Opere di Caravaggio Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 03 Jan 2024 10:47:41 +0000 it-IT hourly 1 La Natività coi Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, opera di Caravaggio https://cultura.biografieonline.it/nativita-santi-lorenzo-francesco-caravaggio/ https://cultura.biografieonline.it/nativita-santi-lorenzo-francesco-caravaggio/#respond Mon, 30 Aug 2021 15:58:46 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25981 La Natività coi Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, di Caravaggio, è un’opera unica per il suo valore artistico e per la sua vicenda. La tela, infatti, trafugata nel 1969 a Palermo è fra i 10 capolavori più ricercati al mondo.

Dettaglio dell'opera di Caravaggio: Natività con i santi Lorenzo e Francesco d'Assisi
Dettaglio centrale dell’opera di Caravaggio: Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi

La tela, le caratteristiche, la scena e i personaggi

L’opera è un’olio su tela di grande dimensioni (268 per 197 centimetri). Nel dipinto Caravaggio rappresenta la nascita di Cristo e lo fa nel segno del grande realismo, sua più nota cifra stilistica. La Natività, infatti, mette in scena sei personaggi che nell’aspetto sembrano essere poveri ed emarginati:

  1. La Madonna;
  2. San Giuseppe;
  3. San Lorenzo
  4. San Francesco d’Assisi;
  5. l’angelo planante;
  6. il sesto personaggio è ipotizzato come San Leone.

Essi appaiono in atteggiamento spontaneo. Mentre San Giuseppe resta di spalle e avvolto in un telo verde, la Madonna mostra estrema malinconia nel guardare il figlioletto sul giaciglio improvvisato, come ad anticipare la reazione al destino che spetta al Cristo. L’angelo, intanto, plana dall’alto per portare all’interno della scena la gloria divina.

Lo spessore emotivo della Natività è assegnato al gioco di colori e luci che caratterizza tutta l’opera caravaggesca.

Natività coi Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi, opera di Caravaggio
Foto dell’opera completa

Nodo critico: luogo e data della realizzazione

La data e il luogo del dipinto sono informazioni che gli addetti ai lavori hanno cercato nel tempo di recuperare per meglio interpretarlo e per contestualizzarlo nell’ambito dell’opera tutta del pittore meneghino.

In particolare, critici e biografi di Caravaggio si sono espressi definendo due ipotesi:

  • quella della produzione durante la sosta in Sicilia fra 1608 e 1609 e per la Compagnia dei Bardigli e dei Cordiglieri;
  • quella della realizzazione in un periodo precedente, nel 1600 a Roma, a seguito della commissione del commerciante Fabio Nuti.

Il furto della tela e l’indagine, aperta e irrisolta

Nella notte fra il 17 e il 18 ottobre del 1969, la Natività coi santi Lorenzo e Francesco d’Assisi di Caravaggio venne trafugata dall’Oratorio di San Lorenzo di Palermo.

Lo scoprì il custode il giorno 18, nel primo pomeriggio. Partì, così, un’indagine che subito definì il furto come un’azione di matrice mafiosa. Nel tempo, infatti, diversi pentiti e collaboratori di giustizia, nel corso dei vari interrogatori, vennero sentiti sulla vicenda fornendo, in totale, un racconto molto vario e sconnesso.

Vincenzo La Piana per primo parlò dell’opera raccontando che la Natività trafugata era stata seppellita nelle campagne palermitane con 5 chilogrammi di cocaina e alcuni milioni di dollari dal narcotrafficante Gerlando Alberti. L’indicazione non portò, però, al ritrovamento.

Francesco Maria Mannoia, invece, si dichiarò esecutore del furto al cospetto del giudice Giovanni Falcone. Egli raccontò che, staccandola per arrotolarla, la tela subì un tale danno che si decise di distruggerla. In seguito il Nucleo tutela del patrimonio artistico dei Carabinieri dimostrò sì l’autenticità del racconto di Mannoia, ma legato ad un’altra opera rubata.

Nel 1996, ancora, il pentito Giovanni Brusca raccontò che la Natività era stata utilizzata come merce di scambio con lo Stato per un alleggerimento della pena. Trattativa che lo Stato rifiutò. Salvatore Cancemi raccontò di aver visto l’opera in bella mostra alle riunioni della Cupola.

Gli anni 2000 e 2010

Nel 2009 Gaspare Spatuzza spiegò che la Natività, una volta sottratta all’Oratorio, fu affidata alla famiglia Pullarà, capimafia del mandamento di Santa Maria del Gesù. Riferì che l’opera, posta in luogo non adatto, fu rosicchiata da topi e maiali e che i resti furono dati alle fiamme.

Nel 2018 Gaetano Grado informò che la tela fu stata affidata nel 1970 a Badalamenti, altro esponente di Cosa Nostra. In particolare Badalamenti cercò di piazzare l’opera tramite un canale di ricettazione svizzera, ma l’affare saltò a causa dei gravi danni della stessa.

La vicenda della Natività è arricchita dal racconto dello storico e giornalista britannico Peter Watson. Watson raccontò che nel 1980 un ricettatore salernitano gli propose la tela. Sfortuna volle che il giorno dell’incontro, il 23 novembre, il territorio campano fu colpito da un grave terremoto che, fra l’altro, impossibilitò lo scambio.

La replica della Natività coi Santi Lorenzo e Francesco d'Assisi (di Caravaggio), a Palermo
La replica della Natività coi Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi (di Caravaggio), a Palermo

La Natività coi Santi Lorenzo e Francesco vive ancora come replica e sui media

Nel 2016 un progetto voluto e realizzato da Sky affidò la cosiddetta “clonazione dell’opera” alla grande competenza di Factum Arte. Scienza e analisi supportate da tecnologie di ultimissima generazione restituirono alla città di Palermo, e al mondo, l’opera di Caravaggio.

La replica della Natività è stata posta sempre nell’Oratorio di San Lorenzo, nel capoluogo siciliano, il 12 dicembre 2015 nel corso di una cerimonia ufficiale a cui ha presenziato anche il palermitano Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

All’inizio del 2019 è uscito il film Una storia senza nome, del regista Roberto Andò, che ruota intorno alla vicenda del furto del quadro.

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Suonatore di liuto, opera di Caravaggio https://cultura.biografieonline.it/suonatore-di-liuto-caravaggio/ https://cultura.biografieonline.it/suonatore-di-liuto-caravaggio/#respond Mon, 22 Aug 2016 15:23:57 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19096 Analizzare il “Suonatore di liuto“, celebre quadro di Caravaggio (Michelangelo Merisi), significa esporre le aspettative di un secolo splendente alle attese incantevoli di un nuovo secolo, quello degli artifici e degli eccessi dell’arte barocca.

Suonatore di liuto - Lute player - Caravaggio - Ermitage
Suonatore di liuto (Lute player, Caravaggio, 1596)

Lo stile caravaggesco risulta inconfondibile: il giovane suonatore emerge dalla profondità di uno sfondo buio, illuminato nella spensieratezza di un gesto semplice ma al contempo maturato dall’abitudine, immortalato nell’attimo di parole mai spente, di sussurri d’amore accolti dalla musica del proprio liuto.

L’incredibile poesia di un dipinto, l’inesauribile genio caravaggesco, colpirono nel segno di molteplici cambiamenti, adattandosi pienamente ai tempi musicali della rappresentazione che è arte nel grande scenario dell’esistenza umana.

Il capolavoro del pittore di Caravaggio diletta l’osservatore attraverso la musica muta dei gesti, grazie allo sguardo distratto del giovane suonatore, in quel perenne viaggio spaziale che conduce e coinvolge lo spettatore nella trama della tela, nella scena rinascimentale di un musico che canta in solitudine, d’amore.

Suonatore di liuto: la genesi del dipinto

Il dipinto, realizzato intorno al 1596 per il cardinale Francesco Maria del Monte (1549 – 1627). Egli fu collezionista di celebri opere d’arte e protettore di Galileo Galilei. L’opera costituisce attualmente uno dei capolavori del patrimonio artistico italiano custodito nell’Ermitage di San Pietroburgo.

“[…] e dipinse per il Cardinale [Del Monte] […] anche un giovane, che sonava il Lauto, che vivo, e vero il tutto parea con una caraffa di fiori piena d’acqua, che dentro il reflesso d’una fenestra eccellentemente si scorgeva con altri ripercotimenti di quella camera dentro l’acqua, e sopra quei fiori eravi una viva rugiada con ogni esquisita diligenza finta. E questo (disse) che fu il più bel pezzo, che facesse mai” (BAGLIONE).

Note tecniche e descrittive

Il “Suonatore di liuto” coincide pienamente con l’instabile natura di Michelangelo Merisi forgiato dall’atmosfera romana, della Roma di Papa Clemente VIII , negli anni che videro l’esecuzione in piazza Castel Sant’Angelo di Beatrice Cenci, l’eroina romana accusata di parricidio.

Il tema del suonatore si ripeté per due volte nell’ambito della produzione artistica del pittore di Caravaggio, divincolandosi nella maestria di due eccellenti capolavori, ovvero quello preso in esame, e un secondo capolavoro illustrante il medesimo personaggio, tesoro impareggiabile della Wildestein Collection, esposto al Metropolitan Museum di New York.

Suonatore di liuto di Caravaggio - la versione esposta a New York
La versione esposta a New York del Suonatore di liuto

La scelta di soggetti e tematiche in diretta connessione con la musica, si spiegano con il profondo legame che legò Caravaggio alla figura di Francesco Maria Del Monte nel corso del soggiorno romano, contesto all’interno della quale l’artista potette intingere la crine dei propri pennelli nell’autentica emancipazione dei poeti “manieristi”, in quella libertà espressiva visibile in letteratura nel dramma pastorale del “Il pastor fido” di Giovan Battista Guarini:

“Complessa è la natura di questo ‘stil nuovo’ […] Essa è insita nell’armonia dei suoi colori e nella particolare natura del suo dipingere: armonia rara e sottile, composta da una specifica scelta di toni e da una particolare maniera di impiegarli […] con la novità e la qualità del sua tavolozza egli colpì i contemporanei al tal punto che perfino i nemici ne riconobbero i meriti: in lui la tecnica stessa è poesia.” (JULLIAN).

Osservando il “Suonatore di liuto” lo spazio intercede il proprio posto alla profezia dell’arte, all’intima e quanto mai distorta illusione che ci riconduce nel luogo introdotto sulla tela, quali spettatori di un piccolo concerto tenuto di fronte ai nostri occhi, con sguardi che ci osservano distrattamente, come se fossimo li, come se ciò non importasse.

Amore, armonia, musica e natura si mescolano su di un’unica tela, concatenati, uniti nell’unico tentativo di congiungere il tutto sotto l’ombra avvolgente d’una stanza riparata dal sole, ma dalla quale il sole trova in ogni modo la strada per vincere il buio, colpendo il viso e il corpo giovane del suonatore e la bellissima e variegata natura morta, all’interno di uno spazio incredibile e meditato.

Le partiture aperte sul tavolo sono del milanese Giuseppe Galli, autore del “Trattato di Musica” pubblicato nel 1598.

Suonatore di liuto - Caravaggio - dettaglio partiture
Il dettaglio delle partiture

Nel volto del giovane musico si è scorto un ritratto del pittore e amico di Caravaggio, Mario Minniti, autore dell’ “Immacolata con Sant’Antonio e donatori” della Chiesa di S. Pietro, di Piazza Armerina.

Il protagonista è mostrato di tre quarti a mezzo busto, mentre esegue un dolce canto d’amore allietato dalle deliziose melodie del liuto; dalla poesia delle sue labbra tenere e dischiuse, pronte a emettere la nota successiva, emerge il suono silenzioso in grado di produrre, nei limiti della pittura e nell’eternità del tempo, i suoi flebili echi.

Suonatore di liuto - Caravaggio - dettaglio volto
Il dettaglio del volto del suonatore di liuto

Le sonorità dell’opera di Caravaggio

“Voi sapete ch’io v’amo, anzi v’adoro, / Ma non sapete già che per voi moro, / Chè, se certo il sapeste, / Forse di me qualche pietate avreste. / Ma se per mia ventura / Talhor ponete cura / Qual stratio fa di me l’ardente foco, / Consumar mi vedret’a poco a poco.”

(“Primo libro di madrigali a quattro voci”, Jacques Arcadelt, 1539)

Appare assai interessante sottolineare la sfumatura incredibilmente sonora del dipinto caravaggesco, utile guida verso le inesorabili contratture della società artistica tardo cinquecentesca e al contempo spartito dalla quale leggere compiutamente le note di un’evoluzione musicale, oltre che l’immenso genio di un artista provato ma corroborato dalla virtù dell’ambizione, nell’animalesco spirito di un’anima errante.

Quello che Valentina Rodi definisce “uno degli elementi più importanti e di spicco nei dipinti a sfondo musicale di Michelangelo Merisi“, come nel caso dei suoi fedeli seguaci, è senza dubbio il vibrante suono che annunciò il cambiamento nel cuore della musica, nella sua forma, nella predisposizione a essere manipolata, piegandosi all’esigenza del secolo e della sua ineffabile quanto impudica anima.

Il cambiamento annunciato precedentemente, iniziato presumibilmente intorno al 1508, assorbì le mente di compositori illustri, portando sotto il vessillo della “Camerata Bardi” i nomi Jacopo Perdi, Emilio de Cavalieri, Vincenzo Galilei, Giulio Caccini, quali ospiti celebri nella dimora di Giovanni Maria Bardi de Vernio, insostituibile protagonista dell’incessante dibattito che si volgeva allo scopo di ottemperare al fatidico passaggio dalla musica polifonica alla monodia accompagnata che, già diffusa nei primi del Cinquecento, consumò pienamente il gusto indirizzato alla laboriosità della scrittura contrappuntistica.

L’espressività caravaggesca trovò fonte da cui attingere nell’eloquenza dello stile monodico, che vantava l’impareggiabile dote di saper esprimere al romantico ascoltatore i sentimenti del testo poetico, dove “dal punto di vista tecnico, il comporre monodico, è sostenuto dall’appoggio ritmico e armonico della voce solistica dato dal basso continuo (o basso numerato, cifrato o figurato)” (RODI).

Le innovazioni musicali di cui si fece promotrice la musica monodica, vennero splendidamente enunciate nella seconda “Prattica musciale” del compositore Claudio Monteverdi (1567 – 1643), portando all’attenzione il valore eccezionalmente espressivo della musica nella sua qualità umana, capace cioè di interpretare e suscitare forti emozioni, non considerando, dunque, la bellezza della componimento fondata unicamente sulla imperturbabilità e il distacco matematico.

Lo stile inneggiato dal Monteverdi venne furiosamente osteggiato dal critico e tecnico musicale Giovanni Maria Artusi, autore del dialogo dal titolo “Delle imperfezioni della moderna Musica“, degno sostenitore del non mutamento e accanito antagonista della “crudezze” di una musica fertile agli artifici barocchi, fatta di quegli echi “aspri et all’udito poco piacevoli”.

Nel “Dizionario Enciclopedico Universale dei termici tecnici della musica, antica e moderna, dai Greci fino a noi” il Barberi riporta la controversia musicale, chiarendo parte degli aspetti tecnici e riconducendo l’interesse alle ragguardevoli alterazioni promosse dal nuovo stile musicale:

“[…]il comma moderno, quantunque un po’ più piccolo dell’antico, può tuttavia bastare a far sì che gl’intervalli consoni divengano dissoni, e i dissoni si cangino in consoni, e che, opportunamente levato od aggiunto alle terze ed alle seste del sistema diatonico pitagorico, ch’erano dissonanti, le rende consonanti.” (BARBERI).

Il cambiamento in ambito musicale convoglio la propria indole espressiva dei dolori e dei piaceri umani verso la pittura tardo cinquecentesca, nonché nelle rappresentazioni artistiche del Caravaggio, degno erede di una mentalità che si prefiggeva la libertà dagli ambienti colti, per un’espressione dell’intimità che trovava posto nelle personalità giocose dei musichi, nelle strade e nei gioiosi concertini pubblici.

Il “Suonatore di liuto“, da come appare da questa breve digressione musicale in fatto di evoluzioni artistiche e dibattiti infuocati, fu il degno erede pittorico della natura di un’arte che si affacciava al Barocco, sostenendo il peso delle emozioni, degli sguardi parlanti grazie alle pennellate energiche di un artista fuori dal branco, di un’anima che non conobbe mai l’indulgenza, il tocco della propria arte quale placido mezzo per stemperare i sentimenti più primitivi.

Note Bibliografiche
V. Rodi, “L’arpa tra Cinquecento e Seicento”, Narcissus.me, 2015
A. Barberi, “Dizionario enciclopedico universale dei termini tecnici della musica antica e moderna, dai greci fino a noi”, Tipografia editrice Luigi di Giacomo Pirola, Milano, 1869
L. Pericolo, D. M. Stone, “Caravaggio: Reflections and Refractions”, Ashgate, Farnham, 2014

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San Matteo e l’angelo (opera di Caravaggio) https://cultura.biografieonline.it/san-matteo-e-langelo/ https://cultura.biografieonline.it/san-matteo-e-langelo/#comments Tue, 05 Jul 2016 20:24:00 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19093 San Matteo e l’angelo” è una delle tre opere che compongono il ciclo pittorico destinato alla cappella Contarelli, ubicata all’interno della chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, e commissionata al Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) dagli eredi del cardinale Mathieu Cointrel (italianizzato in Matteo Contarelli).

San Matteo e l'angelo - il dettaglio dell'Angelo
San Matteo e l’angelo – il dettaglio dell’Angelo

San Matteo e l’angelo: analisi

La tela è di notevoli dimensioni (292 cm x 186 cm), anche se più piccola, sia in larghezza sia in altezza, rispetto alle altre due opere (La vocazione di San Matteo ed il Martirio di San Matteo) che l’artista realizzò per portare a compimento il suo primo incarico pubblico ricevuto a Roma.

In un primo momento, l’allestimento dell’altare maggiore della cappella era stato affidato al fiammingo Jacob Cornelisz Cobaert. Questi, per l’occasione, aveva realizzato un gruppo scultoreo avente come tema appunto San Matteo e l’angelo. Accadde però che Francesco Contarelli, nipote del defunto cardinale, rifiutò l’opera dello scultore, ritenendola inadeguata. Così anche questo incarico venne conferito al Caravaggio, che aveva già terminato i due dipinti laterali.

San Matteo e l'angelo - Caravaggio
San Matteo e l’angelo (opera di Caravaggio del 1602)

Due versioni

Il pittore realizzò due versioni di San Matteo e l’angelo; nella prima, San Matteo ha le sembianze di un uomo rozzo e inconsapevole che, stupito, si lascia guidare la mano da un angelo paziente il quale, rimanendogli accanto, in piedi, lo aiuta a scrivere il suo vangelo.

Secondo alcuni studiosi, la tela fu contestata e quindi rimossa dall’altare maggiore subito dopo la sua collocazione. Essa fu ritenuta volgare a causa dell’aspetto grossolano che l’artista aveva imposto al santo. Altri invece, sostengono che lo stesso Caravaggio, resosi conto del sottodimensionamento del dipinto rispetto al vano a cui era destinato, e del contrasto della composizione rispetto alle regole di centralità dettate dalla Controriforma in merito alla rappresentazione dei martiri-eroi, avesse deciso di proporre un’alternativa.

San Matteo e l'angelo - ciclo pittorico cappella Contarelli - Caravaggio
San Matteo e l’angelo è collocato nella cappella Contarelli (al centro) assieme a “La vocazione di San Matteo” (a sinistra) ed il “Martirio di San Matteo” (a destra)

Il dipinto trovò subito un acquirente nella persona del marchese Vincenzo Giustiniani e successivamente, nel 1815, venne liquidato, assieme ad altre opere e per ragioni economiche, dagli eredi di quest’ultimo a favore del re di Prussia.

Purtroppo però, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, tra il 5 e il 10 maggio 1945, l’opera (così come altre tele del Caravaggio) andò distrutta durante l’incendio della Flakturm Friedrichshain di Berlino. Quella ancora oggi esposta sull’altare centrale della cappella, è la seconda versione del dipinto proposta dal Caravaggio, lì collocata dal 1603.

Descrizione del quadro

Sullo sfondo scuro si stagliano le due figure protagoniste. Il colore acceso delle vesti di Matteo e il bianco lenzuolo caratterizzato da sinuosi vortici che avvolgono l’angelo calato dall’alto, conferiscono movimento alla scena.

San Matteo e l'angelo - quadro - dettaglio - San Matteo
Nel dettaglio: San Matteo

In questa versione, San Matteo ha un aspetto diverso, più distinto. Anche se, secondo la tradizione, è un ignorante ed un non così fervido credente; risulta sorpreso ma non inconsapevole, perché è ispirato ma non guidato.

San Matteo ha un’aureola accennata, è a piedi nudi. Ha la gamba sinistra sopra uno sgabello traballante, poiché è intento a scrivere.
L’angelo lo sorprende con il suo arrivo, tanto da fargli perdere l’equilibrio mentre si gira per guardarlo.

Il messaggero lo aiuta dettandogli le parole divine. Con la posa delle dita è chiaro che tiene la conta, nell’elencargli la genealogia di Cristo. Lo sguardo di Matteo è vivido, attento, devoto, rispettoso. E’ in attesa di cogliere il sacro verbo con la sua mano pronta che impugna una penna.

San Matteo e l'angelo - prima versione
San Matteo e l’angelo – prima versione

Commento

La prima versione era certamente permeata da maggiore realismo, palesemente ostentato; qui, invece, si percepiscono nettamente quei limiti imposti dalla Chiesa per quanto riguarda i canoni di rappresentazione del periodo. Ma, con maestria e per l’ennesima volta, il ribelle Caravaggio riesce a mostrarci l’essenza umana per quella che è. Ovvero tramite i tratti somatici di un Matteo, uomo del popolo, malcelato sotto una tunica.

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Davide con la testa di Golia, opera di Caravaggio. Analisi dell’opera https://cultura.biografieonline.it/davide-con-la-testa-di-golia/ https://cultura.biografieonline.it/davide-con-la-testa-di-golia/#comments Fri, 13 May 2016 14:54:27 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18352 Caravaggio è il pittore della luce. La sua pittura utilizza la luce per dare un tono drammatico alla scena. Il passo che compie e che fa compiere all’arte pittorica è sovrumano e cambia, da quel momento in poi, l’utilizzo della luce che nella pittura non sarà più uguale a prima. Fra i molti dipinti che hanno reso immortale Michelangelo Merisi da Caravaggio, e che dimostrano come la luce diventa racconto drammatico della vita, troviamo “Davide con la testa di Golia“.

Davide con la testa di Golia - Caravaggio
Davide con la testa di Golia (Michelangelo Merisi da Caravaggio, 1609-1610) – Olio su tela, 125 x 100 cm – Galleria Borghese, Roma

Davide con la testa di Golia: analisi del dipinto

Capolavoro straordinario che suscita in me le emozioni più forti. “Davide con la testa di Golia” è un quadro incredibile se si analizza in dettaglio ciò che rappresenta. Un giovane, si suppone il Caravaggio stesso quando era un adolescente, tiene in mano la testa di Golia, che è il ritratto di Caravaggio da vecchio, che da poco ha staccato dal corpo con un colpo di spada.

Golia - Davide con la testa di Golia - dettaglio
La testa di Golia in dettaglio: il volto sarebbe quello dello stesso Caravaggio

Infatti, gli occhi di Golia sembrano emanare ancora un barlume di vita, una manciata di secondi in cui forse ancora l’afflato vitale è nel corpo mozzato, prima di scomparire definitivamente. La luce, che viene da sinistra, mostra il volto e il petto di Davide teso mentre tiene la testa del suo se stesso in pugno; la stessa luce racconta come la vita di Golia–Caravaggio sia finita male e abbia avuto un trascorso di sofferenza e trascuratezza. Davide guarda il volto di Golia sfatto e distrutto dalla corruzione di una vita dissoluta, mentre lui è ancora puro e incorrotto.

La condizione di Caravaggio

Mentre Caravaggio dipingeva questo quadro aveva trentotto anni e gli pendeva sul capo una condanna a morte per decapitazione. E allora, se davvero Caravaggio a memoria ha dipinto se stesso da giovane mentre uccide il Caravaggio maturo e corrotto, l’emozione che si prova nell’ammirare questi due volti del pittore è travolgente.

L’emozione

Come è profonda e intensa è l’emozione che suscita il contesto che possiamo ricostruire immaginando cosa può aver significato per Caravaggio decidere di dipingere se stesso in due stadi diversi della sua vita.

Meraviglia e stupore di fronte ad un capolavoro, ma anche la consapevolezza di potersi specchiare di fronte ad un passo decisivo della vita di ogni uomo e che ogni essere vivente vive nella propria intimità: il confronto fra la propria giovinezza e il tempo che è passato. E’ un dono importante questo dipinto, non solo per la sublime tecnica utilizzata ma anche per il coraggio che Caravaggio ha dimostrato nel dipingerlo.

Da ricordare anche l’opera, sempre di Caravaggio, che affronta lo stesso tema, realizzata nel periodo 1597-1598: Davide e Golia (dipinto conservato presso il Museo del Prado di Madrid).

Analisi dell’opera con commento video

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Ragazzo morso da un ramarro (Caravaggio) https://cultura.biografieonline.it/ragazzo-morso-da-un-ramarro/ https://cultura.biografieonline.it/ragazzo-morso-da-un-ramarro/#comments Fri, 13 May 2016 09:20:34 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18402 Ragazzo morso da un ramarro è uno degli esempi più importanti del contributo fondamentale di Michelangelo Merisi da Caravaggio all’evoluzione dell’uso della luce nella storia dell’arte. La luce racconta il dramma del momento e cioè la consapevolezza del dolore causato dal morso del ramarro.

Ragazzo morso da un ramarro - Caravaggio - quadro - dipinto - opera
Ragazzo morso da un ramarro (1595-1596, Michelangelo Merisi da Caravaggio) – Olio su tela – 65,8 x 52,3 cm – Fondazione Longhi, Firenze

Analisi del quadro Ragazzo morso da un ramarro

Il ragazzo viene illuminato da una fonte di luce che proviene da sinistra. Gli illumina il volto e prosegue, raccontando ciò che sta avvenendo, sulla spalla nuda del ragazzino per poi accompagnare il gesto del braccio, illuminando in un modo incredibile, la sua camicia e poi finendo sul chiaroscuro della mano.

Impressionante la luce che stilla dall’ampolla e che appare un esempio perfetto di pittura dal vero. La luce poi tocca alcuni punti della natura morta. Questo dipinto, come Davide con la testa di Golia, rappresenta la rottura geniale di Caravaggio fra la luce prima della sua pittura e il modo in cui verrà utilizzata in seguito.

Prima di Caravaggio, la luce si espandeva nel dipinto, con lui, invece, ha un’origine fisica che viene utilizzata per narrare ciò che avviene davanti a chi osserva il dipinto.

Due versioni

Ragazzo morso da ramarro venne realizzato in due versioni diverse. La prima fu realizzata fra il 1595 e il 1596 ed è conservata a Firenze. La seconda, invece, fu dipinta fra il 1595 e il 1600 e attualmente si trova alla National Gallery di Londra.

Ragazzo morso da un ramarro - seconda versione
Ragazzo morso da un ramarro – Seconda versione • Realizzata su tela tra il 1595 e il 1600, è conservata presso la National Gallery di Londra, che l’acquisì nel 1986 grazie al contributo della Fondazione J. Paul Getty Jr.

Sono diverse le teorie che raccontano dove vennero realizzate le due opere. Gli aspetti fondamentali, però, sono due: la luce, come abbiamo detto, che rende questo capolavoro una sorta di linea del tempo fra come la luce veniva considerata e come verrà, invece, utilizzata in seguito. Mentre il secondo aspetto riguarda l’ispirazione del soggetto.

Il ragazzo di vita effeminato, che rappresenta Caravaggio può essere uno dei ragazzini che il pittore frequentava in quegli anni, oppure può essere uno degli attori che si esibivano presso la casa del cardinale Francesco Maria del Monte, il quale amava gli spettacoli teatrali con ragazzini effeminati che si esibivano nel salotto del suo palazzo.

La scelta di Caravaggio di rappresentare il dolore provocato da un morso di un ramarro che si esprime nel volto del ragazzo è la conseguenza degli studi che il pittore aveva affrontato sull’opera di Leonardo da Vinci.

Analisi dell’opera e commento video

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Martirio di San Matteo (Caravaggio) https://cultura.biografieonline.it/martirio-san-matteo/ https://cultura.biografieonline.it/martirio-san-matteo/#comments Fri, 05 Feb 2016 00:41:52 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16436 Il Martirio di San Matteo è un olio su tela realizzato dal Caravaggio intorno al 1599 – 1600, destinato ad essere collocato presso la chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, all’interno della cappella Contarelli. E’ una delle tre tele del ciclo pittorico che comprende La vocazione di San Matteo e San Matteo e l’angelo; i dipinti erano stati commissionati all’artista dagli eredi del cardinale Mathieu Cointrel (ovvero Matteo Contarelli, italianizzato) con lo scopo di celebrare il suddetto prelato maggiore (le cui spoglie riposano all’interno dell’omonima cappella), tramite la realizzazione di tre opere ispirate alla vita terrena del santo di cui portava il nome.

Martirio di San Matteo - opera arte - Caravaggio - analisi
Martirio di San Matteo (Caravaggio, 1599-1600)

Si tratta di una tela di notevoli dimensioni (323 cm x 343 cm), che ancora oggi possiamo ammirare sul lato destro della cappella, guardando verso l’altare.

Il Martirio di San Matteo: analisi

L’episodio biblico, dal quale il Caravaggio trasse spunto, è riportato da Jacopo da Varagine (o da Varazze) all’interno della raccolta medievale di biografie, in lingua latina, basata su testimonianze riguardanti la vita dei santi ed intitolata “Legenda Aurea”.

Qui si narra che il re Irtaco, salito al trono di Etiopia dopo la morte del fratello Egippo, viene rifiutato in sposo da Ifigenia, figlia del defunto sovrano, la quale ha già promesso la propria verginità a Dio. Irtaco, nel tentativo di convincere la fanciulla, chiede l’intercessione di Matteo il quale, in tutta risposta, lo invita a presenziare alla messa che avrebbe celebrato il sabato successivo all’interno del tempio. Matteo, nel corso della sua predica, afferma pubblicamente che il voto di Ifigenia, promessa sposa di Dio, non può essere infranto, nella stessa misura in cui, secondo l’usanza del periodo, se un servo avesse avanzato pretese sulla moglie del proprio re, sarebbe stato bruciato vivo.

La scena del Caravaggio rappresenta la brutale uccisione di Matteo, minacciato dalla spada di un sicario incaricato dal re d’Etiopia, proprio mentre il santo è intento a celebrare messa all’interno di una chiesa; l’ambientazione è confermata dalla presenza anacronistica (considerato il periodo storico in cui si svolse l’evento biblico al quale l’artista fa riferimento) di un fonte battesimale, di un altare sul quale è presente una croce.

Le analisi radiografiche hanno svelato che Michelangelo Merisi (Caravaggio) operò numerosi mutamenti sulla composizione dell’immagine durante la fase di realizzazione; nella prima versione svelata dalle indagini di laboratorio infatti, le figure appaiono ben più piccole. La scelta di rimodulare dimensionalmente le figure, molto probabilmente fu dettata dall’esigenza di dare loro maggiore risalto, considerata l’importanza dell’incarico ricevuto e considerato il luogo in cui la tela, assieme alle altre due, sarebbe stata esposta.

Fin dall’inizio però, è evidente che il Caravaggio scelse di concentrarsi sul protagonista, rappresentato come indiscussa vittima di un efferato assassinio, manifestando così il suo determinato rifiuto nei confronti di quella interpretazione devozionale, abbracciata dal resto degli artisti suoi contemporanei, tipica di un’arte sacra che era solita proporre santi pronti ad accettare con assoluta serenità il proprio martirio.

San Matteo - Martirio - Caravaggio
Nell’opera di Caravaggio, San Matteo è rappresentato sdraiato: abbiamo ribaltato di 90° il dettaglio della sua figura, per sottolineare la posizione del corpo, che richiama quello di Gesù sulla croce.

Nel Martirio di San Matteo ci troviamo dinanzi all’ennesima istantanea del Caravaggio, dove al centro della scena vengono ritratti i due principali protagonisti, staccati da uno sfondo che rimane in penombra e capaci di emergere, in tutta la loro grandezza, con l’ausilio della luce divina e grazie ad un sapiente utilizzo di straordinarie sfumature di bianco. Il carnefice è immortalato nell’attimo prima di sferrare il colpo mortale su Matteo; con la mano destra tiene la spada e con la sinistra afferra il polso destro di Matteo che si trova disteso in terra a braccia aperte, come quelle del Cristo sulla croce.

Il sicario è nudo, un telo dai toni chiari gli ricopre unicamente le parti intime; Matteo, invece, indossa gli abiti sacerdotali, una tunica bianca, un pettorale scuro ed il cingolo in vita.

Martirio di San Matteo - dettaglio del quadro
Dettaglio del dipinto “Martirio di San Matteo” in cui si possono osservare: il sicario (al centro), l’angelo che gli porge la palma del martirio e, sulla sinistra, il viso dell’uomo rivolto verso la scena centrale: quest’ultimo è un autoritratto di Caravaggio.

La celebrazione di Matteo è rappresentata dall’angelo in alto a destra, collocato sopra una nuvola, che gli porge la palma del martirio, simbolo della vittoria dell’uomo che offre la vita a Dio. Si avverte un senso di terrore, si sente l’urlo del fanciullo sulla destra che fugge spaventato, si percepisce il panico tra i presenti che si ritraggono inorriditi. Poi, con sorpresa, guardando a sinistra sullo sfondo, ci accorgiamo che Caravaggio, dietro tutti, quasi nascosto, ha dipinto anche se stesso (è il primo autoritratto a far capolino in un’opera pubblica); un se stesso curioso, provocatore, col pizzetto, con gli occhi tristi e scuri, un cronista di situazioni e fatti senza spazio e senza tempo capace di raccontare, con assoluto realismo, tragiche e sante verità.

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La vocazione di San Matteo https://cultura.biografieonline.it/vocazione-san-matteo/ https://cultura.biografieonline.it/vocazione-san-matteo/#comments Tue, 02 Feb 2016 12:35:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16412 La vocazione di San Matteo è un dipinto ad olio su tela di grandi dimensioni (322 cm x 340 cm) che il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) realizzò durante il suo soggiorno romano, intorno al 1599. L’opera fa parte di un ciclo pittorico costituito da tre grandi tele (le altre due sono “Il martirio di San Matteo” e “San Matteo e l’angelo“) avente come tema la vita di San Matteo.

Vocazione di San Matteo - Michelangelo Merisi da Caravaggio - 1599-1600
Vocazione di San Matteo (Michelangelo Merisi da Caravaggio, 1599-1600)

Si tratta del primo incarico pubblico ricevuto a Roma dal pittore, grazie all’intercessione del cardinale Berlingero Gessi (responsabile a quel tempo della basilica di San Pietro) con la committenza, rappresentata dagli eredi del cardinale Mathieu Cointrel (italianizzato in Matteo Contarelli). Il ciclo pittorico era destinato a trovare collocazione presso la chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, all’interno della cappella Contarelli, così denominata poiché era stata acquistata nel 1565 dal defunto cardinale francese.

San Matteo e il Vangelo

Il dipinto, che ancora oggi trova posto sul lato sinistro, guardando verso l’altare, della suddetta cappella, è ispirato ad un brano del Vangelo (Matteo 9,9 – 13) in cui l’apostolo Matteo racconta la propria chiamata da parte di Gesù Cristo. Matteo, prima di incontrare il Redentore, era un pubblicano, ovvero un esattore dei tributi incaricato dall’Impero romano. Quella del pubblicano era una figura disprezzata dalla popolazione in quanto, chi ricopriva questa carica, curava gli interessi del dominatore, ed altresì traeva solitamente dei vantaggi personali grazie alla propria posizione. Matteo è dunque un peccatore, attaccato ai beni materiali, destinato alla misericordia del Signore sceso in terra non per chiamare i giusti, ma i peccatori.

La vocazione di San Matteo: analisi dell’opera

In Caravaggio, arte e vita si fondono e si confondono; egli è un rivoluzionario, è il pittore dei peccatori che cercano di passare dall’oscurità alla luce, è l’artista che sceglie di mostrare il sacro nelle vesti umane. Dipinge il vero, rappresenta la realtà, svela ciò che c’è, scegliendo tra i popolani i suoi modelli per rappresentare le figure sacre, rifiutando così la validità del disegno ideale e idealizzato, il manierismo e le facce dell’iconografia ufficiale.

Caravaggio catapulta Gesù Cristo, San Pietro, Matteo ed altri tre personaggi all’interno di un ambiente che somiglia tanto alle locande romane della sua epoca, facendo loro indossare persino gli abiti di foggia francese in voga in quel periodo (Gesù e San Pietro indossano invece una tunica e sono scalzi): è una delle prime volte in cui viene rappresentato un evento sacro totalmente decontestualizzato.

I sei protagonisti del dipinto, nel rappresentare tutte le fasce di età della vita (l’infanzia, l’adolescenza, l’età matura, la vecchiaia), simboleggiano l’intera umanità che, in qualsiasi momento, può ricevere la chiamata divina.

Caravaggio, come spesso accade nei suoi dipinti, ci propone un’istantanea: Gesù fa il suo ingresso improvviso nel locale, accompagnato da San Pietro, mentre Matteo, un giovane ed un vecchio con gli occhiali sono intenti a contare del denaro. Con un gesto della mano destra (che ricorda la mano di Adamo, protesa verso quella di Dio, affrescata da Michelangelo Buonarroti sulla volta della Cappella Sistina), Cristo indica Matteo che, a sua volta, con la mano destra sui soldi riscossi, dirige stupito il proprio indice sinistro verso se stesso, quasi come a far richiesta di un chiarimento, di una conferma, quasi come se dicesse :”Ma chi, io?”.

Vocazione di San Matteo - dettaglio
Vocazione di San Matteo: il dettaglio dei personaggi seduti alla tavola e delle dita che li indicano.

Pietro, che rappresenta la Chiesa, punta anch’egli l’indice della mano destra verso Matteo. Ogni personaggio presente sulla scena, colto di sorpresa dall’Amore divino, reagisce in maniera differente: c’è il giovane seduto su di una sedia, con la spada sul fianco, che entra in allerta (lo manifestano i polpacci tesi che ci fanno immaginare un suo repentino scatto per alzarsi a difesa del gruppo), c’è il bambino che rimane tranquillo mentre si interroga su quello che sta accadendo, ci sono il vecchio con gli occhiali e l’uomo seduto con il capo chino che continuano con indifferenza a contare i soldi.

Vocazione di San Matteo - dettaglio - polpacci tesi
Il dettaglio dei polpacci tesi

La luce, simbolo della Grazia divina, non proviene dalla finestra chiusa posta in alto sulla destra della tela (da notare il riquadro ligneo dell’infisso che forma una croce sulla superficie vetrata) ma da altrove, da una sorgente indefinita al di fuori dell’inquadratura. Il fascio si staglia e taglia la tela in modo direzionale da destra a sinistra e investe tutti, senza nessuna gerarchia, ma solo Matteo risponde alla chiamata; questa non è altro che l’espressione del libero arbitrio, della scelta che ogni individuo può compiere nell’accogliere o meno la salvezza.
Caravaggio, libero rivoluzionario, ha dipinto la libertà.

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Michelangelo Merisi tra la critica accademica e la Resurrezione di Lazzaro https://cultura.biografieonline.it/caravaggio-critica/ https://cultura.biografieonline.it/caravaggio-critica/#respond Mon, 01 Feb 2016 23:41:55 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16468 Il biografo e pittore Giovanni Baglione relegò l’oscura figura del giovane Michelangelo Merisi (conosciuto come Caravaggio) in quella di presuntuoso, inquieto e indomabile artista senza legge con queste parole:

Michelangelo Amerigi fu uomo satirico e altiero; e usciva tal’ora a dir male di tutti li pittori passati e preseti per insigni che si fussero, poiché a lui parea d’aver solo con le sue opere avanzati tutti gli altri della sua professione. Anzi presso alcuni si stima aver esso rovinata la pittura, poiché molti giovani ad esempio di lui si dànno ad imitare una testa del naturale, e non studiando né fondamenti del disegno e della profondità dell’arte, solamente del colorito appagansi, onde non sanno mettere due figure insieme, né tessere istoria veruna, per non comprendere la bontà di sì nobil’arte …

Resurrezione di Lazzaro
La resurrezione di Lazzaro (un dettaglio dell’opera di Caravaggio).

Un commento comprensibile, per quanto veritiero, da parte di Giovanni Baglione che, a quanto ci narrano i fatti, fu gravemente umiliato dallo stesso Caravaggio qualche decennio prima.

La storia racconta che nel 1603 il dipinto conosciuto come la “Resurrezione“, opera dello stesso Baglione, fu esposto nella chiesa del Santissimo Nome di Gesù, a Roma. L’opera provocò grande scompiglio tra gli artisti, tanto da condurre un nutrito gruppo di pittori, compreso Caravaggio, alla stesura di una serie di poemetti satirici estremamente volgari e offensivi nei confronti del biografo romano, poemetti nella quale il pittore veniva tacciato di essere un incapace.

Resurrezione - Giovanni Baglione
Resurrezione (Giovanni Baglione, 1603) – Parigi, Museo del Louvre

Baglione rispose all’offesa con una denuncia per diffamazione; questo non pose fine al legame quanto meno artistico che legava il pittore romano alla grande influenza dell’arte naturalistica caravaggesca sulla sua produzione pittorica.

L’arrogante spirito di libertà e l’immenso senso autodistruttivo furono le armi di cui si servì Michelangelo Merisi per opporsi alla staticità dell’ambiente romano. Caravaggio affrontò gli ostacoli e i limiti del tardo manierismo e del modello culturale fortemente influenzato dalla Renovatio Urbis promulgata da papa Sisto V. Si trattava di un modello culturale cupo, frenato e condizionato dal clima controriformista. Molti pittori giunsero nella città papale in cerca di gloria, scontrandosi con immensi riferimenti artistici come le stanze di Raffaello e la Cappella Sistina di Michelangelo Buonarroti.

L’ambiente culturale brulicava di artisti promettenti, ma le nuove idee stentavano a farsi sentire, fino all’arrivo del giovane pittore milanese. Dopo la “congiura” sortita ai danni del biografo e pittore romano, Michelangelo Merisi realizzò anch’egli un dipinto concernente il tema della resurrezione.

La tela nota come la “Resurrezione di Lazzaro” venne realizzata dal Caravaggio nel 1609 su commissione del commerciante genovese Giovan Battista de’ Lazzeri per la chiesa dei Padri Crociferi di Messina.

Il Bellori scrive:

“Passando egli dopo a Messina […] dipinse nella chiesa de’ Ministri dell’Infermi, nella cappella de’ Signori Lazzari, la resurrezione di Lazzaro, il quale, sostentato fuori dal sepolcro, apre le braccia alla voce di Cristo che lo chiama e stende verso di lui la mano”.

Il dipinto raffigura in una chiave quantomeno “oscura” la resurrezione di Lazzaro, richiamando il famoso episodio evangelico ispirato proprio al cognome del committente.
In questo caso, una scena che nel generale panorama artistico viene presentata come uno spettacolo di gioia e speranza, come un trionfante inno alla vita, viene posta in un registro simbolico dalla valenza opposta: Lazzaro ancora morto non esprime nulla che lasci pensare all’atto della resurrezione, anzi le sue membra scure e il suo capo chino e sofferente lasciano credere che stia ancora lottando per la sopravvivenza.

Vocazione di San Matteo (Caravaggio)
Vocazione di San Matteo (opera di Michelangelo Merisi da Caravaggio realizzata negli anni 1599-1600)

Lo sguardo placido e la gestualità del Cristo ricordano in maniera molto evidente il Cristo presente nella “Vocazione di San Matteo“, mentre le tonalità brune, la luce che taglia la tela in modo trasversale, illuminando tragicamente le figure presenti sulla scena, caratterizzano tutta la produzione di Caravaggio.

La “Resurrezione di Lazzaro”, come tutti i suoi grandi capolavori, riflette il temperamento fortemente inquieto di Michelangelo Merisi. Ogni sguardo rivolto sulla tela desta stupore e ammirazione per un genio che scontò sulla pelle i drammi di una vita randagia e difficile, vivendo quotidianamente il peso di un carattere intenso e riottoso.

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Giuditta e Oloferne (Caravaggio) https://cultura.biografieonline.it/giuditta-oloferne-caravaggio/ https://cultura.biografieonline.it/giuditta-oloferne-caravaggio/#comments Fri, 20 Mar 2015 09:50:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=13818 Giuditta e Oloferne di Michelangelo Merisi detto Il Caravaggio (Milano, 29 settembre 1571 – Porto Ercole, 18 luglio 1610) è un dipinto che il celebre pittore realizzò tra il 1597 ed il 1600 su commissione del banchiere genovese Ottavio Costa. Attualmente la tela si trova all’interno della Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma.

Giuditta e Oloferne - Caravaggio - Michelangelo Merisi - 1597-1600
Giuditta e Oloferne (Il Caravaggio, 1597-1600) : il re Oloferne viene decapitato da Giuditta, mentre la schiava Abra osserva l’azione. L’episodio è narrato nella Bibbia.

L’episodio della Bibbia di Giuditta e del re assiro Oloferne

Nell’opera, considerata uno dei migliori capolavori del Caravaggio, la prima in cui l’artista raggiunge la punta massima di quella drammaticità figurativa che lo contraddistingue, è rappresentato un episodio biblico: Giuditta, simbolo di virtù e devozione divina, decide di salvare il suo popolo dall’assedio del re assiro Oloferne così, una notte, entra con la sua serva nella tenda del tiranno, facendogli credere di voler tradire la sua gente.

Oloferne, incantato dalla bellezza della donna, cede all’inganno e, dopo averla invitata ad un banchetto, si ubriaca. Giuditta, pronta ad approfittare del momento di abbandono dell’uomo, sferra una scimitarra e lo decapita, per poi riporre la sua testa all’interno di una sacca e consegnarla al popolo assediato, in segno di vittoria.

Giuditta e Oloferne: analisi del quadro

Caravaggio, nel suo studio, era solito posizionare alcune lanterne attorno ai suoi modelli, per illuminare punti precisi dei loro corpi; l’intento era quello di donare tridimensionalità e dinamismo alle figure tramite una “luce radente”, che sfiorava le superfici, sottolineando solo alcune parti della scena e lasciando al buio il resto.

I corpi dei soggetti raffigurati nel dipinto, sembrano uscire dallo sfondo nero per prendere vita, divenendo i protagonisti assoluti. Giuditta è immortalata nel momento in cui sta compiendo l’esecuzione, mentre impugna con la mano destra l’arma affondata per metà nel collo di Oloferne e, con la mano sinistra, gli afferra saldamente i capelli, pronta a non far cadere a terra la testa.

La donna indossa una camicia candida, simbolo di purezza, ed ha un’espressione corrucciata, che lascia trasparire lo sforzo interiore che sta sostenendo nel compiere quel gesto cruento. Oloferne, disteso su di un letto a pancia sotto, è colto alla sprovvista; stupito, terrorizzato, ha gli occhi sbarrati e sente che sta per morire. Tenta di risollevarsi, poggiando la mano destra sul giaciglio, torcendo appena il busto, ma non è in grado di reagire. Un fiotto di sangue esce fuori dalla sua gola, sporcando le bianche lenzuola, ha la bocca aperta ed i muscoli contratti, ma ancora per poco.

Giuditta e Oloferne - Caravaggio - particolare
Giuditta e Oloferne, particolare del quadro: i volti di Giuditta e Abra sono in netto contrasto di colori, luci e significato

La schiava Abra attende pazientemente, al fianco di Giuditta, che si concluda il delitto, tenendo tra le mani il sacco dentro cui trasportare la testa di Oloferne. Caravaggio si oppone alla versione biblica di Giuditta, che la vuole casta ma ingannevole, facendo assumere alla serva tutti gli aspetti psicologici negativi della vicenda: Abra è vecchia, è brutta (la sua carnagione scura entra in contrasto con quella chiara della giovane donna), è l’umanità corrotta dal peccato, a cui è destinato quell’omicidio liberatorio, cruento, ma pieno di puro coraggio.

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Canestra di frutta, breve analisi del dipinto di Caravaggio https://cultura.biografieonline.it/caravaggio-canestra-frutta/ https://cultura.biografieonline.it/caravaggio-canestra-frutta/#respond Fri, 25 Apr 2014 12:33:51 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10523 La Canestra di frutta è un’opera del Caravaggio realizzata negli anni della sua giovinezza. E’ datata tra il 1594 e il 1598. Si tratta di una natura morta, olio su tela, che misura 46 x 64,5 centimetri. E’ conservata a Milano, presso la Pinacoteca Ambrosiana.

Caravaggio, Canestra di frutta (1594-1598)
Canestra di frutta (opera del periodo 1594-1598 di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio)

Michelangelo Merisi, detto – dal presunto luogo di nascita – il Caravaggio, è il maggiore pittore italiano del Seicento. Intorno al 1591-92, il giovane pittore si reca a Roma ed è qui che svolge gran parte della sua attività.

In un primo momento lavora presso alcuni pittori locali, il più noto dei quali è il Cavalier d’Arpino. Egli lo mise “a dipingere fiori e frutta”, ovvero a svolgere un’attività di pittore di “nature morte”. Tale esperienza sarà fondamentale per tutta la pittura del Caravaggio.

Canestra di frutta di Caravaggio: l’importanza della natura morta

La “natura morta”, infatti, non è un soggetto “nobile” che possa essere interpretato; essa è solo se stessa, in tutta la sua presenza di oggetto reale. E’ quindi più adatta a diventare pittura senza sottintesi allegorici, senza significati nascosti, più adatta ad esprimere il mondo interiore dell’artista.

Si tratta di un tipo di pittura fatta soltanto di colori, di luci e di ombre. La “natura morta” aiuterà poi il Caravaggio a capire la realtà di per sé; non una realtà abbellita secondo la norma classica, ma la realtà quotidiana nella quale vive l’uomo.

Testimonianza delle opere giovanili di Caravaggio sono: la Canestra di frutta, il Bacco e il Riposo nella fuga in Egitto.

Descrizione del quadro

La prima opera, la Canestra di frutta, qui analizzato rappresenta l’unico esempio di “natura morta” autonoma del pittore. In quest’opera l’umile oggetto naturale diventa protagonista, rilevandosi contro il fondo chiaro compatto. Essa vive plasticamente, per i rapporti fra luci e ombre, per il brillìo degli acini d’uva, per la rotondità lucente della mela, del limone e della pesca, per la rugosità dei fichi, per il distendersi o accartocciarsi delle foglie.

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Questa verità di riproduzione non è una banale copia: nella sua magnifica evidenza, nell’equilibrio compositivo fra pieni e vuoti, nel rapporto reciproco dei colori, la canestra di frutta assume una vitalità intensa e si colloca fra i capolavori della pittura caravaggesca.

Ne ignoriamo la data esatta, anche se è da supporre che possa essere stata dipinta intorno alla metà dell’ultimo decennio del secolo XVI. Si tratta di quel decennio in cui la formazione del pittore si completa; egli è poco più che ventenne. Accanto a questa si collocano opere come il Bacco degli Uffizi (1593-1594, olio su tela, centimetri 95×85. Firenze, Galleria degli Uffizi) e il Riposo nella fuga in Egitto (1594-1596, olio su tela, metri 1,30×1,60. Roma, Galleria Doria Pamphìli).

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