Arte Archivi - Cultura https://cultura.biografieonline.it/argomento/arte/ Canale del sito Biografieonline.it Tue, 10 Jun 2025 07:27:10 +0000 it-IT hourly 1 Iris e cavalletta, opera di Hokusai https://cultura.biografieonline.it/iris-cavalletta-hokusai/ https://cultura.biografieonline.it/iris-cavalletta-hokusai/#respond Tue, 10 Jun 2025 07:20:30 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=42595 Iris e cavalletta è una xilografia policroma realizzata fra il 1833 e il 1834 da Hokusai. L’opera appartiene ad una serie intitolata Grandi fiori, da distinguere da un’altra serie intitolata Piccoli fiori.

Iris e cavalletta (Hokusai)

In quest’opera Hokusai ritrae degli iris con l’attenzione che ha sempre riservato alla natura.

Per gli artisti giapponesi, infatti, ritrarre piante, animali, fiumi e rocce era un modo, non solo per osservarli, ma anche per immortalarli come esseri viventi dotati di un’anima.

Le opere giapponesi influenzarono profondamente l’arte occidentale dell’Ottocento. Anche Vincent van Gogh, attratto, come molti altri artisti, dalle opere di Hokusai e di Hiroshige e di altri artisti giapponesi, confidò a suo fratello, in una delle sue famose lettere, che i giapponesi avevano quasi inventato una religione con la loro attenzione sacra verso le piante e gli animali.

Si veda l’opera di Van Gogh: Giapponeseria Oiran.

Il messaggio spirituale

E, infatti, in quest’ opera possiamo ammirare gli iris che con i loro petali sembrano ripiegarsi su se stessi, vibrare, mandarci un messaggio per comunicare con chi li osserva e con chi ha la capacità di comprenderli.

In fondo, lo stesso Hokusai notava come, durante la sua carriera di artista, avesse imparato ad osservare la forza spirituale delle piante e degli animali e si augurava, se avesse continuato a vivere, di raggiungere un livello ancora più elevato di comprensione della Natura.

Nell’opera, oltre agli iris, possiamo notare le foglie, rigide e lunghe come delle spade, sembrano infatti delle katane, spade tradizionali giapponesi. E, infatti, questo tipo di foglie rappresentano per i giapponesi la virilità e sono associate ai samurai.

Vediamo anche una cavalletta, immobile, la quale sta divorando una delle foglie.

Nel complesso, osservando con attenzione questa xilografia, non possiamo che farci affascinare dalla sua poesia e dalla capacità di Hokusai di raccontare la potenza creatrice della natura.

Stampa su tela

È possibile trovare la stampa su tela di Iris e cavalletta su Amazon.

Dati sintetici

Titolo: Iris e cavalletta.

Autore: Opera di Hokusai.

Anno: 1833 – 1834.

Tecnica: Xilografia policroma.

Serie: Grandi fiori.

Video

Altre opere di Hokusai

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Musei Vaticani https://cultura.biografieonline.it/musei-vaticani/ https://cultura.biografieonline.it/musei-vaticani/#comments Sat, 03 May 2025 09:44:24 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17719 Visitare i Musei Vaticani significa immergersi simultaneamente tra le onde di un tempo che rivive il presente nell’immagine del proprio solenne passato, e che s’innesta nel futuro come ideale eterno e universale di un concetto estetico e comunicativo immortale, nato dai padri dell’umanità per impressionare generazioni di figli, nel frangente di una continuità che non sfibra, ma che fortifica ogni antico concetto.

Musei Vaticani

La pluralità della conoscenza incontra le fasi più nobili dello spirito umano nella magnificenza della sede vaticana dove, tra le antichità di una religiosità permeante marmi e antichi segreti, vige il potere indiscusso della Chiesa di Roma.

La grandezza incontra il potere nell’incalcolabile connubio tra arte e reggenza clericale, devota a Dio e agli uomini creati a sua immagine e somiglianza. Non esiste vastità più ampia di un complesso dove vige l’anima del mondo, il cuore pulsante di una storia pressoché infinita che articolò i benefici della vittoria sulle rimesse fondamenta del debole pensiero, corrotto e dunque soffocato.

La storia del Vaticano è la storia del mondo, così come ogni parte del mondo fu tassello nel glorioso disegno evangelicamente imperituro di una conquista delle anime lontane dalla Chiesa e quindi da Dio.

L’eccezionalità delle personalità pontificie legò indissolubilmente la storia dei Musei Vaticani a una collezione d’arte stupefacente, in una varietà di manufatti e opere d’arte rappresentanti le fasi più alte dell’artisticità umana, dai corpi perfetti e atletici della statuaria classica fino alla modernità sorprendente e inquieta dei mentori dell’ideale spesso sofferente dell’arte novecentesca.

Musei Vaticani: la Storia

Ripercorrere la storia dei Musei Vaticani significa ripercorrere i vicoli della Roma rinascimentale, quando il potere si decorò d’illustri ornamenti, colpendo il cuore della cristianità di una rinnovata concezione artistica, generata dalla mente dei precursori di una potenza interpretativa senza eguali, di una ricchezza compositiva distillata di passione e sottomissione, di un totale asservimento vincolato alla consapevolezza di una somma missione ordinata e intensissimamente voluta dal vicario di Cristo in terra.

L’ispirazione nacque dalle contorte spire del gruppo scultoreo del “Laocoonte” (I secolo a.C.), per giungere, infine, alla genesi del nucleo primitivo della collezione intrapresa da papa Giulio II (1443 – 1513), che non solo gettò le basi di un complesso museale di un’assoluta importanza, ma la cui prima formazione influenzò in maniera consistente il percorso artistico e la mente sensibile ed estremamente ricettiva dei grandi protagonisti del panorama rinascimentale italiano, come nel caso di Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564), che seppe fare del “Torso del Belvedere” (I secolo a.C.) l’anima di una propria poetica, e i cui risvolti riecheggiano tra i corpi nudi e mascolinamente torniti dei personaggi che popolano la volta della Cappella Sistina.

La volta della Cappella Sistina
Musei Vaticani: la volta della Cappella Sistina

Il 1508 coincide con l’incipit di una grandiosa e maestosa volontà collezionistica, sacra al valore dell’umano apprezzamento e allo strumento dell’arte quale mezzo per raggiungere Dio, dunque l’anima del mondo.

Quando Giulio II, Giuliano della Rovere, nell’ampio respiro di un mecenatismo illustre e fortemente classicista, acquistò il mitologico gruppo scultoreo urlante di orrore e ritraente, nelle solide forme di un marmo ammirevole, l’inganno della sorte brutale toccata al sacerdote troiano, qualcosa nella storia variò, cambiando gli attesi destini dello “Status Civitatis Vaticanæ”.

“[…] Egli, com’era
D’atro sangue, di bava e di veleno
Le bende e ‘l volto asperso, i tristi nodi
Disgroppar con le man tentava indarno,
E d’orribili strida il ciel feriva;
Qual mugghia il toro allor che dagli altari
Sorge ferito, se del maglio appieno
Non cade il colpo, ed ei lo sbatte e fugge.”

(Virgilio, Eneide, Libro II, 370 – 377)

Il classicismo della virgiliana figura morente del “Laocoonte” trova in sé il motivo chiave di una collezione, quella classica, che fece della sua esistenza la giustificazione di quell’impero, un tempo romano e fecondo di conquiste, che proseguì passando dalle contuse mani di Lucius Aemilius Paullus (229 a.C. – 160 a.C.) e Flavio Valerio Aurelio Costantino (306 – 307) alle ingemmate dita di Leone X (Giovanni di Lorenzo de’ Medici, 1475 – 1521) e Paolo III (Alessandro Farnese, 1468 – 1549), verso la fatalità benedetta e gloriosamente sacra di un “Imperium sine fine”, ovvero di un impero prepotentemente consacrato alla Chiesa Cattolica, nella pagana citazione dell'”His ego nec metas rerum nec tempora pono: imperium sine fine dedi” di Publio Virgilio Marone (70 a.C. – 19 a.C.).

Un ideale sommo, celestialmente guidato nella riuscita di un’opera suprema di materializzare dell’antico binomio che lega la creazione a Dio, nell’esatta corrispondenza dell’uomo capace di creare e trasformare la materia, infondendo in essa la scintilla dell’umana vitalità, come l’assoluta potenza che colma la breve distanza che separa l’indice di Dio da quella di Adamo, negli affreschi michelangioleschi della Cappella Sistina.

Il potere incontrò il prestigioso volto dell’arte rinascimentale nei sublimi ambienti vaticani, portando a compimento il magniloquente incontro, in molti casi agonistico, tra Raffaello Sanzio (1423 – 1520) e Michelangelo Buonarroti.

La fervente contesa che spesso animava gli artisti, volgeva altrettanto frequentemente l’indomita indole ai danni dei giudizi estranei alla volontà personale.

Come nel caso di Michelangelo che con riluttanza accoglieva le opinioni altrui, atteggiamento che palesò nella laconica risposta data al drammaturgo e poeta Pietro Aretino quando questi dispensò alcune indicazioni attinenti la realizzazione del “Giudizio Universale“:

[…] Sommi molto rallegrato per venire da voi, che sete unico di virtù al mondo, et anche mi sono assai doluto, però che, avendo compìto gran parte de l’historia, non posso mettere in opra la vostra imaginazione, la quale è sì fatta, che se il dì del giudicio fusse stato, et voi l’aveste veduto in presenzia, le parole vostre non lo figurarebbono meglio […].

I Musei Vaticani si configurano, dunque, non solo come indiscussi custodi del sublime operato umano, ma come frangente entro cui si sviluppò la sofferenza, l’indocile passione, il sentimento artistico che mosse gli ingranaggi dell’illustre “intelligentia“, nelle afflizioni estenuanti di capolavori d’immensa portata; le illustri esternazioni del genio artistico amalgamavano il colore al sudore della fatica, l’estetica perfezione delle forme all’inguaribile indebolimento fisico, liberando e trasformando ogni mera rinuncia materiale in un supremo capolavoro artistico, in un’evidente elevazione spirituale facilmente deducibile da alcuni dei versi del Buonarroti, che ritraggono, lo stesso, ormai piegato dagli sconfinati sforzi rivolti alla realizzazione degli affreschi della volta della Cappella Sistina:

Dinanzi mi s’allunga la corteccia,
e per piegarsi adietro si ragroppa,
e tendomi com’arco soriano
Però fallace e strano
surge il iudizio che la mente porta,
ché mal si tra’ per cerboctana torta.

(M. Buonarroti, Le Rime, 12 – 17)

Le evoluzioni

L’origine delle collezioni vaticane sbocciò esuberante dal marmoreo “Cortile delle statue“, oggi “Cortile Ottagonale“, per evolversi sovente in quel patrimonio artistico che riempì di magnificenza i lussuosi saloni vaticani, portando alla nascita di nuovi spazi espositivi e dunque museali.

Nel corso del XVIII secolo fu fondato il primo nucleo del “Museo Pio – Clementino” per l’opera culturalmente e artisticamente feconda di Clemente XIV (Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli, 1705 – 1774) e Pio VI (Giovanni Angelo Braschi, 1717 – 1799), mentre nel secolo successivo, con Pio VII (Barnaba Niccolò Maria Luigi Chiaramonti, 1742 – 1823) furono fortemente ampliate le raccolte di antichità classiche e la collezione epigrafica, ospitata nella “Galleria lapidaria” (XVIII secolo).

Con Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cappellari, 1765 – 1846) si aprirono le porte del “Museo Gregoriano Etrusco” (1828) e del “Museo Gregoriano Egizio” (1839), con i reperti provenienti dagli scavi dell’Etruria meridionale e alcuni artefatti nativi del “Museo Capitolino e Vaticano”.

Nel 1844 fu inaugurato il “Museo Lateranense”, luogo espositivo che vanta la presenza di statue, mosaici, bassorilievi di età romana, i quali non trovarono posto nei palazzi vaticani.
Sotto il pontificato di San Pio X (Giuseppe Melchiorre Sarto, 1835 – 1914) fu inaugurato il “Lapidario Ebraico” (1910), sezione ospitante 137 iscrizioni degli antichi cimiteri ebraici di Roma.

I Musei Vaticani si figurano come un contesto espositivo diffuso, in altre parole scandito in una moltitudine di spazi dislocati in varie edifici o ambiti museali; nel limite di una sintesi esaustiva è risulta necessario ricordare la “Galleria degli Arazzi” (1838), la “Galleria delle carte geografiche” (1580) voluta da Gregorio XIII (Ugo Boncompagni, 1502 – 1585) e restaurata da Urbano VIII (Maffeo Vincenzo Barberini, 1568 – 1644), la “Sala Sobieski”, la “Sala dell’Immacolata Concezione” (1854), la “Loggia di Raffaello” (1517 – 1519), le “Stanze di Raffaello” (1508 – 1524), la “Cappella di Beato Angelico” (“Cappella Niccolina”, 1447) voluta da Niccolò V (Tomaso Parentucelli, 1397 – 1455), la “Cappella Sistina” (1483), gli “Appartamenti Borgia” (1492), la “Pinacoteca Vaticana” (1932) e il “Museo Missionario Etnologico” (1926).

Il 1973 fu l’anno della nascita della collezione d’arte religiosa moderna e contemporanea e quella del “Museo Storico”, ospitante una serie iconografica dei papi nonché i cimeli dei corpi militari soppressi.

La collezione

I Musei Vaticani, vigilanti di un’arte sacra e al contempo contemporanea, riempirono quell’infausta frattura che per secoli aveva emarginato la sacralità dalla modernità, in un concetto che induceva a escludere dalle collezioni vaticane i maggiori esemplari di arte moderna, in una comprensione di una religiosità nuova, sofferta e ricercata, come nella “Pietà” (1889) di Van Gogh, e fortemente discussa nel “Crocifisso” (1954) di Salvador Dalì.

Un’arte moderna che rimanda ai miti del Rinascimento, un’arte rinascimentale che richiama il forte classicismo della statuaria greco – romana, in un’avanzante e galoppante schiera dei più assoluti e universalmente riconosciuti capolavori antichi; è il caso di citare l'”Atena e Marsia” (450 a.C.) di Da Mirone, l’ “Amazzone Mattei” (V secolo a.C.) di Fidia, “Afrodite Cnidia” (360 a.C.) di Prassitele, l’ “Apollo del Belvedere” (350 a.C.) di Leocares, la “Statua colossale di Claudio” (47 d.C.), l’ “Augusto di Prima Porta”, l’ “Apoxyómenos” (330 -320 a.C.) di Lisippo, il “Gruppo del Laocoonte” (I secolo d.C.), gli “Affreschi dell’Odissea dalla casa di via Graziosa” (I secolo a.C.), la “Base dei Vicomagistri” (20 – 40 d.C.), la “Colonna Antonina” (161 – 162 d.C.), il “Sarcofago di Costantina” (340), il “Sarcofago dogmatico” (320 – 340), il “Ritratto del decennale di Traiano” (108 d.C.) e il “Ritratto di Filippo l’Arabo” (244 d.C.).

Il mondo classico sfuma lentamente le brillanti superfici pallide e pagane dei marmi ellenici nella complessità dell’arte medievale che, nel terreno fertile di una venerazione religiosa al limite della faziosità, vide l’investitura di un’arte splendida, narrata dai capolavori vaticani dell'”Evangeliario di Lorsch” (“Codex Aureus di Lorsch”, 778 – 820), dal “Polittico Stefaneschi” (1320) di Giotto, l'”Annunciazione” (1423 – 1425) di Gentile da Fabriano e dai cinque scomparti della predella del “Polittico Quaratesi” (1425).

Nati nel cuore del Rinascimento, i Musei Vaticani godettero del privilegio di artisti contemporanei celebri, che seppero fare dell’arte lo strumento di un potere religioso in progredente crescita, serbando ed esibendo la maestosità di un periodo glorioso attraverso un rinnovamento ideale e materiale che si espresse attraverso gli arazzi della Cappella Sistina di Raffaello, la predella della “Pala di Perugia” (1438) di Beato Angelico, l'”Incoronazione Marsuppini” (1460) di Filippo Lippi, il “San Girolamo” (1480) di Leonardo da Vinci e la “Pietà di Pesaro” (1471-1483) di Giovanni Bellini.

Nel complesso progresso artistico che unì gli uomini al supremo ideale che è l’arte, nell’ottica di uno strumento che cova in sé uno spirito capace di comprendere ogni epoca, si giunge all’illusoria fine di un percorso, nei vasti meandri dell’arte moderna e infine contemporanea, con la “Deposizione” (1602 – 1604) di Caravaggio, il “Martirio di sant’Erasmo” (1628) di Nicolas Poussin, il “Perseo trionfante” di Antonio Canova (1797 – 1801) e le potenti e irrequiete opere sopracitate di Salvator Dalì e Van Gogh.

Perseo trionfante - Scultura di Canova
Perseo trionfante: Perseo tiene con la mano la testa di Medusa (Scultura di Canova)

Note Bibliografiche
C. Rendina, I papi. Da San Pietro a Papa Francesco. Storia e segreti, Newton Compton Editori, Roma, 2013
M. Buonarroti, S. Fanelli (curatore), Rime, Garzanti, Milano, 2006
T. Filippo, La passione dell’error mio. Il carteggio di Michelangelo. Lettere scelte 1532-1564, Fazi, Roma, 2002

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Cristo alla colonna, quadro di Antonello da Messina https://cultura.biografieonline.it/cristo-alla-colonna-antonello-da-messina/ https://cultura.biografieonline.it/cristo-alla-colonna-antonello-da-messina/#comments Fri, 18 Apr 2025 17:39:25 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26846 Nel periodo 1476-1478 circa Antonello da Messina dipinge il Cristo alla colonna, un’opera potentissima che supera l’iconografia fiamminga e apre la strada ad un nuovo modo di realizzare i ritratti.

Cristo alla colonna Antonello da Messina Christ at the column
Cristo alla colonna (1476-1478): olio su tavola, 25.8 cm × 21 cm • Il dipinto è conservato presso il Museo del Louvre, a Parigi.

Cristo alla colonna: descrizione dell’opera

Prima di tutto la testa del Cristo non è rivolta verso lo spettatore ma è appoggiata alla colonna della flagellazione. Gli occhi di Gesù guardano verso il cielo in un momento altissimo di sofferenza fisica e morale.

Cristo non cerca la pietà dell’uomo ma quella di Dio che invoca in un momento di disperazione e dolore. L’emozione è fortissima perché in questo momento Antonello da Messina racchiude la disperazione della passione quando Gesù si domanda perché suo padre, Dio, lo ha abbandonato.

Eloi, Eloi, lema sabactàni? [In aramaico]

Secondo i Vangeli di Marco e Matteo sono le ultime parole di Gesù prima di morire.

La perfezione dei dettagli

A questo punto lo sguardo dello spettatore si concentra sulla realizzazione di dettagli perfetti. I capelli sciolti sono sudati a causa della sofferenza patita; la corona di spine, la barba rada, le lacrime si differenziano per un miracolo di luce e colore dalle gocce di sangue; il collo, la corda intorno al collo tirato per il dolore e alla bocca da cui sembra udire la voce di Gesù.

Il dipinto, perfetto nella sua realizzazione, suscita compassione, pietà e ammirazione per il gioco della luce che ci permette di osservare senza soluzione di continuità i particolari del volto di Cristo.

Un altro elemento di originalità si trova nella prospettiva che la particolare collocazione del viso crea nel perimetro del dipinto. L’osservazione parte da sotto e sale fino agli occhi: in questo modo il volto del Cristo prende tutto lo spazio e occupa completamente lo sguardo dello spettatore.

Commento e breve analisi dell’opera

Non si sfugge dalla tragedia che Gesù sta vivendo, bisogna guardarla, subirla e riflettere poi sul peso che ha dovuto affrontare. Questo è lo scopo di Antonello da Messina: fotografare la perfezione di un attimo.

Per nostra fortuna il dipinto Cristo alla colonna a differenza di altri quadri dell’artista messinese, è conservato molto bene; dunque la forza della luce si realizza appieno.

Il dipinto si colloca nella serie tematica di opere che comprende anche Ecce Homo e Crocifissione. “Cristo alla colonna” ebbe successo per la sua efficacia prospettica ma soprattutto per il capolavoro dei dettagli. Tuttavia ciò che colpisce, a mio modo di vedere, oltre alla luce, alla bellezza dei dettagli, alla perfezione dei particolari è la forza di attrazione verso la bellezza di Gesù; Cristo soffre, cerca Dio padre e vede forse in quell’attimo il Paradiso che lo attende.

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Crocifissione, opera di Antonello da Messina https://cultura.biografieonline.it/crocifissione-antonello-da-messina/ https://cultura.biografieonline.it/crocifissione-antonello-da-messina/#comments Fri, 18 Apr 2025 17:32:19 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26844 Nel 1475 Antonello da Messina dipinge un capolavoro sulla crocifissione. Mancano pochi anni alla sua morte e il maestro messinese possiede perfettamente la tecnica prospettica. Esistono due versioni della crocifissione di Cristo, dipinte da Antonello nello stesso anno, più una terza antecedente. Le opere vengono indicate con il nome della città in cui risiedono attualmente. Quella che andiamo ad analizzare qui è un olio su tavola, 52,5 x 42,5 cm, esposta in Belgio, presso il Koninklijk Museum di Anversa.

Crocifissione Antonello da Messina Crucifixion Calvary
Crocifissione (Calvary) • Antonello da Messina, 1475

Crocifissione: descrizione del quadro

Si può osservare la padronanza della tecnica prospettica nella realizzazione della balza rocciosa del Golgota, nella contorsione dei due ladroni e nella posizione opposta e complementare di Maria e Giovanni.

La balza rocciosa è cosparsa di teschi, erbe, pietre e alcuni animali si muovono fra le rocce e i crani. Il riferimento è ai fiamminghi e alla loro superba arte dei dettagli che Antonello da Messina conosceva molto bene.

I simboli

Gli animali e i teschi hanno però anche altri riferimenti simbolici. I teschi rappresentano la transitorietà della vita. I serpenti che escono dai bulbi oculari simboleggiano la tentazione e il male che spreca l’esistenza.

La civetta, invece, rappresenta coloro che sono persi nel buio più totale e sono incapaci di vedere la luce.

Alcuni riferimenti sono scontati altri sono più dotti e si riferiscono anche a simboli biblici.

I personaggi

Particolari invece sono le posizioni dei ladroni che si contorcono sui pali legnosi. La descrizione anatomica, la posizione dei corpi, la prospettiva delle posizioni sono un tratto caratteristico di Antonello da Messina; ma in questa tela raggiungono un vertice notevole.

La terza parte, il rapporto contrapposto fra Maria e Giovanni chiude il lavoro di Antonello. Lo sfondo infatti è più piatto rispetto alla parte del Golgota e forse non è di Antonello, ma di uno dei suoi discepoli. Oppure è opera del figlio Jacobello, il quale dopo la morte del padre prende in mano la bottega e conclude alcune commissioni che il genitore aveva firmato prima di morire.

La parte invece in cui si vedono i cavalieri mentre rientrano a Gerusalemme è ricca di dettagli e di rimandi all’arte fiamminga.

Un altro riferimento è il cartellino (o cartiglio) con il nome dell’opera che Antonello dipinge in basso a destra; esso forse è un saluto al suo amico Giovanni Bellini che utilizzava lo stesso espediente.

Lo stretto di Messina

Studi orografici – che riguardano la distribuzione dei rilievi montuosi – effettuati nel 2010, hanno messo a confronto il paesaggio reale dello stretto di Messina con le colline del quadro di Anversa. La tecnica della sovrapposizione mostra come lo sfondo sia stato forse ispirato dalla visione reale dello stretto di Messina. Il punto di vista sarebbe quello dalle colline della valle del torrente Camaro.

Sovrapposizione Crocifissione Antonello da Messina Stretto di Messina
La sovrapposizione della Crocifissione con il paesaggio dello Stretto di Messina

Le altre crocifissioni di Antonello da Messina

Le altre due versioni a cui abbiamo accennato all’inizio sono esposte:

  • alla National Gallery di Londra: dipinto olio su tavola di tiglio (41,9×25,4 cm), datato al 1475. L’opera è successiva a quella di Anversa.
  • al Muzeul Naţional de Artă al României, a Bucarest (Romania). L’opera è datata 1463-1465 circa: è un dipinto realizzato con tempera e olio su tavola, 39×22,5 cm. E’ indicato come Crocifissione di Sibiu.
Crocifissione Antonello da Messina Londra London
La Crocifissione di Antonello da Messina esposta a Londra
Crocifissione di Sibiu Antonello da Messina Romania
Crocifissione di Sibiu

Analisi dell’opera con commento video

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Primavera di Botticelli: breve analisi e commento all’opera https://cultura.biografieonline.it/la-primavera-botticelli/ https://cultura.biografieonline.it/la-primavera-botticelli/#comments Wed, 19 Feb 2025 13:45:59 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=5662 La Primavera è uno dei quadri più famosi e importanti di Sandro Botticelli. È stato dipinto nel 1482 e misura 203 x 314 cm. È stato eseguito con colori a tempera su una tavola di legno. Attualmente si trova nella Galleria degli Uffizi di Firenze. Il titolo fu stabilito prendendo spunto dalla descrizione che il Vasari diede al dipinto:

Venere che le Grazie la rifioriscono dinotando la Primavera”.

Primavera di Botticelli
La Primavera di Botticelli (1482)

Interpretazione del quadro

Il significato dell’opera Primavera di Botticelli ha avuto innumerevoli interpretazioni, tuttavia ciò che è unanimemente considerato certo sono i nomi e i ruoli dei personaggi ritratti.

A destra

Iniziando da destra si nota il vento Zefiro che sta afferrando una ninfa, Clori.

Zefiro la sta fecondando e grazie al suo soffio la sta trasformando in Flora, colei che genera i fiori e che rappresenta la Primavera.

Clori, mentre si trasforma, perde dei fiori dalla bocca che si mescolano con i fiori che sono presenti sul manto erboso, in basso.

Al centro

Al centro vediamo Venere, immobile davanti ad un cespuglio di mirto.

Sopra alla sua testa vola Cupido, suo figlio, che con una benda agli occhi sta per scoccare una freccia.

A sinistra

Accanto a Venere, sulla sinistra, vi sono le tre Grazie, le quali ballano con solennità, muovendosi a cerchio.

Rappresentano l’amore che si dona, si riceve e si restituisce.

L’ultimo personaggio sulla sinistra è Mercurio che tiene in mano un caduceo, forse per capire se si sta avvicinando una tempesta che potrebbe disturbare l’armonia del contesto.

Lo sfondo è coperto dagli alberi di un bosco, oltre al quale si intravede un paesaggio che da ampio respiro alla scena.

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Chop Suey: descrizione e significato del quadro di Hopper https://cultura.biografieonline.it/chop-suey-quadro/ https://cultura.biografieonline.it/chop-suey-quadro/#comments Thu, 26 Sep 2024 16:14:46 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=42400 Chop Suey è un quadro del 1929 realizzato dallo statunitense Edward Hopper. È celebre anche per essere stato venduto nel novembre 2018 per 92 milioni di dollari, diventando una delle opere più costose di sempre.

Dipinto con la tecnica dell’olio su tela, il primo piano dell’opera ritrae due donne che conversano in un ristorante.

Chop Suey - quadro famoso di Hopper
Chop Suey è uno dei quadri più famosi di Edward Hopper

Descrizione del quadro

La scena di Chop Suey – che potremmo tradurre in italiano come Tagliatelle al sugo – raffigura due donne sedute a un tavolo in un ristorante.

C’è anche un’altra coppia sullo sfondo.

Le uniche caratteristiche mostrate in modo particolarmente dettagliato sono il volto della donna dipinta, il cappotto appeso sopra di lei, la schiena del suo compagno, i lineamenti della coppia sullo sfondo, la teiera sul tavolo, il pannello inferiore della finestra mascherato e l’insegna del ristorante all’esterno.

Queste sono tutte caratteristiche che porterebbero un elemento sensoriale (oltre alla vista) alla memoria dipinta: il ronzio della luce esterna, le voci delle persone sullo sfondo, la consistenza del cappotto, il sapore del tè e l’odore del fumo di sigaretta (tenuta dall’uomo) e la luce confusa dalla finestra mascherata.

Il luogo

La statunitense Gail Levin, storica dell’arte, descrive Chop Suey così:

[…] ricorda il ristorante cinese economico al secondo piano che gli Hopper frequentavano a Columbus Circle.

Ciò potrebbe spiegare l’attenzione primaria sulla donna e la monotonia dell’ambiente circostante.

Se fosse stato un posto che Edward Hopper visitava frequentemente, non ci sarebbe stato motivo di concentrarsi sull’ambiente circostante, ma piuttosto sul momento della scena.

Molto probabilmente la moglie dell’artista, Jo Hopper, anch’ella pittrice posò come modella per le tre figure femminili.

Il proprietario del dipinto era Barney A. Ebsworth (1934-2018). Promise di cederlo al Seattle Art Museum, tuttavia alla sua morte la proprietà rimase nel suo patrimonio. Venne venduto solo nel novembre del 2018, come dicevamo all’inizio, stabilendo un record per un’opera di Hopper.

Il collegamento tra pittura e memoria

Le opere di Edward Hopper sono note per le scene realistiche che trasmettono sentimenti di isolamento e solitudine.

Spesso l’artista descriveva la sua arte come una “trascrizione delle sue impressioni più intime della natura”.

Ciò è interpretabile come il collegamento del processo della pittura a quello della memoria.

Questa idea potrebbe essere ulteriormente descritta in un altro modo: come quando, ad esempio, qualcosa si rifà a una memoria personale; certi dettagli possono essere ricordati, ma tutto ciò che si trova al di fuori del focus primario è uno sfondo vuoto.

Chop Suey cattura proprio questo concetto di memoria.

Fa sì che l’osservatore si concentri su particolari elementi della iconografia sensoriale mentre il contesto narrativo raffigura un tema di isolamento.

Chop Suey: dettaglio dei volti
Il dettaglio dei volti

Analisi, interpretazione e significato dell’opera

Secondo il critico d’arte inglese David Anfam (1955 – 2024), un “dettaglio sorprendente di Chop Suey è che il soggetto femminile si trova di fronte al suo sosia”.

Altri hanno invece sottolineato che non sarebbe stato insolito per due donne indossassare cappelli simili all’epoca (fine anni ’20).

Il soggetto del dipinto è l’interno del bar e non si concentra su una figura specifica.

Come in molte opere di Edward Hopper, di fatto, il dipinto porta a prestare grande attenzione agli effetti della luce sui suoi soggetti.

Si vedano ad esempio i quadri “Nighthawks (Nottambuli)” e “Automat (Tavola calda)“.

Rolf G. Renner, autore del libro biografico “Hopper” afferma che:

parte di ciò di cui parlano i dipinti [di Hopper] è quella morte o decadenza che tutti i dipinti in un certo senso rappresentano, poiché distruggono l’immediatezza della percezione attraverso la trasformazione in un’immagine.

Sebbene la scena di “Chop Suey” si svolga in un ambiente sociale, è prevalente il senso di solitudine.

La donna in verde di fronte allo spettatore è seduta con la sua compagna, ma non sembra interagire con lei.

C’è un’analogia con la coppia sullo sfondo: l’uomo sembra essersi ritirato dalla donna di fronte a cui è seduto.

Ogni figura umana è isolata ed emotivamente distante l’una dall’altra: per ognuna c’è riservatezza.

Ciò è rappresentato e trasmesso all’osservatore grazie ai volti nascosti o oscurati: essi ritraggono un’essenza umana.

Ciò si applica ulteriormente alla donna in dettaglio; anche se abbiamo una visione completa del suo viso, c’è un distacco nei suoi confronti a causa del suo trucco netto ed evidente.

La pelle alabastrina con il fard audace e il labbro dipinto suggeriscono solo l’impressione di una donna, simile a una bambola.

Normalmente nel contesto dello stile dell’epoca, ciò potrebbe essere preso come uno stile alla moda, vivace.

Ma Hopper in “Chop Suey” nega questo: attribuisce al volto della donna lo stesso valore del bianco di altre caratteristiche vuote sullo sfondo. Svuota così la sua essenza umana.

L’osservatore la interpreta come se stesse ascoltando distrattamente anziché stabilire un contatto visivo e interagire, come se non fosse concentrata su ciò che la circonda.

La narrazione dietro un ricordo

L’equilibrio è mantenuto nella sezione centrale del dipinto con la presenza di aree prive di dettagli appena sopra la linea di vista dell’occhio.

Queste aree sono contrassegnate da tratti di pennello più ruvidi.

Lo spazio negativo, privo di dettagli sullo sfondo si aggiunge ulteriormente a questo perché l’occhio semplicemente ci passa sopra e si concentra di più sui dettagli presentati.

Questi spazi sono semplici perché le caratteristiche dello sfondo non vengono memorizzate.

Il “peso” è mantenuto nella presenza di dettagli, contenuti tra le figure ai tavoli, fino ai dettagli nel design del cartello esterno, la giacca appesa e la copertura inferiore della finestra.

Tutto ciò ci dà l’impressione che si possa osservare la scena così come tutti gli aspetti importanti, ignorando il contesto esterno.

Con questo in mente lo spettatore può supporre una narrazione dietro un particolare ricordo personale.

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Nighthawks (Nottambuli), quadro famoso di Edward Hopper: significato https://cultura.biografieonline.it/nighthawks-nottambuli-quadro-famoso-di-edward-hopper/ https://cultura.biografieonline.it/nighthawks-nottambuli-quadro-famoso-di-edward-hopper/#comments Wed, 25 Sep 2024 13:12:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=4704 Nighthawks (Nottambuli), è uno dei quadri più famosi di Edward Hopper e uno dei più simbolici dell’arte americana del XX secolo.

Il quadro è stato dipinto nel 1942, utilizzando la tecnica olio su tela, la sua misura è 30 x 60 cm.

Soggetto rappresentato: significato e messaggio

Rappresenta la solitudine e la desolazione che impregna l’atmosfera di un bar nella New York degli anni ’40, dove alcune persone  stanno sedute al bancone di un bar.

Nighthawks (Nottambuli), quadro famoso di Edward-Hopper (1942)
Nighthawks (Nottambuli), quadro famoso di Edward-Hopper (1942) – Dimensioni: 84 cm x 1,52 m – Art Institute of Chicago Building

La desolazione che si prova guardando queste figure anonime, vuote e che fra loro non comunicano, quasi fossero dei manichini, è totale.

Edward Hopper
Edward Hopper

Tuttavia Edward Hopper stesso, a proposito di questo quadro, dichiarò che non lo considerava un’espressione di solitudine in senso individuale, quanto meno non era questa la sua intenzione.

Più che altro per lui si trattava della solitudine che derivava dal vivere in una grande città.

In risposta a una domanda sulla solitudine e il vuoto nel dipinto, Hopper ha sottolineato che “non lo vedeva come particolarmente solitario”. Ha invece detto:

Inconsciamente, probabilmente, stavo dipingendo la solitudine di una grande città.

Il tema della solitudine

L’impatto psicologico che il quadro produce sullo spettatore, ha una profondità importante, perché si sviluppa con la rappresentazione di momenti di vita reale.

Il tema della solitudine, della noia e dell’alienazione ha contraddistinto gran parte della pittura di Hopper che ha interpretato il malessere della società americana dopo la Grande depressione del 1929.

Si veda ad esempio anche il quadro: Automat (Tavola calda) oppure Chop Suey.

Automat - Tavola calda - quadro - Hopper
Automat (Tavola calda), Edward Hopper, 1927 • Pittura a olio, 71 cm x 91 cm • Il quadro è conservato presso il Des Moines Art Center, Iowa (USA) • L’opera è attribuibile ai periodi: Neoclassicismo, Modernismo

Edward Hopper ha dato forma alla disperazione nelle sue sfumature più difficili da cogliere e l’ha legata alla alienazione derivante dal vivere nelle grandi città.

Qui infatti spesso si ritrovavano persone provenienti dalla provincia, in cerca di lavoro e di nuove opportunità.

Alcune curiosità

La moglie di Hopper – Josephine Verstille Nivison, anch’ella pittrice, conosciuta anche come Jo Hopperin una lettera indirizzata a Marion Hopper, sorella di Edward, scrisse una breve descrizione del quadro Nighthawks (Nottambuli) su cui il marito stava lavorando:

[…] ha appena completato un’immagine molto bella – un locale per mangiare di notte con 3 figure. Night Hawks sarebbe un nome adatto. È stato lo stesso Edward a posare per i 2 uomini grazie ad uno specchio, ed io (ho posato) per la ragazza. Ci ha lavorato un mese e mezzo.

Non sappiamo se il locale dipinto nel quadro fosse reale o fosse frutto dell’immaginazione dell’autore. Hopper dichiarò che si era ispirato ad un locale che si trovava a Greenwich Village, nel quartiere di Manhattan. Alcuni studiosi ritengono invece che questo bar dovesse trovarsi a Mulry Square, all’incrocio tra la 7ª Avenue South, Greenwich Avenue e l’11ª West Street, a sette isolati dallo studio del pittore.

Si pensa anche che Hopper sia stato ispirato da un racconto di Ernest Hemingway, “The Killers” (1927), che Hopper ammirava molto. Oppure dal più filosofico “A Clean, Well-Lighted Place” (1933).

L’Art Institute a Chicago entrò in possesso di questo quadro il 13 maggio 1942, già pochi mesi prime del suo completamento, acquistandolo per 3.000 dollari. Ancora oggi è esposto lì.

Nighthawks ha influenzato la componente “noir” di Blade Runner; il regista Ridley Scott ha dichiarato:

Sventolavo costantemente una riproduzione di questo dipinto sotto il naso del team di produzione per illustrare l’aspetto e l’umore che cercavo.

Il dipinto è presente nel film del 2009 “Una notte al museo 2 – La fuga“: il quadro prende vita attraverso l’animazione CGI con i personaggi che reagiscono agli eventi nel mondo esterno.

 

 

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Nascita di Venere: spiegazione e interpretazione dell’opera di Botticelli https://cultura.biografieonline.it/venere-botticelli/ https://cultura.biografieonline.it/venere-botticelli/#comments Thu, 29 Aug 2024 13:11:10 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17241 Se il concetto di bellezza è per sua natura mutevole e indefinibile, nel tempo risiede l’antidoto che impedisce alla beltà espressa nell’arte di invecchiare e tramutarsi in una lode effimera. La Venere, realizzata da Sandro Botticelli tra il 1482 e il 1485, tracciò con i suoi lunghi capelli e le longilinee gambe affusolate, l’inizio di un periodo glorioso per l’arte italiana, connotando il canone di una bellezza eternamente fulgente e proclamando un’innovazione in pieno spirito rinascimentale. Realizzata per la famiglia de’ Medici, la “Nascita di Venere“, sviluppò in se stessa gli ideali classici che, nel risveglio nell'”humana conscientia“, ritornarono a popolare le tele dei migliori pittori di corte italiani ed europei.

Nascita di Venere (Venere di Botticelli, Birth of Venus)
La “Nascita di Venere” (1482-1485, opera spesso indicata anche come “Venere di Botticelli“) è un dipinto a tempera su tela di lino (172 cm × 278 cm) esposto agli Uffizi di Firenze. Per bellezza, intensità, poesia e notorietà, è di fatto un’opera simbolo per l’intera epoca del Rinascimento.

Per chi fosse interessato ad ammirare in una sola immagine ciò che sotto il nome di Rinascimento riempie libri interi, può concedersi il lusso di un contatto diretto con la storia della Firenze rinascimentale visitando la Galleria degli Uffizi.

Nascita di Venere: analisi dell’opera con note tecniche e descrittive

Dalla pelle chiara e dai lunghi capelli dorati, Venere sorse dalle acque schiumose di un mare sconosciuto e, nascondendo con la folta chioma divina le pudiche membra, si eresse misteriosa e timida nella sua identità mitologica e manchevole di ogni umana volgarità.
Nell’immagine surreale e pagana di una vita che scorga da una conchiglia, dal cielo piovono rose, generate, secondo la leggenda, dal mite vento primaverile.

La neonata Venere si esibisce timorosamente al mondo e reggendosi su unico piede, contribuisce alla messa in scena del concetto classico di “contrapposto”, con spalle e gambe ruotate rispetto al busto, espediente che conferisce un portamento più sciolto e rilassato.
Il valore classico della pudicizia è rimarcato dalla giovane donna che, avvolta nello splendido abito ricamato a fiordalisi, soccorre la Venere con un mantello quasi a voler a proteggere universalmente il senso del pudore.

La fanciulla che arriva dalla riva è un’Ora (custode dell’Olimpo) e viene in questo caso rappresentata dal Botticelli senza le altre sorelle, innovando e contrastando la versione proposta dalla letteratura mitologica. La giovane donna è cinta al petto da un tralcio di rose identico a quello presente nella “Primavera“, con uno scollo abbellito da ghirlande di mirto, la pianta sacra a Venere.

La Primavera di Botticelli
Primavera (Sandro Botticelli, 1482 circa) – Tempera su tavola, dipinto per la villa medicea di Castello. Conservata a Firenze, nella Galleria degli Uffizi – E’ possibile notare le somiglianze dell’abito della figura femminile sulla destra, cinto di fiori, con la Nascita di Venere.

Il drappo si apre ad accogliere il corpo nudo e tenero della dea; si tratta di un mantello regale dalla lucente e preziosa bellezza della seta vermiglia, ricamata con sottili e raffinati decori floreali.

Mentre Zefiro, Brezza – in alcuni casi identificata con la ninfa Clori, la futura sposa di Zefiro – e l’Ora rivolgono i propri sguardi verso Venere, questa si offre sottomessa alla vista dell’osservatore; gli occhi languidi dalle pupille dilatate e la testa reclinata si oppongono alla tradizionale vocazione classica che invece permea il resto della composizione pittorica.
Gli occhi velati di una triste malinconia, come molti degli altri elementi estremamente naturalistici, elargiscono alla tela fiorentina un’armoniosa bellezza e una potente simbologia.

Un dettaglio della Nascita di Venere (Venere di Botticelli)
Un dettaglio del quadro: i volti e gli sguardi di Zefiro, Brezza (o Clori), e la Venere di Botticelli

Nella rappresentazione di una nascita sovrumana dalle origini violente e divine, Botticelli considerò l’archetipo della “Venere pudica” e della “Afrodite anadyomenē” di echi notoriamente classicheggianti.

Dal punto di vista tecnico Botticelli si servì, inconsuetamente per l’epoca, di una tela di lino su cui stendendo un’imprimitura a base di gesso accorse all’uso di una tempera magra, sperimentando sia l’uso della tecnica a pennello che a “missione”.

Nascita di Venere: la genesi dell’opera

Risulta grandemente difficoltoso definire con certezza, in modo definitivo e approfondito, la storia di questo straordinario capolavoro. Vasari citò per la prima volta l’opera botticelliana nel 1550: la “Nascita di Venere” era collocata nella Villa di Castello del Duca Cosimo dove

“due quadri figuranti, l’un, Venere che nasce, e quelle aure e venti che fanno venire in terra con gli Amori; e così un’altra Venere, che le Grazie la fioriscono, dinotando la primavera; le quali da lui con grazia si veggono espresse” (VASARI).

La Venere di Poliziano incontra la Venere di Botticelli

Angelo Poliziano (1454-1494) nell’opera incompiuta conosciuta come “Stanze de messer Angelo Poliziano cominciate per la giostra del magnifico Giuliano di Pietro de Medici” (1475) anticipava di qualche anno il tema classico e mitologico dell'”Afrodite anadyomenē” (Ἀφροδίτη Ἀναδυομένη, nascente dal mare), ripreso dal Botticelli solo nel 1482, si profilò come il più adeguato a racchiudere lo spirito del proprio tempo, divenendo, di fatti, l’emblema del primo Rinascimento fiorentino.

Vale la pena riportare un breve estratto dell’opera nella quale Poliziano, sposando l’oraziano “Ut pictura poësis”, redige con delle pennellate fatte di poesia il Regno di Venere, quello che Botticelli (1445-1510) renderà in sinfonie di colori e profumate atmosfere:

“Al regno ov’ogni Grazia si diletta,
ove Biltà di fiori al crin fa brolo,
ove tutto lascivo, drieto a Flora,
Zefiro vola e la verde erba infiora.”
(Poliziano, Il Regno di Venere, Stanza 68)

Simonetta Vespucci: la musa botticelliana

Che cosa induce la nascita di un capolavoro? L’ispirazione spesso fluisce dai più alti emisferi del pensiero umano, intrecciandosi con gli ideali e spesso ricondotta in una forma visibile grazie alla “divina” mano dell’artista. Scultori e pittori rendono visibile l’invisibile, tramutando gli ideali in simbologie e le simbologie in forme e colori.

Quando l’inteligentia è toccata dal mirabile spirito dell’amore, che già di per sé è una forma d’arte, il merito dell’artista è semplicemente quello di aver prestato alla sua arte la bellezza di un volto già esistente.

È questo il caso di Simonetta Vespucci (1453-1476), musa ispiratrice di Botticelli, che inondò di ammirazione i cuori di chi ebbe la fortuna di incontrarla, tanto da prestare i suoi bei connotati alla sposa di Efesto, Venere.

La Vespucci fu l’amante di Giuliano de’ Medici nel segno di un’immagine simbolo di ciò che nell’ideale collettivo incarna il Rinascimento, ma al di là di Botticelli, Simonetta, ispirò opere teatrali e musicali, serbando per sempre la sua giovane anima nel cuore dell’arte e di chi l’amò.

Il dettaglio del viso della Venere di Botticelli
Foto dettagliata del volto poetico della Nascita di Venere, dipinto dalle sapienti mani Sandro Botticelli

Note bibliografiche

  • G. Lazzi, Simonetta Vespucci: la nascita della venere fiorentina, Polistampa, Firenze, 2010
  • E. L. Buchoholz, G. BÜhler, K. Hille, S. Kaeppelle, I. Stotland, Storia dell’arte, Touring Editore, Milano, 2012
  • G. Vasari, Le opere di Giorgio Vasari pittore e architetto aretino, Davide Passigli e soci, Firenze, 1832-2838
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Belle Ferronnière, quadro di Leonardo da Vinci: descrizione e storia https://cultura.biografieonline.it/leonardo-belle-ferronniere/ https://cultura.biografieonline.it/leonardo-belle-ferronniere/#respond Thu, 25 Jul 2024 15:39:22 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12146 La “Belle Ferronnière”, o “Ritratto di dama”, è un’opera di Leonardo da Vinci realizzata nel suo primo periodo milanese (1482-1500) e conservato nel Musèe du Louvre di Parigi. Si tratta di un dipinto ad olio su tavola delle dimensioni di 63 x 45 cm, collegato agli altri due ritratti della medesima fase il “Ritratto di musico” e la “Dama con l’ermellino”. In questo periodo, Leonardo rimase al servizio di Ludovico il Moro per quasi vent’anni realizzando una serie di progetti di ingegneria idraulica, di lavori di urbanistica, di architettura e disegni per apparati decorativi legati a feste e spettacoli pubblici.

Belle Ferronnière (Leonardo da Vinci, 1482-1500)
La Belle Ferronnière (o Ritratto di Dama) è uno dei quadri più belli di Leonardo da Vinci. Realizzato durante il suo periodo milanese (1482-1500) oggi si trova esposto al Louvre di Parigi.

L’artista si trovò ad operare in un clima culturale ideale che favorì la sua propensione allo sperimentalismo tecnico, scientifico e formale.

Belle Ferronnière: il quadro

Il ritratto “Belle Ferronnière” mostra una fanciulla a mezzobusto su sfondo scuro e dietro un parapetto alla fiamminga, probabilmente Lucrezia Crivelli, che ha preso il posto di Cecilia Gallerani (presumibilmente la ragazza ritratta nella “Dama con l’ermellino”) come amante di Ludovico il Moro.

Altre ipotesi che però non sono risultate confermate, propendevano che il soggetto femminile del quadro potesse essere una tra: Isabella d’Este, sua sorella Beatrice, moglie del Moro, oppure Elisabetta Gonzaga.

La donna è ritratta con il busto voltato a sinistra, mentre la testa è frontale, come richiamata all’attenzione da qualcosa o qualcuno.

Il suo bel volto, focus dell’opera, si concede all’ammirazione dello spettatore, deviando però il suo sguardo lateralmente, senza stabilire un contatto visivo, conferendo un senso enigmatico al dipinto.

L’abbigliamento della dama è molto curato, ma non particolarmente sfarzoso: nel dipinto, infatti, non osserviamo la presenza di vistosi gioielli.

Leonardo, Dama con l'ermellino
E’ possibile fare un paragone con il celebre dipinto “La dama con l’ermellino”

La donna indossa, come nel dipinto la “Dama con l’ermellino”, un vestito con scollatura rettangolare, tipica dell’abbigliamento nobile del periodo, caratterizzato, secondo la moda del tempo, da maniche intercambiabili, in questo caso legate da lacci che mostrano gli sbuffi della camicia bianca sottostante, e porta in testa un sottile filo annodato sulla fronte che tiene ferma la capigliatura e mostra un piccolo rubino incastonato al centro.

Al collo, indossa una sottile collana bicolore, avvolta in tre cerchi stretti che cade annodata a un nastro sul petto.

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Arlecchino pensoso, analisi dell’opera di Picasso https://cultura.biografieonline.it/arlecchino-pensoso-picasso/ https://cultura.biografieonline.it/arlecchino-pensoso-picasso/#comments Mon, 10 Jun 2024 16:32:29 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=30429 L’opera che analizziamo in questo articolo si intitola “Arlecchino pensoso“. Fu realizzata da Pablo Picasso nel 1901.

Arlecchino pensoso - Seated Harlequin - Arlequin accoudé
Arlecchino pensoso (Seated Harlequin)

Picasso e l’anno 1901

Nel giugno del 1901 Picasso si trasferì per la seconda volta a Parigi. La prima volta ci andò un anno prima, con il suo amico Carlos Casagemas. Picasso tornò a Parigi perché il mercante d’arte di origini catalane Pedro Mañach era interessato a comprare i suoi dipinti. Egli voleva inoltre esporre i quadri di Pablo Picasso presso la galleria di Ambroise Vollard, un ricco e famoso gallerista che Picasso ritrarrà nel 1909; questo quadro si chiamerà Ritratto di Ambroise Vollard e verrà realizzato con la tecnica del Cubismo analitico.

Picasso in quell’anno lavorava in Rue de Clichy, in uno studio in cui rimase diverso tempo, non lontano dal ristorante in cui il suo amico Casagemas si sparò suicidandosi nel febbraio dello stesso anno. E’ anche a causa della morte del suo amico che Pablo Picasso diede inizio al suo periodo blu: un percorso dove il colore blu diventa predominante sulle tele, e dove il dolore, la tristezza e la malinconia sono sentimenti che simboleggiano le opere meravigliose che il pittore spagnolo realizza in questo periodo.

Il blu in alcuni di questi lavori diventa quasi il colore dominante: Il funerale di Casagemas, Donna in blu, Le due sorelle, Vecchio cieco con ragazzo, Vecchio chitarrista.

Il dipinto qui analizzato, Arlecchino pensoso, venne realizzato nell’autunno di quell’anno, il 1901. L’opera rappresenta, insieme a I due saltimbanchi, una sorta di passaggio; perché il blu non è ancora preponderante e perché il dipinto mostra un’iniziale influenza della pittura francese sulla tecnica e le forme utilizzate da Picasso.

Arlecchino pensoso: descrizione del quadro di Picasso

Il protagonista, Arlecchino, è dipinto con lo stesso stile utilizzato per i fiori dello sfondo. Picasso pone il personaggio come se fosse adagiato su una scacchiera e le parti che lo compongono sembrano assemblate come in un puzzle, dai contorni definiti ma semplici.

Semplicità e utilizzo delle forme, dunque sono gli elementi chiave.

E’ come se il dipinto fosse smontabile e rimontabile a piacimento dello spettatore.

I personaggi del circo e della commedia saranno i protagonisti di un altro importante periodo artistico nella carriera di Picasso, il periodo rosa, in cui il colore sembrerà attenuare la forza malinconica del blu, giungendo ad un effetto più lieto.

Il teatro e il circo accompagneranno Picasso per tutta la vita e già Gertrude Stein ricordava come gli artisti della sua epoca fossero attratti dai giocolieri, clown, saltimbanchi che popolavano il circo Medrano o i locali notturni di Parigi.

Tecnica

Olio su tela, foderato e montato su un foglio di sughero pressato.

Dimensioni

83.2 x 61.3 cm

Ubicazione

The Metropolitan Museum of Art, New York, USA

Analisi dell’opera e commento video

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