Sport Archivi - Cultura https://cultura.biografieonline.it/argomento/sport/ Canale del sito Biografieonline.it Thu, 25 Apr 2024 16:47:49 +0000 it-IT hourly 1 Strage dell’Heysel: 29 maggio 1985 https://cultura.biografieonline.it/strage-heysel/ https://cultura.biografieonline.it/strage-heysel/#respond Thu, 25 Apr 2024 16:13:12 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=41171 Poco prima del fischio d’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool, presso lo Stadio Heysel di Bruxelles, in Belgio, si verifica un gravissimo episodio, passato alla storia come strage dell’Heysel. È il 29 maggio 1985. In quella partita maledetta perdono la vita 39 persone, tra cui 32 italiani. I feriti sono invece circa seicento. È uno degli episodi più tristi della storia del calcio.

La cronaca: ricostruiamo i fatti

C’è molta attesa per il match, soprattutto da parte dei tifosi juventini, che accompagnano la squadra del cuore sperando che possa aggiudicarsi la prima Coppa dei Campioni della carriera.

Il Liverpool invece, campione d’Europa in carica, è intenzionato a ripetere l’ottima esperienza dell’anno precedente, ed è molto carico dopo aver sconfitto facilmente in semifinale la squadra greca del Panathinaikos.

Lo stadio scelto per disputare la partita è l’Heysel di Bruxelles, il fischio di inizio è fissato per le ore 20.15.

L’impianto, ristrutturato una prima volta negli anni Settanta, se valutato oggi sicuramente non rispetterebbe gli standard di sicurezza previsti per una finale europea. Ma quella partita si giocò lo stesso, in condizioni generali alquanto precarie.

Lo stadio

L’Heysel non dispone di vie di fuga adeguate, ed anche il servizio d’ordine fa acqua da tutte le parti.

Le tribune ed il campo di gioco, poi, non sono certo adatti ad una competizione calcistica di alto livello. Per non parlare dei muri divisori dei settori, che si sgretolano in calcinacci che colpiscono gli spettatori. Sono del tutto inadeguati i servizi igienici.

Lo stadio, predisposto per ospitare al massimo 60 mila spettatori, viene riempito con circa 400 mila persone (la maggior parte dei tagliandi viene venduta agli italiani).

I biglietti e le zone

La vendita dei ticket allo stadio viene gestita male, in maniera alquanto approssimativa. Ai tifosi bianconeri sono assegnati i settori M, N, O (posizionati nella zona sud-est dell’impianto), mentre gli Inglesi occupano la curva opposta (zone X e Y).

Il “settore Z”, adiacente a quello degli Ultrà del Liverpool, è separato da semplici reti metalliche, e viene destinato ai tifosi neutrali, ovvero non appartenenti ad un gruppo organizzato.

Sono i tifosi bianconeri ad acquistare la maggior parte dei biglietti, ma l’organizzazione sottovaluta l’eventualità che tra le due tifoserie opposte possa scoppiare qualche tafferuglio o scontro.

Probabilmente entrambe le società ritengono che la situazione possa essere facilmente gestita seguendo le regole burocratiche e il senso di civiltà e rispetto che dovrebbero contraddistinguere qualsiasi evento sportivo.

Gli scontri tra i tifosi

Nelle ore che precedono la partita i tifosi del Liverpool arrivano in città, abusano di alcol e accade qualche scaramuccia, ma nulla di preoccupante. O meglio, niente che lasci presagire la tragedia che sarebbe accaduta dopo, tra gli spalti dello stadio Heysel.

All’apertura dei cancelli i controlli sono pochi e disattenti.

Il settore Z viene occupato per lo più da persone tranquille, famiglie, non solo italiane ma anche di altri paesi, che simpatizzano per la Juventus. Circa seimila tifosi inglesi riescono ad entrare senza biglietto e vanno ad occupare la Curva: insieme a loro ci sono anche alcuni Ultrà del Chelsea, del gruppo Headhunters di estrema destra, particolarmente violenti e facinorosi.

Purtroppo ci sono tutti i presupposti per trasformare un evento sportivo in una tragedia di cui parlare a lungo.

Manca un’ora all’inizio della partita, e gli animi cominciano a riscaldarsi. I tifosi inglesi, molti dei quali entrati ubriachi allo stadio, iniziano a lanciare cori e slogan contro gli juventini.

I settori dello stadio dell'Heysel
I settori dello stadio dell’Heysel

La tragedia

Alcuni Ultras del Liverpool, credendo che i tifosi presenti nel settore Z siano tutti italiani, allo scopo di intimidirli cominciano ad ondeggiare con forza. Dopo tre cariche da parte degli Hooligans, le recinzioni cedono paurosamente.

I poliziotti non riescono a fronteggiare gli Ultras inglesi, che invadono letteralmente lo spazio occupato dagli altri tifosi.

Cominciano i lanci di bottiglie, che colpiscono i tifosi, ferendone qualcuno alla testa.

I tifosi del settore Z, terrorizzati dalla furia degli hooligans, cercando disperatamente di lasciare lo stadio.

I cancelli di uscita in alto dell’impianto sono serrati, e non è possibile raggiungere il terreno di gioco perché i poliziotti lo impediscono a suon di manganellate.

Presi dal panico, i tifosi italiani finiscono con l’asserragliarsi nell’angolo più basso e lontano del settore, schiacciati contro il muro che divide le opposte tifoserie.

Alcuni tentano di lanciarsi nel vuoto, nello spazio che separa il settore Z dalla tribuna. Altri però non ce la fanno, perché vengono raggiunti dalla calca in fuga e restano schiacciati. Ad un certo punto, il muretto crolla. È la strage.

Una pattuglia della polizia belga raggiunge lo stadio Heysel, ma solo dopo mezz’ora. L’impianto ha le sembianze di un campo di battaglia, ci sono morti e feriti ovunque.

La partita

Nonostante l’entità della tragedia, la partita si gioca comunque: si verifica solo un rinvio di un’ora e 25 minuti. Le autorità prendono tale decisione per motivi di ordine pubblico: si teme che i tifosi bianconeri possano rivendicare ciò che è successo.

Pare che i giocatori siano stati obbligati a giocare. Sia la Juventus che il Liverpool non hanno intenzione di scendere in campo, ma l’effetto rinuncia fa paura.

La Juventus vince per 1-0.

Molti ricorderanno per sempre la telecronaca di quella partita maledetta, i surreali festeggiamenti finali, e tutte le polemiche – legittime – che ne seguirono.

Alcune emittenti televisive, come quella tedesca ed austriaca, si rifiutarono di trasmettere la partita.

In Italia Bruno Pizzul, poco prima dell’inizio della telecronaca, rilascia queste dichiarazioni:

Gentili telespettatori, la partita verrà commentata in tono il più neutro, impersonale e asettico possibile.

Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, rimane uno degli episodi più tristi del calcio e dello sport in genere.

Strage dell’Heysel
La targa commemorativa

Lo stadio è stato completamente ristrutturato nel periodo 1994-1995; il suo nome è cambiato ed è stato intitolato a Re Baldovino. Oggi è presente una targa commemorativa con i nomi delle vittime della strage dell’Heysel, a loro imperitura memoria.

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La 24 Ore di Le Mans: storia e curiosità https://cultura.biografieonline.it/la-24-ore-di-le-mans-storia/ https://cultura.biografieonline.it/la-24-ore-di-le-mans-storia/#respond Sun, 11 Jun 2023 15:22:49 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=35843 La 24 Ore di Le Mans è una gara di automobilismo che si svolge tutti gli anni sul “Circuit de la Sarthe” di Le Mans, in Francia. Si tratta di un circuito parzialmente permanente, ossia in parte chiuso e in parte aperto al traffico normale nel resto dell’anno. La prima edizione si svolse tra il 26 e il 27 maggio 1923; ogni team era composto da due piloti che si alternavano: uno alla guida mentre l’altro riposava. Nel 1979, e poi dal 1986 in via definitiva, i team si compongono di 3 piloti ciascuno.

Poster dell'edizione 1959 della 24 Ore di Le Mans (in francese, 24 Heures du Mans)
Poster dell’edizione 1959 della 24 Ore di Le Mans (in francese, 24 Heures du Mans)

La storia della corsa

La 24 Ore deve la sua fama alla lunghezza e alla semplicità del regolamento: vince chi in 24 ore percorre più strada. Ma ci sono anche altri aspetti che hanno contribuito a crearne la leggenda.

Per esempio, la famosa partenza “alla Le Mans”: essa avveniva con i piloti schierati su un lato della pista e pronti a scattare a piedi verso le rispettive vetture al segnale dello starter, per poi avviarle e partire.

Nel 1970 si passò però a uno stile di partenza più tradizionale, anche in seguito alla plateale protesta di Jacky Ickx, che l’anno prima aveva “passeggiato” fino alla sua vettura.

Jacky Ickx a Le Mans 1969: passeggia verso l'auto
Le Mans 1969: il pilota belga Jacky Ickx e la sua celebre passeggiata

Il problema infatti era che i piloti, dovendo partire senza l’ausilio dei meccanici, non erano in grado di allacciarsi correttamente le cinture di sicurezza e questo rendeva realmente pericolosa la prima parte di gara (dopo il primo cambio che avveniva ai box, i meccanici potevano allacciare le cinture al pilota subentrante).

L’incidente più grave

Tristemente famosa è l’edizione del 1955 nel corso della quale si verificò l’incidente più grave in tutta la storia dell’automobilismo.

Durante la terza ora di gara, la Mercedes di Pierre Levegh “decollò” in seguito a un tamponamento con Lance Macklin e atterrò sulle tribune.

Oltre al pilota morirono 83 spettatori e 120 rimasero feriti. Dopo questo incidente, i circuiti vennero resi più sicuri; a Le Mans in particolare si lavorò per migliorare la sicurezza degli spettatori; fu una cosa non molto facile se si pensa che in diversi punti dei circa 13,5 km di lunghezza del percorso, le auto transitano nei pressi di abitazioni.

La vittoria più contestata a Le Mans

La gara si disputa tradizionalmente a giugno, con pochissime eccezioni, tra le quali la prima edizione e quelle del 2020 e 2021, posticipate a causa dell’epidemia di COVID-19.

Nel 1966, dopo un estenuante duello con la Ferrari, due vetture Ford piombarono contemporaneamente sul traguardo. Mentre si pensava già ad una vittoria ex aequo, la giuria decise di premiare i neozelandesi Bruce McLaren, fondatore della casa automobilistica che porta tuttora il suo nome, e Chris Amon perché, essendo partiti dietro in griglia, avevano percorso 20 metri in più dei rivali!

Modellino Ferrari Le Mans 1966, numero 21
Un modellino riproduce la Ferrari, nel suo tradizionale colore rosso, della storica edizione di Le Mans del 1966

Nel 2023 la Ferrari torna a Le Mans dopo 50 anni di assenza e fa la storia. Dopo una lunghissima battaglia con la Toyota numero 8, la Ferrari 499P numero 51 trionfa.

I plurivincitori della 24 ore di Le Mans

  • Il danese Tom Kristensen è il pilota che ha vinto il maggior numero di edizioni della corsa: ben 9, tra il 1997 e il 2013.
  • Tra gli italiani spicca Emanuele Pirro che ha trionfato 5 volte fra il 2000 e il 2007.
  • Il costruttore più vincente a Le Mans è la Porsche che vanta 19 primi posti tra il 1970 e 2017.
  • Sono 9 gli allori della Ferrari tra il 1949 e il 1965; gli ultimi 6 sono consecutivi: sconfiggere il Cavallino Rampante in quegli anni sembrava pressoché impossibile. Ci riuscì la Ford nella già menzionata edizione del 1966.
  • L’altra casa italiana ad aver ottenuto vittorie è l’Alfa Romeo: quattro consecutive dal 1931 al 1934.

La 24 Ore al cinema

La fama di questa competizione è tale che ha ispirato anche diverse pellicole cinematografiche. La più famosa è forse “La 24 Ore di Le Mans”: Steve McQueen è il protagonista e interpreta un pilota della Porsche.

Parzialmente ambientato a Le Mans è il film “Adrenalina blu – La leggenda di Michel Vaillant” che si ispira liberamente al pilota immaginario Michel Vaillant, protagonista di fumetti.

Del 2019 è invece il film Le Mans ’66 – La grande sfida ispirato al duello tra Ferrari e Ford.

Lee Iacocca: Signor Ford, c’è un messaggio di Ferrari per lei, signore.

Henry Ford II: Che cosa dice?

Lee Iacocca: Dice che Ford fa piccole e brutte macchine in brutte fabbriche. E… l’ha chiamata ciccione, signore.

Cit. dal film Le Mans ’66

Diversi videogiochi simulano la 24 Ore di Le Mans.

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Dick Fosbury e il salto in alto https://cultura.biografieonline.it/dick-fosbury-e-il-salto-in-alto/ https://cultura.biografieonline.it/dick-fosbury-e-il-salto-in-alto/#comments Mon, 13 Mar 2023 15:20:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3259 Richard Douglas Fosbury, detto Dick, nasce il 6 marzo 1947 a Portland (USA).

L’invenzione di Fosbury

A lui si deve l’invenzione della tecnica moderna del salto in alto, il cosiddetto Fosbury Flop: un modo di saltare l’ostacolo, mostrato al mondo per la prima volta nel 1968, attraverso cui l’atleta rovescia all’indietro il corpo per scavalcare l’asticella, e cade sulla schiena.

Il Fosbury Flop, chiamato anche salto dorsale, al giorno d’oggi è impiegato universalmente, ma nel momento in cui venne mostrato dal giovane di Portland alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico suscitò stupore.

Dick Fosbury
Atletica leggera, salto in alto: Dick Fosbury immortalato nel gesto atletico che porta il suo nome

In cosa consisteva l’innovazione apportata da Fosbury?

Dopo aver compiuto una rincorsa curvilinea (fatto che – già da solo – rappresentava una novità rispetto agli stili precedenti, che prevedevano una traiettoria lineare), nel momento del salto eseguiva una rotazione sul piede di stacco, sorvolando l’ostacolo dopo avergli dato le spalle e curvando all’indietro il corpo. La tecnica messa in pratica da Dick Fosbury rappresentò il risultato di un certosino lavoro di ricerche e studi di biomeccanica applicata, svolti dall’atleta alla Oregon State University.

Alla base del salto dorsale, infatti, c’è la forza centrifuga prodotta dalla rincorsa curvilinea, che permette di aumentare la velocità del saltatore nel momento dello stacco (e quindi della spinta); di conseguenza, viene aumentata anche la sua elevazione, mentre il corpo – in virtù della posizione dorsale incurvata – viene mantenuto sopra la traiettoria del cosiddetto centro di massa, situato sotto l’asticella.

Le fasi del salto in alto alla Fosbury
Le fasi del salto in alto alla Fosbury

L’innovazione di Fosbury peraltro riguardava anche i materiali utilizzati per l’atterraggio: non più trucioli di legno o sabbia, ma schiuma sintetica (i materassi che vediamo ancora oggi), che proteggeva la schiena dell’atleta e in generale assicurava un atterraggio più morbido. Fosbury, applicando la sua nuova tecnica, ottenne un vantaggio competitivo evidente: mentre i rivali Gavrilov e Caruthers fondavano il proprio valore sulla potenza fisica di cui necessitava la tecnica ventrale, lo scavalcamento dorsale richiedeva unicamente velocità, e un dominio – per così dire – acrobatico delle braccia e del resto del corpo nel momento del salto.

Il record

Dick Fosbury, così, riuscì a vincere la medaglia d’oro olimpica, stabilendo anche il nuovo record a cinque cerchi, con un salto di 2,24 metri.

La tecnica rivoluzionaria era stata proposta da Fosbury prima durante il campionato Ncaa, e poi durante i trials, cioè le gare di qualificazione nazionali alle Olimpiadi. Dopo essere diventato famoso negli Stati Uniti, tuttavia, Fosbury venne “protetto”: i filmati e le immagini dei trials statunitensi, infatti, non vennero diffusi per evitare che atleti di altre nazioni venissero a conoscenza del nuovo stile dorsale (in un’epoca in cui – ovviamente – non c’era la disponibilità di immagini permessa oggi dalla televisione e da Internet).

Tra l’altro, nella gara che lo fece conoscere al mondo, Fosbury indossò due scarpe di colore differente: non si trattò di una scelta di marketing, ma di una decisione dovuta unicamente a motivi di spinta, visto che la scarpa destra scelta gli forniva una spinta superiore rispetto alla scarpa destra che faceva il paio con la sinistra.

Non fu il primo, anche se porta il suo nome

È bene sottolineare, tuttavia, che Dick Fosbury non fu il primo a usare la tecnica del salto dorsale, ma semplicemente quello che la fece conoscere al mondo. Questo tipo di salto, infatti, era stato usato anche dalla canadese Debbie Brill nel 1966, quando aveva solo 13 anni, e – in precedenza – anche da Bruce Quande, un ragazzone del Montana, nel 1963.

Nel 1981 è entrato a far parte della National Track & Field Hall of Fame.

Dick Fosbury si è spento all’età di 76 anni nella sua città natale, il 12 marzo 2023.

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Real Madrid: storia e curiosità https://cultura.biografieonline.it/real-madrid/ https://cultura.biografieonline.it/real-madrid/#comments Sat, 11 Feb 2023 23:10:13 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7464 Tra le società calcistiche più importanti del mondo

Real Madrid Club de Fútbol, abbreviato in Real Madrid, è il nome di una delle società calcistiche più note e vincenti del mondo; pochi sanno però che la società – fondata il 6 marzo 1902 – è una polisportiva composta, oltre che dalla citata sezione di calcio, anche da una cestistica legata al basket. In questo articolo si racconta la gloriosa storia di questa grande squadra e società.

Lo stemma del Real Madrid
Breve storia del Real Madrid

Real Madrid: l’inizio di un mito sportivo

Il 13 giugno del 1956 il Real Madrid vince la prima Coppa dei Campioni d’Europa, la prima in assoluto della competizione più famosa del mondo, poi trasformatasi in Uefa Champions League. A Parigi, città designata ad ospitare la prima edizione del torneo, i campioni spagnoli si impongono per 4 a 3 sui francesi dello Stade de Reims. Una vittoria che segna l’inizio di una lunga storia di successi, la quale porterà “i blancos” a diventare il club più amato di sempre, tra i più titolati della storia del calcio.

La provocazione della stampa

E pensare che la competizione calcistica per club attualmente più seguita al mondo, è nata da una sorta di provocazione giornalistica. La si deve al quotidiano L’Équipe, all’epoca diretto da Gabriel Hanot, il quale, esattamente nel 1954, si inserì nell’ampio dibattito scatenato dall’inglese Daily Mail, impegnato a quei tempi a sancire – sulla base di presunte superiorità tecniche evidenti ma di fatto mai dimostrate sul campo – l’indiscussa superiorità del Wolverhampton su tutti gli altri club europei, all’epoca dominatore della lega inglese.

Certo, l’idea di un Campionato del Mondo, o almeno d’Europa – scrisse a tal proposito Hanot – per club, più esteso, più significativo, e meno episodico della Mitropa Cup, e più originale di un Campionato d’Europa per squadre nazionali, merita di essere lanciata. Noi ci proveremo“.

La stampa francese cavalcò l’onda della provocazione, la quale assunse in breve tempo il carattere della vera e propria proposta istituzionale.

Intanto, il dibattito era acceso.

Qual era la squadra più forte del continente europeo?

  • Gli spagnoli del Real Madrid?
  • Gli italiani del Milan?
  • Gli ungheresi dell’Honvéd?
  • O proprio il tanto acclarato Wolverhampton?

Un nuovo torneo

La FIFA e l’UEFA dovettero prendere in considerazione la proposta del quotidiano d’oltralpe, seppure non in modo entusiastico.

L’idea di un campionato fra i maggiori club d’Europa, infatti, a dire delle due federazioni (per giunta appoggiate da quella inglese), avrebbe potuto scalfire il fascino dell’allora Coppa Rimet (l’odierno Campionato Mondiale, ormai seguitissimo) e, soprattutto, quello nascente della Coppa Europea per nazioni.

Tuttavia, i giornalisti de L’Équipe si mossero privatamente coi dirigenti di numerose società e, nell’aprile del 1955, portarono attorno ad un tavolo i vertici dei più importanti club europei, alla fine costringendo proprio la Fifa ad imporre all’Uefa l’organizzazione del nuovo torneo.

Si optò per un torneo organizzato sul meccanismo dell’eliminazione diretta e ammettendo una sola società, indicata dalle federazioni nazionali, per ciascun paese.

Determinante, va detto, fu l’intervento di uno dei personaggi più influenti e ormai leggendari della storia del calcio mondiale: l’allora presidente del Real Madrid, Santiago Bernabeu.

Santiago Bernabeu: l’uomo che fece la competizione

Non è un caso che il più amato presidente della storia delle “merengues” sia stato anche tra i promotori più attivi per quanto riguarda l’organizzazione di una competizione europea per club. Forse Santiago Bernabeu aveva fiutato la forza, non solo nazionale, dei propri campioni, tanto che il Real Madrid si aggiudicò le prime cinque edizioni della futura Champions League, portandosi a casa il trofeo originale (spettante appunto a chi si aggiudica per cinque volte la competizione).

Fatto sta che fu proprio lui, nel corso dello storico summit lanciato da Gabriel Hanot nel 1955, a convincere i vertici delle due federazioni di Fifa e Uefa a dare vita al torneo in questione.

L’incontro si tenne all’Hotel Ambassador di Parigi e diede vita ad una “mutuazione” della precedente Coppa Latina (torneo riservato a squadre di Francia, Spagna, Portogallo e Italia, e che il Real Madrid si aggiudicò nel 1954 e nel 1957): la Coppa dei Campioni.

Una foto del 1967 di Santiago Bernabeu
Santiago Bernabeu, il presidente del Real Madrid più amato, in una foto del 1967

Fu uno dei tanti risultati conseguiti dal presidente del Real. Eletto al vertice del team madrileno il 15 settembre del 1943, Santiago Bernabeu ha ricoperto e mantenuto la carica per 35 anni, praticamente fino alla sua scomparsa. A lui si deve la grande ristrutturazione del club su ogni livello, in una chiave ultramoderna per l’epoca, già proiettata verso il futuro.

L’impresa di Bernabeu

Per ogni sezione della società, diede un team tecnico autonomo e, soprattutto, diede vita alla costruzione del nuovo stadio Chamartín, terminato nel 1947, poi ribattezzato proprio in suo onore “Stadio Santiago Bernabéu”.

Una struttura che si spostava effettivamente solo di alcuni metri da quella precedente e che, all’epoca, risultò essere la più ampia del mondo, forte dei suoi 75mila spettatori (poi portati a 125mila), tanto che durante i lavori non mancarono le critiche al presidente madrileno, considerato una sorta di folle ad impegnarsi in un’impresa così esagerata per l’epoca.

Bernabeu però, ci riuscì eccome nell’impresa, grazie soprattutto al sostegno degli oltre 40.000 soci del club, i quali contribuirono di propria mano alla realizzazione dello stadio. Infine, intraprese la strategia ambiziosa di acquistare giocatori di classe mondiale provenienti dall’estero. Ex giocatore egli stesso del Real, dotato di enorme carisma, Santiago Bernabeu dotò la “Casa bianca” di una struttura societaria superiore a tutte quelle del suo tempo.

Grazie all’acquisto di calciatori di grande prestigio, riuscì nell’impresa di vincere, da presidente del Real Madrid, la bellezza di 16 campionati, 6 Coppe di Spagna, 6 Coppe dei Campioni e 1 Coppa Intercontinentale. La morte lo colse il 2 giugno del 1978.

Il primo titolo del Real Madrid

Il 4 settembre del 1955, a Lisbona, si gioca la prima, storica partita della nuova competizione per club europei. Si affrontano Sporting e Partizan e la partita termina con uno spettacolare 3 a 3. Ed è proprio una di queste due compagini che il Real Madrid, guidato dal bomber Alfredo Di Stefano e dall’allenatore José Villalonga, dopo aver facilmente superato gli svizzeri del Servette nel primo turno, si ritrova davanti nel corso dei quarti di finale.

Allo stadio Chamartin, il Real si sbarazza del Partizan con un sonoro 4 a 0 anche se, al ritorno, deve soffrire non poco contro gli jugoslavi: il Partizan sfiora l’impresa, imponendosi per 3 reti a zero. I rischi però, a conferma di una competizione tutt’altro che banale e dacché ne dicano gli inglesi, non finiscono qui per i blancos. In semifinale infatti, la squadra del presidente Bernabeu deve affrontare i rossoneri del Milan, tra i team più forti d’Europa.

Allo Chamartin, entrando nel vivo della partita, il 19 aprile del 1956, termina 4 a 2 per i padroni di casa. In quell’occasione, vanno a segno Rial, Joseito su rigore, Olsen e il grande Di Stefano, mentre per il Milan segnano Nordhal e Schiaffino, entrambi pareggiando momentaneamente il doppio vantaggio madrileno. Al ritorno però, tocca soffrire un po’ di più, perché al vantaggio di Joseito al ’65 minuto (il quale trafigge con un preciso rasoterra da fuori area il portiere milanista Buffon), replica la doppietta di Dal Monte, il quale mette a segno due rigori, l’ultimo al minuto 86, con circa cinque minuti di estrema sofferenza da parte dei blancos.

Tutto sommato però, la compagine guidata da Di Stefano, Gento, Olsen e Rial, riesce a staccare il biglietto per la Francia, in vista della finalissima.

La finale parigina

Il 13 giugno del 1956, allo stadio “Parco dei Principi” di Parigi, c’è il tutto esaurito. Il Real si trova di fronte lo Stade Reims, forte compagine francese che ha in squadra elementi del calibro di Michel Hidalgo e del mago del dribbling, Raimond Kopa.

Oltre a queste due stelle europee, fanno parte del team guidato dall’allenatore Albert Batteux, anche altri giocatori importanti per l’epoca, come il portiere Raoul Giraudo, Léon Glovacki, l’attaccante Jean Templin e il forte difensore Michel Leblond.

La cronaca

Proprio quest’ultimo apre le marcature, dopo appena sei minuti di gioco, mettendo sotto il Real. Allo shock iniziale, segue il raddoppio, al decimo minuto, firmato Jean Templin.

Gli spagnoli si ritrovano a sorpresa sotto di due gol: al diagonale che apre le segnature, fa seguito la rete rocambolesca del 2 a 0, frutto dell’indecisione in uscita del portiere iberico.

Nel Real però, oltre a Di Stefano giocano altri grandi campioni, come il capitano Miguel Munoz, che suona la carica, l’impeccabile mediano Joseito, la forte ala Zarraga e l’attaccante Juan Alonso.

Così, al ’14 e al ’30, prima il grande Di Stefano con un diagonale da posizione centrale (ben servito da Munoz), e poi il bomber Hector Rial, al termine di un’azione concitata, riportano il punteggio in parità.

Non è finita però, perché il Reims torna ancora in vantaggio, esattamente al minuto 62, con un preciso colpo di testa di Hidalgo. Passano però appena cinque minuti, e Marquitos pareggia ancora: 3 a 3.

A questo punto, è solo il Real Madrid a spingere e a tentare di portare a casa la vittoria, la quale arriva al minuto 79, con il terzo gol nella competizione di Hector Rial, agevolato ancora una volta da una grandissima giocata al limite dell’area di Alfredo Di Stefano.

I blancos del presidente Santiago Bernabeu alzano per la prima volta nella storia la Coppa Campioni.

Un trofeo che parla madrileno

Le merengues domineranno la scena per altre quattro edizioni della sempre più seguita competizione calcistica europea. Giocatori come Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskas, Raymond Kopa, José Santamaría e Miguel Muooz faranno la storia, anzi la leggenda del club spagnolo, il quale trionferà in Europa fino al 1960.

Proprio quest’ultima edizione pertanto, rimarrà per sempre negli albori del calcio, grazie alla vittoria del Real Madrid sull’Eintracht Francoforte per ben 7 reti a 3. In quell’occasione, si divisero il bottino i due giocatori più forti di quel periodo storico: Alfredo Di Stefano, autore di tre segnature, e il grande Ferenc Puskas, mattatore delle altre quattro.

La finale si giocò all’Hampden Park di Glasgow, davanti alle telecamere della BBC e dell’Eurovisione, forte di un pubblico di oltre 135.000 persone. Ancora oggi, si tratta di un vero e proprio recordo di spettatori per una finale di Coppa dei Campioni.

Dopo la prima edizione, va detto, i blancos superarono in finale, nel 1957, i campioni uscenti della Serie A italiana, ossia la Fiorentina, grazie a un gol di Di Stéfano su rigore e ad un altro di Gento. Nell’edizione 1957-1958, fu ancora una volta un’italiana a contendere il titolo ai madrileni: il Milan.

Dopo una partita bellissima ed equilibrata, protrattasi fino ai tempi supplementari per via del perdurante 2 a 2, a decidere fu ancora una volta Gento, al minuto 107. Infine, prima del record di Hampden Park, toccò nuovamente al Reims fare posto al Real sul primo gradino del podio europeo: a Stoccarda, decisive furono le marcature di Mateos e del solito Di Stéfano.

La Champions League vinta nel 2022 contro il Liverpool è la numero 14 per la società; a guidare la squadra in panchina l’italiano Carlo Ancelotti, primo allenatore della storia del calcio a vincere quattro volte la competizione.

La cavalcata di Ancelotti porta la squadra spagnola a conquistare l’ottava Coppa Intercontinentale nel 2023: il Real Madrid batte per 5-3 i sauditi dell’Al Hilal nella finale che si svolge in Marocco l’11 febbraio.

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Milan, calcio: Storia del Milan https://cultura.biografieonline.it/milan-calcio-storia/ https://cultura.biografieonline.it/milan-calcio-storia/#comments Sun, 22 May 2022 18:32:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=4345 Che cosa ha portato il Milan a diventare una delle squadre di calcio più seguite in Italia ed una delle più forti in Europa? A contribuire alla forza di questo gruppo sportivo sono stati i vari calciatori, presidenti e allenatori che si sono avvicendati scommettendo nelle enormi potenzialità della squadra. Per ricostruire la storia dell’A.C. Milan dobbiamo risalire indietro nel tempo, alla fondazione ufficiale del “Milan Foot-Ball and Cricket Club”, che avviene presumibilmente il 13 o il 16 dicembre 1899.

Storia del Milan
Storia del Milan

E’ certo invece che il 18 dicembre 1899 La Gazzetta dello Sport rende nota la sua nascita: i soci fondatori fanno parte di un gruppo di inglesi e italiani animati dalla passione per il gioco del calcio e del cricket. Inizialmente la sede viene fissata in Via Berchet, a Torino, presso la Fiaschetteria Toscana.

L’attività ufficiale della squadra comincia con una partita contro l’F.C. Torinese, poi nel 1900/1901 arriva il primo scudetto, seguito dal secondo (nella stagione 1905/1906) e nella stagione successiva se ne aggiunge anche un terzo. Intanto la società comincia ad avere qualche problema interno: un gruppo di soci si stacca dalla compagine iniziale e fonda la società “Football Club Internazionale Milano”, oggi conosciuta da tutti come Inter.

Nel 1919 la società prende il nome di “Milan Football Club”: pur ottenendo buoni risultati, avvalendosi di grandi giocatori in campo (quali Giuseppe Meazza e Aldo Boffi), la squadra non riesce a superare il terzo posto, rimanendo fermo a metà classifica, dietro all’Inter e al Bologna. In questo periodo la società sportiva viene affidata a Piero Pirelli: durante la sua lunga presidenza viene inaugurato lo Stadio di San Siro, nel 1926. Dopo una serie di cambiamenti nella denominazione, si arriva nel 1945 alla nascita dell’Associazione Calcio Milan. Intanto Umberto Trabattoni dirige la squadra dal 1940 al 1954: il Milan però in questi anni va avanti tra alti e bassi, senza mai spiccare veramente il volo.

Il Milan vince lo scudetto nel 1956/1957, mentre è guidato dal Presidente Gipo Viani. La squadra può contare su una rosa di giocatori di grande livello, ai quali nel 1958 ai aggiunge anche Josè Altafini, il giocatore brasiliano che conquista subito il cuore dei tifosi. Questo è uno dei momenti d’oro del Milan, che vince il titolo sconfiggendo la Fiorentina. Il decennio successivo (1960-1970) è caratterizzato dalla presenza di molti calciatori italiani che si impongono a livello internazionale con la loro bravura (è il caso d Gianni Rivera).

Gianni Rivera
Gianni Rivera

Nel 1963 la Società cambia ancora nome in “Milan Associazione Sportiva”. Il risultato più importante di questo periodo è la conquista della Coppa dei Campioni, che avviene nella stagione 1962/63: il Benfica viene sconfitto in finale dal Milan per due gol ad uno. Il capitano che alza la coppa al cielo è Cesare Maldini. Nel 1967/68 il Milan vince lo scudetto, la Coppa dei Campioni ed anche la sua prima Coppa intercontinentale. Il Pallone d’Oro viene riconosciuto al mitico Gianni Rivera.

Gli anni Settanta non rappresentano un buon periodo per il Milan, che raccoglie ben poche soddisfazioni. Gianni Rivera in questi anni lascia il calcio, ma resta nella società milanista ricoprendo il ruolo di Vice Presidente. Gli anni Ottanta non sono granché, ma i tifosi li ricordano soprattutto per l’esordio del giocatore Paolo Maldini.

Nel 1986 Silvio Berlusconi diventa Presidente del Milan, e decide di ridare smalto alla squadra. A quanto pare ci riesce, perché nel 1987 il Milan va alla riscossa. Il Milan conquista l’undicesimo scudetto, schierando in campo gli olandesi Gullit e Van Basten.

Nel 1988/1989 il Milan conquista la Coppa dei Campioni a Barcellona. Con la guida di Arrigo Sacchi in panchina e Franco Baresi in campo, conquista due volte la Coppa Intercontinentale. Nel 1992/93 subentra Fabio Capello, che porta il Milan alla conquista di quattro scudetti, una Supercoppa Europea, tre Supercoppe di Lega e una Champions League. Davvero un bel traguardo per la squadra rossonera!

Negli anni Novanta in panchina si avvicendano diversi tecnici, ma la squadra decolla solo con Paolo Zaccheroni: nel 1999 il Milan ottiene il suo sedicesimo scudetto. Un altro tecnico che ha segnato la storia della società calcistica rossonera è Carlo Ancelotti: il suo arrivo apre nuovi scenari e la conquista di altri trofei. Nel 2009/2010 come allenatore subentra Leonardo, che vanta  un passato da calciatore (sempre nella compagine milanista).

Il dopo-Leonardo schiera in campo alcune stelle del calcio come Ronaldinho e Pato, due calciatori scelti dal Presidente Berlusconi. Da allora la stagione d’oro del Milan è in pieno svolgimento: di certo la squadra ha scritto e scriverà ancora pagine memorabili nella storia calcistica italiana e mondiale.

Nell’estate del 2016 la società viene venduta a una cordata di aziende orientali, perlopiù cinesi. Dopo varie vicissitudini necessarie al perfezionamento dell’accordo economico, diventa formalmente cinese nel mese di aprile 2017: dopo 31 anni finisce così l’era di Berlusconi. Il nuovo presidente è l’imprenditore cinese Yonghong Li.

Nel 2022 il Milan vince il suo scudetto N° 19 grazie alla guida dell’allenatore Stefano Pioli.

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Giro delle Fiandre: storia, percorsi, successi e curiosità https://cultura.biografieonline.it/giro-fiandre-storia/ https://cultura.biografieonline.it/giro-fiandre-storia/#respond Tue, 22 Mar 2022 16:05:22 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=39591 Il Giro delle Fiandre (Ronde van Vlaanderen in fiammingo) è una delle cosiddette 5 classiche monumento del ciclismo su strada. Le altre corse che ne fanno parte sono:

  • Milano-Sanremo
  • Parigi-Roubaix
  • Liegi-Bastogne-Liegi
  • Giro di Lombardia.

Molti considerano il Giro delle Fiandre l’università del ciclismo e per almeno 3 buoni motivi.

  1. In primo luogo si disputa nella parte fiamminga del Belgio, dove il ciclismo è considerato poco meno di una religione.
  2. In secondo luogo è celebre per i cosiddetti muri – salite brevi ma spesso ripidissime – e i pavé, dove i più forti possono fare la differenza.
  3. Ed è proprio questo il terzo punto: raramente il Fiandre “laurea” un carneade, perché per vincere una gara alla quale puntano tutti i migliori specialisti, belgi e non solo, e per di più su un percorso così duro, è necessaria tanta tanta classe e una condizione di forma al top.
Giro delle Fiandre illustrazione

La storia del Giro delle Fiandre

La prima edizione del Fiandre si è corsa il 25 maggio 1913. La fama e l’importanza della gara sono cresciute progressivamente fino a portarla definitivamente nel novero delle classiche del nord, le gare che si svolgono in primavera in Belgio, Olanda e Francia settentrionale. È anzi la prima classica del Nord in calendario e precede di una settimana la Parigi – Roubaix.

Ad avere iscritto più volte il proprio nome nell’albo d’oro, con tre trionfi a testa, sono:

  • Achiel Buysse
  • Fiorenzo Magni
  • Eric Leman
  • Johan Museeuw
  • Tom Boonen
  • Fabian Cancellara.

Il toscano Magni è l’unico riuscito nell’impresa di ottenere le sue tre vittorie in modo consecutivo.

I belgi, da soli, nel primo secolo di storia di questa corsa hanno vinto il Fiandre un numero di volte quasi doppio rispetto ai corridori di tutti gli altri Paesi messi insieme. Ciò a conferma di quanto sia difficile primeggiare per chi non è nato da queste parti e non ha quindi l’abitudine a correre sui muri, con il vento, la pioggia e il gelo delle Fiandre.

Il percorso

Nelle prime edizioni il percorso superava ampiamente i 300 chilometri andando a toccare tutte le principali città del Belgio fiammingo.

In anni più recenti lo si è ridotto a “soli” 250-260 chilometri.

A differenza di gare come la Milano – Sanremo, il percorso varia spesso, anche perché le condizioni dei muri richiedono una manutenzione frequente; non è scontato che tutti i muri siano percorribili il giorno della corsa.

Negli anni a cavallo tra la fine dei 2010 e l’inizio dei 2020 l’arrivo è spesso fissato a Oudenaarde, cittadina sul fiume Schelda.

Il muro simbolo della corsa

Il simbolo della corsa è probabilmente il Muro di Grammont, o Muur van Geraardsbergen in fiammingo, come amava ricordare Adriano De Zan nelle sue appassionate telecronache, o anche Kapelmuur perché giusto in cima c’è una piccola chiesa.

E’ simbolico sia per la difficoltà dell’ascesa, che tocca anche la pendenza del 20%, sia perché in questo tratto si sono spesso decise le sorti della corsa, magari dopo duelli epici.

Un duello epico fu quello del 2010: lo svizzero Fabian Cancellara staccò l’idolo di casa Tom Boonen e si involò per cogliere il 1° dei suoi 3 successi: fu un trionfo clamoroso – ma non scevro di polemiche.

Cancellara Fiandre 2010
Fabian Cancellara sul pavé del Fiandre 2010 con moltissimi tifosi che lo incitano

Altri muri quasi altrettanto famosi e spettacolari sono:

  • l’Oude Kwaremont
  • il Paterberg
  • il brutale Koppenberg, che tocca il 22% di pendenza!

I tifosi

Sono tanti gli aneddoti sui tifosi che circondano questa corsa. Ogni storia testimonia l’infinita passione dei fiamminghi per il ciclismo e per il “loro” Giro delle Fiandre in particolare.

Si dice che fra i tifosi assiepati ai margini delle strade la birra – bevanda tradizionale del paese – scorra a fiumi e l’odore degli hotdog impregni l’aria per ore. Ma non tutti i tifosi sono “stanziali”: ci sono autentiche gare per riuscire a vedere più volte il passaggio degli atleti; e per riuscirci i tifosi si spostano in macchina da un punto all’altro del percorso.

Ovviamente non possono percorrere le stesse strade dei corridori e sono quindi costretti a studiare alternative che includono stradine di campagna a malapena transitabili.

Il colore predominante lungo tutto il percorso è decisamente il giallo, non solo quello dorato delle birre ma anche e soprattutto quello del leone fiammingo: la bandiera delle Fiandre rappresenta un leone nero in campo, appunto, giallo.

Bandiera delle Fiandre - Flanders flag
La bandiera delle Fiandre: un leone nero con lingua e artigli rossi campeggia sullo sfondo giallo

I vincitori italiani

Quando Fiorenzo Magni partì per andare a cogliere il suo primo trionfo, i corridori italiani non erano considerati adatti alle corse del Nord, tanto che non solo non vi partecipavano, ma nemmeno le conoscevano in dettaglio. La stessa squadra del toscano, la Willier Triestina, gli accordò il permesso di partecipare ma senza garantirgli alcun supporto.

Così Magni partì in treno, con la sua bicicletta e un unico gregario. Vinse la volata finale dopo 7 ore e 20 minuti di gara. Era il 10 aprile 1949.

Gli altri due successi consecutivi (1950 e 1951), ottenuti entrambi per distacco, gli valsero il soprannome di Leone delle Fiandre.

Il fenomenale “terzo uomo” del ciclismo italiano (chiamato così perché considerato tra i grandissimi della sua epoca, dopo Fausto Coppi e Gino Bartali) aveva uno spaventoso furore agonistico. Era un passista di rara potenza e si trovava perfettamente a suo agio nel gelo e nella pioggia, condizioni che spesso caratterizzano le Fiandre a inizio aprile.

Fiorenzo Magni - Fiandre 1951 - Tuttosport
La prima pagina del quotidiano sportivo Tuttosport (3 aprile 1951) con Fiorenzo Magni vincitore del Giro delle Fiandre

Il secondo italiano a imporsi fu il veneto Dino Zandegù, nel 1967.

Bisognerà poi aspettare fino al 1990 per un nuovo trionfo italiano. Quello di Moreno Argentin, che vinse al termine di una fuga a due con il belga Dhaenens.

Quattro anni (1994) dopo si parlò di Pasqua di resurrezione perché, alla fine di una splendida corsa che aveva chiamato allo scoperto molto presto i grandi favoriti, si impose Gianni Bugno, “risorgendo” da un periodo buio, con un contestatissimo sprint sul belga Museeuw; altro campione che su queste strade ha scritto pagine importanti.

Poco sofferta nel 1996 la vittoria del toscano Michele Bartoli, per quanto agevole possa essere un trionfo al Fiandre, in considerazione della straordinaria superiorità del toscano.

Il primo decennio del 2000 vide diverse vittorie tricolori: Gianluca Bortolami nel 2001; Andrea Tafi nel 2002; il veneto Alessandro Ballan vinse nel 2007 e l’anno successivo sarebbe diventato campione del mondo a Varese.

Nel 2019 vinse a sorpresa Alberto Bettiol, staccando di forza gli avversari con un’irresistibile progressione sull’Oude Kwaremont.

Le donne

Dal 2004 si disputa anche la corsa femminile, nello stesso giorno e sulle stesse strade degli uomini, sia pure su un chilometraggio ridotto.

La prima edizione fu vinta dalla russa Zul’fija Zabirova.

Le azzurre non si sono però limitate a fare da comprimarie e possono vantare già 2 successi. La prima vittoria risale al 2015 (edizione corsa su un totale di 145 chilometri) quando una Elisa Longo-Borghini realmente in stato di grazia salutò una compagnia comprendente tutte le più forti a 20 chilometri dall’arrivo, per non essere più rivista fino al traguardo.

Nel 2019 fu la campionessa europea in carica, Marta Bastianelli, a replicare: fulminò in volata due fuoriclasse come Annemiek van Vleuten e Cecilie Ludwig.

Fiandre 2019 - Alberto Bettiol e Marta Bastianelli
Al Fiandre 2019 i vincitori sono entrambe italiani: Alberto Bettiol e Marta Bastianelli

Sito ufficiale

Se state pianificando una gita e un viaggio in Belgio per assistere alla gara o addirittura pedalare lungo i percorsi del Giro delle Fiandre, vi consigliamo di visitare il sito ufficiale Visit Flanders.

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Miracolo di Belo Horizonte https://cultura.biografieonline.it/miracolo-di-belo-horizonte/ https://cultura.biografieonline.it/miracolo-di-belo-horizonte/#respond Fri, 28 Jan 2022 10:30:15 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38548 Quando l’Inghilterra calcistica perse contro gli Stati Uniti d’America

Il Miracolo di Belo Horizonte è un’espressione con cui si ricorda un evento sportivo storico. Ai mondiali di calcio del 1950, che si svolsero in Brasile, l’Inghilterra perse contro gli USA.

Il contesto

Nel 1950 l’Inghilterra partecipa per la prima volta al campionato mondiale di calcio. Gli inglesi sono considerati gli inventori del gioco (ne abbiamo parlato nell’articolo sulla storia del calcio); prima di questa edizione tuttavia non avevano mai partecipato ai campionati del mondo. Si sono autoesclusi dalla FIFA (Fédération Internationale de Football Association) e non sono stati inclusi tra i partecipanti alle prime tre edizioni (1930, 1934, 1938).

Ma sono pur sempre i “maestri inglesi” e quando arrivano in Brasile, sede della manifestazione, hanno alle spalle una serie pressoché ininterrotta di successi, spesso travolgenti, colti nel secondo dopoguerra.

Di contro gli Stati Uniti hanno preso parte a tutte le edizioni precedenti, cogliendo anche un inatteso 3° posto nel corso della prima manifestazione assoluta, nel 1930. Negli anni che precedono questa 4ª edizione, hanno subito quasi solo sconfitte, anzi disfatte. Ciononostante trovano la forza di qualificarsi, a spese di Cuba.

Le squadre

Viste le premesse, i Maestri sono gli ovvi favoriti della manifestazione. Hanno sconfitto due volte in amichevole gli Azzurri, detentori del titolo dal 1938 (le edizioni del 1942 e del 1946 sono state annullate a causa della guerra). Tra i favori ci sono anche i padroni di casa verde-oro.

Per dare un’idea del livello, nella nazionale di Sua Maestà militavano attaccanti del calibro di:

  • Stanley Matthews, futuro baronetto e 1° vincitore del Pallone d’oro;
  • Stan Mortensen, celebre in Italia per un gol segnato alla Nazionale azzurra con un tiro a effetto dalla linea di fondo che beffò un sorpresissimo Valerio Bacigalupo.

Di contro, gli Americani erano quasi tutti dilettanti; alcuni addirittura in attesa della cittadinanza statunitense.

La partita: il Miracolo di Belo Horizonte

E’ giovedì 29 giugno 1950.

Le squadre di Inghilterra e USA si presentano sul terreno di gioco di Belo Horizonte, città capitale dello Stato del Minas Gerais.

Ad arbitrare la partita c’è l’italiano Generoso Dattilo.

Siamo alla seconda giornata del girone di qualificazione. Gli inglesi hanno vinto la loro prima partita; gli statunitensi sono invece stati sconfitti 3-1dalla Spagna, pur essendo rimasti in vantaggio fino ai 10 minuti finali.

Inizia la partita.

Gli inglesi partono subito all’attacco; creano numerose occasioni per portarsi in vantaggio, ma al 37° minuto è l’attaccante americano Joseph Gaetjens (detto Joe), di origine Haitiana, a segnare di testa, beffando clamorosamente l’incerto goalkeeper inglese (portiere) Bert Williams.

Per il resto del primo tempo e per tutta la ripresa, gli uomini del c.t. britannico Walter Winterbottom cercano di raggiungere almeno il pareggio, ma invano.

I minuti finali

Al minuto 82′, il difensore USA Charlie Colombo atterra fallosamente Mortensen al limite dell’area. Gli inglesi reclamano il calcio rigore, ma Dattilo assegna loro un calcio di punizione. Dagli sviluppi di quest’ultimo l’Inghilterra arriva a sfiorare il gol di testa sotto porta: il tiro viene bloccato da Borghi sulla linea. L’Inghilterra invoca il gol, ma per l’arbitro Dattilo la palla non ha superato la linea di porta.

L’autentico eroe della partita è proprio il portiere Frank Borghi, autore in questa storica giornata sportiva di epiche parate.

L’episodio e i l’avvicinarsi della fine del match minano il morale dei britannici, che rischiano addirittura di subire lo 0-2 pochi istanti dopo.

Si arriva al fischio finale: gli Stati Uniti d’America battono l’Inghilterra per 1-0.

La gioia degli americani è incontenibile. Anche il pubblico brasiliano è entusiasta della partita che viene vissuta come una vera impresa eroica, tanto che invade il terreno di gioco portando in trionfo Joe Gaetjens.

Miracolo di Belo Horizonte - Joe Gaetjens portato in trionfo
Il calciatore americano Joe Gaetjens portato in trionfo alla fine della partita

Curiosità

Prima della partita:

  • Il quotidiano britannico Daily Express scrisse: “Sarebbe giusto iniziare la partita dando [agli Stati Uniti] tre goal di vantaggio”.
  • Il Belfast Telegraph definì gli statunitensi “una squadra di uomini senza speranza”.
  • La vittoria degli Stati Uniti sull’Inghilterra fu quotata 50:1 dagli allibratori.

Dopo la partita:

  • Per la stampa anglosassone l’arbitro italiano parteggiò per gli americani.

L’evento e la partita hanno ispirato il libro The game of their lives (1996) dello scrittore statunitense Geoffrey Douglas; ad esso poi è seguito il del 2005 “In campo per la vittoria“, diretto da David Anspaugh, con Gerard Butler nei panni del protagonista Frank Borghi.

giornale americano che ricorda Frank Borghi
Un giornale USA ricorda l’impresa di Frank Borghi (Soccer America, 26 aprile 1990)

Il proseguimento del mondiale di calcio 1950

L’esito del match Inghilterra-USA venne conosciuto dal resto del mondo con un certo ritardo. Va considerato che l’efficienza delle comunicazioni dell’epoca non è paragonabile a quella odierna. Un giornale britannico credette a un terribile errore di trascrizione della “velina” in arrivo dal Brasile: venne così diffusa la notizia della vittoria inglese per 10-1.

Sebbene sia entrata nella storia, paradossalmente questa partita fu abbastanza ininfluente per le due nazionali: entrambe le squadre persero la loro 3ª e ultima partita del girone e furono eliminate. Gli Stati Uniti persero contro il Cile; gli inglesi persero contro la Spagna.

A proseguire il cammino furono poi le Furie Rosse, che approdarono al girone finale, arrivando quarti al termine del campionato.

Al Miracolo di Belo Horizonte seguì un’altra partita capace di ribaltare clamorosamente il pronostico: fu proprio la finale del 1950, ricordata come la notte del Maracanazo. I favoritissimi padroni di casa del Brasile vennero sconfitti dall’Uruguay (che peraltro schierava fuoriclasse del calibro di Obdulio Varela, Alcides Ghiggia e Juan Alberto Schiaffino).

Ma questa è un’altra storia.

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Zona Cesarini: cos’è, cosa significa e dove ha origine https://cultura.biografieonline.it/zona-cesarini/ https://cultura.biografieonline.it/zona-cesarini/#respond Wed, 12 Jan 2022 22:37:37 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38045 Salvarsi in zona Cesarini. Quante volte l’abbiamo detto o lo abbiamo sentito dire? Sicuramente tantissime. Lo abbiamo usato consapevolmente per indicare un fatto o un’azione avvenuta in extremis. Sappiamo davvero, però, da dove deriva questa espressione e per quale motivo la utilizziamo?

Il fatto: Juventus anni ’30

L’espressione Zona Cesarini fa riferimento diretto al calciatore Renato Cesarini, mezzala della Juventus in campo nella prima metà degli anni Trenta.

Renato Cesarini - zona Cesarini
Il modo di dire Zona Cesarini si deve al calciatore Renato Cesarini

Renato Cesarini realizzò tanti gol nei minuti finali di diverse partite, in diversi campionati. Per questo si è fatto detentore delle sorti (vincenti) di più match.

Ha fatto questa magia anche in incontri molto importanti. L’ha fatto pure al cospetto di grandi squadre come il Napoli o il Torino, nel derby.

La prima volta

La locuzione “Zona Cesarini” è stata coniata il 13 dicembre del 1931, in occasione di un incontro tra nazionali. In campo, a Torino, c’erano gli azzurri della nazionale italiana e l’Ungheria. Si trattava di una partita per la Coppa internazionale.

La partita si risolse al 90° minuto, a tutti gli effetti durante i tempi regolamentari.

La svolta fu una rete di Renato Cesarini che portò alla vittoria l’Italia con il risultato finale di 3 a 2.

Quando entra in uso il modo di dire Zona Cesarini

La domenica successiva il giornalista Eugenio Danese utilizzò l’espressione “caso Cesarini” per qualificare una rete segnata all’89° minuto. Si trattava di un incontro tra l’Ambrosiana Inter (così si chiamava l’Inter allora) e la Roma. Finì 2 a 1.

Il passaggio da caso a zona avvenne probabilmente mutuando dal gioco del bridge, dove il termine zona indica la fase finale di una partita.

Renato Cesarini breve biografia

  • Nacque a Senigallia il giorno 11 aprile 1906. Nella sua carriera è stato prima calciatore e poi allenatore.
    Ebbe anche cittadinanza argentina, ciò gli permise di giocare sia in Italia che in Argentina, sia con squadre di club che nelle nazionali.
  • La sua carriera è legata perlopiù alla Juventus dove giocò come centrocampista e attaccante dal 1929 al 1935.
    Nel suo percorso da allenatore guidò i bianconeri negli anni del secondo dopoguerra, dal 1946 al 1948.
  • Con la nazionale argentina giocò 2 partite segnando 1 gol.
    Con l’Italia totalizzò 11 presenze e 3 gol – uno dei quali gli diede gloria imperitura nel lessico italiano, come abbiamo visto.
  • Terminò la sua carriera sportiva allenando la nazionale bianco-celeste nel periodo 1967-1968.
  • Renato Cesarini morì a Buenos Aires il 24 marzo 1969, pochi giorni prima di compiere 63 anni.
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Il Grande Torino e la tragedia di Superga https://cultura.biografieonline.it/tragedia-di-superga/ https://cultura.biografieonline.it/tragedia-di-superga/#comments Mon, 03 May 2021 15:03:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7093 Con l’espressione Tragedia di Superga si fa riferimento a un incidente aereo accaduto il 4 maggio del 1949 in conseguenza del quale morirono trentuno persone, la maggior parte delle quali calciatori del Torino. Di quella squadra vincente, soprannominata Grande Torino.

Il Grande Torino e la Tragedia di Superga
Il grande Torino

I fatti

Alle 9.40 del mattino del 4 maggio del 1949, un mercoledì, dall’aeroporto di Lisbona decolla il trimotore Fiat G.212 delle Avio Linee Italiane, il cui comandante è il tenente colonnello Meroni. Il velivolo atterra all’aeroporto di Barcellona alle 13, per effettuare un rifornimento di carburante: nel corso dello scalo la squadra del Torino a pranzo incrocia la squadra del Milan, in viaggio verso Madrid.

Il velivolo del club granata riparte alle 14.50, destinazione aeroporto di Torino-Aeritalia. Il trimotore, secondo la rotta prestabilita, sorvola Cap de Creus, poi Tolone, Nizza e, in Italia, Albenga e Savona. Quindi, l’aereo vira in direzione nord, verso il capoluogo piemontese, dove è previsto l’arrivo circa mezz’ora più tardi.

Le condizioni atmosferiche intorno alla città sono disastrose, come comunicato ai pilotti dall’aeroporto di Aeritalia pochi minuti prima delle 17: ci sono continui rovesci di pioggia, le nubi sono quasi a contatto con il suolo, la visibilità orizzontale è decisamente carente (non supera i quaranta metri), il libeccio si fa sentire con raffiche di una certa potenza.

Alle 16.55 la torre chiede un riporto di posizione; la risposta arriva quattro minuti più tardi, alle 16.59, dopo un silenzio eccessivamente lungo: “Quota 2000 metri”.

Alle 17.03 il velivolo compie una virata verso sinistra in corrispondenza del colle di Superga: messo in volo orizzontale e predisposto in vista dell’atterraggio, va a disintegrarsi contro la Basilica di Superga, in corrispondenza del terrapieno posteriore.

Le ipotesi della tragedia

L’ipotesi più accreditata è che l’aereo, nel corso della virata, in conseguenza del vento insistente al traverso sinistro abbia subìto una deriva verso dritta, che lo abbia allineato con la collina di Superga e non con la pista, spostandolo dall’asse di discesa.

Probabilmente l’altimetro, in quegli istanti, è bloccato sui 2000 metri, così che i piloti pensino di essere ben 1600 metri più in alto rispetto alla loro quota reale.

Il pilota, dunque, intorno a una velocità di 180 chilometri all’ora pensa di trovarsi alla sinistra della collina di Superga; invece, a causa anche della visibilità ridotta, se la trova davanti all’improvviso, al punto che non ha nemmeno il tempo di reagire: dalla disposizione dei rottami non si intuiscono tentativi di virata o riattaccata.

L’impennaggio è la sola parte dell’aereo che rimane intatta, anche se solo parzialmente.

Una foto di Valentino Mazzola
Valentino Mazzola

Le vittime

Nell’incidente perdono la vita i membri dell’equipaggio:

  • Cesare Biancardi,
  • Celeste D’Inca
  • Pierluigi Meroni

E gran parte della squadra del Torino: i calciatori

  • Julius Schubert,
  • Rubens Fadini,
  • Mario Rigamonti,
  • Franco Ossola,
  • Valerio Bacigalupo,
  • Piero Operto,
  • Romeo Menti,
  • Aldo Ballarin,
  • Valentino Mazzola,
  • Dino Ballarin,
  • Danilo Martelli,
  • Virgilio Maroso,
  • Emile Bongiorni,
  • Ezio Loik,
  • Giuseppe Grezar,
  • Eusebio Castigliano,
  • Ruggero Grava,
  • Guglielmo Gabetto.

Muoiono, inoltre, gli allenatori Leslie Lievesley e Egri Erbstein, il massaggiatore Osvaldo Cortina, l’organizzatore delle trasferte Andrea Bonaiuti, i dirigenti Ippolito Civalleri e Arnaldo Agnisetta e tre giornalisti sportivi: Renato Tosatti (della “Gazzetta del Popolo”, padre di Giorgio), Renato Casalbore (fondatore di “Tuttosport”) e Luigi Cavallero (de “La Stampa”).

Il lutto del mondo dello sport

Ai funerali partecipa quasi un milione di persone, tra cui Giulio Andreotti, rappresentante del governo, e Ottorino Barassi, presidente della federazione calcistica.

La Gazzetta dello Sport: Tragedia di Superga
Prima pagina de La Gazzetta dello Sport, successiva alla Tragedia di Superga (4 maggio 1949)

In seguito alla tragedia di Superga, il Torino viene proclamato a tavolino vincitore dello scudetto: nelle giornate rimanenti di campionato, la squadra granata schiera la formazione giovanile, e così fanno le avversarie di volta in volta.

L’aereo stava riportando il Torino in Italia dopo che la squadra granata aveva disputato una partita amichevole a Lisbona, in Portogallo, contro il Benfica, per celebrare José Ferreira, capitano del team lusitano. Al volo non avevano preso parte Ferruccio Novo, presidente del Torino, perché influenzato; Sauro Tomà, calciatore, infortunato al menisco; Nicolò Carosio, telecronista, perché impegnato con la cresima del figlio; Renato Gandolfi, secondo portiere, il cui posto era stato preso da Dino Ballarin, terzo portiere e fratello di Aldo; Luigi Giuliano, calciatore, influenzato; e Vittorio Pozzo, giornalista, il cui posto era stato preso da Casalbore.

Il Torino era la squadra italiana più forte di quegli anni, vincitore non a caso di cinque scudetti di seguito, dal 1942/43 al 1948/49, e fornitore della maggior parte dei giocatori della Nazionale. Lo choc determinato da quell’evento fu tale che nel 1950 la Nazionale andò in Brasile per disputare i Mondiali di calcio non in aereo ma in nave.

I resti dell’aereo attualmente si trovano alle porte di Torino, al “Museo del Grande Torino e della Leggenda Granata” di Grugliasco, dove, a Villa Claretta Assandri, sono conservati pezzi della fusoliera, uno pneumatico e un’elica.

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James Naismith e la storia della pallacanestro https://cultura.biografieonline.it/storia-della-pallacanestro/ https://cultura.biografieonline.it/storia-della-pallacanestro/#comments Fri, 15 Jan 2021 06:11:43 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2180 La nascita della pallacanestro

La pallacanestro nasce nel 1891 a Springfield (Massachusetts), esattamente il giorno 15 gennaio. L’idea fu di James Naismith, medico ed insegnante di educazione fisica. Naismith lavorava come insegnante di educazione fisica presso la Young Men’s Christian Association (YMCA) International Training School (Scuola Internazionale di Allenamento dell’Associazione Giovanile Maschile Cristiana) di Springfield (Massachusetts).

I Kansas Jayhawks nel 1899: Naismith è il primo da destra.
I Kansas Jayhawks nel 1899: James Naismith è il primo da destra.

Il capo del dipartimento di educazione fisica dell’istituto, Luther Halsey Gulick, chiese a Naismith di trovare qualcosa che potesse divertire gli studenti durante le lezioni invernali di ginnastica; ciò perché le temperature rigide li costringevano a fare lezione al coperto.

James Naismith
James Naismith (Almonte, Canada, 6 novembre 1861 – Lawrence, USA, 28 novembre 1939). Foto: Wikipedia

Gulick in particolare chiedeva un gioco in luoghi chiusi, facile da imparare, con poche occasioni di contatto, il cui costo non gravasse sulle spese della scuola.
Naismith trovò l’ispirazione da un gioco che aveva conosciuto nella sua infanzia in Canada, “Duck on a rock” (l’anatra su una roccia). In questo gioco la regola principale era il tiro a parabola di un sasso. Attinse anche da giochi più antichi, come l’azteco Tlachtli, (in cui si passava una palla cercando di non farla mai cadere a terra, e vinceva chi riusciva a farla entrare in un anello sopraelevato), ed il maya Pok-Ta-Pok. Oltre a questi analizzò gli sport più praticati all’epoca: quali il football americano, il rugby, il lacrosse ed il calcio.

Pallacanestro: le prime 5 regole

Dopo due settimane, Naismith formalizzò le prime cinque regole del nuovo gioco:

  1. si doveva usare un pallone rotondo, che poteva essere toccato solo con le mani;
  2. non si poteva camminare con il pallone fra le mani;
  3. i giocatori potevano posizionarsi e spostarsi ovunque nel campo;
  4. non era permesso il contatto fisico tra i giocatori;
  5. l’obiettivo era posizionato orizzontalmente, in alto.

Le 13 regole di base

Il gioco della pallacanestro vede la luce il giorno 15 dicembre 1891: Naismith tradusse questi principi in tredici regole di base. Nello stesso giorno organizzò la prima partita sperimentale della storia disputata dal cosiddetto First Team (la prima squadra): un gruppo di diciotto giocatori (gli studenti della classe di Naismith), divisi in due squadre di nove ciascuno. La partita fu giocata con un cesto di vimini, usato per la raccolta delle pesche, che venne appeso alle estremità della palestra della scuola.

Le tredici regole vennero pubblicate dal giornale studentesco “The Triangle” (Il triangolo) il 15 gennaio 1892, data ufficiale della nascita del Basketball (palla del cesto). Il 20 gennaio si svolse la prima partita dalla pubblicazione delle regole. Terminò con il risultato finale di 1-0, grazie al canestro di un certo William “Willie” Chase.

La prima partita pubblica ufficiale fu fissata da Naismith l’11 marzo 1892 fra una squadra di docenti e una di studenti: vinsero i primi 5-0. Lo sport cominciò a diffondersi presto negli Stati Uniti, proprio perché esercitato negli YMCA. Inoltre, gli allievi di Naismith, al termine degli studi, divennero missionari, e mentre portavano il messaggio cristiano in tutto il mondo, insegnavano anche ai giovani il nuovo gioco.

Nel 1904 fu disputato un torneo non ufficiale di pallacanestro durante le Olimpiadi di St.Louis. Invece nel 1936 lo sport del basketball fu aggiunto al programma delle Olimpiadi di Berlino. In questa occasione Naismith ebbe l’onore di consegnare la medaglia d’oro agli Stati Uniti, che avevano sconfitto in finale il Canada. Fu nominato presidente onorario della Federazione Internazionale Pallacanestro (FIBA), sorta nel 1932.

NBA

Nel 1946 nacque negli Stati Uniti la National Basketball Association (NBA, Associazione nazionale di pallacanestro), al fine di organizzare squadre professionistiche e rendere lo sport popolare.

Naismith comunque fu il primo allenatore della storia del basket. Guidò infatti i Kansas Jayhawks dal 1898 al 1907: in nove stagioni sedette in panchina 115 volte, vinse 55 incontri e ne perse 60. Ad oggi, il suo libro “Basketball: Its Origin and Development” (“La pallacanestro: origini e sviluppo”, uscito dopo la sua morte nel 1941) resta il caposaldo della bibliografia della pallacanestro. A lui sono stati intitolati in Canada e negli Stati Uniti riconoscimenti, Hall of Fame, statue e premi. Ogni anno il miglior giocatore della NCCA (National Collegiate Athletic Association, l’associazione atletica nazionale dei college) riceve il “Premio Naismith”.

Da allora le regole sono state perfezionate, e l’NBA mantiene delle differenze sostanziali rispetto alla FIBA, ai Campionati Mondiali e alle Olimpiadi. Questo perché negli USA si vuole rendere il gioco più spettacolare. In particolare, con la globalizzazione degli ultimi anni, sono entrati in gioco gli sponsor che creano un business pubblicitario molto elevato. Per questo la pallacanestro è diventata più fisica, a dispetto della prima regola impostata da Naismith, e dal puro divertimento si è passati al vero e proprio agonismo.

Una spettacolare fotografia di Michael Jordan durante una schiacciata
Una spettacolare fotografia di Michael Jordan durante una schiacciata

D’altronde, nell’NBA hanno figurato e figurano tuttora i più grandi nomi della storia di questo sport, da Magic Johnson a Michael Jordan, da Larry Bird a Kareem Abdul-Jabbar, da Shaquille O’Neal a Kobe Bryant a LeBron James, e gli italiani Andrea Bargnani, Belinelli e Gallinari, solo per citarne alcuni.

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