Perché Archivi - Cultura https://cultura.biografieonline.it/argomento/curiosita/perche/ Canale del sito Biografieonline.it Fri, 26 Apr 2024 15:46:52 +0000 it-IT hourly 1 Canta che ti passa: da dove deriva il modo di dire? https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-canta-che-ti-passa/ https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-canta-che-ti-passa/#respond Fri, 26 Apr 2024 15:05:14 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1740 Il modo di dire “canta che ti passa” pare che derivi da un incisione fatta su una trincea durante la Prima Guerra Mondiale da un soldato sconosciuto.

Piero Jahier

Piero Jahier, scrittore e poeta italiano nato nel 1884 e arruolato nel 1916 come volontario negli Alpini con il grado di sottotenente, lo cita nell’epigrafe della sua raccolta di Canti di soldato pubblicata nel 1919, che si ispira al periodo passato in trincea.

Nella raccolta, firmata con lo pseudonimo di Pietro Barba, Jahier parla del “buon consiglio che un fante compagno aveva graffiato nella parete della dolina: canta che ti passa”. Un modo di dire ai giorni nostri molto diffuso per invitare a superare con il canto le preoccupazioni che la vita quotidianamente presenta.

Tra l’altro è noto che nel Corpo militare degli Alpini vi sia una lunga tradizione di canti.

Il canto nell’antichità

La forza del canto è nota sin dall’antichità: Orfeo, figura della mitologia greca, con il suono della sua lira e del suo canto, ammansiva le bestie feroci, dava vita alle rocce e agli elementi della natura, resisteva alla forza seduttrice delle sirene.

Canta che ti passa
Incisione dell’artista Virgilius Solis raffigurante Orfeo – 16° secolo

Anche un verso del poeta e scrittore italiano Francesco Petrarca cita:

Perché cantando il duol si disacerba
(Canzoniere, XXIII, 4)

Cosa dice la scienza

Oggi, la scienza conferma quanto già intuito in passato: il canto ha effetti positivi sul corpo e sulla mente.

Riduce lo stress, l’ansia e la tensione, abbassa la pressione sanguigna e rinforza il sistema immunitario.

Inoltre, stimola la produzione di endorfine, le “molecole della felicità”, migliorando l’umore e il senso di benessere.

cantare in cucina - canta che ti passa

Quindi, la prossima volta che ti senti giù, prova a cantare! Potresti sorprenderti di quanto ti faccia bene.

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Mayday: perché per segnalare un’avaria si usa questa parola https://cultura.biografieonline.it/mayday/ https://cultura.biografieonline.it/mayday/#comments Wed, 27 Mar 2024 07:49:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=684 La parola Mayday non ha nulla a che vedere con la traduzione di Primo Maggio, Festa dei Lavoratori che si festeggia nella maggior parte dei paesi del mondo. Il segnale internazionale di richiesta di aiuto deriva dal francese venez m’aider!” (venite ad aiutarmi).

Mayday
Mayday Mayday

L’utilizzo di questo termine è attribuito a Frederick Stanley Mockford, addetto alle comunicazioni radio impiegato nell’aeroporto di Croydon (Londra) che nel 1923 riceve l’incarico di trovare una parola facile e riconoscibile da ogni nazione, da utilizzare in caso di richiesta d’aiuto.

In quegli anni la maggior parte del traffico aereo avviene tra Croydon e l’aeroporto parigino Le Bourget; propone quindi l’espressione mayday che è una deformazione anglofona dell’espressione francese “m’aider”.

Tale espressione è ufficialmente utilizzata dal 1927.

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Perché rompere uno specchio porta sfortuna? https://cultura.biografieonline.it/sfortuna-specchi-rotti/ https://cultura.biografieonline.it/sfortuna-specchi-rotti/#comments Sun, 03 Mar 2024 08:22:09 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9549 Secondo un’antica credenza che risale ai tempi degli antichi Romani, rompere uno specchio porta decisamente sfortuna. E causa ben sette anni di disgrazie. Secondo gli antichi Romani, infatti, rompere uno specchio era sinonimo di salute spezzata. Ci volevano ben setti anni prima di tornare sani come si era quando lo specchio era intatto.

Uno specchio rotto
Si dice che quando si rompono gli specchi si devono attendere sette anni di guai

Storicamente, già ai tempi dell’uomo preistorico, era in voga specchiarsi. L’uomo vedeva la propria immagine riflessa nell’acqua di un lago o di uno stagno e credeva che quel riflesso rappresentasse un’altra persona come lui.

Prima dell’invenzione dello specchio infatti, si presumeva che ogni superficie riflettente fosse caratterizzata da proprietà magiche. Qualsiasi disturbo o interruzione del riflesso poteva portare o causare un imminente pericolo per la propria salute o disgrazia.

La nascita degli specchi

Con la nascita dello specchio poi, tale credenza venne maggiormente rafforzata. Poiché si pensava che nel caso la propria immagine venisse distorta e spezzata nei frammenti di uno specchio rotto, era molto più probabile avere conseguenze e ricadute negative che avrebbero colpito la persona maldestra.

Inoltre, secondo la credenza di quel tempo, i riflessi erano intesi e visti come una propagazione della nostra anima.

Quindi rompere la propria anima sarebbe stato decisamente segno di sventura.

Specchi, oggetti preziosi

Oltre alle varie credenze, c’era da considerare il fatto che lo specchio era un oggetto molto prezioso e costoso, per cui rimpiazzarlo voleva dire affrontare una grande spesa economica. Secondo alcune fonti antiche di quei tempi, nella Repubblica Veneziana furono emesse delle sanzioni pecuniarie a carico del proprietario che rompeva oggetti preziosi come gli specchi, questo per obbligare a recuperare lo strato argenteo e consegnarlo prontamente alle fonderie del Doge.

Specchi rotti - rompere uno specchio
Uno specchio rotto

In ultimo non bisogna dimenticare che lo specchio era spesso legato alla superbia, uno dei sette peccati capitali.

La superbia è sinonimo di malvagità e nella rottura dello specchio era visto il trasferirsi di tale condizione in colui che lo rompeva.

Rompere uno specchio e riparare lo sventurato danno

Per scongiurare i guai, causati dalla rottura di uno specchio, esistevano diversi modi.

Tra questi: mettere i frammenti dello specchio in una bacinella con una pietra trasparente per sette giorni. Dopodiché buttare il tutto, tranne le pietre preziose.

Oppure immergere i frammenti dello specchio in un corso d’acqua dolce corrente. Meglio se una sorgente.

Se il tema ti ispira, puoi leggere un nutrito elenco di frasi sui guai.

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Fare le cose alla carlona: cosa vuol dire e perché si dice? https://cultura.biografieonline.it/fare-le-cose-alla-carlona/ https://cultura.biografieonline.it/fare-le-cose-alla-carlona/#comments Mon, 15 Jan 2024 14:36:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9310 Con il detto fare le cose alla carlona, usato soprattutto nell’area lombarda, si indica l’affrontare le cose in modo superficiale, alla buona, senza cura, in modo trasandato e grossolano.

Le origini del detto

L’origine di tale modo di dire risale al periodo degli anni in cui regnava l’Imperatore Carlo Magno (742-814), denominato appunto Carlone.

Egli viene rappresentato nei vari poemi cavallereschi come un uomo goffo, malaccorto nelle sue azioni e semplice, che ama indossare abiti non pregiati ma caratterizzati da stoffa rozza.

Carlo Magno - fare le cose alla carlona
Carlo Magno : il modo di dire “fare le cose alla carlona” deriva dal suo nome

Lo stile dell’Imperatore

Si racconta che anche quando l’Imperatore Carlo Magno doveva essere ritratto, indossava sempre vestiti non alla portata del suo rango, usando uno stile non consono ad un Imperatore, bensì uno stile più vicino a quello di un plebeo.

Leggenda: la battuta di caccia

La leggenda narra che ad una battuta di caccia, l’Imperatore Carlo Magno, si presentò tra lo stupore generale dei partecipanti, che indossavano per l’occasione abiti da caccia e sfarzosi, con un abito dimesso, fatto di ruvida stoffa indossata solitamente dai contadini.

L’Imperatore, accortosi dello stupore dei presenti, disse a quel punto che il suo abbigliamento un po’ rozzo non era casuale, serviva alla bisogna.

Di lì a poco, si scatenò un violento temporale e Carlo Magno fu l’unico a passare indenne alla tempesta. Gli eleganti cacciatori si inzupparono, rovinando i loro abiti preziosi, ridotti alla fine in un pessimo stato.

A questo punto l’Imperatore fece notare ai partecipanti alla battuta di caccia, di essere totalmente asciutto grazie ai suoi abiti umili e di stoffa grezza.

Da quel giorno in poi, si cominciò ad usare il modo di dire: essere vestiti alla carlona.

Il significato oggi

Il termine indica inoltre altri concetti simili:

  • fare le cose in modo veloce, sbrigativo e alla meno peggio possibile;
  • fare qualcosa senza curarne i dettagli;
  • essere una persona alla buona (“quello è un tipo alla carlona”)

Ed infine può significare anche essere troppo ingenui.

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Perché per scaramanzia si usa incrociare le dita? https://cultura.biografieonline.it/incrociare-le-dita/ https://cultura.biografieonline.it/incrociare-le-dita/#comments Sat, 13 Jan 2024 08:47:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=8676 Tra i gesti più diffusi e usati almeno una volta nella vita da ognuno di noi, come rituale scaramantico, troviamo quello di incrociare le dita. Ai giorni nostri, questo gesto viene usato, per augurarsi o augurare buona fortuna e per difendersi dalla mala sorte quando raccontiamo un fatto “non vero” o una “bugia”.

Il gesto di incrociare le dita
Incrociare le dita è un gesto scaramantico che ha origini religiose

Un gesto diffuso

Il classico “croiser les doigts”, incrociare le dita, è uno dei gesti maggiormente usati in tutto il mondo occidentale per allontanare la negatività e portare energia “buona” prima di compiere un qualsiasi gesto o azione propizia.

Si tratta di un gesto scaramantico che porta fortuna.

Le origini religiose

Il gesto di incrociare le dita ha in realtà origini religiose: già nel Medioevo tale gesto era in voga, per tenere lontano il diavolo, il malocchio e la sfortuna.

In quel periodo, si riteneva che il diavolo potesse raggiungere le anime passando attraverso le dita e da lì in poi, l’usanza di incrociare le dita per richiedere una protezione divina, è sempre stata messa in atto da tutti.

In realtà, si tratterebbe di un altro modo per fare il segno della croce.

La posizione pantea

Infatti nella iconografia cristiana, troviamo spesso l’immagine di Cristo che tiene la mano destra in posizione pantea, dove il dito indice, medio e pollice sono tesi, a raffigurare la Trinità, mentre il mignolo e l’anulare li vediamo ripiegati.

Si tratta di un tipico segno usato nella tradizione cristiana ortodossa.

mano pantea gesu cristo
La mano pantea di Gesù raffigurata in un mosaico (Ravenna, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo)

Gesti analoghi all’estero

Il rito scaramantico dell’incrocio delle dita è usato anche in altri paesi stranieri.

  • In Gran Bretagna, l’espressione “to keep the fingers crossed”, viene utilizzata per scongiurare il malocchio.
  • In Germania i tedeschi abitualmente premono i pollici di un amico per augurargli un auspicio di buona fortuna: il gesto, proviene dalle antiche tribù germaniche, per le quali il pollice era considerato il dito più importante.

I gesti rituali con le dita propiziano sempre una difesa contro le avversità del fato.

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Testa o croce: da dove deriva, come si dice in inglese, è veramente imparziale? https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-testa-o-croce/ https://cultura.biografieonline.it/perche-si-dice-testa-o-croce/#comments Fri, 27 Oct 2023 15:11:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=2011 Da dove deriva il termine testa o croce
1 lira del 1863
1 lira del 1863: faccia raffigurante “testa”
1 lira del 1863
1 lira del 1863: faccia raffigurante “croce”

Il termine testa o croce è molto comune e si utilizza quando si deve effettuare una scelta tra due possibilità, utilizzando la tecnica del lancio di una moneta.

Associando la propria scelta alla testa o alla croce, decretiamo quella ottenuta a seconda di quale faccia della moneta sarà mostrata dopo averla lanciata in aria (o averla presa al volo tra le mani).

Questa tecnica cambia il suo nome in base alle raffigurazioni presenti sulle facce delle monete utilizzate.

Il nome che attribuiamo comunemente in Italia deriva dalle monete raffiguranti il volto del re e il simbolo cristiano della croce.

Nell’antica Roma si chiamava “navis aut caput” (nave o testa), in quanto su alcune monete romane era raffigurata una nave su un lato e la testa dell’imperatore dall’altro.

Testa o croce

Come si dice testa o croce in inglese

  • In inglese “head or tail” (testa o coda), testa del monarca e coda del leone araldico;

Come si dice negli altri paesi

  • in Germania, “Kopf oder Zahl” (testa o numero), dato che su di un lato della moneta era indicato il valore della stessa;
  • in Irlanda, “heads or harps” (teste o arpe), in quanto questo strumento musicale è raffigurato sulle monete molto spesso;
  • in Brasile, “cara ou coroa” (faccia o corona);
  • in Messico “águila o sol” (aquila o sole);
  • in Russia “орёл или ре́шка” (aquila o l’altro simbolo);
  • ad Hong Kong testa o parola, dato che sulle monete il valore è scritto per esteso.

È veramente imparziale?

La logica farebbe pensare – e prevedere – che il lancio di una moneta porti al 50% di possibilità che esca Testa, e al 50% di possibilità che esca Croce.

Una ricerca del 2023 dimostra che la pratica del lancio della monetina non è imparziale.

Quando gettiamo in aria una monetina, il lato che guarda verso l’alto prima del lancio, vince nel 50,8% dei casi.

La ricerca sperimentale è stata condotta dall’università di Amsterdam, sotto la guida professor Eric-Jan Wagenmakers.

Il prof ha arruolato prima 5 studenti, che hanno compiuto 15mila lanci ciascuno, registrando i risultati. Poi ha accolto altri volontari, per un totale di 48. Questi hanno gettato in aria 46 dischi di valute diverse: i test registrati sono stati 350.757.

L’imparzialità del lancio della moneta era già stata messa in discussione e smontata matematicamente nel 2007. Allora, Persi Diaconis, Susan Holmes e Richard Montgomery della Stanford University (due matematici e uno statistico) elaborarono un loro modello.

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Perché la milza fa male? https://cultura.biografieonline.it/perche-la-milza-fa-male/ https://cultura.biografieonline.it/perche-la-milza-fa-male/#respond Fri, 29 Sep 2023 12:54:48 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7314 Avete fatto un corsetta ma vi siete fermati a causa di un dolore alla milza che vi impedisce di proseguire? Vi è capitato di spostare un peso in casa e avete avvertito una fitta localizzata nei pressi della milza, nella parte sinistra dell’addome? In entrambi i casi fermatevi, riprendete fiato ma non preoccupatevi assolutamente.

Durante il jogging è possibile avvertire dolore alla milza
La milza può far male durante una corsa

Quando e perché fa male la milza

Escludendo i casi in cui il dolore alla milza è il sintomo di una patologia in atto (malattie epatiche, mononucleosi, anemia)  in genere le cause sono “benigne” e non devono destare preoccupazioni. Il più delle volte le fitte alla milza sono  provocate da uno sforzo prolungato, soprattutto quando non si è abbastanza allenati.

Sul perché si prova dolore in questa zona del corpo non esiste una spiegazione scientifica che sia univoca. Un motivo è da ricercarsi nella respirazione non corretta che, essendo affannosa per lo sforzo compiuto, determina un affaticamento del diaframma. In secondo luogo, quando il fisico non è allenato si ha bisogno di una maggiore quantità di ossigeno da immettere nell’organismo.

Per questo la contrazione nervosa della milza, che provoca il doloretto che noi tutti conosciamo, serve proprio ad immettere nuovi globuli rossi nei vasi sanguigni e facilitare l’ossigenazione dei tessuti. In poche parole, il dolore o fitta è una contrazione che l’organo mette in atto solo in stato di necessità, e che può interessare anche la zona dei polmoni ed il fegato, che sono gli organi più vicini.

Dolore alla milza
Perché fa male la milza

Se il dolore è piuttosto persistente anche in assenza di uno sforzo fisico, conviene interpellare il medico per capirne la natura.

Qualora dalla visita medica non emerga la presenza di una patologia può essere utile mettere in atto qualche accorgimento durante la pratica sportiva:

  1. Fare un pre-riscaldamento muscolare prima di cominciare qualsiasi attività sportiva;
  2. Programmare un allenamento graduale e costante eliminando carichi di lavoro troppo elevati.

Se ci si trova in gravidanza, il dolore alla milza può essere abbastanza frequente e la causa può essere uno stato di anemia che però di solito non desta preoccupazione. Tecnicamente il dolore o fitta alla milza si chiama “splenalgia”.

A cosa serve la milza

La milza si trova a sinistra
La milza si trova sul lato sinistro del corpo, nella parte posteriore dello stomaco

La milza è un organo situato nella parte posteriore dello stomaco che ha la funzione di distruggere i globuli rossi che non servono più, produrre nuovi linfociti e filtrare i batteri dannosi. In pratica, questo organo in condizioni di normalità mantiene un equilibrio nella circolazione sanguigna (sia nella quantità che nella composizione del sangue).

Non è esatto, come qualcuno azzarda, dire che la milza può essere asportata senza alcun problema in quanto “non serve a nulla”.

Ogni organo del nostro corpo svolge funzioni più o meno importanti, e quando non sono vitali contribuiscono comunque a mantenere un equilibrio nel corpo svolgendo specifiche funzioni.

La milza si trova a metà tra lo stomaco ed il rene sinistro, ed è importante perché attiva la risposta immunitaria dell’organismo. Essendo un organo morbido, è anche abbastanza delicato e soggetto facilmente a traumi, lesioni o ingrossamento.

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Perché si dice parlare a vanvera. Cos’è la vanvera? https://cultura.biografieonline.it/parlare-a-vanvera/ https://cultura.biografieonline.it/parlare-a-vanvera/#comments Fri, 26 May 2023 08:12:26 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25916 Con l’espressione “Parlare a vanvera” si indica una situazione in cui si pronunciano parole senza un vero fine. Si potrebbe comunemente tradurre in “parlare a caso” o “parlare a casaccio”, quindi senza considerare ciò che si sta dicendo. Un altro modo di dire analogo a questo potrebbe essere “dare fiato alla bocca”. Ma torniamo all’espressione parlare a vanvera e alle sue origini.

Questa locuzione avverbiale compare per la prima volta a cavallo tra il Medioevo e l’era moderna.

Nel 1565 lo storico fiorentino Benedetto Varchi in un suo testo spiega il significato con l’azione di dire cose senza senso o senza fondamento.

Anche Francesco Serdonati, poligrafo toscano vissuto tra il XVI e il XVII secolo, alla lettera P dei suoi “Proverbi” (successivi al 1610) ci dice che “a vanvera” veniva già usato insieme al verbo “parlare”.

Etimologia

L’Accademia della Crusca ci spiega che vanvera è un termine che non esiste come sostantivo, ma solo in quanto parte della locuzione “a vanvera”. Perciò si può legare di volta in volta ad altri verbi, in vari contesti.

Si può quindi cucinare a vanvera; ci si può pettinare o vestire a vanvera; si può studiare a vanvera, cicalare a vanvera, correre a vanvera, tagliare a vanvera; e a vanvera si può poetare o recitare. È possibile inoltre tacere o pensare a vanvera; e ancora vanverare o vanvereggiare.

Sono note varianti regionali, in particolare nel pisano e nel lucchese, dove si usano le espressioni “a cianfera” e “a bámbera”. Quest’ultima è una locuzione di probabili origini spagnole, con la quale s’intendeva una perdita di tempo.

Oggi gli etimologisti sono più propensi a credere che vanvera sia una variante di “fanfera”, una parola di origine onomatopeica che significa “cosa da nulla” (fanf-fanf riproduce il suono di chi parla farfugliando, senza pertanto dire nulla di sensato). In origine vi sarebbe il suono fan-fan, tipico delle trombe militari. Fanfarone si dice infatti di persona che si comporta da millantatore o spaccone.

Parlare a vanvera. Parlare a caso, senza considerare quel che si dica. Dicesi anche: parlare in aria. Cioè: senza fondamento, senza senso, a caso, senza riflettere.

La vanvera

L’ampio ventaglio dell’applicazione dell’espressione ha dato origine anche a usi fantasiosi, fino ad arrivare a interpretazioni colorite e volgari. Esiste un oggetto chiamato piritera o anche vanvera, simile all’antico prallo. Fu molto in voga presso gli aristocratici veneziani e napoletani del XVII secolo.

Parlare a vanvera

La vanvera poteva essere da passeggio o da letto: la sua funzione era quella di risolvere i disturbi gastrointestinali dal punto di vista… sociale. Spieghiamo meglio il concetto definendo di seguito la funzione degli strumenti.

Il prallo

Si tratta di un oggetto antico a forma di uovo, di ceramica o di legno, dotato di due fori comunicanti. Tale uovo durante i lunghi banchetti degli aristocratici veniva infilato nel pertugio anale al fine di attenuare l’effetto dei miasmi delle flatulenze. Al suo interno vi si infilavano delle erbe odorose. Il gas nell’attraversare il prallo provocava una curiosa nota musicale tipo trombetta o fischietto.

La piritera

Di simile utilizzo del prallo era la piritera. Essa non andava appoggiata ai glutei bensì aveva una cannula per essere infilata direttamente nell’ano.

La vanvera da passeggio

L’oggetto era costruito in pelle di vari colori ed era diviso in quattro parti.

Vanvera da passeggio
Vanvera da passeggio

La prima parte, per aderire completamente alle natiche era fatta a coppa, realizzata su misura. Questa comunicava attraverso un collo ad una vescica che riceveva i gas intestinali. Essa terminava con un pertugio munito di chiusura con spago, per consentirne lo sfiato.

L’utilizzatore che soffriva di meteorismo, ma che si trovava nella necessità di uscire in società, la indossava sotto il mantello oppure sotto la gonna. Ogni rumore veniva attenuato ed ogni odore evitato. Una volta isolati si poteva aprire lo spago.

vanvera

Oggigiorno questi tipi di oggetto suscitano ilarità. E’ bene ricordare che il termine vanvera non deriva però da quest’ultimo strumento descritto. E’ piuttosto il contrario: lo strumento prende il nome vanvera proprio per l’assonanza onomatopeica del “parlare all’aria”.

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Perché si dice ambaradan per indicare qualcosa di caotico? https://cultura.biografieonline.it/ambaradan/ https://cultura.biografieonline.it/ambaradan/#respond Fri, 24 Feb 2023 15:15:22 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21330 Capita nel linguaggio comune, soprattutto parlato, che si usi il termine ambaradan per fare riferimento a qualcosa di caotico. Con tale termine ci si può anche riferire a un insieme disordinato di cose, una situazione di confusione generalizzata o un indefinito guazzabuglio.

caos

Ambaradan: etimologia del termine

L’origine del termine ha radici che rimandano a un fatto triste. Si presume che la parola ambaradan abbia avuto origine dal nome dell’altopiano montuoso etiope Amba Aradam: in tale luogo avvenne una cruenta battaglia tra italiani e abissini nel 1936, nel contesto della Guerra di Etiopia. Nella battaglia le forze italiane furono responsabili di una strage di civili.

La parola amba in lingua amarica (la lingua ufficiale dell’Etiopia) indica una generica altura dalla cima piatta. Il termine amba può indicare inoltre una fortezza montana.

Emilio De Bono in Abissinia all'inizio della Guerra d'Etiopia
Emilio De Bono in Abissinia all’inizio della Guerra d’Etiopia

I fatti storici

Durante la battaglia dell’Amba Aradam, assieme alle truppe italiane si trovarono schierate diverse tribù indigene. Tuttavia la volatilità delle trattative locali fecero sì che alcune tribù si alleassero successivamente con il nemico, per poi tornare ad affiancare i soldati italiani in una sorta di doppio o triplo gioco.

La battaglia fu vinta dalle truppe italiane che presero il controllo della situazione. Determinante fu l’utilizzo di gas tossici che provocarono la morte di circa 20 mila indigeni etiopi, tra civili e militari.

La diffusione del termine

Al loro ritorno in Italia, i soldati, di fronte a una situazione di caos, di tumulto o disordinata, cominciarono a definirla come fosse “Amba Aradam“. Il riferimento rimandava proprio alla battaglia e al suo particolare contesto. Per crasi, le due parole si sono poi fuse in una sola diventando “ambaradam“. Si indica crasi – lo ricordiamo – quando la vocale finale di una parola e quella iniziale della successiva si fondono in un’unica vocale, oppure in un dittongo.

La trasformazione della consonante finale m in n, da ambaradam a ambaradanè da ricondursi a un errore di pronuncia diventato nel tempo comune. E’ facile intuire come tale termine sia più usato nella forma parlata, piuttosto che in quella scritta.

Si può riscontrare un’analogia sia nella dinamica storica, sia nel significato del termine, in riferimento ai moti che nel 1948 sconvolsero l’Europa: fare un quarantotto, oppure, è successo un quarantotto, sono modi di dire che indicano proprio una situazione di putiferio generale ed inaspettato.

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Zio Sam: perché gli USA vengono chiamati (anche) così? La storia del celebre poster I WANT YOU https://cultura.biografieonline.it/zio-sam-i-want-you-storia/ https://cultura.biografieonline.it/zio-sam-i-want-you-storia/#respond Fri, 27 Jan 2023 09:20:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=28251 In lingua americana si chiama Uncle Sam. In italiano è letteralmente tradotto come Zio Sam. E’ un modo alternativo e metaforico di definire gli Stati Uniti d’America. Di fatto lo Zio Sam è una personificazione nazionale degli USA. Di seguito raccontiamo e riassumiamo la storia di questa figura.

Zio Sam - Uncle Sam • E' la personificazione che rappresenta gli USA
Zio Sam – Uncle Sam • E’ la personificazione che rappresenta gli USA – La prima illustrazione è del 1917

Zio Sam: descrizione

Il personaggio è protagonista di un’illustrazione iconica. Le caratteristiche principali sono essenzialmente tre:

  • il dito indice della mano destra: esso punta lo spettatore così come lo sguardo penetrante
  • le caratteristiche fisiche: è un anziano con una barba lunga
  • l’abbigliamento: il cilindro con le stelle e l’abito elegante con i suoi colori, celebrano la bandiera degli Stati Uniti d’America

La capigliatura, lo stile della barba (lunga, concentrata sul mento e senza la presenza di baffi), ma anche lo stile del vestiario, ricordano ai più la figura di Abraham Lincoln.

Discorso di Gettysburg - Lincoln
Il Presidente Lincoln durante il celebre discorso di Gettysburg

La storia dell’immagine dello Zio Sam

Sebbene l’illustrazione risalga al 1917, storicamente il personaggio dello Zio Sam (o Uncle Sam) venne citato per la prima volta oltre un secolo prima, nel 1812, durante la guerra anglo-americana.

Prima dello Zio Sam

Prima ancora di Uncle Sam, esistevano già altre rappresentazioni umane dedicate all’incarnazione degli USA. Tra queste c’era Brother Jonathan (fratello Jonathan) il quale comparve in origine sulla rivista satirica Punch.

Brother Jonathan
Una rappresentazione satirica di Brother Jonathan con la gamba distesa sul busto di George Washington

Brother Jonathan venne pian piano, nel tempo, sostituito da Uncle Sam. Jonathan comunque resistette venendo – in un certo senso – declassato a rappresentare il solo stato del New England. Divenne più che altro un’allegoria del capitalismo.

La nascita dello Zio Sam

Il momento storico in cui lo Zio Sam vide la luce è il periodo della Guerra di secessione americana.

Esiste una tradizione che ne spiega il nome. Le origini del protagonista di questo articolo riconducono alla città di New York.

Le truppe dei soldati allora in servizio ricevevano barili contenenti carne; i contenitori erano marchiati con due lettere maiuscole: U.S.

Il significato dell’acronimo era chiaramente quello di United States (Stati Uniti) ma nell’ambiente militare si diffuse in modo collettivo l’ironica idea di tradurlo con Uncle Sam. La scelta del nome aveva un motivo preciso: il fornitore di carne dei militari, si chiamava Samuel Wilson (originario della città di Troy, dello stato di New York). Così, il nomignolo Uncle Sam calzò a pennello!

La prima apparizione in Letteratura

Il personaggio dello Zio Sam come rappresentante della nazione comparve per la prima volta in letteratura in un libro allegorico del 1816, di Frederick Augustus Fidfaddy. Esso si intitolava “The Adventures of Uncle Sam in Search After His Lost Honor” (Le avventure dello Zio Sam alla ricerca del suo onore perduto).

Il grande pubblico statunitense ha ormai accettato questa come prima apparizione, tuttavia esiste una pubblicazione di tre anni prima – 1813 – del Troy Post: il giornale della città di Samuel Wilson sovrappose la figura dello Zio Sam con quella del suo concittadino, imprenditore nel settore della carne.

Altri articoli di giornali locali dell’epoca omettono la connessione con Sam Wilson: per loro “Uncle Sam” sembra essere direttamente derivato dalle lettere U.S. senza altre motivazioni addotte.

Nei giornali di quel periodo si ritrova inoltre una traccia risalente al 1812 in cui il termine Uncle Sam viene usato dai giornali pacifisti con tono dispregiativo verso il governo.

Samuel Wilson è il vero Zio Sam?

E’ il giorno 15 settembre 1961, un venerdì, quando l’87º Congresso degli Stati Uniti d’America riconosce ufficialmente Samuel Wilson come progenitore del simbolo nazionale dello Zio Sam.

A quest’uomo vengono in seguito dedicati due memoriali: uno nella sua città natale ad Arlington (nel Massachusetts), e l’altro nell’Oakwood Cemetery di Troy, dove è sepolto.

Lo Zio Sam e il celebre manifesto “I Want You”

Se fin qui le notizie potevano al nostro lettore essere sconosciute o poco note, l’immagine che segue susciterà enorme familiarità, tanto è stata nel corso della storia moderna grazie alla sua diffusione massiva e capillare. E forse, ancora più celebre dell’illustrazione del personaggio, è lo slogan “I WANT YOU”.

I WANT YOU, poster e manifesto dello Zio Sam (Uncle Sam), simbolo degli Stati Uniti
I WANT YOU, celeberrimo poster e manifesto dello Zio Sam

Questo ormai super celebre manifesto venne creato durante il periodo della Prima guerra mondiale. L’obiettivo era quello di convincere i giovani ad arruolarsi nell’esercito. Esso a sua volta si ispirò ad un manifesto di reclutamento dell’esercito inglese del 1914.

L’originale anglosassone fu ideato da Alfred Leete; in esso compariva il generale Horatio Herbert Kitchener.

Il manifesto britannico in cui compare Horatio Herbert Kitchener con il messaggio "Your Country Needs You"
Il manifesto britannico in cui compare Horatio Herbert Kitchener con il messaggio “Your Country Needs You”

Il messaggio del poster originale recitava “Your Country Needs You” (il tuo paese ha bisogno di te). Il messaggio dello Zio Sam americano diventò invece più di impatto. Con quel dito puntato in mezzo agli occhi del lettore, la frase “I WANT YOU FOR U.S. ARMY” (Voglio te per l’esercito degli Stati Uniti) tuona imperativa.

Se analizziamo le pose dei protagonisti dei due manifesti, si può notare come l’inglese distanzia la mano da sé allungando il braccio. Mentre lo Zio Sam mantiene il braccio più vicino al corpo, comunicando più sicurezza e protezione rispetto alla perentorietà militare dell’originale.

L’autore del manifesto dello Zio Sam e il suo modello

A disegnare l’illustrazione di Uncle Sam fu l’artista James Montgomery Flagg, pubblicitario e prolifico cartellonista dell’epoca, originario dello stato di New York.

Flagg dipinse il manifesto nel 1917. A fargli da modello per la posa fu il veterano Walter Botts. Ma il celebre volto – che a tanti ricorda quello del 16° Presidente americano Lincoln – è una versione modellata del volto dello stesso Flagg.

Oggigiorno i riferimenti, le citazioni e le parodie di questa icona statunitense sono innumerevoli.

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