Eventi storici Archivi - Cultura https://cultura.biografieonline.it/argomento/storia/ Canale del sito Biografieonline.it Tue, 09 Apr 2024 22:32:50 +0000 it-IT hourly 1 Il bosone di Higgs: perché è chiamato la Particella di Dio https://cultura.biografieonline.it/bosone-di-higgs/ https://cultura.biografieonline.it/bosone-di-higgs/#comments Tue, 09 Apr 2024 21:10:46 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7595 Il Bosone di Higgs è una particella massiva che conferisce massa e quindi peso a tutte le altre particelle dell’universo. In altre parole, la sua esistenza stabilisce l’esistenza della materia. Il bosone, infatti, è un vettore di massa e il suo scopo è conferire densità alle altre particelle fondamentali, cioè ai mattoncini ultimi che costituiscono gli atomi e le molecole e che sono alla base della nostra realtà. Il bosone è stato scoperto teoricamente da Peter Higgs nel 1964.

Chi è Peter Higgs
Peter Higgs

Chi è Peter Higgs?

Peter Higgs è stato uno scienziato scozzese che si è specializzato al King’s College di Londra in Fisica teorica e che ha ricoperto l’incarico di professore di Fisica teorica all’Università di Edimburgo fino al 1996. È stato membro della Royal Society inglese.

Nel 1964 individuò l’esistenza del bosone che conferisce massa all’universo, ultima particella del Modello Standard.

Per questa scoperta è stato candidato al Premio Nobel per la Fisica.

Nel 2011, davanti a tutto il mondo,  fu mostrata l’esistenza empirica del bosone confermando, dopo 47 anni, la sua teoria.

Fotografia di Peter Higgs
Un’altra foto di Peter Higgs

La scoperta del bosone di Higgs

In un paese nel sud della Francia, sulla montagna di Crozet, si possono ammirare una serie di deliziose casette che punteggiano il panorama.

Il silenzio è assordante e la tranquillità di questi ambienti rimanda alle più pacifiche cartoline che illustrano le bellezze della Francia del sud. In realtà, sotto queste case, si trova una delle macchine più complesse che la mente umana abbia concepito. Si tratta di un anello enorme,  il cui diametro misura otto km, e la cui capacità di assorbimento di energia elettrica è pari a quella di una città di medie dimensioni.

È il Large Hadron Collider (LHC), il collisore di androni, una macchina costata miliardi e che vede impegnati migliaia di scienziati nella rilevazione dei dati. E’ stata costruita al CERN di Ginevra, l’Organizzazione europea per la Ricerca nucleare, e il suo scopo è portare alla collisione gli atomi.

Perché si studia la collisione degli atomi?

Schiantando gli atomi fra di loro, gli scienziati cercano di ricreare le condizioni grazie alle quali o durante le quali si è manifestato il Big Bang, cioè l’eruzione cosmica che ha portato alla nascita dell’universo.

Il punto centrale è che nessuno sa come mai le cose che costituiscono tutto ciò che vediamo, non vediamo sentiamo e non sentiamo hanno un peso. Gli scienziati sanno cos’è la materia, la massa, il peso ma non sanno il perché di questo peso. Non ne conoscono la causa.

Nel 1964 il fisico scozzese Peter Higgs ha teorizzato un campo invisibile che nella notte dei tempi permeava il cosmo. Questo campo cominciò a trasformarsi in materia e quindi a formare il peso delle molecole, degli atomi e delle particelle elementari quando l’universo iniziò ad espandersi e a raffreddarsi.

Grazie all’azione di questo campo gli elementi costituenti la materia acquisirono peso, quindi massa. La conseguenza ultima di questo fenomeno siamo noi.

La nostra vita.

Senza questo campo, definito campo di Higgs, le particelle che costituiscono il tutto si muoverebbero ad altissima velocità scontrandosi fra di loro senza produrre alcuna forma della materia.

YouTube video

La particella di Dio

Il Large Hadron Collider è stato realizzato proprio per individuare le particelle che compongono il campo e che sono state denominate bosoni di Higgs. Il 4 luglio del 2012 i media diedero la notizia al mondo che il bosone di Higgs, che chiamarono la particella di Dio, era stato individuato dopo una serie di esperimenti che ne individuavano la presenza con un’approssimazione del 99%.

Tale scoperta assunse un’importanza straordinaria anche per il fatto che il bosone di Higgs era l’ultima particella mancante del Modello Standard, cioè l’insieme delle leggi che descrivono ed elencano tutte le particelle dell’universo.

La scoperta fu presentata dalla scienziata Fabiola Gianotti, ricercatrice presso il CERN di Ginevra e coordinatrice dell’esperimento Atlas (in seguito direttrice), il progetto di ricerca che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs.

Fabiola Gianotti al CERN
L’italiana Fabiola Gianotti, ricercatrice presso il CERN di Ginevra, è stata la coordinatrice dell’esperimento che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs

Un altro motivo per cui questa scoperta è estremamente interessante è che si tratta dell’ultimo capitolo di una storia iniziata nel 1964, quando su un foglio di carta  Higgs elaborò la sua teoria, dando vita ad una caccia costata miliardi, che ha impegnato più di 20 nazioni e quasi diecimila scienziati.

Il libro “Higgs e il suo bosone” di Ian Sample, edito dal Saggiatore, racconta questa storia e permette di approfondire tutti gli elementi di una scoperta che pone nuove questioni di fronte al mistero della creazione.

Peter Higgs per la sua straordinaria scoperta è stato insignito del Premio Nobel per la Fisica 2013.

Si è spento all’età di 94 anni il giorno 8 aprile 2024.

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Illuminismo, i personaggi principali: riassunto per la scuola https://cultura.biografieonline.it/illuminismo-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/illuminismo-riassunto/#comments Tue, 26 Mar 2024 05:42:01 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19649 L’Illuminismo è un movimento intellettuale, politico e ideologico che nacque nell’Europa del Settecento. Esso ha caratterizzato tutto l’orientamento culturale del secolo stesso ed è stato fondamentale perché ha stravolto il pensiero intellettuale e non solo. Nacque in Francia ma si diffuse molto presto in Inghilterra e poi in tutta l’Europa, arrivando perfino al Nord America.

Illuminismo - Enciclopedia
Il frontespizio della “Enciclopedia”, l’opera simbolo dell’Illuminismo

La parola Illuminismo (in francese Lumieres, in inglese Enlightenment) deriva da lume: esso infatti ha lo scopo di illuminare le menti e il mondo, attraverso la ragione, per allontanare le tenebre della superstizione e dell’ignoranza .

Questo movimento, fondamentale per la nascita della cultura moderna, parte da un’idea di fondo. Gli uomini possono salvarsi non attraverso il ruolo di Dio (e quindi attraverso la religione) ma mediante l’uso del libero pensiero.

La rivoluzione dell’Illuminismo

Questo concetto era profondamente rivoluzionario per un periodo, quello del Settecento, da cui si era appena usciti dall’epoca degli assolutismi. I sovrani sfruttavano, quindi, la religione per imporre il proprio potere. Il re in persona veniva considerato diretto discendente divino.

Il Seicento, per molti aspetti, fu quindi un secolo ricco di superstizioni e credenze che non avevano alcun fondamento scientifico. A tutto ciò gli intellettuali reagirono con l’Illuminismo, con lo scopo di creare un nuovo modo di vedere le cose solo attraverso la ragione.

Da un punto di vista politico, l’Illuminismo comportò evidenti cambiamenti. Per la prima volta un movimento mise al centro l’individuo, il suo bisogno di libertà e la creazione di migliori condizioni di vita per tutti. Si affermò, inoltre, il concetto di uguaglianza sociale e di sovranità popolare, temi che avrebbero cambiato per sempre le sorti politiche europee.

Gli illuministi

Il padre dell’Illuminismo può essere considerato John Locke (1632-1704). Egli fu un importantissimo filosofo inglese, creatore dell’empirismo ovvero la teoria secondo la quale la conoscenza dipende completamente dall’esperienza.

Secondo il suo pensiero, quando si deve conoscere qualcosa è importante partire dalla pratica. Perché è solo attraverso l’esperienza che si può capire la realtà. Insieme a Locke, altri grandi intellettuali inglesi  che ispirarono gli illuministi furono Isaac Newton e David Hume.

John Locke
John Locke

In Francia

Le loro lezioni furono quindi recepite in Francia da alcune delle figure che sono diventate i pilastri di questo movimento: Voltaire, Rousseau, Montesquieu, Diderot, Fontenelle, D’Alembert ed altri intellettuali borghesi che si erano formati nei salotti letterari del tempo.

Con questi grandi esponenti nacque la figura dell’intellettuale al servizio dell’umanità. Essi, con le loro opere, intesero diffondere le credenze dell’Illuminismo in tutti i campi del sapere. Dalla politica, alle scienze diffusero i valori e i costumi in modo tale da liberare la cultura dalla superstizione e dall’ignoranza.

Lo scopo primario degli illuministi era infatti quello di creare una cultura aperta a tutti, in nome dell’autonomia della ragione. Soprattutto in nome della fiducia nel progresso legato alle scoperte scientifiche.

L’Enciclopedia

Fondamentale divenne così la stesura di un’enciclopedia che toccasse tutti i saperi e che fosse riscritta secondo i canoni dell’Illuminismo stesso. Nacque così l’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. Sotto la direzione di Denis Diderot per la parte umanistica e di Jean D’Alembert per quella scientifica, l’opera cercò di valicare le differenze tra le diverse discipline per creare un sapere che fosse sempre aperto alla tecnica. A formare la monumentale opera che fu l’Enciclopedia, c’erano 17 volumi. Venne pubblicata tra il 1751 e il 1772.

Denis Diderot
Denis Diderot

Chiaramente, dando molta importanza alla ragione e criticando la religione e le sue credenze, l’Illuminismo entrò in collisione con la Chiesa. Questa inserì le opere degli intellettuali all’indice dei libri proibiti.

L’Illuminismo e la Chiesa

Anche l’Enciclopedia venne aspramente criticata perché la Chiesa era spaventata dalla diffusione di queste nuove teorie. In realtà Voltaire affermò spesso che l’uomo era naturalmente predisposto alla religione, dando vita ad una nuova dottrina chiamata deismo. Il deismo affermava l’esistenza di Dio ma rifiutava tutte le altre forme di religiosità.

In Italia

L’Illuminismo fu un movimento cosmopolita: si diffuse presto in tutto il Nord del mondo. In Italia si ricordano Pietro Verri (fondatore della rivista «Il Caffè») e Cesare Beccaria, che scrisse un trattato sulla pena di morte e la tortura (Dei delitti e delle pene). Questi furono temi davvero innovativi per l’epoca.

Dei delitti e delle pene
Dei delitti e delle pene, un’immagine dell’autore Cesare Beccaria e una delle prime pagine

Verso le rivoluzioni

Le nuove idee di libertà, uguaglianza e fratellanza si diffusero con grande successo tra gli intellettuali. Queste nuove idee aprirono talmente tanto le menti, da portare all’insorgere della Guerra d’Indipendenza Americana (1785-1783) e della Rivoluzione Francese (1789- 1799). Per la prima volta il popolo agì per contrastare l’assolutismo e ribadire i propri diritti di libertà e uguaglianza.

Liberté, Égalité, Fraternité (in italiano Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) sono le parole che compongono un celebre motto francese del periodo dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese. Esso è poi divenuto il motto nazionale della Repubblica Francese.

L’Illuminismo può pertanto essere considerato come un movimento che ha rivoluzionato il mondo, che ha portato grandi conquiste per l’umanità (come affermarono i grandi filosofi tedeschi Marx ed Hegel). Certamente però ha avuto i suoi limiti.

In particolare il fatto che queste idee siano rimaste ferme agli intellettuali borghesi senza il coinvolgimento dell’intera popolazione.

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Inno di Mameli, storia del canto degli italiani https://cultura.biografieonline.it/inno-di-mameli/ https://cultura.biografieonline.it/inno-di-mameli/#comments Mon, 12 Feb 2024 22:02:11 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20125 Il suo titolo è Canto degli Italiani, ma è conosciuto da tutti come Inno di Mameli. L’inno nazionale d’Italia deve la sua nascita ad uno studente ed entusiasta patriota appena ventenne di Genova, Goffredo Mameli. Il testo venne composto nel 1847 con il titolo “Fratelli d’Italia“. Fratelli d’Italia sono proprio le prime parole del testo.

Bandiera italiana
Il tricolore italiano

Successivamente a Torino Michele Novaro, anche lui genovese, trasformò in musica le parole scritte, componendo la melodia che oggi tutti conosciamo. L’Inno di Mameli è stato realizzato in pieno clima rinascimentale, in perfetto stile patriottico.

Fu composto l’otto settembre del quarantasette, all’occasione di un primo moto di Genova per le riforme e la guardia civica; e fu ben presto l’inno d’Italia, l’inno dell’unione e dell’indipendenza, che risonò per tutte le terre e in tutti i campi di battaglia della penisola nel 1848 e 49. (Giosuè Carducci)

Il contesto storico

L’Italia cominciava la dura battaglia che di lì a poco l’avrebbe condotta alla definitiva unificazione. Anche l’autore dell’Inno, Goffredo Mameli, era un giovane e fervente patriota che aveva combattuto a fianco di Garibaldi. Mameli, in uno scontro con i francesi, morì per la ferita ad una gamba, a 22 anni non ancora compiuti.

Goffredo Mameli
Goffredo Mameli

Goffredo Mameli aveva scritto la poesia che poi sarebbe diventata Inno nazionale in maniera spontanea, appassionata, ed infatti il suo componimento fu subito considerato il più adatto a rappresentare l’Italia del Rinascimento. Fervente e avida di libertà.

Una versione poco convincente

Proprio perché scritta di getto, la poesia “Fratelli d’Italia” del giovane Mameli presentava però alcune lacune stilistiche e dei limiti “artistici”. Per questo il patriota Giuseppe Mazzini, nel 1848, chiese a Mameli di scrivere una nuova composizione, che sarebbe stata completata con la musica di Giuseppe Verdi. Il risultato, però, fu davvero poco convincente, sia nel testo che nella musica. Così si ritornò alla versione originaria, che da allora non fu più modificata.

L’Inno di Mameli durante il Fascismo

Negli anni del Fascismo Il canto degli italiani fu messo un po’ da parte. Esso simboleggiava l’Italia risorgimentale, ed i fascisti preferivano che si intonassero le marce da loro realizzate.

L’ufficialità dell’Inno d’Italia

Il 12 ottobre 1946 l’inno di Mameli fu dichiarato ufficialmente Inno nazionale della Repubblica italiana. Da allora, curiosamente, per quanto la melodia sia ormai famosa e apprezzata in tutto il mondo, l’inno “Fratelli d’Italia” è considerato provvisorio.

Da quel giorno sono stati tanti i tentativi di trovare un altro inno che sostituisse quello di Mameli, poiché molti ritenevano che la musica non fosse granché e che il testo avrebbe potuto infastidire il Pontefice (sembra infatti che l’autore non nutrisse molta simpatia per il Vaticano).

Mentre durante il fascismo l’inno di Mameli era stato snobbato, i partiti di destra cominciarono ad apprezzarlo e a considerarlo un simbolo della Patria, quelli di sinistra invece non lo consideravano con favore.

“Fratelli d’Italia” negli anni ’90

Quando negli anni Novanta sulla scena politica italiana fece irruzione il partito della Lega Nord, capeggiato da Umberto Bossi, qualcuno propose di eliminare l’inno nazionale e metterci al suo posto il coro “Va, pensiero“, del “Nabucco” di Giuseppe Verdi. La sinistra, per tutta risposta, cominciò a rivalutare l’Inno di Mameli (forse per fare un dispetto a Bossi e compagni) e a cantarlo durante le manifestazioni sindacali e politiche.

Per rendere l’inno più piacevole dal punto di vista musicale, intervenne l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, che affidò l’inno ad alcuni insigni musicisti, che lo diressero in modo a dir poco magistrale.

Nel 2000, quando Silvio Berlusconi era al potere, un consigliere appartenente a Forza Italia ebbe addirittura la geniale idea di proporre l’eliminazione dell’inno nazionale per farne uno personale a Berlusconi!

L’inno nazionale e gli italiani

La storia dell’inno nazionale è stata sempre alquanto controversa, tra chi ravvisa la necessità di cambiarlo e chi sostiene che gli stessi italiani non lo conoscono come dovrebbero. Ad esempio, ha fatto scalpore che, in occasione di competizioni importanti nel 1994 (quando l’Italia giocò la finale mondiale di calcio contro il Brasile), ma anche più tardi, nel 2002, i giocatori della Nazionale italiana non hanno cantato l’inno di Mameli (forse perché non era di loro gradimento, oppure perché non conoscevano il testo).

Goffredo Mameli, l'autore del Canto degli Italiani, noto anche come Fratelli d'Italia, o Inno di Mameli
Un dipinto che ritrae Goffredo Mameli

Proprio per far sì che l’inno diventasse conosciuto da tutti, tempo fa è stata presentata la proposta di rendere obbligatorio il suo insegnamento nelle ore scolastiche di educazione musicale.

Una cosa è certa: se anche l’inno nazionale non è musicalmente perfetto e il testo presenta qualche difetto stilistico, è innegabile che l’autore Goffredo Mameli fosse giovane e appassionato. Una buona ragione per apprezzarlo e cantarlo nelle varie occasioni in nome di un’Italia che, non dimentichiamolo, ha lottato per raggiungere l’unità.

Canto degli italiani

Testo completo dell’Inno nazionale d’Italia, composto da Goffredo Mameli:

Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popoli, perché siam divisi. Raccolgaci un’unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l’ora suonò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Uniamoci, uniamoci, l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può?

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Dall’Alpe a Sicilia, Dovunque è Legnano; Ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano; i bimbi d’Italia si chiaman Balilla; Il suon d’ogni squilla I vespri suonò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

Son giunchi che piegano le spade vendute; già l’Aquila d’Austria le Penne ha perdute. Il sangue d’Italia e il Sangue Polacco bevè col Cosacco, ma il Cor le bruciò.

Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!

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Valentina: la prima donna nello spazio https://cultura.biografieonline.it/la-prima-donna-nello-spazio/ https://cultura.biografieonline.it/la-prima-donna-nello-spazio/#comments Sat, 03 Feb 2024 10:33:50 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1088 La prima donna ad essere stata lanciata nello spazio è la russa Valentina Tereshkova. Il seguente articolo racconta un po’ della sua vita, di quanto fosse grande la sua passione per il volo, ma soprattutto dell’importanza dell’evento che l’ha portata in orbita il giorno 16 giugno dell’anno 1963.

Valentina Tereshkova
Valentina Tereshkova
Valentina Tereshkova, la prima donna nello spazio
Valentina Tereshkova

Programma Vostok

Programma Vostok è il nome del progetto sovietico di missioni spaziali che porta per la prima volta nella storia un essere umano nello spazio: il 12 aprile 1961 Jurij Gagarin è il primo uomo ad orbitare intorno alla Terra a bordo della capsula Vostok 1. Poco dopo questo storico successo, viene lanciata l’idea di un progetto per l’addestramento di donne cosmonauta (termine sovietico per indicare astronauta).

Valentina Tereshkova
Valentina Tereshkova, prima donna nello spazio

Essendo esiguo il numero di donne pilota, si decide di estendere la ricerca delle candidate prendendo in considerazione anche le paracadutiste. Il 16 febbraio 1962 viene reso noto l’elenco ufficiale delle cinque donne russe scelte per formare il “gruppo donne cosmonauta” e tra loro compare Valentina Tereshkova, appassionata paracadutista e ammiratrice di Jurij Gagarin.

Valentina Tereshkova, prima donna nello spazio

Nata il 6 marzo 1937 a Maslennikowo, cittadina della Russia sul fiume Volga, da giovane lavora in una fabbrica produttrice di pneumatici e successivamente in una produttrice di fili, come sarta e stiratrice.

Consegue il diploma tecnico nel 1960 e il suo sogno si avvera nel 1962 quando riesce a superare l’esame per l’accesso al programma di addestramento per aspiranti cosmonauti. Successivamente al volo della Vostok 1, sono lanciate nello spazio anche la Vostok 2, 3, 4 e 5.

Intanto, delle cinque candidate del “gruppo donne cosmonauta”, una non supera l’esame teorico per l’addestramento, una rinuncia per motivi di salute, due vengono nominate riserve; il 4 giugno 1963 viene nominata ufficialmente Valentina Tereshkova, all’epoca 26enne, quale equipaggio per la missione Vostok 6.

Il lancio della Vostok 6

Il Cosmodromo di Baikonur è la base di lancio più datata ed utilizzata al mondo e pur trovandosi in Kazakistan è sotto l’amministrazione russa; da qui, il 16 giugno 1963, alle ore 12.29 di Mosca, viene lanciata la missione Vostok 6 con a bordo Valentina Tereshkova.

Raggiunta la traiettoria dell’orbita terrestre, riesce ad avvicinarsi alla Vostok 5 (già in orbita, lanciata due giorni prima) fino a 5 km circa ed a mantenere con essa il diretto contatto radio per l’intero primo giorno di missione. Nome in codice della Tereshkova per i collegamenti radio: Čajka, cioè “gabbiano“.

Le capsule Vostok non possono modificare la propria traiettoria di volo, quindi questo “incontro spaziale” è programmato prima del lancio con precisi calcoli.

La cosmonauta riesce a scattare diverse fotografie della Terra e registrare alcuni filmati, durante le 49 orbite terrestri effettuate.

Dopo quasi tre giorni di missione spaziale, il 19 giugno 1963 la Vostok 6 atterra alle ore 8.20 GMT a circa 620 Km a nord-est di Karaganda, in Kazakistan.

La prima donna a volare nello spazio si catapulta dall’abitacolo della capsula attraverso un seggiolino eiettabile ed atterra appesa ad un paracadute.

Valentina TereshkovaQuesta impresa spaziale dà alla Tereshkova grande popolarità: nel 1963 le viene dedicato un francobollo ed una linea di strumentazione fotografica viene chiamata Čajka in onore del nomignolo con cui è nota.

A novembre del 1963 sposa Andrijan Grigor’evič Nikolaev, terzo uomo nello spazio nella missione Vostok 3, da cui divorzia nel 1982, per poi sposarsi con Jurij Šapošnikov, del quale rimane vedova nel 1999.

Onorificenze

La prima donna nello spazio, riceve varie onorificenze tra cui il titolo di Pilota-cosmonauta dell’Unione Sovietica, Eroe dell’Unione Sovietica, Ordine di Lenin, Ordine della Rivoluzione d’Ottobre, Medaglia “Stella d’oro”, Medaglia d’oro Joliot-Curie, World Connection Award consegnato ad Amburgo nell’anno 2004 dal premio nobel per la pace Mikhail Gorbaciov. Una valle lunare viene nominata in suo onore “valle Tereshkova”.

Retroscena della missione

All’età di 70 anni, nel 2007, rilascia un intervista, nella quale racconta per la prima volta alcuni retroscena che hanno caratterizzato lo storico volo, fino ad allora rimasti ignoti.

Con la mente all’evento storico, racconta come i problemi siano sopraggiunti dopo 30 giri orbitali intorno alla Terra, quando i tecnici si sono accorti di un grave errore: la navicella, ad ogni orbita effettuata, non si avvicina alla Terra ma bensì se ne allontana.

Una volta uscita dall’attrazione della gravità terrestre il suo destino sarebbe stato quello di perdersi verso l’infinito. I tecnici prontamente correggono ed impostano i nuovi calcoli per evitare questo disastro.

Preoccupanti problemi vive anche all’interno della navicella in quanto per tutte le 70 ore e 50 minuti del volo rimane legata al sedile, con il pesante malessere causato dall’assenza di peso, con insopportabili dolori alle gambe, nausea e costrizione causata dalla tuta e dal casco sempre indosso.

Valentina Tereshkova
Una foto di Valentina Tereshkova in anni recenti

Inoltre, una volta raggiunto il suolo terrestre, sbatte il viso contro il casco provocandosi lividi e la quasi perdita di coscienza. Viene portata immediatamente all’ospedale. Una volta ripresa e guarita dai traumi, viene riportata nella zona di atterraggio per rifare le fotografie e le riprese, senza ferite e in un clima di maggior tranquillità.

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Penny Black, il primo francobollo: precursore delle comunicazioni globali https://cultura.biografieonline.it/penny-black/ https://cultura.biografieonline.it/penny-black/#respond Fri, 12 Jan 2024 12:03:19 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7020 Il Penny Black è il primo francobollo postale della Storia: emesso il 1° maggio del 1840, fu stampato dalle poste inglesi affinché circolasse nel Regno Unito. Entrò in uso il 6 maggio successivo.

Il contesto storico

Prima di quella data le spese postali venivano pagate in contanti e il costo dipendeva da diversi fattori: peso della spedizione, luogo di destinazione e tempo richiesto per l’arrivo della lettera o del pacco.

Foto del Penny Black
Penny Black: il primo francobollo della storia. Fu emesso il 1° maggio 1840

Le tariffe erano alte e spesso chi voleva usufruire del sistema postale utilizzava sistemi illegali per poter inviare le proprie missive.

Al fine di evitare che aumentasse in modo esponenziale questo sistema parallelo di comunicazione, il Parlamento inglese decise di approvare la riforma di Rowland Hill, che comportava diversi cambiamenti per le poste di Sua Maestà.

La riforma

  1. La riforma comportò una sensibile diminuzione dei costi di spedizione, rendendo così più accessibile, a tutti i cittadini britannici, l’utilizzo delle poste.
  2. La riforma risanò le poste britanniche che si trovavano in una situazione economica disastrata. Inoltre permise una costante affluenza di denaro nelle casse delle poste e dello Stato, grazie alla formula delle buste e delle lettere  prepagate e in seguito con l’emissione del primo valore postale: il Penny Black.
  3. La riforma permise una modernizzazione delle poste e dei mezzi utilizzati per inviare lettere e pacchi, non solo in Inghilterra, ma in tutto l’impero britannico.

Inizialmente, quindi, la riforma stabilì l’emissione di buste e lettere prepagate e solo dopo alcuni mesi, il 1° maggio del 1840, fu stabilita l’emissione di un valore postale, il Penny Black, con l’effige della regina Vittoria che doveva essere apposto sulle buste.

Vittoria del Regno Unito
Vittoria del Regno Unito

L’estetica

Furono eseguiti diversi tentativi prima di giungere  al disegno e al colore che hanno contraddistinto il Penny Black.

Il francobollo misurava 21,6 x 27 mm e riportava l’effige della regina con il profilo rivolto a sinistra.

Il volto e la corona sono bianchi su sfondo nero.

Il disegno fu ripreso da un’incisione dell’artista William Wyon, il quale aveva inciso il profilo della regina per una medaglia commemorativa realizzata nel 1837.

Per l’annullo fu utilizzato un timbro di colore rosso, in modo tale che il disegno dell’annullo fosse più evidente sullo sfondo nero del francobollo.

Il Penny Black, malgrado la sua importanza storica, non è un francobollo costoso, perché la sua tiratura fu molto elevata ed è abbastanza facile, ancora oggi, trovarne esemplari fra collezionisti e negozi specializzati in filatelia.

Nei primi anni 2010 il suo valore si aggirava nei casi migliori fra i 200 e i 400 euro; la variazione di prezzo dipende dallo stato in cui è conservato.

Nel 2021 l’asta inglese Sotheby’s ha stimato il suo valore  tra 1.5 e 2.5 milioni di dollari.

Nel 2023  la CNN l’ha definito così:

«una delle più importanti invenzioni nella storia dell’umanità, il precursore delle comunicazioni globali di massa e la pietra angolare di una delle più popolari forme al mondo di collezionismo».

 

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Come Alessandro I sconfisse Napoleone Bonaparte https://cultura.biografieonline.it/come-alessandro-i-sconfisse-napoleone/ https://cultura.biografieonline.it/come-alessandro-i-sconfisse-napoleone/#comments Thu, 14 Dec 2023 11:17:12 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=41800 Napoleone Bonaparte nella storiografia

La bibliografia su Napoleone e il suo impero è sterminata. Non potrebbe essere diversamente, considerando le implicazioni che l’epoca napoleonica ha avuto per tutta l’Europa. Tuttavia, molti libri che analizzano dettagliatamente la campagna di Russia, in cui Napoleone perse 370.000 uomini dal 1812 al 1814 a causa delle ferite, del freddo e degli stenti, raccontano la sconfitta della Grande Armata ma trascurano o riportano solo marginalmente la complessa struttura organizzativa dell’esercito russo.

Più in generale si suppone che Napoleone abbia perso la guerra a causa del freddo e della non scrupolosa analisi del territorio russo; si analizza la strategia dello zar Alessandro I e dei suoi generali come un’astuta e costante ritirata.

In realtà la storiografia russa, per molto tempo chiusa all’interno dei confini territoriali della ex Unione Sovietica, aveva prodotto mirabili testi che identificavano e analizzavano in dettaglio che tipo di macchina da guerra lo stato maggiore di Alessandro era stato capace di organizzare per contrastare i francesi.

Alessandro I e Napoleone
Lo zar Alessandro I e Napoleone

Alessandro I: analisi superficiali

Inoltre, la figura di Alessandro I spesso è stata considerata più fragile e meno interessante di quella di Napoleone. Il paragone fra i due imperatori stona, in effetti, ma non tanto perché l’imperatore dei francesi sia stato un uomo dal genio militare e politico indiscutibile; quanto perché Alessandro è stato oggetto di un’analisi molto più superficiale.

Negli ultimi anni questa tendenza è cambiata e alcuni saggi si sono concentrati sull’azione diplomatica e militare dei russi, di cui sono stati riconosciuti meriti e capacità. Naturalmente, la campagna di Russia è stata soprattutto raccontata nel suo sviluppo militare mentre non si è scritto abbastanza sull’organizzazione e preparazione della stessa.

Il reclutamento: differenze tra Francia e Russia

Ad esempio, da parte della storiografia inglese e francese si è quasi completamente omesso quale tipo di scelte nel campo del reclutamento delle leve avesse operato lo zar. Infatti, l’esercito francese poteva contare su 600.000 uomini grazie alla coscrizione obbligatoria che impegnava per 25 anni ogni singolo cittadino.

In Russia invece la coscrizione non era così ampia perché i feudatari non volevano privarsi degli schiavi della gleba o trovarsi di fronte, una volta finita la guerra, braccianti e operai militarizzati e che avrebbero potuto creare problemi riguardanti le sommosse o la richiesta di diritti sul lavoro una volta appreso l’uso delle armi e la disciplina militare.

Per questo motivo fu lo zar che, forzando la resistenza del suo stato maggiore e dei suoi consiglieri militari, ebbe la giusta intuizione di cambiare le regole di reclutamento avendo così a disposizione un numero alto di soldati e riserve quando Napoleone decise di invadere la Russia.

L’importanza dei cavalli

Inoltre, uno degli aspetti fondamentali della vittoria dello zar non fu solo la situazione climatica – di certo proibitiva per i francesi impreparati di fronte ad essa – ma fu anche l’utilizzo dei cavalli.

Esistevano all’epoca 25 allevamenti capaci di fornire un numero elevato di cavalli che venivano impiegati a seconda della razza in reggimenti diversi. Questo favorì moltissimo i russi nella guerriglia che sorprese e sconfisse i francesi durante la ritirata.

Vennero utilizzati soprattutto cavalli ucraini capaci di resistere a lunghissime distanze. Mentre nelle battaglie frontali fecero ricorso a razze di cavalli più grandi e robusti per fronteggiare la fanteria e la cavalleria francese.

La Russia e il complesso scenario diplomatico

La preparazione della guerra da parte dell’esercito russo non fu improvvisata ma si giocò su due piani: uno militare e uno diplomatico.

Dal punto di vista diplomatico, Alessandro I dovette lavorare su due contesti differenti, dimostrando intelligenza e lungimiranza: dopo il trattato di Tilsit, in cui la Russia accettava il blocco continentale alle merci inglesi e in cambio otteneva la pace con i francesi e un equilibrio – sebbene precario – delle relazioni internazionali in Europa, l’imperatore di tutte le Russie dovette affrontare una lunga  e complicata strategia della tensione con la sua corte e con molti membri della famiglia imperiale che odiavano a morte Napoleone o che erano preoccupati, e con buoni motivi, che il blocco continentale imposto all’Inghilterra danneggiasse l’economia russa.

In realtà, Alessandro riteneva che la pace con Napoleone fosse essenziale per la riorganizzazione dell’esercito e per poter riformare molte parti del suo governo, appesantito da una burocrazia anacronistica e da posizioni di rendita acquisite dalle famiglie nobiliari che indebolivano la struttura di comando, non premiando il merito ma solo la discendenza di sangue.

L’indipendenza della Polonia

Per riuscire a mantenere un rapporto sul piano diplomatico con l’Inghilterra, al fine di non rompere tutte le relazioni, accettò di far attraccare nei suoi porti alcune navi inglesi con bandiera neutrale e contemporaneamente – per non irritare Napoleone e scongiurare un’invasione che avrebbe avuto conseguenze disastrose per la Russia – mostrò assoluta disponibilità nei confronti dei francesi imponendo che solo la Polonia diventasse uno stato indipendente.

Era infatti proprio questo il problema principale dello zar: che il Ducato di Varsavia e la Sassonia governati dal re sassone alleato di Napoleone potessero costituire uno Stato polacco che avrebbe rappresentato una spina nel fianco dell’impero russo e uno dei ventri molli dei confini imperiali.

Alessandro I e la riforma dell’esercito

Per questo motivo, e per il timore che Alessandro nutriva nei confronti del genio militare dell’imperatore francese e della sua organizzazione militare, lo zar decise una riforma dell’esercito rapida e costosa.

Per realizzare questo progetto nominò Ministro della Guerra Aleksej Arakceev, un uomo duro e disciplinato, con una forte propensione al comando e all’organizzazione.

Arakceev ottenne ampi poteri inimicandosi gran parte della corte, e riuscì a diventare l’unico consigliere militare dello zar.

Aleksej Arakceev

Negli anni in cui si dedicò alla riorganizzazione dell’esercito intervenne soprattutto su alcuni importanti aspetti:

  • attuò una sburocratizzazione delle commesse militari, favorendo società private che fossero rapide ed efficienti nella consegna di moschetti e divise;
  • riorganizzò l’artiglieria con un cambio di ufficiali dalle retrovie alle prime linee e viceversa;
  • istituì scuole di addestramento per i cadetti; aveva rilevato un alto tasso di mortalità e malattie nei reggimenti che arruolavano contadini e servi della gleba a causa dello shock che questi subivano passando dalla vita bucolica alla disciplina dell’esercito;
  • rivide completamente i canali del comando considerando con più attenzione i meriti e con meno benevolenza i legami di sangue.

La sua permanenza non durò molto, soprattutto a causa di un suo errore politico. Ma la sua riforma fu ripresa dai successivi ministri che la portarono ad un livello di evoluzione quasi conclusivo, quando la grande armata di Napoleone entrò in Russia.

Alessandro I e i rapporti con i paesi europei

Le scelte di Alessandro non si limitarono a queste decisioni, assai pericolose (il padre Paolo I fu ucciso da un complotto di corte per molto meno), ma riuscì ad ottenere il pieno appoggio da parte dei nobili alla delicata trattativa che tenne Napoleone lontano dalla Russia per 5 anni.

Nel frattempo, i rapporti con gli altri paesi europei diventavano sempre più difficili, in particolare con l’Austria che, timorosa di perdere il proprio esercito a causa di una forte crisi economica che stava colpendo vari stati europei, premeva per affrontare l’esercito francese.

La politica dello zar, ritenuta da molti contemporanei tiepida al limite della codardia, considerava invece lucidamente un punto essenziale: gli eserciti prussiano, austriaco, inglese e russo assieme non sarebbero riusciti a sconfiggere Napoleone nei territori europei; al contrario un’invasione della Russia avrebbe logorato e indebolito la Grande Armata fino a distruggerla con una guerra tattica che un esercito russo ben armato e rifornito sarebbe stato in grado di sostenere.

La tragedia di Napoleone in Russia, il libro

Appare curioso che solo un libro, uscito nel 2010 e intitolato “La tragedia di Napoleone in Russia”, di Dominic Lieven, abbia ricostruito minuziosamente e con ricchezza di documenti inediti il ruolo del governo di Alessandro I, di cui in questo articolo, peraltro, si presentano solo alcuni aspetti.

Infatti, la storiografia occidentale ha sempre lodato la strategia degli inglesi, la resistenza degli spagnoli e il genio militare di Napoleone considerando la Russia un fortunato partecipante senza strategia ma con un unico, grandioso e implacabile alleato: il clima.

In realtà, sia lo zar che il suo governo, soprattutto dal punto di vista militare, diplomatico e finanziario, hanno condotto un’abile e difficile preparazione alla guerra del 1812 individuando con precisione e umiltà i loro punti deboli e quelli di Napoleone. Hanno costruito una potente macchina da guerra a cui la Storia sta finalmente sta tributando il giusto riconoscimento.

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L’Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia (quadro di Rubens) https://cultura.biografieonline.it/rubens-maria-de-medici-marsiglia/ https://cultura.biografieonline.it/rubens-maria-de-medici-marsiglia/#respond Fri, 03 Nov 2023 10:51:55 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17239 Quando la storia entra a far parte dell’arte e l’arte della storia, i motivi che conducono alla ricerca e allo studio di un capolavoro di questa portata sono innumerevoli ed impossibili da elencare. Il fascino della genialità e la ricompensa in termini di fama e prestigio condussero la storia di Pieter Paul Rubens (1577 – 1640) sulle strada di conquista del cuore di Francia. Citato dal Bellori (1613 – 1696) nella forma italianizzata di Pietro Rubens, il pittore fiammingo della corte di Francia, elaborò, intorno al 1620, ventuno tele per celebrare il destino e le sorti di Maria de’ Medici (1575 – 1642), moglie di Enrico IV (1553 – 1610). L'”Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia” rientra nel ciclo dei dipinti celebrativi della gloria regia, motivo encomiastico che ben si presta all’uso delle allegorie mitologiche tipiche del vocabolario artistico di Rubens.

L'Arrivo di Maria de' Medici a Marsiglia (quadro di Rubens)
L’arrivo della regina a Marsiglia: l’evento ebbe luogo il 3 novembre 1600. Rubens dipinse questo quadro tra il 1622 e il 1625. La tela misura 394×295 cm ed è conservata a Parigi, presso il Louvre.

Il tema riporta alla memoria lo storico sbarco di Maria de’ Medici a Marsiglia, avvenimento che venne accolto con entusiasmo dalla nobiltà francese e che definì le sorti future della corte borbonica.

La genesi del dipinto “Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia”

“Nel fine dell’anno MDCXX. la regina madre (Maria de’ Medici) essendo tornata a Parigi, dopo l’aggiustamento con il Re Luigi suo figliolo, si propose di adornare la nuova fabbrica del suo palazzo di Lucemburgo, e fra le altre cose di dipingere la Galleria. Al quale effetto per la fama, che in Francia correva del Rubens, fu egli chiamato, e si trasferì a Parigi, onorato, e liberalissimamente trattato. Il soggetto fu la vita di essa Regina Maria, moglie di Enrico Quarto, cominciando dalla nascita sino alla pace, e reintegrazione col figliuolo, dopo la ritirata a Blois. E perché quella Galleria è situata in modo, che dall’uno e dell’altro lato, riguarda nel giardino con dieci finestre per lato, collocò nei vani infraposti le storie tra una finestra e l’altra, che sono in tutto ventuno quadri ad olio, alti dodici piedi, e nove larghi; cioè dieci quadri per lato, ed uno in testa, i quali il Rubens dipinse in Anversa con poetiche invenzioni, corrispondenti alla grandezza della Regina” (BELLORI).

Il pittore, servendosi di un impianto allegorico di tipo mitologico, portò sulla tela le più note vicende storiche legate alla figura della regina di Francia Maria de’ Medici con lo scopo di glorificarne il ricordo, mettendo in evidenza la maestria nella conquista del prestigio di una giovane donna alla corte di Francia.

Con la reggenza napoleonica il palazzo del Lussemburgo venne riqualificato come sede del Senato, con ciò le tele furono trasferite nel museo del Louvre dove, agli inizi del XX secolo, furono collocate in una sala espositiva appropriata.

I protagonisti: l’arte e la storia

Il matrimonio tra Enrico IV di Borbone e Maria de’ Medici si concretò sotto il segno dell’opportunismo politico: la ricchezza della famiglia de’ Medici portò alla riconosciuta qualifica di “banchieri di Francia”, condizione che volgeva con gran favorevolezza all’indebolita corona francese. Una dote di 600.000 scudi d’oro assunse le fattezze di un matrimonio vantaggioso quanto infelice, un guadagno netto per il regnante di Francia che vedeva in siffatto modo estinguere l’enorme debito contratto nei confronti delle banche medicee, e che nell’immediatezza comportava un rimpolpamento consistente dei forzieri reali.

Il matrimonio fu suggellato, nel marzo del 1600, con la firma del contratto matrimoniale; la celebrazione ufficiale nelle nozze si protrasse per tre mesi sia in Francia sia in Toscana per concludersi in fine a Firenze dove, in assenza del re, il “favori des rois” Roger II de Saint – Lary de Bellegarde (1562 – 1646) colmò l’assenza regale “sposando”, il 5 ottobre del 1600, la poco più che ventenne Maria de’ Medici, nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore.

Maria de' Medici
Maria de’ Medici

Dopo le nozze per procura Maria de’ Medici lasciò Firenze per Livorno, imbarcandosi per Marsiglia il 23 ottobre dello stesso anno, raggiunse la meta francese il terzo giorno di novembre.

Maria de’ Medici

L’arrivo della futura regina di Francia fu accolto con gaudio dai vertici dell’aristocrazia marsigliese rappresentati da Antoinette de Pons (1570 – 1632), marchesa di Guercheville e dama d’onore scelta di Maria de’ Medici.

L’arrivo in Francia della rampolla de’ Medici segnò l’inizio di una lunga serie di avvenimenti legati alla vita intima e regale della giovane sposa di Enrico IV, la quale seppe combinare l’arguzia del suo ingegno a vantaggio di una politica demolente e ostacolante di un potere femminile in ascesa.

La giovane de’ Medici seppe conquistare l’agognato scettro resistendo alle riluttanze della figura coniugale e all’opportunismo avventato del Duca di Richelieu (1585 – 1642) che lei stessa appoggiò nell’avanzamento cardinalizio del 1622.

Maria de’ Medici fu una donna scaltra, nascondendo nel corpo femmineo il cuore di un grande sovrano seppe guardare con affetto ogni forma d’arte, tanto da sviluppare questa sua passione in forme di amicizia con chi era in grado di comprenderne il gusto sontuoso e di assecondarne la vanità; consolidò un forte rapporto di amicizia con Rubens, con cui trascorse da esule gli ultimi anni della sua vita e per cui essa provava la profonda gratitudine per l’eternità che il pittore l’aveva donato grazie alla serie di dipinti dedicati alla sua persona.

Il 1642 fu un anno particolarmente significativo per le sorti dei sovrani di Francia: in seguito alla morte di Maria a Colonia e di Luigi XIII, salì sul trono di Francia Luigi XIV, il “Re sole”, il quale si raffigurò come il protagonista di una nuova e densa fase della storia nazionale.

Note tecniche e descrittive del quadro

Nella tela nota come l’ “Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia” Rubens rappresentò in chiave del tutto mitologica lo sbarco di Maria de’ Medici al porto di Marsiglia.

Il Bellori nelle “Vite dei pittori, scultori ed architetti moderni” presenta una lunga lista descrittiva sulle “Immagini della Regina Maria, moglie del re Enrico IV. Dipinte nella Galleria di Lucemburgo”, dove la tela sopracitata viene descritta come la sesta di ventuno tele:

“Vedesi dopo lo sbarco al porto di Marsilia, figuratavi la Francia; il Vescovo, che va incontro a ricevere la Regina nel baldacchino sopra un ponte di barche riccamente adorno. Scorre in aria la Fama, e con la tromba annunzia a’ popoli la sua venuta, e seco Tritone nel mare suona la buccina con Nettuno, e le Sirene, restando nel porto le galere del Pontefice, e di Fiorenza, con quelle di Malta, scorgendosi sopra la più ricca d’oro, un cavaliere vestito di nero con la Croce bianca; ed allo sparo de’ cannoni lampeggia di lieta caligine il cielo” (BELLORI).

Come è possibile dedurre da questo breve estratto, le allegorie sono assai numerose, di fatti, il nobile corteo, preceduto dall’impersonificazione della Fama, è a sua volta accolto da due donne rappresentanti la Francia e la città di Marsiglia.

L’uso di tali ingegnosi accorgimenti allegorici trova la sua ragione principale nella necessità di non disturbare la sensibilità della giovane sovrana, il cui carattere irascibile e orgoglioso preoccupava e allarmava chiunque avesse l’onore di conoscerla di persona.

Osservando la tela si coglie immediatamente l’invisibile linea di demarcazione che separa la scena in due parti ben distinte, inganno ben reso grazie alla presenza grafica della passerella della nave posta esattamente al centro della quinta.

Sirene (dettaglio del quadro: Arrivo della regina a Marsiglia)
Un dettaglio del quadro “Arrivo di Maria de’ Medici a Marsiglia”: le sirene. Il loro colore candido è in netto contrasto con quello dei drappi rossi.

Commento

La dinamicità nella solennità è resa percepibile dalle sirene e dai tritoni che, nudi e spogliati dall’umana civiltà, ondeggiano tra le agitate onde del porto di Marsiglia, in un perenne conflitto con la soffice eleganza dell’agiata vita di corte che invece domina la scena terrestre.

Come in un palcoscenico oltraggiato da una scenografia troppo grezza e soffocante, lo sbarco è rappresentato nel tripudio di un’ imponente resa di dettagli e personaggi nobilmente abbigliati, condizione che non intralciò l’ impeto espressivo del pittore fiammingo che seppe in egual misura creare

“meravigliosi effetti di leggerezza, soprattutto con la stesura mobile e veloce della materia pittorica, peraltro sempre tipica della sua foga espressiva” (DAVERIO).

Un secondo evidente contrasto emerge chiaramente nell’uso di colori fortemente antitetici: il rosso dei drappi, ad esempio, crea un leggiadro effetto di risalto da quel “candore madreperlaceo” che invece caratterizza le blasonate stoffe oppure i corpi torniti delle seducenti sirene.

Note Bibliografiche
G. P. Bellori, Vite dei pittori, scultori ed architetti moderni, Niccolò Capurro, Pisa, MDCCCXXI
P. Daverio, Louvre, Scala, Firenze, 2016

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Galileo e il suo telescopio https://cultura.biografieonline.it/galileo-e-il-suo-telescopio/ https://cultura.biografieonline.it/galileo-e-il-suo-telescopio/#comments Fri, 20 Oct 2023 14:30:04 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=365 Galileo GalileiIl 21 agosto 1609 Galileo Galilei rivoluzionò il mondo dell’astronomia: presentò al governo veneziano il suo cannocchiale. Ebbe il merito del perfezionamento e del primo uso astronomico delle lenti, che furono costruite nel 1607 da occhialai olandesi.

Lenti rivoluzionarie

Per la costruzione del suo telescopio, Galileo usò le sue mani: levigò le lenti, le combinò in modo congeniale, assemblò i vari pezzi. Costruì un tubo in legno, con due lenti di vetro alle estremità, una concava e l’altra convessa, il tutto accorpato con vari accessori. Unì quindi la consapevolezza del legame tra i suoi strumenti e il metodo scientifico, alla sua eccezionale abilità nel progettarli e costruirli. Con il risultato di riuscire a moltiplicare il potere d’ingrandimento del suo telescopio da 3x (tre ingrandimenti), fino a 8x, raggiungendo poi i 20-30 ingrandimenti.

Le lenti olandesi si trasformarono a tutti gli effetti nel telescopio galileiano.

Tramite il suo genio, fu possibile quindi osservare per la prima volta il cosmo, con uno strumento ben più potente e “scientifico” dell’occhio nudo.

Diresse il suo strumento verso il cielo e la prima cosa che osservò fu la Luna, che non si rivelò liscia come si riteneva fosse fino ad allora, ma individuò le sue montagne e crateri.

Notò le regioni chiare e quelle scure, e ottenne le prime informazioni sui moti lunari. Osservò le fasi di Venere e le macchie solari, osservò Saturno ma senza distinguere gli anelli, che scambiò per rigonfiamenti del pianeta stesso, pensando quindi che fosse un pianeta “tricorporeo”.

Scoprì la costituzione stellare della Via Lattea, con i suoi ammassi di stelle e corpi celesti, individuò i quattro maggiori satelliti di Giove (Io, Europa, Ganimede, Callisto) che chiamò “satelliti medicei”, per rendere omaggio alla famiglia dei Medici.

La scoperta di questi elementi confutavano la tesi che tutti i pianeti girassero intorno alla Terra, confermando invece la teoria eliocentrica di Niccolò Copernico, a discapito di quella geocentrica di Aristotele, che sosteneva erroneamente l’esistenza di un universo con la Terra posta al centro.

Un cannocchiale di nome Telescopio

Galileo battezzò il suo cannocchiale “Telescopio” (dal greco tele = “lontano” e skopeo = “osservo”) e le sue scoperte furono pubblicate il 12 marzo 1610 nel Sidereus Nuncius.

Telescopio di Galileo GalileiUnì scienza e tecnica, mostrando la prima applicazione del telescopio rifrattore, in cui l’immagine viene focalizzata attraverso l’utilizzo di lenti magistralmente assemblate.

Grazie a Galileo, in 400 anni la visione dell’universo si è completamente rivoluzionata.

Dove sono oggi i telescopi di Galileo

I due soli telescopi di Galileo esistenti al mondo sono attualmente conservati presso il Museo Galileo – Museo di Storia delle Scienze di Firenze.

Disse Galileo:

Io stimo più il trovar un vero, benché di cosa leggiera, che ‘l disputar lungamente delle massime questioni senza conseguir verità nissuna”.

Galileo
Galileo

Un altro esempio nella storia dell’umanità di un uomo alla ricerca della verità, che cerca una spiegazione a ciò che osserviamo, senza credere ciecamente alle teorie di chi, per ignoranza, nega qualsiasi verità che non sia “conforme” ad alcuni preconcetti.

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Israele, Palestina e i conflitti arabo-israeliani https://cultura.biografieonline.it/guerra-israele-palestina/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-israele-palestina/#comments Mon, 09 Oct 2023 12:11:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3402 Il confitto fra lo Stato di Israele e i palestinesi ha coinvolto gli stati arabi in uno dei conflitti più complessi duraturi e pericolosi della storia contemporanea. Non ha avuto solo conseguenze di carattere militare ma anche economico, incidendo sulla crescita dei prezzi del petrolio e sull’evoluzione del terrorismo internazionale.

Israele e Palestina, le bandiere
Israele e Palestina, le bandiere

Israele e Palestina

Il popolo ebraico cominciò ad insediarsi in Palestina nei primi anni del ‘900 ispirati dai ragionamenti di Theodor Herzl che strutturò i fondamenti ideologici del sionismo, predicando uno Stato ebraico nel quale avrebbero dovuto trovare dimora tutti gli ebrei del mondo. Tuttavia il sionismo ebbe un’accelerazione grazie all’intervento di uno Stato europeo, l’Inghilterra che a causa del suo coinvolgimento nella Prima guerra mondiale aveva bisogno dell’appoggio degli ebrei inglesi e pertanto il Ministro degli esteri della Gran Bretagna dichiarò nel 1917 che il governo di Sua maestà avrebbe considerato favorevolmente la nascita di un luogo dove il popolo ebraico potesse insediarsi.

Successivamente nel 1918, dopo il crollo dell’Impero ottomano, la Gran Bretagna fu incaricata dalla Società delle Nazioni di gestire il territorio della Palestina. Negli anni ’20 gli insediamenti ebraici aumentarono notevolmente provocando scontri con le popolazioni arabe che erano fortemente preoccupate che la presenza di insediamenti ebraici avrebbe limitato la loro indipendenza. Gli scontri fra arabi ed ebrei proseguirono anche negli anni’30 senza che si giungesse ad alcuna risoluzione.

Dopo la Seconda guerra mondiale e soprattutto a causa dell’Olocausto e della soluzione finale organizzata dai nazisti con l’intento di sterminare tutti gli ebrei d’Europa, l’immigrazione verso la Palestina di persone di religione ebraica aumentò sensibilmente. Il governo britannico però impose un’immigrazione controllata causando fortissimi malumori alle organizzazioni ebraiche.

Per contrastare l’amministrazione britannica gruppi combattenti sionisti come l’Irgun e la Banda Stern iniziarono una serie di campagne violente contro gli inglesi i quali nel 1947 decisero di rimettere il loro mandato all’ONU che nel frattempo aveva sostituito la Società delle Nazioni. L’ONU approvò la divisione della Palestina fra arabi e israeliani ma questa decisione non fermò gli scontri che anzi si intensificarono e il 14 maggio 1948 il popolo ebraico stanziato in Palestina dichiarò la nascita dello Stato ebraico.

Le guerre fra arabi e israeliani

Gli Stati vicini al territorio definito come Stato di Israele reagirono violentemente e attaccarono subito il nuovo Stato. Questo scontro fu definito come Prima guerra arabo-israeliana: causò molti morti e l’esodo di circa 500.000 arabi che dovettero lasciare la Palestina mentre i 200.000 restanti vennero alloggiati nei campi profughi in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Questa situazione sviluppò il nazionalismo arabo e la propaganda contro il governo di  Israele e il popolo ebraico, che vennero accusati di operare uno sterminio contro il popolo arabo. Tale contrasto ideologico si acuì dopo la Seconda guerra arabo-israeliana nata a causa della crisi dello stretto di Suez del 1956.

Una mappa che riassume l'evoluzione dell'occupazione dei territori palestinesi
Una mappa che riassume l’evoluzione dell’occupazione dei territori palestinesi

La crisi di Suez

Il Presidente egiziano Nasser che credeva fortemente nel nazionalismo arabo decise nel luglio del 1956 di nazionalizzare al compagnia che gestiva il canale di Suez il cui capitale era in gran parte di proprietà anglo-francese.

Gran Bretagna e Francia non accettarono di buon grado la decisione e si accordarono segretamente con Israele affinché quest’ultimo conquistasse il Sinai con il pretesto di eliminare le basi dalle quali venivano sparati missili contro Israele, mentre le truppe anglo-francesi avrebbero protetto il canale.

Una foto del Canale di Suez
Una foto del Canale di Suez

La comunità internazionale reagì negativamente a questa guerra e in particolare gli USA, che non erano stati avvertiti dell’accordo, iniziarono a fare pressione sull’Inghilterra perché ritirasse le sue truppe dall’Egitto.

Le nazioni Unite seguirono le decisioni americane e iniziarono a chiedere insistentemente il ritiro delle truppe anglo-francesi.

Nel dicembre del 1956 tutti gli eserciti si ritirarono e il Presidente Nasser ottenne un successo personale molto importante diventando il vessillo della lotta per l’indipendenza araba.

Terza guerra arabo-israeliana

La Terza guerra arabo-israeliana iniziò nel giugno del 1967 quando il governo egiziano chiese il ritiro delle truppe ONU che erano stanziate sul Sinai dalla crisi di Suez. Quando l’esercito egiziano raggiunse il Sinai le truppe israeliane attaccarono contemporaneamente l’Egitto riconquistando il Sinai, la Siria conquistando le alture del Golan e la Giordania impossessandosi della Cisgiordania.

La guerra durò solo sei giorni ed è per questo che è conosciuta universalmente come La guerra dei sei giorni. Il governo israeliano decise di mantenere il controllo dei territori e di non restituirli agli Stati vinti nemmeno sotto il controllo dell’ONU. Questa ulteriore guerra provocò l’esodo di altri arabi.

Quarta guerra arabo-israeliana

La Quarta guerra arabo-israeliana scoppiò a causa dell’attacco che Siria e Egitto ordinarono ai rispettivi eserciti contro lo Stato di Israele. La guerra iniziò il 6 ottobre 1973 durante la festa ebraica dello Yom Kippur. I combattimenti furono molto aspri e spinsero gli Stati Uniti d’America ad alzare il livello di allarme nucleare a causa dell’errato sospetto  che anche l’Unione Sovietica volesse entrare nel conflitto.

Il 24 ottobre cessarono le ostilità e Israele riuscì a mantenere i territori che aveva occupato durante i precedenti conflitti. Come conseguenza dell’appoggio internazionale gli stati arabi – possessori dei principali giacimenti petroliferi – alzarono il prezzo del greggio per barile a livelli mai prima raggiunti, facendo precipitare il mondo intero in una crisi economica di proporzioni recessive.

Nel 1978 con gli accordi di Camp David Israele restituì il Sinai all’Egitto e il governo egiziano riconobbe il diritto ad esistere dello Stato Israeliano. Il conflitto ebbe però un altro picco quando Israele invase il Libano per eliminare l’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina). Questo attaccò influì profondamente sulle relazioni fra arabi e israeliani generando atti di violenza che culminarono con la prima intifada (rivolta) che si sviluppò nei territori occupati.

Accordi di Camp David del 1978 – da sinistra: il presidente egiziano Anwar al-Sadat, Jimmy Carter e il primo ministro di Israele Menachem Begin

Gli accordi di Oslo - Da sinistra Rabin, Clinton e Arafat
Accordi di Oslo – Da sinistra Rabin, Clinton e Arafat (13 settembre 1993)

Yasser Arafat leader dell’OLP cercò a questo punto una soluzione pacifica che ottenne una risposta positiva da parte di Yitzhak Rabin, capo del governo israeliano.

Questo processo di pace fu osteggiato dagli estremisti islamici, Hamas e Hezbollah, e dagli estremisti israeliani.

Rabin nel 1993 fu ucciso proprio da uno di questi estremisti.

Da quel momento in poi si sono avute alterne vicende nel percorso dei colloqui di pace.

Israele ha continuato a costruire insediamenti in Cisgiordania e Hamas ha continuato a colpire civili e militari con atti di terrorismo di varia natura.

Questa situazione non risolta ha alimentato l’odio e ha accresciuto il pericolo di attacchi terroristici in tutto il mondo, il più clamoroso dei quali è l’attentato alle Torri gemelle di New York avvenuto l’11 settembre 2001.

Gli anni 2020

Gli episodi negli anni seguenti si sono susseguiti con frequenze alterne.

Un altro momento particolarmente clamoroso per la sua gravità è stata la riprese delle ostilità il 7 ottobre 2023: i palestinesi hanno dato il via all’operazione indicata come “Diluvio al-Aqsa”, lanciando 5 mila razzi e organizzando incursioni di guerriglieri nel sud di Israele. Nelle ore successive si contavano circa 800 morti: la strage di civili più grave della storia dei conflitti tra Israele e Palestina.

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I Patti Lateranensi del 1929: riassunto https://cultura.biografieonline.it/patti-lateranensi/ https://cultura.biografieonline.it/patti-lateranensi/#comments Thu, 28 Sep 2023 18:38:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17904 Dopo l’Unità d’Italia, avvenuta nel 1861, gli italiani cominciarono a pensare a uno Stato unitario di carattere liberale. I rapporti con la Chiesa furono molto difficili. Una delle ragioni dello scontro fu soprattutto causata da quest’ultima che faceva parte del territorio italiano: rivendicò dall’inizio il suo essere Stato. Si giunse così alla sottoscrizione di un accordo di mutuo riconoscimento: i Patti Lateranensi.

Patti Lateranensi
Patti Lateranensi: illustrazione tratta da “La Domenica del Corriere” (24 febbraio 1929), supplemento al Corriere della Sera

Re Vittorio Emanuele II e la Battaglia di Porta Pia

Anche prima dell’Unità, si crearono tra gli “staterelli” che occupavano il territorio italiano e lo Stato della Chiesa delle piccole fratture. Esse cessarono in un certo qual modo con l’unificazione territoriale. Questa si completò nel 1870 attraverso un’azione militare voluta dal Re Vittorio Emanuele II contro la Roma Pontificia.

Ciò ebbe il suo culmine con la Battaglia di Porta Pia: i bersaglieri dell’esercito regio riuscirono a penetrare all’interno di essa rompendo le flebili difese delle truppe pontificie.

I partiti e la Chiesa

Dal 1870 al 1918, l’Italia fu caratterizzata da un governo liberale: i nuovi politici aderirono, per la maggior parte, alla Chiesa Cattolica ma il Papa non prese loro molto in considerazione, poiché nel corso di questi anni, nel nostro paese, non vi erano ancora presenti dei partiti di Chiesa, ossia dichiaratamente cattolici.

Il 1918 fu un anno chiave da questo punto di vista.

Nacque il Partito Popolare Italiano, un partito di cattolici, ma non clericale come fu quello della Democrazia Cristiana molti anni dopo.

Il Papa fu comunque contento e decise di sponsorizzare l’avvio di questo nuovo partito. Anche perché la Chiesa capì che era ormai importante avere uno strumento politico all’interno di un nuovo sistema che si stava sviluppando.

Mussolini e la Chiesa

Qualche anno dopo, precisamente dal 1922 in poi, vi fu l’avvento di Benito Mussolini. Il Duce capì che non poteva governare perfettamente senza il supporto clericale, nonostante fosse un ateo convinto e nonostante credesse nella laicità dello Stato.

Mussolini decise di avvicinarsi alla Chiesa con diverse manovre strategiche per attirare a sé le simpatie della comunità ecclesiastica.

Come ad esempio:

  • l’introduzione dei cappellani militari,
  • l’affissione del crocifisso negli edifici pubblici (scuole, uffici),
  • l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole.

Furono inoltre gettate le basi per la costruzione dell’Università Cattolica di Milano. Nel frattempo, nel 1926, il Partito Popolare Italiano venne sciolto proprio dal regime fascista.

I rapporti tra Pio XI e Mussolini si rafforzarono: il Papa definiva il Duce come “Uomo della Provvidenza“, perché credeva che, grazie alla sua personalità e alla sua politica, la pericolosità del comunismo bolscevico non sarebbe mai subentrato in Italia.

Inoltre Mussolini rinunciò al suo anti-clericarismo riconoscendo la forza e l’influenza del Vaticano sul popolo Italiano.

C’erano dunque tutti i presupposti per una riappacificazione consensuale.

Le trattative tra il governo Mussolini e la Santa Sede ebbero inizio nel 1926 nel segreto più assoluto.

Il negoziatore per lo stato fascista fu inizialmente il consigliere di Stato Domenico Barone; per il Vaticano fu l’avvocato Francesco Pacelli, fratello del futuro papa Pio XII (Eugenio Pacelli).

Patti Lateranensi - firma di Benito Mussolini
Una foto del momento della firma di Benito Mussolini

I Patti Lateranensi (o Patti del Laterano)

Nel gennaio del 1927, Barone morì e le trattative furono continuate da Mussolini in persona; esse terminarono l’11 febbraio 1929 con la nascita e la firma dei Patti Lateranensi (o del Laterano, o Trattato del Laterano) in nome dell’edificio in cui furono stipulati e dichiarati. Le firme poste furono quelle del Duce e del cardinale Pietro Gasparri.

Patti del Laterano - protagonisti
Una foto storica con i protagonisti dei Patti del Laterano. Al centro, seduti: il cardinale Gasparri e Benito Mussolini.

I Patti Lateranensi furono distinti in tre accordi principali:

  1. il primo fu un trattato internazionale che diede origine allo Stato del Vaticano, il più piccolo Stato del Mondo;
  2. con il secondo accordo il governo diede una convenzione finanziaria, grazie alla quale il Regno d’Italia risarcì il Papa per la perdita dello Stato Pontificio con la Questione Romana del 1870;
  3. nel terzo accordo vi fu un concordato che regolò i rapporti fra lo Stato e la Chiesa.

Dopo la caduta del fascismo, il concordato creò molti problemi per l’assemblea costituente durante la composizione della Costituzione Italiana: esso venne rivisto nel 1984 per rimuovere la clausola riguardante la religione di Stato della Chiesa cattolica in Italia. Il nuovo concordato fu firmato a Villa Madama, a Roma, da Bettino Craxi (Presidente del Consiglio del periodo storico) per lo Stato Italiano e dal cardinale Agostino Casaroli in qualità di rappresentante della Santa Sede.

Le modifiche apportate furono diverse: la Chiesa cattolica, da quel momento in poi, sarebbe stata finanziata dall’Irpef attraverso il cosiddetto Otto per Mille; la nomina dei vescovi non avrebbe più avuto bisogno dell’approvazione del governo italiano; l’ora di religione nelle scuole, da obbligatoria diventò facoltativa.

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