Inizialmente guardato con favore ed orgoglio dai Francesi, tale ingegnoso sistema militare costruito per la maggior parte sottoterra per difendere il territorio francese dalle invasioni nemiche, si rivelò successivamente uno degli errori più pesanti compiuti durante il secondo conflitto mondiale. Il ministro Maginot, a seguito delle gravi ferite riportate durante la prima guerra mondiale, dovette utilizzare stampelle e ausili per le gambe fino alla sua morte.

Linea Maginot

La Linea Maginot nello specifico

Gli architetti militari francesi, sotto la guida dell’allora ministro Maginot, progettarono la costruzione di tutto ciò che serviva per difendere la nazione dagli attacchi esterni. Anche quelli eventualmente compiuti con i mezzi più moderni e letali come il gas, gli aeroplani e carri armati. Al suo interno, sotto il suolo, la Linea Maginot era dotata di strade ferrate per agevolare la comunicazione tra i quartieri. Vi erano anche ascensori, gallerie, depositi di munizioni e armi di ogni tipo.

All’esterno la linea di fortificazione era piena di bunker. L’uso era destinato al rifugio di oltre 600 soldati, campi minati, fortini in cemento armato, postazioni di artiglieria a scomparsa, bacini artificiali, canali anticarro. Dal punto di vista geografico, la linea Maginot si estendeva dal confine della Francia con la Germania fino ad arrivare al Belgio. Passava inoltre per la Svizzera e l’Italia.

Linea Maginot - Maginot Line
Linea Maginot

Si tratta di una imponente linea difensiva che però non servì a molto. Infatti durante il secondo conflitto mondiale, nel 1940, le truppe tedesche raggiunsero la Francia e invasero Parigi passando attraverso il Belgio, senza attaccare frontalmente la Linea. Essa in effetti restò intatta. Più tardi, nel 1944-1945, la Linea Maginot si rivelò utile per la difesa degli attacchi provenienti dal retro. Gli Americani ebbero problemi a superarla.

Perché la Linea Maginot è stata un flop

Dal punto di vista strategico e militare, l’imponente linea Maginot, con le sue fortificazioni e le strutture difensive sul suolo e sottoterra, si è rivelata un autentico fiasco. La costruzione di un sistema difensivo così imponente e sofisticato per quei tempi ha comportato un enorme dispendio di denaro, incidendo pesantemente sulle casse dello Stato francese. La Linea Maginot era un progetto che all’epoca aveva coinvolto tanto l’opinione pubblica ed aveva avuto un forte seguito sull’immaginazione collettiva, proprio per la sua maestosità. E per l’’ambizioso obiettivo di proteggere la Francia e i suoi abitanti da qualsiasi incursione esterna.

In realtà l’errore del Governo fu quello di credere che un sistema siffatto fosse in grado, da solo, di assicurare la difesa dello Stato francese, senza prevedere integrazioni difensive, come l’impiego dei carri armati o gli aerei, che furono parecchio utilizzati nel corso della seconda guerra mondiale. Così come fu realizzata, la Linea Maginot lasciava scoperte alcune zone del territorio francese. Vi erano alcune zone minerarie industriali confinanti con la Germania, che venivano difese particolarmente perché un loro attacco avrebbe potuto compromettere l’economia francese. Oppure, alcune regioni come l’Alsazia e la Lorena venivano protette più di altre a causa della loro precaria posizione geografica, che le lasciava scoperte e facilmente attaccabili dall’esterno.

Le armi presenti nella Linea Maginot

Lungo tutto lo snodo della Linea Maginot erano state impiantate armi di ogni genere, adatte a fronteggiare qualsiasi incursione da parte dei nemici. Tra le armi di artiglieria vi erano un mortaio, un lanciabombe, un cannone (l’arma principale tra quelle di artiglieria). Le armi di fanteria comprendevano un mortaio, un lanciagranate, due cannoni, un fucile mitragliatore, armi miste. Per le armi esistevano due tipologie di protezione: le torrette e le casematte, entrambe presenti nella Linea Maginot.

Illustrazione di una torretta di difesa della Linea Maginot
Illustrazione di una torretta di difesa della Linea Maginot

La Linea Maginot oggi: informazioni generali

L’imponente costruzione militare, realizzata dal 1928 al 1940, si presenta come una linea fortificata alta circa 93 metri. Attualmente la maggior parte di essa è abbandonata e quindi impraticabile, ma vi è una zona visitabile che è stata oggetto di un profondo restauro. Il proprietario di ciò che resta della Linea Maginot è il Demanio militare francese, tanto è vero che molte aree sono state dichiarate “zona militare” e quindi ne è stato inibito il transito. I visitatori possono entrare solo nelle zone restaurate e in quelle adibite a museo.

Linea Maginot come metafora

Proprio perché inizialmente si riponeva in questo sistema difensivo una grande aspettativa che poi fu delusa, il termine “Linea Maginot” viene utilizzato metaforicamente per indicare qualcosa di cui ci si fida ciecamente ma che poi invece si rivela del tutto inadeguato.

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La Battaglia di Dunkerque e l’Operazione Dynamo https://cultura.biografieonline.it/battaglia-dunkerque-operazione-dynamo/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-dunkerque-operazione-dynamo/#comments Sat, 19 Aug 2017 12:38:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23116 Nella storia della Seconda Guerra Mondiale, Dunkerque, porto situato nel nord della Francia, svolse un ruolo importante. Rappresentò fu contemporaneamente la testimonianza della forza militare tedesca e della capacità inglese di resistere, dimostrando una notevole organizzazione logistica e una sorprendente velocità d’azione.

Battaglia di Dunkerque
Una foto del 29 maggio 1940: il traghetto dell’isola di Man SS Mona’s Queen in fumo dopo aver colpito una mina al largo di Dunkerque.

Il contesto

Il 26 maggio del 1940 truppe francesi e inglesi si ritrovarono nel porto di Dunkerque a causa dello sfondamento del fronte della Mosa ad opera delle truppe tedesche della Wehrmacht. Esse dal 10 maggio avevano sbaragliato ogni resistenza da parte dell’esercito francese. Nel quadro dell’offensiva in Occidente i tedeschi, in pochi giorni, grazie all’avanzata lampo della Panzer-Divisionen, avevano attraversato le Ardenne e superato la linea di difesa della Mosa, chiudendo in un cuneo le truppe superstiti francesi e il corpo di spedizione britannico. Quest’ultimo fu mandato a contrastare l’esercito tedesco e ad aiutare l’alleato francese fin da subito in forte difficoltà.

Tra il 26 maggio e il 4 giugno, dunque, le truppe alleate superstiti furono ammassate nel porto di Dunkerque per dare avvio alla più grande missione di salvataggio della storia: l’Operazione Dynamo. Grazie anche all’intervento della RAF (Royal Air Force) britannica che riuscì a distruggere molti aerei dell’aviazione militare tedesca, navi da flotta e mercantili britannici riuscirono a portare in salvo oltre la Manica 340.000 soldati.

Battaglia di Dunkerque: i fatti

Il 10 maggio del 1940 iniziò la prima fase dell’offensiva tedesca che aveva lo scopo di distruggere ogni resistenza da parte dell’esercito olandese, belga e francese. L’esercito tedesco utilizzò la tecnica della guerra lampo avanzando contemporaneamente da nord e da sud. Sia le truppe olandesi che belghe vennero sconfitte velocemente. La fanteria francese resistette qualche giorno per poi capitolare di fronte all’avanzata inarrestabile della divisione corazzata tedesca. Questa non aveva uguali in termini di organizzazione, velocità e potenza di fuoco.

In tre giorni i carri armati della Panzer-Divisionen penetrarono nelle Ardenne raggiungendo le rive del fiume Mosa. I francesi si ritrovarono allo sbando.

I tedeschi non si fermarono e proseguirono fino alle coste della Manica, spingendo e isolando sia le truppe francesi che le truppe britanniche che erano state inviate per aiutare gli eserciti alleati.

I comandi inglesi, belgi e inglesi cercarono di organizzare velocemente una contro offensiva, ma l’impatto con i mezzi tedeschi li aveva destabilizzati e non riuscirono a trovare il giusto coordinamento per respingerne l’avanzata. A questo punto gli alleati erano bloccati e divisi in un cuneo che avrebbe potuto essere contrastato da nord. I comandi avrebbero potuto riorganizzarsi e attaccare i tedeschi per impedire di essere chiusi in una morsa mortale. Tuttavia la debolezza e lo sfiancamento morale di francesi e belgi non permise un tale atto di forza, che avrebbe impedito i successivi accadimenti.

L’esercito tedesco aveva vinto in pochi giorni e contro tutti i pronostici.

Una pausa per i tedeschi

A questo punto i generali della Wehrmacht decisero di fermare l’avanzata da sud. Questa decisione, che permise di evitare un disastro totale per gli eserciti alleati, fu presa probabilmente per permettere alle forze in campo di riposarsi e di approvvigionarsi di carburante. Era il 24 maggio del 1940. Hitler fu entusiasta per il trionfo delle sue divisioni e ritenne la vittoria in Europa un dato di fatto. Per questo motivo impartì i primi ordini per organizzare il secondo attacco che avrebbe portato alla capitolazione della Francia.

Tuttavia, sia il Führer che il suo alto comando, sottovalutarono la capacità della marina inglese di organizzare un’evacuazione di massa, ritenendo che fosse impossibile salvare una tale quantità di uomini in così poco tempo. Fra il 24 e il 26 maggio 1940, dunque, le divisioni corazzate tedesche si fermarono, permettendo involontariamente ai comandi alleati di ammassare le loro truppe a Dunkerque, organizzando contemporaneamente la difesa del porto e delle spiagge limitrofe.

In realtà l’Ammiragliato britannico già il 14 maggio 1940 aveva svolto un’indagine per verificare la disponibilità di imbarcazioni private e mercantili, che erano attraccate sulla costa antistante a quella francese, di svolgere una missione di salvataggio. Dopo pochi giorni era evidente che l’esercito sul continente avrebbe dovuto essere evacuato velocemente. Il primo ministro britannico Winston Churchill, diede ordine all’Ammiragliato di ammassare tutti i mezzi disponibili nei porti al fine di iniziare l’evacuazione delle truppe. L’operazione venne chiamata Dynamo.

Winston Churchill
Winston Churchill

Operazione Dynamo

Dal 24 al 30 maggio 1940 i comandi alleati riuscirono ad ammassare tutte le truppe a Dunkerque. Fortificarono il perimetro e diedero ordine di distruggere tutti i mezzi a motore e tutti gli equipaggiamenti militari che non era possibile trasportare in Inghilterra. L’aviazione tedesca cercò di infliggere più perdite che poteva agli alleati. La loro azione si focalizzò su una serie di bombardamenti e di assalti alla spiaggia in cui le truppe inglesi e francesi erano state riunite.

Nel frattempo, visto che il porto era stato in gran parte distrutto dai bombardamenti, fu necessario creare dei ponti di fortuna per permettere alle truppe di salire sulle imbarcazioni. Il tempo era contato.

Operazione Dynamo Operazione Dynamo

Grazie all’abilità e al coraggio dell’aviazione britannica l’attacco degli aerei tedeschi fu contenuto. Tuttavia l’evacuazione subì, a causa della fretta e dell’utilizzo di barche private e pescherecci, oltre alle navi da guerra, rallentamenti e confusione organizzativa. Due inaspettati vantaggi permisero di limitare le perdite umane: il mare calmo e l’aviazione britannica.

Il 3 giugno 1940 gran parte dell’evacuazione era terminata. Pochi soldati erano rimasti a difendere il perimetro attorno a Dunkerque e le ultime navi arrivarono per prelevarli e portarli via. Il cacciatorpediniere Shikari fu l’ultima nave militare a salpare dal porto francese alla volta dell’Inghilterra.

L’epilogo

Quando i tedeschi giunsero a Dunkerque trovarono equipaggiamenti, armi e alcuni mezzi non ancora distrutti. Trovarono però anche 34.000 soldati che non erano riusciti a fuggire, probabilmente perché erano arrivati tardi. Per questo furono catturati e imprigionati. Il 4 giugno 1940 gli ufficiali catturati firmarono la resa totale.

Malgrado la sconfitta e l’avanzata inarrestabile delle truppe tedesche, i comandi alleati riuscirono a portare a termine l’Operazione Dynamo ottenendo un insperato successo. Vennero salvati 340.000 uomini. Anche se prima di imbarcarsi ne morirono circa 9.500. Considerando la cocente sconfitta e il rischio che venissero uccisi tutti, intrappolati in un cuneo mortale ad opera delle divisioni corazzate, questo salvataggio entrò nella storia per la velocità e la quantità di vite risparmiate.

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Museo d’Orsay https://cultura.biografieonline.it/museo-d-orsay/ https://cultura.biografieonline.it/museo-d-orsay/#comments Tue, 01 Mar 2016 11:04:34 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16893 Il Museo d’Orsay vanta una storia decisamente metamorfica, permeata e modellata dagli accadimenti del passato. Come nel caso di molti altri illustri musei europei, la nascita della galleria non avvenne secondo un originale progetto di costruzione, ma la funzionalità museale fu integrata circa un secolo dopo. Nel corso dei decenni, nel continuo rischio della demolizione, il museo d’Orsay assunse profili diversi, resistendo alle brutalità della guerra civile e della Prima Guerra Mondiale. Tra i marmi bianchi e l’eleganza di un’ampia vetrata, si snoda una collezione vasta, in una collocazione cronologica che si estende dal 1848 al 1914.

Museo d'Orsay - Musee d'Orsay
Parigi, Museo d’Orsay: veduta aerea con la Senna e la Tour Eiffel sullo sfondo

La storia: il palazzo d’Orsay

Nel XVIII secolo, l’antica area attualmente occupata dal Musée d’Orsay, era sovrastata dalla caserma della cavalleria e dal vecchio Palazzo d’Orsay che, edificato tra 1810 e il 1838, fu progettato dagli architetti francesi Jean Charles Bonnard (1765-1818) e Jacques Lacornée (1779-1856); l’antico palazzo divenne sede del Consiglio dei Ministri e della Corte dei Conti nel 1840.

Quando nel marzo del 1871 s’insediò a Parigi il governo democratico – socialista, l’antico quartiere di rue de Lille fu dato alle fiamme insieme all’imponente Palazzo d’Orsay:

«Il grande incendio, il più enorme, il più terribile, il grande edificio in pietra, i due piani del portico, vomitavano fiamme. I quattro edifici che circondavano il grande cortile, presero fuoco in una sola volta; e, qui, l’olio, versato interamente a tonnellate sulle quattro scale, ai quattro angoli, si era diffuso, riversando lungo i passaggi dei torrenti infernali.»

Émile Zola, La debacle, Bibebook, p. 500

Le mura segnate e annerite dagli incendi testimoniarono, fino alla fine del secolo, gli orrori perpetrati dalla guerra civile.

Da palazzo a stazione

In occasione dell’Esposizione Universale prevista a Parigi nel 1900, il governo francese cedette il terreno dell’ormai dismesso Palazzo d’Orsay alla Compagnia Ferroviaria di Orleans, il cui obiettivo era di costruire una stazione più centralizzata rispetto a quella di Austerlitz. La progettazione richiedeva necessariamente un attento innesto tra un tessuto urbano particolarmente prestigioso, legato alla vicinanza con il Musée du Louvre e il palazzo della Legione d’Onore, e la costruzione di una stazione ferroviaria che doveva ben armonizzare con il contesto particolarmente distinto.

Nel 1897 la Compagnia Ferroviaria di Orleans interpellò tre degli architetti più conosciuti e celebri dell’epoca: Lucien Magne (1849-1916), Henri Jean Émile Bénard (1844-1929) e Victor Laloux (1850-1937). A un anno dalla collaborazione con i tre architetti, la Compagnia approvò il progetto realizzato da Victor Laloux.

Alla costruzione della stazione si accostò la realizzazione di un albergo di lusso, quale snodo fondamentale per una classe aristocratica di viaggiatori, celebri e non, che sceglievano il fastoso hotel francese non solo come luogo per il pernottamento, ma come spazio adeguato allo svolgimento di assemblee e ricevimenti. La stazione e l’hotel furono realizzati in solo due anni e inaugurati per l’apertura dell’Exposition de Paris del 1900. L’hotel svolse un ruolo di primo piano nelle storiche vicende parigine, ospitando la conferenza stampa in cui il generale de Gaulle annunciò il ritorno al potere. Chiuse i battenti nel 1973.

L’avanguardismo di Victor Laloux

L’architetto Victor Laloux espresse, attraverso la costruzione della stazione d’Orsay, un grado eccelso di modernità e avanguardismo. Dal punto di vista di un’esposizione che avrebbe accompagnato la nascita de nuovo secolo, Laloux, combinò l’utilizzo di forme nuove, l’accostamento dei materiali trionfanti dell’era industriale con la modernità di una tecnologia sbocciante, quest’ultima manifestata dalla presenza di montacarichi per i bagagli e di ascensori per i viaggiatori.

Da stazione a museo

La stazione d’Orsay si tramutò nei secoli in un centro di spedizione dei pacchi per i detenuti durante la guerra, accolse i prigionieri nel periodo della Liberazione, divenne sede stabile della compagnia teatrale Renaud Barrault e durante la ricostruzione, nel 1974, diventò la residenza della celebre casa d’aste Drouot.

L’idea di convertire lo stabile in un ambiente museale emerse solo nel 1973, con l’intento di esibire i capolavori artistici del XIX secolo. Il 20 ottobre 1977, su iniziativa del presidente della Repubblica francese Valéry Giscard d’Estaing, fu ufficializzato il progetto, il quale si concluse con la classificazione a monumento storico nel 1978 e l’inaugurazione dello stesso, nel 1986, per mano di François Mitterrand.

Il primo concorso internazionale per la ristrutturazione del museo venne bandito nel 1979 e fu vinto dal progetto del gruppo francese «ACT Architecture» degli architetti Renaud Bardon, Pierre Colboc e Jean-Paul Philippon, i quali s’interessarono al consolidamento delle strutture e alla ridistribuzione degli spazi e delle funzioni. Con il secondo concorso del settembre del 1980, il progetto fu affidato all’architetta italiana Gae Aulenti, pianificazione che si espletò nella programmazione architettonica degli interni e l’allestimento museografico.

“Nel progetto per la trasformazione in museo l’Aulenti e il suo gruppo si pongono, come primo obiettivo, quello di non sovrapporre la propria architettura a quella originaria ma, al contrario, di interagire con quella, facendo scaturire le nuove soluzioni progettuali direttamente dalla conformazione degli spazi primitivi. Anche nell’uso dei materiali e nello studio dell’illuminazione il tentativo è di stabilire nuove relazioni con le strutture preesistenti. Di conseguenza, il risultato finale dell’intervento – pur apparendo perfettamente distinto e autonomo rispetto al contenitore architettonico di Laloux – si armonizza con esso sfruttandone a fondo, anche se in chiave diversa, tutte le potenzialità.” (ZANICHELLI).

Una scelta progettuale di questa portata consentì un allestimento tale da creare una serie diversificata di percorsi espositivi, sia in piano sia nello spazio, attraverso un utilizzo congeniale delle scale interne, una predisposizione architettonica di grande valore pratico, il quale permise di accedere ai diversi livelli, sfruttando, di fatto, lo spazio che sarebbe rimasto inutilizzato nel caso dell’originaria conformazione ferroviaria.

Museo d'Orsay - interno
Una foto dell’interno del museo d’Orsay: si può notare l’originaria conformazione dell’ambiente ferroviario

Il recupero degli spazi tramite la costruzione dei vari livelli consentì l’aumento delle aree espositive, la creazione di settori d’allestimento diversificati (pittura, scultura, architettura, arti decorative), la realizzazione di un preciso percorso cronologico (Romanticismo, Impressionismo, Art Nouveau, etc.) e infine donò al visitatore l’opportunità di apprezzare i molteplici dettagli degli stucchi e delle vetrate della navata centrale, particolari impossibili da osservare a grande distanza.

La presenza di ascensori e scale mobili permette di poter visitare il museo d’Orsay in ogni direzione, percorrendo tutti i livelli della struttura; il museo è dotato di una biblioteca, di un centro di documentazione audiovisiva e di due ristoranti, entrambi affacciati sui tetti di Parigi.

Monet - Ninfee blu - Blue water lilies - Nympheas bleus - 1916-1919
Ninfee blu” (Blue water lilies – Nympheas bleus, 1916-1919), conservato presso il museo d’Orsay, è uno dei quadri più famosi di Monet, ed è uno dei più riprodotti.

La collezione del museo d’Orsay

La collezione del museo d’Orsay rientra in uno specifico frangente storico, con un allestimento delle sale espositive secondo le principali tendenze artistiche del XIX secolo.

Tra i maggiori capolavori custoditi nel museo: i “Bagnanti” di Paul Cézanne (1839-1906), “La classe di danza” di Edgar Degas (1834-1917), le “Due donne Tahitiane” di Paul Gauguin (1848-1903), la “Colazione sull’erba” di Manet (1832-1883), “Lusso, calma e voluttà” di Matisse (1869-1954), la “Primavera” di Jean-François Millet (1814-1874), “La Gare Saint-Lazare” di Monet (1840-1926), “Ballo al moulin de la Galette” di Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), “L’incantatrice di serpenti” di Henri Rousseau (1844-1910), “Il circo” di Georges Seurat (1859-1891), “Port de La Rochelle” di Paul Signac (1863-1935), “La chiesa di Auvers” di Vincent van Gogh (1853-1890).

Sitografia
Historie du Musée, HTML, http://www.musee-orsay.fr/ [Accesso: 24/02/2016]
Itinerari Museali Zanichelli, PDF, http://online.scuola.zanichelli.it/ilcriccoditeodoro/files/2012/10/it-museali34.pdf [Accesso: 24/02/2016]

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https://cultura.biografieonline.it/museo-d-orsay/feed/ 73
Louvre. Storia del museo del Louvre https://cultura.biografieonline.it/louvre/ https://cultura.biografieonline.it/louvre/#comments Thu, 25 Feb 2016 09:44:09 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16790 Mausoleo del culto vivo dell’arte, il Louvre racconta l’anima del mondo a chi decide di percorrere i suoi immensi saloni che, metro dopo metro, espongono il visitatore a un sentimento artistico vecchio di migliaia di anni, ma al contempo nuovo e immortale.
In un perenne viaggio temporale, il museo, consente di apprezzare il meglio del genio umano e la grandezza dei suoi ideatori, in un itinerario che connette epoche e artisti e che non tralascia il forte legame che unisce la storia del museo alla storia di Francia: dal XVI secolo in poi la missione di ampliamento del museo parigino non si è mai conclusa, i suoi tesori si sono ampliati e le tecniche di tutela e conservazione sono state ottimizzate.

Louvre, storia
Una foto recente del Louvre, uno dei musei più famosi del mondo

Una modernità nell’antico e antichità nel moderno, in un continuo dialogo con il mondo, dove il Louvre non si configura solo come un’istituzione immobile e confinata nei perimetri dei propri confini, ma si apre al mondo accogliendo l’esigenza di un’arte mobile e nuova, come nel caso del Louvre Lens e Louvre Abu Dhabi.

Da fortezza a palazzo

Il re capetingio di Francia Filippo Augusto (1165 – 1223), prima di imbarcarsi per la Terza Crociata contro i musulmani, assicurò la supremazia di Parigi edificando una prestigiosa università presso la Sorbona e costruendo una fortezza difensiva fuori la cinta muraria della città. La roccaforte era dotata di un fossato, torri circolari e di un dongione di quindici metri.
Fu per merito di Francesco I di Valois (1494 – 1547) se, nel XVI secolo, la fortezza divenne una residenza reale: i lavori di ricostruzione della rocca furono affidati all’architetto Pierre Lescot (1500/1515 – 1578) e allo scultore Jean Goujon (1510 – 1568).

Il palazzo fu restaurato in una chiave del tutto rinascimentale: gli elementi architettonici classici dell’antica Roma si armonizzavano al gusto moderno delle ampie finestre e degli alti tetti.
Il palazzo fu abitato nel corso del secolo dal re di Francia Enrico II di Valois (1519 -1559) e dalla moglie Caterina de Medici (1519 – 1589) che, nel 1564, fece costruire davanti al palazzo delle Tuileries, un giardino e la famosa tribuna delle cariatidi di Jean Goujon il quale, s’ispirò all’Eretteo dell’acropoli di Atene.

Nel XVI secolo, Enrico IV di Borbone (1553 – 1610), con lo scopo di collegare il palazzo reale ai giardini del Tuileries, annetté al palazzo una “Grande Gallerie”.
“I lavori continuarono sotto Luigi XIII e poi con il Re Sole il quale, benché porti a Versailles la corte e la vita, l’amplia e ne fa sede dell’amministrazione nonché residenza d’obbligo per gran parte della nobiltà domata dopo la Fronda” (Daverio).

«Odio Versailles perché ogni uomo appare insignificante. Amo Parigi perché rende ogni uomo importante.» (Montesquieu)

Con lo spostamento della residenza reale a Versailles, “testimonianza visibile del suo (Luigi XIV) ambizioso progetto assolutista”, il palazzo reale divenne sede delle accademie di scienze, architettura, scultura e pittura, raffigurandosi come un rilevante nucleo artistico.
Il Palais du Luxemburg, voluto da Maria de Medici (1575 – 1642) per il figlio Luigi XIII di Borbone (1601 – 1643), ospitò nel 1723 più di cento delle opere appartenute alle collezioni reali le quali, furono esposte insieme al ciclo di dipinti di Pieter Paul Rubens (1577 – 1640) nella galleria de Medici, fino alla restituzione del palazzo al fratello del re, quando le collezioni furono smantellate.

Nel 1725 fu inaugurato il “Salon Carré”, in cui furono esposti i dipinti appartenenti all’Accademia Reale di pittura e scultura.
In seguito alla rivoluzione francese, il Louvre tornò a ricoprire un posto di primo piano tra l’aristocrazia: nel 1793 le sale del palazzo, incredibilmente arricchite in seguito alle confische napoleoniche, vennero per la prima volta aperte al pubblico.

Da palazzo a museo

Con la morte di Luigi XVI “il Louvre fu inaugurato dallo stesso Robespierre (1758 – 1794) come museo aperto ai citoyens, esattamente un anno dopo la deposizione, il 10 agosto 1793″ (DAVERIO).

Si devono a Charles Claude Flahaut de La Billarderie (1730 – 1809), conte d’Angiviller, ultimo sovrintendente alle fabbriche del re, molti dei rinnovamenti che resero grande il Louvre: riunendo nella Grande Gallerie le collezioni reali divise tra le diverse residenze di Luigi XVI, il conte, badò nel distribuirle ed esporle secondo principi razionali e coerenti.

Robespierre
Maximilien de Robespierre inaugurò il Louvre il 10 agosto 1793

Il 10 agosto del 1793 il Louvre fu inaugurato con il nome di “Musée Français“, il primo museo della Repubblica, dove più di seicento opere furono restituite simbolicamente al popolo.

Il nuovo museo nazionale presentava molti aspetti innovativi: ogni opera era accompagnata da un cartellino indicante il titolo e l’autore, inoltre era possibile avvalersi della guida di un esperto e di un catalogo a basso prezzo.

Nel 1796 il grande afflusso di visitatori rese indispensabile un ampio intervento di restauro della “Grande Gallerie”, condotta che implicò il cambiamento del nome da “Musée Français” a “Musée central des arts“.

Il museo ben presto si arricchì di grandi capolavori europei, molti dei quali requisiti nelle nazioni occupate dall’esercito francese, come ad esempio il “Polittico dell’agnello mistico” di Jan van Eyck (1390 – 1441) a Gand, il “Laocoonte” e l’”Apollo del Belvedere” dalle collezioni papali.

L’entità notevole delle opere costrinse i curatori del museo a riorganizzare l’esposizione.
Dopo il restauro del XIX secolo il museo assunse il nome di “Musée Napoleon“, nel 1802.

Agli inizi del XX secolo fu inaugurato il “Grand Louvre” che, voluto da François Mitterrand, accompagnò l’esecuzione della stimata piramide di vetro di Ming Pei, nel 1989.

Louvre - Piramide
Parigi, Museo del Louvre: la piramide di vetro fu realizzata nel 1989 dall’architetto cinese Ieoh Ming Pei. In anni più recenti ebbe grande visibilità grazie al film di Ron HowardIl codice da Vinci” (2006) tratto dal romanzo best-seller di Dan Brown, in cui la trama ruota intorno al Louvre, alla sua piramide, ai simboli e alle opere d’arte.

Nel 2012 fu inaugurato il dipartimento delle arti islamiche nella “Cour Visconti”, progettata dall’architetto milanese Mario Bellini e dal francese Rudy Ricciotti.

I nuovi Louvre

Il Louvre Lens è una sezione distaccata del museo che, a 200 Km a nord della capitale, rivoluzionò il concetto stesso di esperienza museale con una serie di esposizioni, mai permanenti, di opere appartenenti a periodi differenti.

Un altro esempio interessante di sconfinamento museale è rappresentato dal Louvre Abu Dhabi, realizzato dall’architetto Jean Nouvel, dopo un accordo trentennale tra gli emirati arabi e il governo francese, raccoglie le opere dei principali dodici musei francesi, testimoniando, di fatto, il massimo dialogo tra arte occidentale e orientale.

Dominique Vivant Denon

Dominique Vivant Denon fu il primo direttore del Louvre, e grande diplomatico, illustre scrittore, archeologo, disegnatore e collezionista. La sua carriera diplomatica si svolse sotto la sovranità di Luigi XV e luigi XVI, per questa ragione fu spogliato dei tutti i suoi beni in seguito alla rivoluzione del 1789.

Grazie all’amicizia con Jacques-Louis David (1748 – 1825) riuscì a inserirsi nella corte di Robespierre e a entrare nelle grazie di Giuseppina di Beauharnais (1763 – 1814), che lo presentò a Napoleone (1769 – 1821).

Nel 1798 seguì Bonaparte nella campagna di Egitto, realizzando il celebre reportage conosciuto con il titolo di “Basse et l’haunte Egypte” e contribuendo alla campagna di propaganda a favore dell’imperatore, Vivant, funse da consigliere per la scelta dei capolavori da requisire sui campi di battaglia, obbligando l’inserimento delle opere d’arte nelle clausole dei trattati di pace.

Dominique Vivant Denon prediligeva i “pittori primitivi” come Giotto e Masaccio: il 25 luglio 1814 allestì la prima collezione di “primitivi“, parte della quale fu restituita ai paesi originari, tranne che per il Gran Ducato di Toscana, che in seguito ad un accordo concesse i suoi capolavori al Louvre.

La Gioconda - Monnalisa
La Gioconda – Monnalisa (Leonardo da Vinci) è l’opera-simbolo del Louvre, ed è considerato il quadro più celebre del mondo

La collezione del Louvre

Le antichità orientali costituiscono il primo nucleo di una vasta collezione, raccogliendo tutti quei reperti archeologici provenienti dal vicino e dal Medio Oriente, per un arco di temporale che va dal 10000 a.C. fino all’avvento dell’Islam. La collezione custodisce reperti di altissimo livello, come i rilievi del palazzo di Sargon II di Khorsabad o le decorazioni del palazzo degli Achemenidi di Susa.

Nel 1826 fu creata l’antichissima collezione di antichità egizie che, fornendo un quadro molto completo delle civiltà nilotiche tra il 4000 a.C. fino all’epoca cristiana, preserva molti dei reperti recuperati negli scavi di Abu Roach, Assiut, Bawit, Medamud e di Deir el Medina, insieme alle collezioni Clot, Tyszkiwics, Delaporte, Curtis.

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Sono altrettanto cospicue le antichità greche, etrusche e romane: testimonianze delle prime manifestazioni artistiche del mondo ellenico legato all’ambiente insulare delle Cicladi e di Creta, vantano esemplari come il tesoro di Boscoreale, un insieme di pezzi di argenteria e gioielleria provenienti da una cisterna romana.

La raccolta dei dipinti italiani risale ai tempi di Francesco I che “innamoratosi dell’arte italiana, acquisto opere di Michelangelo e Raffaello e invitò Leonardo e altri artisti a lavorare presso di lui “: oltre alla “Gioconda“, simbolo del museo, è possibile ammirare i capolavori di Giotto, Mantegna, Botticelli, Tiziano, Caravaggio.

La sezione riservata alla pittura francese è ovviamente la più nutrita, con una progressione dei capolavori dalle origini medievali fino a Delacroix.

Dopo la rivoluzione del 1789 fu realizzato il Musée du Luxemburg, il primo vero museo di arte contemporanea; in seguito al crescente numero di dipinti francesi fu creato il Musée d’Orsay, dove, nel 1986, furono trasferite le opere precedenti al 1848.

La pittura europea trova ampio spazio all’interno della collezione, comprendente opere spagnole, fiamminghe, olandesi, tedesche e inglesi, con pittori come Bartolomé Esteban Pérez Murillo (1618 – 1682), Jan Vermeer (1632 – 1675), Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606 – 1669), Lucas Cranach (1472 – 1553) e William Turner (1775 – 1851).

Amore e Psiche
Tra le sculture presenti al museo del Louvre, “Amore e Psiche” di Antonio Canova è una delle più celebri ed ammirate

Il dipartimento dedicato alla scultura espone opere che datano dall’epoca medievale fino all’Ottocento, raccogliendo opere d’arte italiana, tedesca e inglese. La scultura italiana ha tra i suoi massimi rappresentanti opere di Donatello (1386 – 1466), Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564), Benvenuto Cellini (1500 – 1571), Gian Lorenzo Bernini (1598 – 1680) e Antonio Canova (1757 – 1822). Particolarmente degne di nota sono le sculture dello “Schiavo morente e lo schiavo ribelle” di Michelangelo, la “Ninfa” di Cellini, il “Busto del Cardinale Richelieu” di Bernini e “Amore e Psiche” di Canova.

Il sito ufficiale del museo: louvre.fr

Note Bibliografiche
Philippe Daverio, Louvre, Scala, Firenze, 2016

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Rennes le Château tra storia e leggenda https://cultura.biografieonline.it/rennes-le-chateau/ https://cultura.biografieonline.it/rennes-le-chateau/#respond Mon, 08 Feb 2016 14:00:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16492 Il comune di Rennes le Château era un tempo conosciuto con il nome di Rhedae, termine derivante dalla lettera runica “Raida” e indicante il “carro”. Secondo le teorie più affascinanti la parola Rhedae deriverebbe da “Aer Red“, la divinità celtica rappresentata dal “serpente corridore” (Sède).

Rennes le Château
Una foto recente di Rennes-le-Château

I Celti

I Celti furono la prima popolazione ad occupare stabilmente il territorio di Rennes le Château quando nel 700 a.C. abbandonarono la Gallia per spostarsi tra Monze e Pepiex. Nelle molte emigrazioni sul territorio francese giunsero anche a Rhedae, città scelta per la posizione strategica verso la Spagna e per la conformazione geologica che la rendeva inattaccabile.

I Romani

Il predominio dei Galli, diretti discendenti dei Celti, sul territorio francese terminò con l’arrivo dei Romani a Narbonne nel 120 a.C. .
Le testimonianze lasciate dai romani nel Razès sono copiose: parte della strada pavimenta che congiungeva Carcassonne alla Spagna, percorso che comprendeva Rennes le Château e Bezù e che divenne ben presto parte integrante del cammino per Santiago di Compostela; tra i manufatti archeologici non mancano resti di statue e monete con effige oltre alle notissime terme di Rennes les Bains, la località che, situata nelle vicinanze di Rennes le Château, deve il suo nome al termine celtico “Regnes”, ovvero acque rosse, ferruginose.

I Visigoti

I Visigoti si stanziarono stabilmente in Francia dopo il sacco di Roma del 410. Con Tolosa capitale Rhedae, l’antica Rennes le Château, divenne molto importante “grazie alla posizione che permetteva di controllare la penisola iberica” (Bordes).

Con il sacco di Roma i Visigoti trafugarono dalla “città eterna” il presunto “Tesoro del tempio”, ovvero quell’immensa ricchezza accumulata da Tito dopo la guerra palestinese del 70 d.C. .
L’incalcolabile capitale che, secondo alcuni storici venne utilizzato per la costruzione del tempio di re Salomone, giunse in Occidente, a Tolosa.
Quando la minaccia dei Franchi sulla capitale divenne più pressante, i regnanti spostarono il bottino proprio nelle vicinanze di Rennes le Château, sulla montagna di Blanchefort.

I Merovingi

I Merovingi capeggiati da Clodoveo sconfissero i Visigoti a Vouillè nel 507, sconfitta che indusse i vinti a superare i Pirenei e a fondare il nuovo regno in Spagna.
Dopo aver incendiato Tolosa ed aver riportato alla luce una piccola parte del tesoro di Narbonne, conquistarono Rhedae. Con la salita al potere del saggio Dagoberto II, Rhedae crebbe esponenzialmente, da paese fortificato divenne una cittadina popolosa di tremila abitanti.
Dagoberto II convogliò a nozze con la nobile Giselle del Razès proprio a Rhedae, rafforzando il “legame con la zona e con i Visigoti dai quali discendeva la contessa” (Bordes).

L’epoca carolingia

Con la vittoria dei Franchi sui Visigoti e gli arabi, Carlo Magno conferì a Rhedae il rango di “città reale“, avvenimento suggellato dal matrimonio tra Almarico, figlio di un re visigoto, con la principessa Clothilde. Sono questi i decenni dei fasti della corte di Rhedae che, grazie al piccolo ruolo riconosciuto nel Sacro Romano impero, divenne il punto di incontro tra provenzali e catalani.

Il declino di Rhedae

Il lento declino della supremazia di Rhedae prese avvio con la presa di potere di Limoux nell’undicesimo secolo. La situazione si aggravò ulteriormente con l’annessione di Rhedae alla contea di Carcassonne e alla donazione del castello nel 1002.
Nel 1170 il re d’Aragona Alfonso II, rivendicando il possesso di parte del territorio, attaccò Rhedae distruggendola, assalto che risparmiò solo la cittadella posta in cima alla collina, l’odierna Rennes le Chateau.

La crociata contro i Catari e la presenza dei Templari

Dopo aver nuovamente riacquistato parte del potere originario, Rhedae divenne, secondo quanto narrano le cronache del tempo, nuovamente vittima indiretta della follia sortita da Innocenzo II ai danni dei Catari di Montsegur.

La crociata contro il popolo eretico vide il coinvolgimento non di comuni guerrieri, bensì di cavalieri straordinari e abili uomini di Chiesa: i Templari.
I Templari giunsero nel Razès nel 1118 e negli anni compresi tra il 1132 e il 1137 stanziarono sul posto grazie al supporto delle due famiglie più importanti della regione: i Blanchefort e gli A Niort.

L’attacco di Henri de Trastamare

L’aura di mistero aleggiava intorno a Rennes le Château già nel XIV secolo, quando flotte di soldati, guidati da Henri de Trastamare, giunsero sul luogo attratti dalla ricchezza.
Henri de Trastamare, pretendente al tono di Castiglia, attaccò Rhedae nel 1369. La città venne rese rasa al suolo e pochi anni dopo il paese venne nuovamente messo in ginocchio da un’epidemia di peste che completò la lunga strada verso il declino.

L’abate Saunière e i misteri di Rennes le Chateau

La figura di François Bérenger Saunière è visceralmente legata alla storia di Rennes le Chateau. Con l’arrivo del parroco una serie di fatti inspiegabili furono accolti dalla comunità del tempo con stupore, meraviglia che tuttora colpisce le menti più brillanti.

Abate Sauniere – Bérenger Saunière
L’abate Bérenger Saunière

In relazione alla storia privata dell’abate, la carriera di seminarista appariva raggiante e destinata a culminare in una carriera ecclesiastica di primissimo ordine. Nonostante le premesse, Saunière giunse nel piccolo comune contadino di Razès nel 1885 e su ordine del vescovo di Carcassonne Fèlix Arsène Billard condusse, almeno apparentemente, una vita del tutto umile con uno stipendio di 75 franchi. L’esistenza dimessa del curato di campagna non durò a lungo, i registri contabili riportano un incremento eccezionale di denaro, molto del quale speso per la ristrutturazione della chiesa e del castello della vecchia Rhedae.

Il curato di campagna si impegnò inoltre nella costruzione di una torre, la famosa Torre Magdala, permeando il tutto con misteriosi simbolismi e forti influenze esoteriche.
Secondo le teorie più accreditate la fonte di tali ricchezze fu il ritrovamento di un enorme tesoro nato dall’accumulo di tesori diversi nei secoli, dall’antico tesoro del Tempio di Salomone fino al Tesoro dei Templari.

Altri studiosi supportano un’idea differente: il “tesoro” consisterebbe in una serie di documenti in grado di testimoniare l’arrivo in Francia di Maria Maddalena dopo la crocifissione di Cristo. Temi, questi ultimi ripresi in epoca recente da Dan Brown per il suo best seller “Il codice da Vinci” (2003), da cui poi è stato tratto l’altrettanto celebre film (2006) di Ron Howard con Tom Hanks.

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Note Bibliografiche
G. Baietti, L’enigma di Rennes le Chateau, I Rosacroce e il tesoro perduto del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 2003
I.Bellini, D. Grossi, Atlante dei misteri, Giunti Editore, Milano, 2006

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La Rue Montorgueil a Parigi. Festa del 30 giugno 1878 (Monet) https://cultura.biografieonline.it/rue-montorgueil-monet/ https://cultura.biografieonline.it/rue-montorgueil-monet/#comments Thu, 04 Feb 2016 11:07:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16481 La Rue Montorgueil a Parigi. Festa del 30 giugno 1878” fu dipinto da Claude Monet proprio quel giorno, mentre Parigi era in festa. Il 30 giugno 1878 ha avuto diversi significati nella storia moderna francese.

Rue Montorgueil a Parigi - Festa del 30 giugno 1878
Il quadro in oggetto “La Rue Montorgueil a Parigi. Festa del 30 giugno 1878” è un Olio su tela che misura Cm 81 x 50. E’ conservato nella capitale francese, presso il Museo d’Orsay

Contesto storico e analisi del quadro

Il motivo ufficiale per cui tale data venne istituita dal governo fu celebrare l’inaugurazione della terza Esposizione universale di Parigi. Più in generale, però, il 30 giugno era anche la festa dedicata al lavoro e che il governo repubblicano, in difficoltà, aveva pensato di istituire come celebrazione della rinascita del paese.

La situazione politica era a quel tempo burrascosa: gli scontri fra le opposizioni e il governo conservatore francese minavano la stabilità della Repubblica. In questo contesto storico, il pittore Claude Monet venne incaricato di dipingere la scena dei festeggiamenti da una posizione sopraelevata.

La tecnica utilizzata da Monet è quella impressionista: in quest’opera le sue brevi e veloci pennellate servono proprio a descrivere l’energia che anima la festa.

Le bandiere che sventolano da ogni finestra colorano tutta la strada e i colori sono quelli della Francia contemporanea. Questo dipinto, che sembra una fotografia e che immortala un pezzo di storia della Francia repubblicana, segna forse una linea di confine oltre la quale, simbolicamente e pacificamente, almeno per quel giorno, i francesi vedono arrivare la modernità.

Di fatto Monet si trasforma in un testimone d’eccezione, in un reporter – è stato detto – che con il suo talento straordinario riesce a descrivere, in un momento – come insegna l’Impressionismo – l’esplosione di luce e vivacità che impregna di colori la Rue Montorgueil a Parigi in una mattina del 30 giugno 1878.

Una curiosità, anche se prevedibile considerato che era un giorno di festa: il 30 giugno dell’anno 1978 era una domenica.

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