Poesie Archivi - Cultura https://cultura.biografieonline.it/argomento/letteratura/poesie/ Canale del sito Biografieonline.it Fri, 10 Nov 2023 09:45:15 +0000 it-IT hourly 1 Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io, sonetto di Dante Alighieri: analisi e parafrasi https://cultura.biografieonline.it/guido-vorrei-che-tu-lapo-ed-io/ https://cultura.biografieonline.it/guido-vorrei-che-tu-lapo-ed-io/#comments Fri, 10 Nov 2023 07:37:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20860 Il sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io è uno dei più celebri di tutta la produzione di Dante Alighieri. Probabilmente risale alla prima fase dell’attività lirica di Dante, databile intorno al periodo tra il 1283 e il 1290. Nella lirica in esame, il poeta si rivolge a Guido Cavalcanti, il “primo amico” (come viene definito nella Vita Nova), che gli risponde anche lui con un sonetto intitolato “S’io fosse quelli che d’amor fu degno“, di atmosfera però più cupa. Guido è citato dal padre Cavalcante dei Cavalcanti nel Canto X dell’Inferno. L’altro amico citato nel titolo è Lapo Gianni, anch’egli poeta.

Dante Alighieri - Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
Dante Alighieri

Il componimento dantesco fa parte delle Rime, che sono state raccolte non dall’autore ma dagli studiosi e filologi. Esse sono un corpus di poesie composte tra il 1283 e il 1307 che comprende:

  • rime giovanili (prestilnoviste su modello di Guittone d’Arezzo);
  • rime stilnoviste in senso stretto;
  • rime allegoriche e dottrinali;
  • le rime petrose dedicate alla donna Petra;
  • rime varie.

Alla raccolta appartengono anche tutte le rime che sono state poi inserite dall’autore all’interno della Vita Nova e del Convivio, lavori considerati tra le opere minori di Dante, rispetto al suo capolavoro La Divina Commedia. Le Rime, che racchiudono diversi stili al loro interno, sono un esempio importante dello sperimentalismo e del plurilinguismo dantesco, precedente alla Commedia.

La lirica in esame – Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io – è un sonetto, composto quindi da due quartine e due terzine con il seguente schema di rime:

ABBA, ABBA, CDE, EDC

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

Parafrasi

Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io
fossimo soggetti ad un incantesimo
e posti su un vascello, che ad ogni soffio di vento
andasse lungo il mare secondo il nostro volere;

cosicché la tempesta od ogni altra sventura
non ci potesse essere d’ostacolo,
ma anzi, avendo gli stessi desideri,
crescesse il desiderio di stare assieme.

E che Monna Vanna e Monna Lagia,
oltre a colei che è la trentesima
il nostro mago ci ponesse vicino:

e qui discutere sempre sull’amore,
e ciascuna di loro fosse felice,
così come, credo, lo saremmo noi [poeti].

Analisi del testo

Il tema centrale del sonetto “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io” è incentrato sulla visione stilnovista dell’amore e dell’amicizia. Dante Alighieri sogna di trovarsi su una nave incantata con Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, i suoi migliori amici, circondati dalle donne che amano e a parlare d’amore. I modelli a cui Dante si ispira sono quelli del plazer, un componimento tipico francese che è un elenco di cose piacevoli e desideri, e del ciclo bretone e carolingio per il tema della magia e dell’incanto.

Le quartine

La prima quartina quindi inizia in un clima di amicizia tra tre poeti. L’incipit presenta i primi tre personaggi maschili. Dante li immagina presi da una magia e messi insieme in un piccolo vascello che può navigare con ogni tipo di vento. I termini rinviano tutti alla tradizione medievale del ciclo bretone, in particolare la nave incantata, che ricorda quella di Mago Merlino.

Nella seconda quartina Dante continua la descrizione dell’atmosfera magica del vascello. Egli auspica che essi possano continuare a navigare in qualunque condizione atmosferica e uniti sempre da una comune volontà (vivendo sempre in un talento, v.7).

Nella prima terzina vengono presentate le tre figure femminili:

  • Donna Vanna, amata da Cavalcanti (di questo poeta abbiamo analizzato la poesia d’amore Perch’i’ no spero di tornar giammai);
  • Donna Lagia, amata da Lapo;
  • quella che è sul numer de le trenta, ossia la donna che si trova al 30° posto. Ella non è Beatrice, bensì una donna schermo che Dante avrebbe nominato in un sirventese (composizione poetica) ormai perduto.

Dante immagina che il buon incantatore (l’artefice di questo sogno, forse Mago Merlino) possa portare su questo vascello le donne, e che tutti insieme (seconda terzina) possano parlare sempre dell’amore.

L’atmosfera è rarefatta. Questo gruppo di poeti è ovviamente isolato dal resto del mondo perché la nave è un luogo privilegiato dove essi possono immergersi completamente nei loro discorsi sull’amore. Il pubblico a cui l’autore si rivolge è elitario, infatti soltanto gli intellettuali possono apprezzare i valori di cortesia e gentilezza. Il lettore è quindi immerso in pieno clima stilnovistico.

Commento all’opera

Dal punto di vista stilistico bisogna evidenziare la presenza del polisindeto (presenza di congiunzioni) al v.1 “che tu e Lapo e io” e la forte ricorrenza di verbi al plurale. Dal punto di vista delle scelte lessicali, prevalgono i termini che ricordano la letizia, la felicità (es. ripetizione della parola “sempre” ai versi 7 e 12, la parola “disio” al v. 8, “contenta” al v. 13 etc.). Molti sono poi i termini che rinviano alla dimensione fiabesca: “incantamento” (v. 2), “incantatore” v. 11, “vasel” v. 3.

La poesia “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io” è senz’altro una delle più belle testimonianze che ci ha lasciato Dante Alighieri della sua produzione. E’ un componimento che proietta immediatamente il lettore in un mondo fantastico, in cui i letterati si dedicano all’amore tutto il giorno e rappresentano a pieno gli ideali del Dolce stil novo.

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A Silvia: analisi della poesia di Leopardi https://cultura.biografieonline.it/a-silvia-leopardi-analisi/ https://cultura.biografieonline.it/a-silvia-leopardi-analisi/#comments Wed, 04 Oct 2023 13:11:32 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8353 A Silvia” è una delle poesie più belle e note di Giacomo Leopardi. È uno dei grandi idilli, quindi fa parte del terzo tempo della lirica leopardiana (1828-1830). I grandi idilli sono differenti dai piccoli idilli per il fatto che, mentre i piccoli idilli hanno un contenuto soggettivo, ovvero contengono la meditazione del poeta sulle vicende personali, i grandi idilli hanno un contenuto oggettivo, contengono cioè la meditazione del poeta sulla condizione umana di miseria e di dolore.

Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi

Come un dialogo

A Silvia (a Selva/natura) è per Leopardi l’inizio di una nuova stagione poetica, tra il 1828 e il 1830. Questo canto, composto a Pisa nel 1828, è dedicato a una ragazza che il poeta conobbe realmente, Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tisi nel 1818. Nella fantasia leopardiana Silvia è soprattutto il simbolo della speranza della giovinezza, fatta di attese, illusioni e delusioni. “A Silvia” non rappresenta una commemorazione funebre, e non è  una canzone per Silvia. Si tratta in realtà di una confessione del poeta. È costruita come un dialogo con Silvia.

Il canto si divide in due parti: la prima parte ha carattere rievocativo, incentrato sulla poetica della memoria, la seconda parte ha carattere riflessivo.

Si veda anche: testo completo della poesia A Silvia.

Prima parte

Nella prima parte, Leopardi domanda a Silvia se, dopo tanti anni, ricorda ancora i giorni felici nei quali si affacciava alla giovinezza.

Quando anche il poeta aveva nel cuore la fiducia nella vita e, come Silvia, aveva pensieri piacevoli, speranze e belli gli apparivano il fato e la vita.

Tuttavia questo è destinato a finire per colpa della natura, che promette negli anni della giovinezza e dell’adolescenza, ma poi non mantiene ciò che ha promesso.

Seconda parte

Nella seconda parte il poeta fa un paragone tra il destino della ragazza e il suo.

Silvia moriva senza veder fiorire la sua giovinezza, senza poter parlare di amore con le compagne e senza godere delle lodi della propria bellezza.

Con la sua morte, tramontava anche la speranza di felicità di Leopardi.

A lui, infatti, come a Silvia, i fati negarono le gioie della giovinezza, dove sogni e speranze dovrebbero diventare realtà.

Svaniti dunque i sogni con l’apparire della realtà dolorosa, non resta altro che la morte per liberarci dalla miseria e dalle amarezze della vita.

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X Agosto: analisi della poesia di Giovanni Pascoli https://cultura.biografieonline.it/x-agosto-san-lorenzo-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/x-agosto-san-lorenzo-parafrasi/#comments Thu, 10 Aug 2023 08:58:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8989 10 agosto

Il X Agosto di Pascoli è una poesia dedicata al padre del poeta, morto nel 1867, il 10 agosto. Giorno questo in cui si festeggia San Lorenzo ed è quello in cui si verifica il fenomeno delle stelle cadenti. In questa poesia Giovanni Pascoli descrive oltre al fenomeno delle stelle cadenti, anche l’uccisione di una rondine, che stava per portare il cibo al nido.

X Agosto, San Lorenzo
Il 10 agosto, giorno di San Lorenzo, è il momento dell’anno in cui più è probabile osservare nitidamente le stelle cadenti

E l’uccisione del padre, che stava portando due bambole a casa. Conclude prendendosela con il cielo che non dà alcun aiuto all’uomo, non una lue che illumini il suo doloroso cammino.

Testo completo della poesia

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Parafrasi e analisi

San Lorenzo, io lo so il perché di quel pianto di stelle sfavilla nel cielo. Questa è la trasposizione di un fenomeno naturale che ha un significato più profondo: la legge di sofferenza, d’ingiustizia e di morte. Ritornava una rondine al suo nido e l’uccisero: cadde tra gli spini: aveva nel becco la cena per le sue rondini. La morte della rondine prefigura quella dell’uomo.

Rondine
Una rondine: come spiegato nella parafrasi, questo uccello è usato simbolicamente nella poesia di Giovanni Pascoli

La rondine abbattuta ha le ali aperte come se fosse in croce; e sembra richiamare il sacrificio di Cristo. La rondine uccisa tende quel verme al cielo inaccessibile; e il suo nido è nell’ombra della sera e il pigolio dei rondinini diminuisce lentamente nel languore dell’agonia.

Anche un uomo tornava a casa (il padre del poeta, ma Pascoli non lo nomina): l’uccisero; disse:Perdono; resta negli occhi sbarrati un grido: portava due bambole in regalo…

Ora là nella casa solitaria, lo aspettano invano: egli è immobile, attonito, e anch’egli, come la rondine, ha quel gesto di disperata protesta verso il cielo lontano e impassibile. E tu, cielo infinito, immortale, inondi la terra, atomo sperduto e dominato dal male, di un pianto di stelle.

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Ed è subito sera: analisi e commento alla poesia di Quasimodo https://cultura.biografieonline.it/subito-sera/ https://cultura.biografieonline.it/subito-sera/#comments Wed, 21 Jun 2023 07:13:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17290 Il poeta italiano Salvatore Quasimodo (1901-1968) appartiene al filone dei cosiddetti “poeti ermetici”. Le sue liriche sono infatti caratterizzate dalla tendenza a racchiudere in pochi versi spesso oscuri grandi principi e temi cari all’essere umano (ad esempio, uno degli argomenti preferiti dagli appartenenti alla corrente dell’Ermetismo è la solitudine dell’uomo moderno, che ha perso ogni punto di riferimento e proprio per questo rischia di cadere nella disperazione).

Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.
Ognuno sta solo sul cuor della terra | trafitto da un raggio di sole: | ed è subito sera. • Semplice, breve ed intenso è il testo della celebre poesia di Salvatore Quasimodo. È uno dei più celebri esempi di poesia ermetica.

Quasimodo e l’Ermetismo

La poesia ermetica, di cui Quasimodo è uno dei massimi esponenti italiani, è chiamata anche neosimbolista, ed è una poesia per lo più libera dalle forme metriche tradizionali, che rifiuta gli schemi classici del Romanticismo ed è avulsa da qualunque finalità celebrativa. Secondo Quasimodo e tutti i poeti ermetici anche il poeta, in quanto uomo, non ha più certezze e non può ancorarsi ai miti del passato, in quanto la società sta cambiando rapidamente.

Gli autori di liriche che si collegano al filone ermetico vanno piuttosto alla ricerca di parole e termini scarni, essenziali, che possano descrivere le emozioni e gli stati d’animo senza fronzoli o inutili ridondanze. Un tema che ricorre spesso nelle poesie ermetiche è il confronto tra la realtà (che delude e provoca frustrazione) e i sogni che fanno vivere l’uomo nell’illusione. Una delle poesie più note di Quasimodo si intitola “Ed è subito sera” ed è composta da tre versi soltanto.

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

In realtà inizialmente la lirica era più lunga e si intitolava “Solitudini” (sul sito Aforismi.meglio.it il testo completo), poi il poeta l’ha resa più ermetica possibile riducendola in tre versi. La poesia è una istantanea sulla condizione esistenziale che accomuna ogni uomo che vive sulla Terra: ognuno è solo e deve faticare a vivere essendo consapevole della brevità dell’esistenza.

Ed è subito sera: analisi e commento alla poesia

Nel primo verso il poeta introduce la frase “nel cuor della terra” per esaltare lo stato d’animo dell’uomo che si sente smarrito e incapace di affrontare le difficoltà della vita. Ciò che più gli pesa è l’incapacità di comunicare con i suoi simili, che lo condanna all’ isolamento rendendo l’esistenza ancora più triste e penosa.

Nel secondo verso è come se il poeta voglia dare un segno di speranza introducendo l’immagine di un individuo che viene “trafitto da un raggio di sole”.

In realtà, con questa stupenda analogia, Quasimodo vuole evocare l’esistenza umana che oscilla continuamente tra l’attesa della felicità e il dolore. Il raggio di sole trafigge l’uomo, in quanto la speranza di essere felice cede subito il posto alla cocente delusione.

Il terzo versoed è subito sera” è la metafora della morte, contro cui si infrangono tutte le illusioni degli uomini.
La stessa metafora ricorda la celebre frase di San Giovanni della Croce:

Alla sera della vita ciò che conta è aver amato.

Il tema

Il tema principale affrontato da Quasimodo in questa lirica brevissima ma densa di significato è la brevità della vita: l’esistenza umana si rivela troppo esigua rispetto a quello che un individuo potrebbe realizzare. L’argomento è molto attuale, soprattutto lo è nel periodo storico in cui l’autore scrive questi versi, caratterizzato dal progressivo avanzare delle macchine che si sostituiscono al lavoro dell’uomo. “Ed è subito sera” è la poesia di Quasimodo che apre la raccolta che porta lo stesso titolo, ed è stata pubblicata nel 1943.

La solitudine

Nella lirica in questione esiste una correlazione tra la solitudine del singolo e quella dell’umanità intera: per Quasimodo l’uomo è solo quando è privo di amore, così come è sola l’umanità quando non ha l’amore di Dio. Il linguaggio utilizzato nella lirica è semplice e diretto, arriva dritto al cuore di chi legge, senza inutili giri di parole o l’utilizzo di aggettivi, il tono è malinconico e intriso di pessimismo.

Come spiegano alcuni commentatori letterari, nel giro di soli tre versi Salvatore Quasimodo riesce a spiegare la parabola della vita umana. Il dolore di vivere, la solitudine, la precarietà dell’esistenza sono sapientemente sintetizzati nei tre versi della poesia come soltanto un esperto poeta ermetico saprebbe fare.

La guerra e il dolore

È probabile che questa lirica sia stata scritta per evocare gli orrori del Secondo Conflitto Mondiale. Lo stesso Quasimodo, in un’opera pubblicata nel 1946, ha dato un’interpretazione di questo tipo ai versi della breve poesia.

L’uso di immagini scarne e crude serve al poeta per trasmettere la sua visione di un mondo che va lentamente verso il declino, e la guerra non è che una dolorosa conseguenza di ciò. L’esperienza individuale riesce a fondersi con quella collettiva, con lo sradicamento dell’io che diventa un noi. Il dolore, la sofferenza e la morte sono momenti condivisi dall’intero genere umano.

La sensazione del dolore comune rende questi versi ancora più forti e diretti: ognuno può riconoscersi nelle parole di Quasimodo e confrontarsi con il male di vivere, che purtroppo rappresenta l’altra faccia del progresso.

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Lavandare, analisi, parafrasi e commento alla poesia di Pascoli https://cultura.biografieonline.it/lavandare-pascoli/ https://cultura.biografieonline.it/lavandare-pascoli/#comments Wed, 24 May 2023 07:14:21 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18565 Il componimento “Lavandare” viene inserito da Giovanni Pascoli solo nella terza edizione di Myricae (1894) e fa parte della sezione L’ultima passeggiataMyricae è stata la prima raccolta del poeta ed ha avuto una vicenda editoriale piuttosto complessa. Una prima edizione, composta da sole 22 liriche, venne pubblicata nel 1891 in occasione del matrimonio di un amico. Negli anni successivi il poeta ampliò il corpus delle liriche fino ad un totale di 156 e l’edizione definitiva fu quella del 1900.

Lavandare - testo della poesia di Giovanni Pascoli

Il titolo è in latino ed indica la pianta delle tamerici (piccoli arbusti della macchia mediterranea): il poeta lo ha ricavato da un verso delle Bucoliche di Virgilio che recita:

non omnes iuvant arbusta humilesque myricae
(non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici).

Pascoli rovescia però questa negazione e dedica la sua raccolta di poesie proprio ad una pianta umile e semplice perché vuole dare spazio alla descrizione delle piccole cose di campagna. La raccolta comprende 15 sezioni e prevalgono i testi brevi, come Lavandare. Per quanto riguarda i temi, Myricae può considerarsi una sorta di diario ricco delle impressioni del poeta e quindi un romanzo autobiografico: predominano quindi il tema della morte del padre, del paesaggio che diventa il simbolo della condizione interiore.

Lavandare: il testo

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese.

Parafrasi

Nel campo che è per metà arato per metà no
c’è un aratro senza buoi che sembra
dimenticato, in mezzo alla nebbia.

E scandito dalla riva del fiume si sente
il rumore delle lavandaie che lavano i panni,
sbattendoli, e lunghe cantilene:

Il vento soffia e ai rami cadono le foglie,
e tu non sei ancora tornato!
da quando sei partito sono rimasta
come un aratro abbandonato in mezzo al campo.

Analisi della poesia

Lavandare è un madrigale, composto da due terzine e una quartina di endecasillabi con rime ABA CBC DEDE.

La lirica descrive le sensazioni del poeta che, mentre i campi sono avvolti dalla nebbia, sente in lontananza i suoni provenienti dal lavatoio e i lunghi canti delle lavandaie. Nella prima strofa viene descritto un campo immerso nella nebbia su cui spicca un aratro abbandonato. Dominano i colori spenti: il campo viene descritto infatti come mezzo grigio e mezzo nero.

Nella seconda strofa viene descritto il rumore dei panni che vengono lavati nell’acqua e il canto delle lavandaie. Qui prevalgono le sensazioni uditive (suono dei panni, il canto triste, il tonfo).

Nella terza strofa viene riportata la canzone cantata dalle lavandaie che parla di una giovane donna abbandonata dall’innamorato e che è rimasta sola come l’aratro in mezzo al campo. La lirica è quindi circolare: si apre e si chiude con l’immagine- simbolo dell’aratro abbandonato che rappresenta la solitudine. Questa scena descritta nella poesia serve proprio a trasmettere la sensazione di abbandono e malinconia che rinvia proprio al poeta stesso: egli si sente abbandonato dai suoi cari perché è rimasto orfano del padre e la sua vita è stata funestata da una serie di lutti. Il paesaggio diventa quindi un simbolo per raccontare il proprio stato d’animo.

La poesia Lavandare si caratterizza per il ritmo lento, quasi da cantilena, l’utilizzo di molte allitterazioni (v. 8 tu non torni, v. 10 in mezzo alla maggese) di rime interne (v. 5 sciabordare-lavandare).  Importante l’utilizzo transitivo del verbo nevicare al verso 7: il ramo fa cadere le foglie come fossero fiocchi di neve.

Giovanni Pascoli
Una foto di Giovanni Pascoli

È presente anche una similitudine al verso 10 come paragone tra la ragazza abbandonata e l’aratro in mezzo al campo.  Questa rappresentazione della natura in una delle liriche più lette del Pascoli aiuta il lettore a percepire la sensazione di vuoto e abbandono, sempre presente nell’animo del poeta, come una ferita mai sanata.

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Amai, poesia di Saba: analisi, commento e parafrasi https://cultura.biografieonline.it/amai-poesia-saba/ https://cultura.biografieonline.it/amai-poesia-saba/#respond Wed, 10 May 2023 09:05:51 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18149 La poesia “Amai” rappresenta il manifesto della poetica del suo autore, Umberto Saba. Questa poesia fa parte della sezione Mediterranee (1946) del Canzoniere di Saba, opera che racchiude tutti i suoi componimenti poetici. L’autore scelse questo titolo proprio per ricollegarsi alla poetica degli autori classici della letteratura (in primis Petrarca) e prendere le distanze dalla poesia ermetica e difficile da comprendere che si stava diffondendo in quegli anni.

Amai trite parole che non uno osava. M’incantò la rima fiore amore, la più antica difficile del mondo. Amai la verità che giace al fondo, quasi un sogno obliato, che il dolore riscopre amica. Con paura il cuore le si accosta, che più non l’abbandona. Amo te che mi ascolti e la mia buona carta lasciata al fine del mio gioco.
Amai

Canzoniere

Il Canzoniere venne pubblicato nel 1961 nell’edizione definitiva, diviso in tre volumi. Il tema centrale è la scissione dell’io, la divisione in due parti della personalità del poeta, che trova le sue origini proprio nell’infanzia (altro tema centrale della raccolta insieme all’eros – passione amorosa e l’amore per la moglie Lina).

In quest’opera Saba rifiutò la poesia troppo artificiosa e ricercata, per questo scelse di praticare una poesia fatta di chiarezza e soprattutto di onestà, parola chiave della sua poetica.

Il testo in esame, la poesia “Amai“,  è infatti la dichiarazione nella quale il poeta afferma i caratteri della sua poesia: sceglie un lessico apparentemente banale e semplice ma, proprio per questo, adatto a descrivere la vita degli uomini, con i suoi turbamenti.

Amai : testo della poesia

Amai trite parole che non uno
osava. M’incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l’abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.

Parafrasi

Amai parole consuete, convenzionali e consunte, che nessun poeta
osava più utilizzare. Mi piacque particolarmente
la rima “fiore – amore”,
la più antica e difficile al mondo.
Amai la verità che si trova in fondo all’animo umano,
quasi un sogno dimenticato, che – tuttavia – il dolore
riscopre essergli amica. Il cuore con timore
le si accosta, ma una volta scoperta non l’abbandona più.
Amo te che mi ascolti e amo la mia poesia,
lasciata come una carta vincente alla fine del mio gioco.

Analisi e commento

Il componimento è costituito da tre strofe di diversa lunghezza (due quartine e un distico) formate per la maggior parte da versi endecasillabi (tranne al verso 3: amore, un trisillabo). Sono presenti molte rime baciate : fiore- amore, mondo- fondo, dolore-cuore, abbandona-buona.

La prima strofa inizia proprio con la parola amai, che diventa il titolo della poesia e introduce gli argomenti che il poeta vuole utilizzare per i suoi componimenti (trite parole che non uno osava, ossia le parole già utilizzate dalla tradizione poetica). Importante è il ruolo della parola amore, che viene messa in evidenza perché rappresenta il centro della poesia stessa: la rima fiore-amore viene definita dal poeta la più difficile da usare ma anche la più antica di tutte. Egli infatti sceglie di utilizzare un lessico già ampiamente sfruttato dai poeti precedenti ma non vuole correre il rischio di banalizzare i suoi componimenti.

All’inizio della seconda strofa torna la parola amai, in anafora: il poeta dichiara di amare la verità che si trova a fondo delle cose umane e viene spesso dimenticata come un sogno. Il cuore le si accosta con paura perché la verità, una volta scoperta, non lo abbandonerà più.  La poesia svolge quasi una funzione terapeutica nei confronti del dolore: è meglio scoprire ciò che a volte si cerca di non vedere perché troppo doloroso, piuttosto che vivere nell’oblio.

L’ultimo distico è un appello al lettore: amo te, lettore, e la mia buona poesia lasciata alla fine del mio gioco. Per Saba è come se il destino fornisse agli uomini delle carte e bisogna saper giocare la propria fino alla fine. Il suggerimento del poeta è quindi quello di vivere la vita fino in fondo, nonostante la verità riemersa e il dolore.

Saba dichiara quindi il proprio amore verso il lettore e soprattutto la soddisfazione di essere riuscito a creare una poesia onesta. La conclusione è quindi tutta improntata a ristabilire il valore della propria poetica e soprattutto a credere fortemente nella comunicazione con i suoi lettori.

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Ulisse, poesia di Saba: spiegazione, testo e commento https://cultura.biografieonline.it/ulisse-saba/ https://cultura.biografieonline.it/ulisse-saba/#comments Mon, 08 May 2023 08:33:21 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20414 La poesia Ulisse è l’ultima della sezione Mediterranee, presente nel Canzoniere, la raccolta completa di liriche di Umberto SabaUlisse è stata composta tra il 1945 e il 1946 e pubblicata nel 1948. Con essa, Saba si ricollega al tema del viaggio, rivisto in chiave unica e personale, lasciando ai lettori una sorta di testamento spirituale.

Ulisse Saba poesia - Nella mia giovinezza ho navigato

Con il Canzoniere Saba decise di unificare tutta la sua produzione per lasciare ai lettori una sua autobiografia in versi. Un esperimento lontano dalla nuova poetica ermetica, che si collega invece direttamente alla tradizione letteraria italiana. Il Canzoniere è stato pubblicato per la prima volta nel 1921, per un totale di cinque edizioni. L’ultima, quella postuma, è del 1961.

È diviso in tre volumi di 26 sezioni: la poesia Ulisse si trova nel terzo volume, che comprende i testi dell’edizione postuma scritti tra il 1933 e il 1954 ed è divisa in quattro sezioni (Parole, Ultime cose, Mediterranee, Quasi un racconto). Il Canzoniere include sia tematiche familiari sia soprattutto l’analisi del proprio io rappresentata nel rapporto del poeta con la realtà. Inoltre, il poeta ritorna all’utilizzo di una metrica tradizionale, rifiutando le sperimentazioni e scegliendo di pubblicare una poesia onesta.

Umberto Saba - Il canzoniere
Umberto Saba – Il canzoniere

Ulisse: analisi della poesia

La lirica in esame è formata da una strofa di 13 endecasillabi sciolti. È intitolata all’eroe dell’Odissea, Ulisse. Il personaggio della mitologia greca diventa l’espediente per raccontare la giovinezza del poeta, trascorsa sugli isolotti delle coste dalmate, lavorando come mozzo in un mercantile.  L’elemento autobiografico viene subito trasfigurato e diventa il simbolo di considerazioni più generali riferite alla vita.

Nei primi nove versi il poeta racconta della sua navigazione per le coste della Dalmazia (regione della Croazia). Gli isolotti vengono descritti con molti dettagli. Su di essi sostavano gli uccelli, erano coperti di alghe e scivolosi al tatto, il verde conferiva loro il colore degli smeraldi. Quando erano coperti dalla marea, le navi si muovevano dalla parte opposta proprio per sfuggire dal pericolo di urtarci contro.

Dal verso nove in poi la narrazione si sposta al periodo della vecchiaia del poeta. Il suo regno non è più quello del mare ma è una terra dove nessuno osa avventurarsi perché piena di pericoli.

Ulisse: il testo della poesia

Nella mia giovinezza ho navigato
lungo le coste dalmate. Isolotti
a fior d’onda emergevano, ove raro
un uccello sostava intento a prede,
coperti d’alghe, scivolosi, al sole
belli come smeraldi. Quando l’alta
marea e la notte li annullava, vele
sottovento sbandavano più al largo,
per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.

I temi e lo stile della poesia

Come si è potuto notare, la lirica può essere divisa in due parti, che si riconoscono anche dall’utilizzo dei tempi verbali. Il passato per la prima parte; il presente per la seconda.

Nella prima parte il poeta paragona le sue avventure giovanili a quelle di Ulisse, eroe mitologico protagonista dell’Odissea che però non viene mai nominato apertamente.

Nella seconda parte, introdotta dall’avverbio “oggi” al verso 9, il poeta è ormai vecchio e non si accontenta più di raggiungere il porto ma vorrebbe viaggiare ancora. Vorrebbe spingersi al largo proprio come fa l’Ulisse dantesco (nel XXVI canto dell’Inferno) che parte per l’ultimo viaggio senza fare più ritorno.

Umberto Saba con la moglie Lina
Umberto Saba con la moglie Lina

Il tema dominante della poesia è quello del viaggio come metafora della vita. Gli isolotti verde smeraldo rappresentano anche delle insidie di notte: sono i pericoli della vita. L’arrivo al porto rappresenta una quiete che però non interessa al poeta. Egli invece vorrebbe spingersi a conoscere nuove sponde. Si ricollega quindi sia alla tradizionale visione dell’Ulisse omerico, che ritorna ad Itaca alla fine del travagliato viaggio di ritorno a casa, sia all’Ulisse dantesco che decide di sfidare gli dei per oltrepassare le colonne d’Ercole senza fare mai più ritorno.

Si può notare anche un altro rimando letterario al verso 12 con l’accenno al “non domato spirito”. Esso richiama alcuni versi di Ugo Foscolo (Alla sera e A Zacinto).

Lo stile della poesia è classico. Sono presenti molti enjambements (v. 2, v. 5, v. 6, v. 7, v. 9, v. 10, v. 11) ma vi sono poche rime, bilanciate con le molte assonanze e rime interne. Il lessico è quotidiano, fatta eccezione per alcuni arcaismi, come il termine “giovanezza” al v. 1.

Nel complesso la lirica Ulisse è l’espressione dello spirito vitale del poeta Umberto Saba che, sebbene sia ormai anziano, continua a provare un grande amore per la vita, nonostante tutte le sofferenze che ha vissuto nel corso della sua esistenza.

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Taci, anima stanca di godere: testo pdf, analisi e riassunto https://cultura.biografieonline.it/taci-anima-stanca-di-godere/ https://cultura.biografieonline.it/taci-anima-stanca-di-godere/#respond Thu, 02 Mar 2023 10:04:39 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40963 Spiegazione della poesia di Camillo Sbarbaro

Camillo Sbarbaro, insieme a Sergio Corazzini, Aldo Palazzeschi e altri, fa parte del gruppo dei poeti attivi intorno alla prima metà del Novecento spesso sottovalutati dalla critica e dai lettori e che meriterebbero di essere riscoperti. Proviamo a farlo in questo articolo, analizzando la poesia Taci, anima stanca di godere.

Camillo Sbarbaro

L’autore: Camillo Sbarbaro

Camillo Sbarbaro nacque nel 1888 a Santa Margherita Ligure. La sua vita si svolse quasi interamente in Liguria, fatta eccezione per la parentesi della Prima Guerra Mondiale.

Egli visse con la famiglia prima a Varazze e poi a Savona, dove si diplomò e trovò lavoro presso un’industria siderurgica.

Durante la Grande Guerra si arruolò come volontario della Croce Rossa Italiana e venne chiamato al fronte nel 1917. Divenne poi insegnante di greco e latino.

Si dedicò alla raccolta di muschi e licheni, ambito nel quale divenne specialista di fama mondiale.

La sua prima raccolta di poesie fu Resine, pubblicata nel 1911. Raggiunse la fama con la raccolta Pianissimo, che uscì nel 1914 per le edizioni della rivista «La Voce».

Sbarbaro venne molto apprezzato dagli intellettuali che frequentavano gli ambienti di questa rivista e conobbe anche Eugenio Montale.

Nel 1950 si ritirò con la sorella a Spotorno: qui compose gli ultimi libri di poesie:

  • Rimanenze (1955);
  • Primizie (1958).

Morì a Savona nel 1967.

Camillo Sbarbaro scrisse anche opere in prosa, raccolte nel volume Trucioli (1920) e poi Scampoli (1960); inoltre fu un abile traduttore sia dal greco (delle tragedie di Euripide) sia dal francese (Flaubert e Joris-Karl Huysmans).

La poetica di Camillo Sbarbaro

Sbarbaro divenne famoso per la sua raccolta Pianissimo, pubblicata nel 1914: essa esprime a pieno la sua concezione poetica.

Il tema di fondo è l’estraniazione dell’uomo dalla società e da sé stesso: l’uomo moderno resta come pietrificato difronte alla realtà e l’unica via di fuga è il dolore.

Tale raccolta venne poi rielaborata più volte. Esistono diverse ristampe (1954 e 1960).

Come poeta Camillo Sbarbaro è molto vicino alle tematiche dei Crepuscolari e anche al Montale di Ossi di seppia per la descrizione del paesaggio ligure.

Taci, anima stanca di godere: testo e pdf

Taci, anima stanca di godere
e di soffrire (all’uno e all’altro vai
rassegnata).
Nessuna voce tua odo se ascolto:
non di rimpianto per la miserabile
giovinezza, non d’ira o di speranza,
e neppure di tedio.
Giaci come
il corpo, ammutolita, tutta piena
d’una rassegnazione disperata.

Non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se il cuore
si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato…

Invece camminiamo,
camminiamo io e te come sonnambuli.
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne, e tutto è quello
che è, soltanto quel che è.

La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca. Perduto ha la voce
la sirena del mondo, e il mondo è un grande
deserto.

Nel deserto
io guardo con asciutti occhi me stesso

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Analisi e spiegazione

Questa lirica è il testo di apertura della raccolta Pianissimo. Ha come tema principale il sentimento di estraneità dal tutto. Il mondo è ridotto ad un deserto di fronte al quale l’uomo si rassegna della sua condizione.

La poesia Taci, anima stanca di godere è formata da una unica strofa di 26 versi, liberi cioè senza rima; alcuni endecasillabi, altri novenari o settenari e alcuni più brevi.

Il poeta si rivolge alla sua anima innescando un colloquio con sé stesso: egli non prova più nessun sentimento, nemmeno la noia.

L’unico atteggiamento possibile è quello della rassegnazione di fronte alla consapevolezza del nulla cosmico.

Poi, dopo i puntini sospensivi, introduce il concetto del cammino. Esso però è vuoto perché la realtà esterna è senza speranza; il mondo ha perso la sua voce ed è diventato come un grande deserto.

L’uomo diventa quindi una sorta di sonnambulo; neppure il poeta riesce più a raccontare la realtà.

Il tema più importante è quindi quello della alienazione, che viene supportata dall’immagine del deserto.

Questa poesia non ha musicalità; si basa su una serie di immagini-oggetto, da cui prenderà poi spunto Eugenio Montale.

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Desolazione del povero poeta sentimentale: poesia di Corazzini https://cultura.biografieonline.it/desolazione-poeta-sentimentale-corazzini/ https://cultura.biografieonline.it/desolazione-poeta-sentimentale-corazzini/#respond Sun, 08 Jan 2023 17:46:33 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40849 In questo articolo analizziamo la poesia “Desolazione del povero poeta sentimentale”, di Sergio Corazzini. Egli fa parte del gruppo dei poeti crepuscolari (come Guido Gozzano e Marino Moretti), attivi in Italia tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Essi praticavano una poesia molto diversa rispetto a quella del poeta-vate di D’Annunzio e al fanciullino di Pascoli (si vedano: le opere di D’Annunzio e la poetica di Pascoli). I crepuscolari mettevano al centro  le piccole cose quotidiane, non volevano più trasformarle in cose sublimi; vivevano la vita con distacco e ironia fino a definirsi “non poeti”.

Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta (Desolazione del povero poeta sentimentale)
Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta.

L’autore: Sergio Corazzini

Corazzini nacque a Roma il 6 febbraio 1886 da una agiata famiglia borghese. Fu il primo di tre fratelli, tutti morti giovanissimi.

Visse la sua infanzia in giro per l’Italia ma fu costretto ad abbandonare gli studi nel 1904 per trovare un impiego.

Nel frattempo però continuò a scrivere e nel 1902 pubblicò le sue prime poesie in dialetto romanesco.

Sergio Corazzini divenne un punto di riferimento nel gruppo degli intellettuali romani; trascorreva con loro le serate discutendo spesso di poesia insieme a Govoni, Folgore e Martini.

Nel 1905 fondò insieme agli amici la rivista «Cronache latine» che però non ebbe molto successo. Nel 1906 venne ricoverato per tubercolosi, provò a curarsi ma purtroppo senza successo, morì infatti giovanissimo a Roma il 17 giugno 1907, all’età di soli 21 anni.

Tra le sue opere ricordiamo le raccolte poetiche:

  • Dolcezze (1904 – composta da 17 liriche);
  • L’amaro calice (1905 – 10 liriche);
  • Piccolo libro inutile (1906 – 8 liriche): è la raccolta più famosa che comprendeva anche alcuni componimenti dell’amico Alberto Tarchiani.

Tutta la sua produzione fu poi ristampata postuma col titolo Liriche (1922).

Sergio Corazzini
Sergio Corazzini

La poetica di Corazzini

Sergio Corazzini fa parte dei poeti crepuscolari in quanto la sua poesia è concentrata sulle piccole cose della vita. Inoltre anche lui nega il fatto di essere un poeta. Egli si descrive come un fanciullo malato che non può essere chiamato poeta, che purtroppo non riesce a godere delle cose della vita perché non ha prospettive future.

I suoi versi esprimono tanta malinconia, si articolano poi liberi cioè senza rime, in linea con la nuova tradizione del Novecento.

I poeti crepuscolari rappresentano la malattia e il crepuscolo, cioè il tramonto della poesia che si rivela inutile di fronte alla mutevolezza della vita; non riesce più a dare insegnamenti o messaggi al prossimo come accadeva nel passato. Si pone in antitesi rispetto a quella dannunziana che era bella ma secondo loro “inutile”.

Il testo: Desolazione del povero poeta sentimentale

I

Perché tu mi dici: poeta?
Io non sono un poeta.
Io non sono che un piccolo fanciullo che piange.
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio.
Perché tu mi dici: poeta?

II

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni.
Le mie gioie furono semplici,
semplici così, che se io dovessi confessarle a te
arrossirei.
Oggi io penso a morire.

III

Io voglio morire, solamente, perché sono stanco;
solamente perché i grandi angioli
su le vetrate delle catedrali
mi fanno tremare d’amore e di angoscia;
solamente perché, io sono, oramai,
rassegnato come uno specchio,
come un povero specchio melanconico.

Vedi che io non sono un poeta:
sono un fanciullo triste che ha voglia di morire.

IV

Oh, non maravigliarti della mia tristezza!
E non domandarmi;
io non saprei dirti che parole così vane,
Dio mio, così vane,
che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire.
Le mie lagrime avrebbero l’aria
di sgranare un rosario di tristezza
davanti alla mia anima sette volte dolente
ma io non sarei un poeta;
sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme.

V

Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù.
E i sacerdoti del silenzio sono i romori,
poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio.

VI

Questa notte ho dormito con le mani in croce.
Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo
dimenticato da tutti gli umani,
povera tenera preda del primo venuto;
e desiderai di essere venduto,
di essere battuto
di essere costretto a digiunare
per potermi mettere a piangere tutto solo,
disperatamente triste,
in un angolo oscuro.

VII

Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco,
per ogni cosa che se ne andava!
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato.

VIII

Oh, io sono, veramente malato!
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose.
Non sono, dunque, un poeta:
io so che per esser detto: poeta, conviene
viver ben altra vita!
Io non so, Dio mio, che morire.
Amen.

Spiegazione e commento

Questa lirica da parte della raccolta Piccolo libro inutile, pubblicata nel 1906: è la più famosa dell’autore. Essa rappresenta il momento più significativo della sua poesia perché racchiude tutte le tematiche più importanti. I versi sono liberi e divisi in 8 strofe.

Tra le tematiche più importanti c’è la rinuncia ad essere poeta, che viene espressa direttamente già nel verso 2: la poesia non regala più insegnamenti e l’artista non è più un eroe, è semplicemente una persona che si ritira nel suo mondo.

Poi si passa alla tematica del voler rimanere fanciullo: il poeta è come un bambino che soffre per la sua pena e non riesce a trovare una soluzione per essa.

Infine la tematica della malattia: egli non intende solo la malattia fisica, ma soprattutto quella mentale. Si sente infatti inadatto e inadeguato a vivere il presente.

La poesia Desolazione del povero poeta sentimentale è strutturata in forma di dialogo con un tu immaginario, che in realtà è il poeta stesso.

I versi sono molto lunghi, quasi vicini alla prosa.

L’autore spesso si rivolge a Dio con delle invocazioni e la poesia diventa una sorta di preghiera.

In conclusione: gli autori crepuscolari dovrebbero essere maggiormente studiati perché segnano la fase di passaggio dalla poesia ottocentesca a quella novecentesca introducendo molte tematiche che saranno sviluppate dai poeti successivi.

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Traversando la Maremma toscana: riassunto, figure retoriche e parafrasi della poesia di Carducci https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/#comments Tue, 03 Jan 2023 17:38:02 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40819 La lirica Traversando la Maremma toscana è una delle più apprezzate di Giosuè Carducci. Essa descrive la commozione del poeta nel ripercorrere in treno l’itinerario tra Livorno e Roma passando per la sua adorata Maremma, dove egli aveva trascorso la sua infanzia.

L’autore e la poetica

Giosuè Carducci nacque in Versilia nel 1835 e trascorse l’infanzia proprio in Maremma. Si laureò in lettere alla Normale di Pisa e poi intraprese la carriera di insegnante del ginnasio in diversi paesi toscani. Si trasferì a Bologna dove insegnò all’Università fino a quando non gli subentrò Giovanni Pascoli.

Carducci era un grande appassionato della classicità ma poi col tempo ampliò i suoi interessi anche alla letteratura europea.

Da giovane fu un attivo anticlericale (scrisse l’inno A Satana nel 1863), poi però con gli anni divenne più moderato; accettò il Regno d’Italia e anche l’attivismo ecclesiastico.

Le sue raccolte poetiche più importanti sono:

  • Giambi ed epodi – composti in età giovanile, ricchi di vena polemica;
  • Rime nuove (1861-87);
  • Odi barbare (1873-89).

Venne eletto senatore a vita e ricoprì il ruolo di ultimo poeta-vate dell’Italia a lui contemporanea, come cantore della patria.

Nel 1906 Carducci vinse il Premio Nobel per la Letteratura.

Giosuè Carducci
Giosuè Carducci

Morì nel 1907 a Bologna.

La sua raccolta più importante è Rime Nuove, che include la poesia qui analizzata, Traversando la Maremma toscana, come numero 34, del libro II.

I temi della raccolta sono autobiografici e storici; il poeta infatti celebra eventi contemporanei ma anche ricordi della sua giovinezza e della terra natale. Egli ha un atteggiamento anti-romantico: celebra il culto dei classici contro la barbarie della moderna società italiana a lui contemporanea.

Altri temi importanti sono il contrasto tra ideale e reale, vita e morte e lo scorrere inesorabile del tempo.

Leggi anche:

Traversando la Maremma toscana: testo completo

Dolce paese, onde portai conforme
L’abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov’ odio e amor mai non s’addorme,
Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.

Ben riconosco in te le usate forme
Con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
E in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
Erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
E sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
E dimani cadrò. Ma di lontano

Pace dicono al cuor le tue colline
Con le nebbie sfumanti e il verde piano
Ridente ne le pioggie mattutine.

Parafrasi

O dolce paese, da cui trassi la fierezza del mio carattere e la mia poesia sdegnosa (di compromessi)e il cuore, le cui passioni non si calmano mai, finalmente ti rivedo e il cuore mi balza nel petto.

Ritrovo in te, Maremma, i profili familiari con gli occhi tra il sorriso e il pianto, e in quelle immagini ricerco e ritrovo le tracce dei miei sogni giovanili.

Oh, molte cose che ho amato e sognato sono state vane, mi affannai sempre e non raggiunsi mai lo scopo e presto morirò.

Ma da lontano mi regalano gioia le tue colline con la nebbia che sale e le verdi pianure tra le piogge mattutine.

Maremma Toscana
Maremma Toscana

Traversando la Maremma toscana: analisi, spiegazione, figure retoriche e commento

Questa poesia è un sonetto.

Lo schema metrico è:

ABAB ABAB CDC DCD

Si tratta di una lirica molto intensa nella quale il poeta descrive il paesaggio della Maremma toscana, dove era vissuto fin da bambino.

Egli ricorda le sue emozioni con tanta nostalgia perché sente che la morte è vicina.

La lirica infatti ruota intorno a due nuclei tematici importanti:

  1. la nostalgia del tempo passato e della giovinezza;
  2. la sensazione dello scorrere del tempo e della precarietà del presente.

Il sonetto parte con un’invocazione (O dolce paese): la Maremma è un luogo di favola perché gli ricorda la sua infanzia. Ma ci sono anche tante opposizioni:

  • odio e amore;
  • sorriso e pianto;
  • speranza e delusione.

Il verso 9 arriva ad una triste conclusione: tutto ciò che ha sognato è stato vano e tra un po’ la morte sopraggiungerà: Carducci era infatti reduce da una malattia e temeva di morire.

Nell’ultima strofa invece si ritorna alla dolcezza iniziale grazie all’enjambement (lontano-pace v. 11-12); si conclude quindi in un modo meno amaro.

Altre poesie

Tra le altre poesie di Carducci comprese in Rime nuove qui analizzate, ci sono:

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