Hai cercato 9 Maggio - Cultura https://cultura.biografieonline.it/ Canale del sito Biografieonline.it Thu, 03 Oct 2024 10:21:30 +0000 it-IT hourly 1 Energia nucleare: perché è potente e perché è pericolosa? https://cultura.biografieonline.it/energia-nucleare-potente-pericolosa/ https://cultura.biografieonline.it/energia-nucleare-potente-pericolosa/#comments Wed, 02 Oct 2024 09:20:43 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=42424 L’energia nucleare è una forma di energia potentissima. Tuttavia è una delle fonti energetiche più controverse del nostro tempo. Da un lato, offre incredibili valori di potenza ed efficienza. Dall’altro, comporta rischi altissimi.

In questo articolo, esploreremo perché l’energia nucleare è così potente e al contempo pericolosa.

Energia nucleare - Illustrazione
Energia nucleare – Illustrazione

Premesse storiche

Un chilo di combustibile nucleare (uranio e plutonio) può produrre un’energia pari a 3 milioni di chili di carbone.

Nei reattori nucleari i nuclei dell’uranio vengono bombardati con particelle chiamate neutroni.

Questi rompono il nucleo degli atomi di uranio trasformandoli in nuclei più piccoli: in tal modo si libera un’enorme quantità di energia.

Il primo reattore nucleare fu costruito a Chicago (USA) nel 1942, grazie alle ricerche e agli esperimenti svolti dal fisico italiano Enrico Fermi, che per primo produsse energia nucleare mediante una controllata reazione a catena dell’uranio.

In brevissimo tempo, purtroppo, l’energia nucleare e i suoi studi si rivolsero in direzione degli scopi bellici.

Nel 1945, al termine della seconda guerra mondiale, le prime bombe atomiche furono scagliate sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki: uno degli episodi più tristi e sconcertanti della storia moderna.

Hiroshima, 6 agosto 1945: lo scoppio della bomba atomica
Hiroshima, 6 agosto 1945: lo scoppio della bomba atomica

La reazione nucleare causa, oltre all’energia, l’emissione di radiazioni che oltre una certa soglia diventano mortali per gli esseri viventi.

Una foto di Hiroshima rasa al suolo dalla bomba atomica
Una foto di Hiroshima rasa al suolo dalla bomba atomica

Ecco perché i reattori delle centrali nucleari sono protetti da spessi scudi per impedire la fuoriuscita di radioattività.

Il 27 aprile 1986, in Ucraina, uno dei quattro reattori della centrale di Chernobyl esplose causando un disastro ambientale.

Chernobyl, la centrale nucleare
Chernobyl, la centrale nucleare

Venne sprigionata una radioattività pari a quella della bomba atomica su Hiroshima.

Gli effetti si fecero sentire in tutta Europa – anche in Italia, e riguardarono la salute degli abitanti, i terreni e i raccolti.

L’incidente segnò l’avvio di un aspro dibattito sull’energia nucleare che portò a una maggiore consapevolezza sui rischi, la potenza e la pericolosità del nucleare.

A distanza di anni, nel 2011, a causa di un terremoto seguito da uno tsunami, si verificò un altro disastro: quello della centrale atomica giapponese di Fukushima.

Fukushima
Fukushima

Fatte queste premesse storiche ed essenziali, proviamo a spiegare perché l’energia nucleare sia così potente e così pericolosa.

Perché l’energia nucleare è potente ed efficiente

Come dicevamo essa deriva dalla fissione degli atomi di uranio o plutonio. Questo processo rilascia una quantità di energia enormemente superiore a quella ottenuta dalla combustione di combustibili fossili.

Le centrali nucleari possono funzionare in modo costante, ininterrottamente per mesi, fornendo un’affidabile base di carico per la rete elettrica.

Durante il funzionamento, le centrali nucleari non emettono gas serra, contribuendo alla lotta contro il cambiamento climatico.

Nonostante gli alti costi iniziali, l’energia nucleare può essere economicamente vantaggiosa nel lungo termine grazie ai bassi costi del combustibile.

Perché è pericolosa

Eventi come Chernobyl e Fukushima dimostrano le potenziali conseguenze devastanti di un incidente nucleare.

Le scorie nucleari rimangono radioattive e quindi pericolose per migliaia di anni, ponendo sfide significative per lo stoccaggio a lungo termine.

La tecnologia nucleare può essere utilizzata per scopi militari, aumentando i rischi di proliferazione di armi nucleari.

L’estrazione dell’uranio e la costruzione di centrali nucleari possono avere effetti molto negativi sull’ambiente circostante.

In sintesi

L’energia nucleare rappresenta una fonte di energia potente e a basse emissioni, ma i suoi rischi non possono essere ignorati.

Il futuro dell’energia nucleare dipenderà dalla capacità dell’uomo di bilanciare i benefici con una gestione responsabile dei suoi pericoli.

Il dibattito è costantemente aperto, soprattutto tra politici e ambientalisti, chi a favore e chi contro il nucleare.

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Nighthawks (Nottambuli), quadro famoso di Edward Hopper: significato https://cultura.biografieonline.it/nighthawks-nottambuli-quadro-famoso-di-edward-hopper/ https://cultura.biografieonline.it/nighthawks-nottambuli-quadro-famoso-di-edward-hopper/#comments Wed, 25 Sep 2024 13:12:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=4704 Nighthawks (Nottambuli), è uno dei quadri più famosi di Edward Hopper e uno dei più simbolici dell’arte americana del XX secolo.

Il quadro è stato dipinto nel 1942, utilizzando la tecnica olio su tela, la sua misura è 30 x 60 cm.

Soggetto rappresentato: significato e messaggio

Rappresenta la solitudine e la desolazione che impregna l’atmosfera di un bar nella New York degli anni ’40, dove alcune persone  stanno sedute al bancone di un bar.

Nighthawks (Nottambuli), quadro famoso di Edward-Hopper (1942)
Nighthawks (Nottambuli), quadro famoso di Edward-Hopper (1942) – Dimensioni: 84 cm x 1,52 m – Art Institute of Chicago Building

La desolazione che si prova guardando queste figure anonime, vuote e che fra loro non comunicano, quasi fossero dei manichini, è totale.

Edward Hopper
Edward Hopper

Tuttavia Edward Hopper stesso, a proposito di questo quadro, dichiarò che non lo considerava un’espressione di solitudine in senso individuale, quanto meno non era questa la sua intenzione.

Più che altro per lui si trattava della solitudine che derivava dal vivere in una grande città.

In risposta a una domanda sulla solitudine e il vuoto nel dipinto, Hopper ha sottolineato che “non lo vedeva come particolarmente solitario”. Ha invece detto:

Inconsciamente, probabilmente, stavo dipingendo la solitudine di una grande città.

Il tema della solitudine

L’impatto psicologico che il quadro produce sullo spettatore, ha una profondità importante, perché si sviluppa con la rappresentazione di momenti di vita reale.

Il tema della solitudine, della noia e dell’alienazione ha contraddistinto gran parte della pittura di Hopper che ha interpretato il malessere della società americana dopo la Grande depressione del 1929.

Si veda ad esempio anche il quadro: Automat (Tavola calda) oppure Chop Suey.

Automat - Tavola calda - quadro - Hopper
Automat (Tavola calda), Edward Hopper, 1927 • Pittura a olio, 71 cm x 91 cm • Il quadro è conservato presso il Des Moines Art Center, Iowa (USA) • L’opera è attribuibile ai periodi: Neoclassicismo, Modernismo

Edward Hopper ha dato forma alla disperazione nelle sue sfumature più difficili da cogliere e l’ha legata alla alienazione derivante dal vivere nelle grandi città.

Qui infatti spesso si ritrovavano persone provenienti dalla provincia, in cerca di lavoro e di nuove opportunità.

Alcune curiosità

La moglie di Hopper – Josephine Verstille Nivison, anch’ella pittrice, conosciuta anche come Jo Hopperin una lettera indirizzata a Marion Hopper, sorella di Edward, scrisse una breve descrizione del quadro Nighthawks (Nottambuli) su cui il marito stava lavorando:

[…] ha appena completato un’immagine molto bella – un locale per mangiare di notte con 3 figure. Night Hawks sarebbe un nome adatto. È stato lo stesso Edward a posare per i 2 uomini grazie ad uno specchio, ed io (ho posato) per la ragazza. Ci ha lavorato un mese e mezzo.

Non sappiamo se il locale dipinto nel quadro fosse reale o fosse frutto dell’immaginazione dell’autore. Hopper dichiarò che si era ispirato ad un locale che si trovava a Greenwich Village, nel quartiere di Manhattan. Alcuni studiosi ritengono invece che questo bar dovesse trovarsi a Mulry Square, all’incrocio tra la 7ª Avenue South, Greenwich Avenue e l’11ª West Street, a sette isolati dallo studio del pittore.

Si pensa anche che Hopper sia stato ispirato da un racconto di Ernest Hemingway, “The Killers” (1927), che Hopper ammirava molto. Oppure dal più filosofico “A Clean, Well-Lighted Place” (1933).

L’Art Institute a Chicago entrò in possesso di questo quadro il 13 maggio 1942, già pochi mesi prime del suo completamento, acquistandolo per 3.000 dollari. Ancora oggi è esposto lì.

Nighthawks ha influenzato la componente “noir” di Blade Runner; il regista Ridley Scott ha dichiarato:

Sventolavo costantemente una riproduzione di questo dipinto sotto il naso del team di produzione per illustrare l’aspetto e l’umore che cercavo.

Il dipinto è presente nel film del 2009 “Una notte al museo 2 – La fuga“: il quadro prende vita attraverso l’animazione CGI con i personaggi che reagiscono agli eventi nel mondo esterno.

 

 

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Perché ci si bacia? https://cultura.biografieonline.it/baci-perche-ci-baciamo/ https://cultura.biografieonline.it/baci-perche-ci-baciamo/#comments Thu, 05 Sep 2024 19:52:44 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9396 Secondo molteplici ricerche effettuate da ricercatori, i baci e il gesto di baciarsi fa stare bene. Il bacio risulta essere una dimostrazione di affetto, che può rappresentare diverse “gradazioni”: l’amore, l’affetto o la riconciliazione. Anche altre specie animali, come le scimmie, usano tale gesto per esprimere le loro emozioni.

"Bacio davanti all'hotel De Ville" (Le Baiser de l'hotel De Ville), 1950
“Bacio davanti all’hotel De Ville” (Le Baiser de l’hotel De Ville), 1950 : la foto più famosa di Robert Doisneau

Le teorie

Il neurologo e psicoanalista Sigmund Freud è convinto, nelle sue teorie, che baciarsi faccia tornare alla mente il ricordo dell’allattamento al seno materno, un momento di fiducia e di abbandono totale del bambino nei confronti della madre.

Secondo antiche teorie, il bacio può essere collegato al fatto che i bambini, primordialmente, erano soliti assumere cibo pre masticato direttamente dalla bocca di un genitore e siccome tale gesto consisteva nel collegare a pressione le labbra, poteva essere considerato un’antitesi del bacio e, di conseguenza, vissuto come un vero e proprio atto d’amore.

Bacio, baci, baciare, baciarsi

In ogni caso durante l’atto del bacio, entrano in gioco sia la feniletilamina o Pea, una anfetamina naturale che ci fa sentire più disinvolti e a nostro agio e l’ossitocina, un ormone la cui produzione viene sollecitata solo dal tatto.

Il risultato finale è una reazione a catena di eccitazione.

Per tale motivo, baciare è un atto speciale tanto da farci perdere perfino l’appetito ed il sonno. Sintomi che vengono associati frequentemente all’innamoramento.

Durante tale gesto, il sangue si dirige verso la superficie del nostro più grande organo di senso, la pelle, che diviene un vero e proprio ricettore di sensazioni. In sintesi, più baciamo, più vogliamo baciare.

Baci
Baciarsi – Il bacio alla francese trasmette una carica sensuale importante

Secondo molte ricerche effettuate da studiosi, un bacio appassionato può portare ad una maggiore produzione dell’ossitocina attraverso la ghiandola dell’ipofisi e ciò aiuta a preservare il legame e l’attaccamento al proprio partner.

Diversi invece i baci che vengono dati sulle guance che non danno la stessa carica emotiva di quelli dati sulle labbra.

Tra i più rappresentativi ed oggi usati per definire la passione, il bacio alla francese, che trasmette in assoluto la più alta carica sensuale.

Nell’arte

Diversi sono i pittori che hanno interpretato il bacio nei loro dipinti, come Il bacio di Francesco Hayez, Gli Amanti di René Magritte e Il bacio di Gustav Klimt.

Il “Bacio davanti all’hotel De Ville” è la fotografia più nota del grande fotografo francese Robert Doisneau.

L’usanza di baciarsi sotto il vischio a Natale riveste questo gesto di caratteristiche beneaguranti, portatrici di fortuna e amore.

Famosi infine sono i cioccolatini “Baci Perugina” inventati dall’allora proprietaria Luisa Spagnoli: ancora oggi sono famosi per contenere romantiche frasi e bellissimi aforismi sui baci e sull’amore.

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Massimo Salomoni: dalla pubblicità a Maria Gaetana Agnesi https://cultura.biografieonline.it/massimo-salomoni-intervista/ https://cultura.biografieonline.it/massimo-salomoni-intervista/#respond Thu, 05 Sep 2024 18:10:39 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=42344 Massimo Salomoni, brianzolo d’origine e attivo da sempre a Milano, lavora dal 1988 nel mondo della comunicazione. Ha pubblicato libri sull’uso strategico dei social media, materia che insegna allo IED di Milano e che è oggetto della sua newsletter settimanale “Love+Death+Social”.

Maria Gaetana Agnesi – L’avversiera, edito da Morellini Editore nella collana Femminile Singolare, è il suo primo romanzo: ne abbiamo parlato con lui in questa intervista. 

Maria Gaetana Agnesi - L'avversiera: la copertina del libro di Massimo Salomoni
Maria Gaetana Agnesi – L’avversiera: la copertina del libro di Massimo Salomoni

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Nel libro si racconta l’incontro fa Maria Gaetana Agnesi, brillante filosofa e matematica, e Giuseppe Parini, abate riluttante e poeta ormai al tramonto, formano una coppia sorprendente.

Negli ultimi mesi del Settecento, e anche delle loro vite, Agnesi invita Parini nella sua residenza di campagna a Montevecchia, con l’intento di collaborare alla stesura di un’ultima opera che dovrebbe unire l’abilità analitica della matematica alla forza narrativa della letteratura.

Il racconto si snoda tra le difficoltà di scrivere l’opera e le memorie della vita milanese del XVIII secolo, dove si incrociano i salotti dell’aristocrazia e le strade del popolo. Personaggi illustri come Mozart, Cagliostro, Maria Teresa d’Austria e Ugo Foscolo riaffiorano nei loro ricordi.

“L’Avversiera” offre uno sguardo intimo sulla vita di una donna straordinaria, dedita tanto alla carità quanto alla matematica, ma che, ironicamente, viene ricordata soprattutto per una curva matematica chiamata “strega” o “avversiera”.

Massimo Salomoni
Massimo Salomoni, autore del libro • Photo credit: Andrea Cereda

Che cosa ti ha portato dalla pubblicità e dai social al settecento lombardo, dedicandoti a una figura come quella della matematica Maria Gaetana Agnesi?

L’incontro con Maria Gaetana Agnesi è nato proprio grazie alla pubblicità. Anni fa, per pura coincidenza, ho girato uno spot proprio a Villa Agnesi: arroccata sulla collina di Montevecchia, con la grande biblioteca e gli affreschi settecenteschi alle pareti, questa casa di grande fascino sembrava contenere ancora l’atmosfera dei vecchi salotti milanesi in cui la proprietaria si esibiva fin da bambina. Il fatto che poi, dopo aver pubblicato ad appena trent’anni un libro importante come “Istituzioni Analitiche a uso della gioventù italiana”, abbia deciso di ritirarsi dalla scena pubblica per dedicarsi alla carità, diventando la prima donna a dirigere il reparto femminile del neonato Pio Albergo Trivulzio mi ha fatto pensare, per contrasto, alla figura di quello che nel libro è il suo antagonista: Giuseppe Parini. 

Un altro brianzolo: com’è che si sono incontrati?

Il loro incontro non è documentato, ma è molto più che probabile e non solo per il fatto che Milano all’epoca aveva più o meno centocinquantamila abitanti, ma perché entrambi facevano parte dello stesso circolo di intellettuali legati all’illuminismo cattolico, l’Accademia dei Trasformati. E soprattutto perché Palazzo Agnesi, dove Maria Gaetana fin da bambina dava sfoggio della sua grande intelligenza di fronte a un pubblico proveniente da tutta Europa, era nella stessa via Pantano in cui abitava Giuseppe Parini, nella casa di quella zia che per mantenerlo agli studi lo ha costretto ad abbracciare la carriera ecclesiastica, quando lui avrebbe desiderato abbracciare ben altro, cosa che poi ha fatto con discreto successo se si pensano alle numerose amanti anche famose che ha avuto. 

Perché hai scelto di raccontare la storia di un libro mai scritto come quello che progettano i due protagonisti?

Semplicemente perché quel libro mai scritto è, a mio parere, uno dei problemi fondamentali della nostra cultura: la separazione così netta fra il sapere scientifico e quello umanistico è alla base ancora oggi di tantissime incomprensioni. Il linguaggio tecnico e rigoroso della scienza fa ancora fatica a penetrare nella mente delle persone comuni, mentre quello della letteratura è in grado di coinvolgere emotivamente creando miti che possono anche essere falsi e fuorvianti. Entrambi i protagonisti, ognuno a modo suo, sono poi uomini di fede, e a trovano a confrontarsi su come la scienza possa conciliarsi con la religione. È qui che faccio dire all’Agnesi la frase che l’editore ha scelto per il retro di copertina: se la nostra

conoscenza dovesse essere basata solamente sulle sensazioni individuali, non mi stupirei che alcuni tornassero a credere che la terra non sia una sfera.

Nel libro è descritta con una certa vivacità anche la vita della città di Milano nel settecento: quali sono le figure più importanti che regalano i loro camei nel corso della narrazione?

Uno cui sono molto affezionato è Mozart, che ancora bambino aveva musicato un testo del Parini per le nozze dell’Arciduca e che aveva diviso il teatro con la sorella musicista dell’Agnesi, Maria Teresa. C’è Domenico barbaja, all’epoca ancora un giovanissimo e intaprendente barista famoso per aver creato la Barbajada in cui mescolava caffè, panna e cioccolato ma che sarebbe diventato il più famoso impresario del teatro musicale ottocentesco. Ci sono le donne amate dal Parini: nobildonne milanesi, cantanti d’opera, ballerine. E poi Maria Teresa d’Austria, Pietro Verri, Ugo Foscolo e perfino Cagliostro. 

Che ruolo pensi possa avere una figura come quella di Maria Gaetana Agnesi nella cultura contemporanea?

Un ruolo assolutamente da riscoprire, quello di una donna che ha dedicato la prima parte della sua vita a dimostrare, come dice nella sua prima opera pubblicata a nove anni e ripete nel mio libro “quanto avversa alla verità è l’opinione di quanti insistono di quanti insistono che lo studio delle arti liberali sia del tutto inadatto alle donne”. Una frase che ne fa la capostipite delle moderne donne scienziate, in un’epoca che dedica sempre più attenzione all’impegno e al talento femminile nelle discipline scientifiche. 

Inoltre, è una donna che ha saputo scegliere fra i salotti e l’impegno civile, dedicandosi alla gestione del primo ospizio, per storia e per importanza, dedicato all’accoglienza delle donne povere e malate. E lo ha fatto mettendoci tutte le sue ricchezze, il suo impegno e lo stesso rigore con cui si dedicava alla matematica e allo studio nella prima parte della sua vita. 

Quali altre caratteristiche potrebbero fare di Maria Gaetana Agnesi una donna interessante per il pubblico di oggi?

Nonostante la consuetudine di chiamarla “la matematica santa” o “la matematica di Dio”, ci sono aspetti molto umani nel suo carattere e nella sua storia. Penso alla misteriosa malattia che le causava movimenti inconsulti e che la portava alla passione per la danza e l’equitazione, o alla capacità di orientare la sua vita manovrando con intelligenza dialettica e relazionale le persone che le stavano accanto. Quando si era stancata dei salotti, disse al padre di volersi fare suora consapevole del fatto che Pietro Agnesi non avrebbe mai acconsentito a liberarsi di quella ragazza prodigio che dava lustro al suo salotto, e conquistandosi così maggiore libertà. E nel libro ho usato le parole di una sua lettera per mostrare con quale fermezza sapesse trattare i medici, da quelli che seguivano lei a quelli che visitavano le sue donne al Pio Albergo Trivulzio. 

Quali saranno i tuoi prossimi impegni?

Intanto nei prossimi mesi mi dedicherò alla promozione del libro, alternandola ai miei impegni professionali e alle lezioni nelle scuole: il dialogo con i ragazzi è fondamentale per non perdere l’ancoraggio con la realtà. 

Poi sto lavorando a una trasposizione teatrale del romanzo e a un paio di altri progetti di cui è ancora troppo presto per parlare. Ma spero che potremo presto farlo insieme.

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Il vecchio e il mare, di Ernest Hemingway: riassunto https://cultura.biografieonline.it/riassunto-il-vecchio-e-il-mare/ https://cultura.biografieonline.it/riassunto-il-vecchio-e-il-mare/#respond Wed, 21 Aug 2024 09:18:18 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=10639 Una delle opere più conosciute e di successo di Ernest Hemingway è il romanzo intitolato Il vecchio e il mare (titolo originale The Old Man and The Sea), pubblicato nel 1952 per la prima volta sulla rivista Life. L’autore, grazie al libro, diviene famoso e riceve il premio Pulitzer nel 1953, mentre l’anno successivo ottiene il premio Nobel per la Letteratura.

Il vecchio e il mare (Ernest Hemingway, 1952)
Il vecchio e il mare: una copertina italiana del romanzo e una copertina della rivista Life del 1952 – Il titolo originale è: The Old Man And The Sea

Si tratta di un romanzo molto intenso, nel quale lo scrittore coniuga tutti gli elementi necessari che possono incuriosire il lettore, tra cui maledizione e magia, solitudine, paura dell’abbandono, amore per la vita e per l’arte della pesca. Una favola da non perdere, per tutti gli amanti della lettura e dei romanzi.

Prefazione

“Il vecchio e il mare” è ambientato nell’isola di Cuba e nell’Oceano Atlantico, zona in cui il protagonista andava abitualmente a pescare. Il lettore si identifica nelle vicissitudini del personaggio principale, il vecchio Santiago, che con molta difficoltà cerca di portare a termine la sua missione.

Santiago è un personaggio che suscita molta tenerezza e, leggendo il romanzo, la tentazione del lettore è quella di volerlo aiutare nel raggiungere a forza il suo intento. Per fortuna, il vecchio Santiago è affiancato da un ragazzo che lo aiuta, Manolin.

Il romanzo di Ernest Hemingway ruota attorno a questi due personaggi.

Il lettore sarà incuriosito dallo loro perfetta sintonia e simbiosi. Tutti e due hanno bisogno l’uno dell’altro ed inoltre la loro cura e la loro dedizione è davvero totale.

Santiago è costantemente identificato con il mare attraverso, per esempio, i suoi occhi blu che ne riflettono la tranquillità e la potenza. Il vecchio si riferisce al mare come ad una donna, la parte complementare alla sua mascolinità di vecchio pescatore.

Incipit del libro

Era un vecchio che pescava da solo su una barca a vela nella Corrente del Golfo ed erano ottantaquattro giorni ormai che non prendeva un pesce. Nei primi quaranta giorni passati senza che prendesse neanche un pesce, i genitori del ragazzo gli avevano detto che il vecchio ormai era decisamente e definitivamente salao, che è la peggior forma di sfortuna, e il ragazzo li aveva ubbiditi andando in un’altra barca che prese tre bei pesci nella prima settimana. Era triste per il ragazzo veder arrivare ogni giorno il vecchio con la barca vuota e scendeva sempre ad aiutarlo a trasportare o le lenze addugliate o la gaffa e la fiocina e la vela serrata all’albero. La vela era rattoppata con sacchi da farina e quand’era serrata pareva la bandiera di una sconfitta perenne.

Riassunto, trama e breve analisi

La storia de “Il vecchio e il mare” sviluppa sulla costa atlantica dell’isola di Cuba in un piccolo villaggio. Il protagonista è Santiago, un anziano pescatore sfortunato, che non riesce a catturare un pesce da ottantaquattro giorni.

Questo periodo così lungo di inattività porta la gente del villaggio a credere che lui sia preda di una maledizione.

Deriso dagli altri pescatori, senza famiglia e con problemi finanziari, Santiago trova un po’ di conforto solo grazie a due figure, un giovane pescatore, Manolin, un tempo suo aiutante, che andava con lui per imparare il mestiere del pescatore ma che poi ciò gli venne impedito dai suoi genitori, visto che credevano all’assurda storia della maledizione.

Questo però non frena il giovane ad aiutare Santiago nelle sue mansioni e a procuragli del cibo per sopravvivere, spinto dall’ammirazione e dalla riconoscenza.

L’altra figura di riferimento è Joe DiMaggio, una star del baseball americano, per la quale Santiago nutre una stima infinita e da cui riesce a prendere sempre il coraggio per andare avanti.

Una mattina come tante altre, il vecchio pescatore parte per la pesca, con le esche preparate da Manolin ed una piccola scorta d’acqua; una volta giunto al largo, inizia la sua attesa di pesca.

La lotta con il marlin

Ben presto alla sua esca abbocca un grosso marlin, pesce di grosse dimensioni, ma vista la grossa stazza del pesce e l’età avanzata di Santiago, non riesce a domarlo e viene così trasportato al largo nell’Oceano.

Inizia tra i due una lunga lotta per la sopravvivenza, basata però sulla lealtà e sul rispetto. Il vecchio, infatti, ammira il pesce per il suo coraggio e la determinazione nel voler liberarsi da quella lenza che lo tiene prigioniero, per vincere questa cruenta lotta e riprendere la libertà.

Il tempo passa inesorabile e la resistenza dei due comincia sempre più a venir meno, fino a quando un ultimo tentativo disperato del pesce di liberarsi non va a buon fine e lo porta alla morte.

Santiago, esausto ma ancora lucido dove ora ritornare alla baia del villaggio, ormai molto distante. Il ritorno, però, è pieno di insidie. Viene attaccato diverse volte dai pescecani, attratti dalla scia di sangue lasciata dal marlin.

Ogni attacco dei pescecani alla sua preda fa sì che man mano venga dilaniata ed il vecchio, dopo averla difesa con tutte le astuzie di pescatore, ormai privo di forze decide di lasciarla inerme in acqua in preda degli squali, continuando a dirigersi verso casa.

Foto di Ernest Hemingway
Una foto di Ernest Hemingway

Finale

I pescecani, alla fine, divorano il suo marlin e ne lasciano solo la carcassa, lasciandogli così solo il simbolo della vittoria e della maledizione sconfitta.

Il giorno seguente la baia era animata da tutte le persone del villaggio che circondavano la barca, che presentava i segni della lotta con gli squali, con accanto una carcassa di un pesce dalle dimensioni enormi.

In una capanna poco distante, il povero pescatore si riposa dalle fatiche dell’impresa ed accanto a lui Manolin lo veglia; in quel momento, il giovane decide di disubbidire ai suoi genitori e sceglie di rincominciare nuovamente e finalmente ad andar per mare a pescare con il vecchio Santiago.

Dopo questa esperienza, il vecchio pescatore stabilisce, forse per la prima volta, una vera fratellanza con le forze incontenibili della natura ed in particolar modo trova dentro di sé il segno e la presenza del proprio coraggio, la vera giustificazione di tutta la sua vita.

La frase finale del libro:

Dormiva ancora bocconi e il ragazzo gli sedeva accanto e lo guardava. Il vecchio sognava i leoni.

Riassunti di libri dello stesso autore:

    1. Per chi suona la campana
    2. Addio alle armi

 

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Guerra delle due Rose: riassunto https://cultura.biografieonline.it/guerra-due-rose-riassunto/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-due-rose-riassunto/#comments Sun, 18 Aug 2024 12:01:49 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12033 Dopo la guerra dei Cento Anni, un altro sanguinoso conflitto ha sconvolto, per lungo tempo, la vita dell’Inghilterra. Si tratta della Guerra delle due Rose, svoltasi in Inghilterra tra il 1455 ed il 1485, avvenuta per motivi prettamente dinastici tra i due diversi rami della casa regnate dei Plantageneti ovvero gli York (che avevano come simbolo una rosa bianca) e i Lancaster (che avevano come simbolo una rosa rossa).

La Guerra delle due Rose: i simboli delle case York e Lancaster erano proprio due rose di differenti colori
La Guerra delle Due Rose fu combattuta in modo sanguinoso tra il 1455 ed il 1485 per la successione al trono di Inghilterra: protagonisti furono due diversi rami della casa regnante dei Plantageneti: i Lancaster e gli York.

Gli York contestavano ai Lancaster di aver usurpato il loro diritto di discendenza al trono, dato che nel 1413, dopo il Regno di Riccardo II, il Parlamento inglese aveva optato per lasciare la corona nelle mani di Enrico IV, Lancaster. Dopo un’iniziale prevalenza da parte degli York, la disputa si concluse con l’eliminazione di quasi tutti i contendenti, e con l’ascesa al trono di Enrico Tudor, discendente dei Lancaster e vincitore della battaglia di Bostworth (1485). La disputa si divise in varie fasi:

Prima fase (1455-1460): l’affermazione degli York

Il primo conflitto ebbe luogo nel 1455, tra il re Enrico VI Lancaster (appoggiato dalla maggior parte della nobiltà inglese) e Riccardo di York (appoggiato dai potenti Neville, dal conte di Salisbury e dal conte di Warwick Riccardo) che voleva succedere al trono al posto di Enrico.

In un primo momento, Riccardo di York ebbe la meglio e la spuntò sullo stesso Enrico VI, facendolo prigioniero. Il Re Enrico VI infatti era troppo debole e malvisto dal popolo a causa dei suoi problemi mentali.

Dopo una momentanea tregua tra i due, però, la situazione si fece di nuovo complicata e con sorti piuttosto altalenanti. Infatti, da un lato, nel 1459 la regina Margherita d’Angiò, Lancaster, attaccò e sconfisse Salisbury; dall’altro, l’anno successivo, nel 1460, Warwick, York, prevalse su Enrico VI di nuovo nella battaglia di Northampton, proclamando in quel momento l’affermazione degli York.

Seconda fase (1460-1461): la rivincita dei Lancaster

Questa fase della “Guerra delle due Rose” risultò momentanea; infatti l’anno successivo avvenne la rivincita da parte dei Lancaster con Margherita che riuscì a sconfiggere il temuto rivale Riccardo, addirittura uccidendolo e sconfiggendo Salisbury e addirittura Warwick, ambedue appoggianti la famiglia degli York.

Due Rose - York Lancaster
Il simbolo della casa York è una rosa bianca. I Lancaster sono invece rappresentati da una rosa rossa.

Terza fase (1461-1469): il trionfo degli York

A questo punto storico, la situazione sembra mettersi bene per i Lancaster e male per gli York, ma in fondo sarà una situazione solo momentanea. Infatti, Edoardo di York, figlio di Riccardo, dopo alcuni successi militari, riuscì a raggiungere ed espugnare la capitale inglese, proclamandosi regnante con il nome di Edoardo IV. Enrico e Margherita subirono di nuovo una sonora sconfitta nella battaglia di Towton, e furono costretti a rifugiarsi in Scozia. Successivamente, la regina fu costretta a trasferirsi in Francia, mentre ad Enrico, capitò una sorte peggiore, poiché venne fatto di nuovo prigioniero (1465).

Quarta fase (1470-1483): caduta e ritorno degli York

La situazione sembrò cambiare di nuovo le carte in tavola quando Warwick, alleatosi, forse per istigazione di Luigi XI, ai Lancaster, mise sul trono Enrico VI nel 1470. Edoardo IV vinse uno scontro contro Enrico VI che finì con l’uccisione dello stesso sovrano Enrico VI e del figlio (1471). A quel punto, Edoardo IV, rimasto ormai senza rivali, regnò tranquillamente fino alla sua morte (1483).

Quinta fase (1483-1485): la pace dei Tudor

Le lotte ancora non erano terminate. Infatti, in ultimo, seguì una rappresaglia cruenta tra Riccardo di Gloucester (Riccardo III), fratello di Enrico, ed Enrico Tudor, capo della casa di Lancaster. Enrico Tudor riuscì ad avere la meglio su Riccardo, avvalendosi del prezioso aiuto dei nobili avversi al sovrano. Riuscì a sconfiggere il sovrano nella battaglia di Bosworth nel 1485 e infine si proclamò Re con il nome di Enrico VII. Lui, erede della casa di Lancaster, per suggellare definitivamente la pace, sposò la figlia primogenita di Edoardo IV, Elisabetta di York. Il loro figlio, Enrico, da quel momento era il legittimo erede al trono inglese per nascita e sangue. Dalla lotta fratricida dei gloriosi Plantageneti nacque così la dinastia Tudor che, grazie ad Elisabetta I, darà per un lungo periodo pace e prosperità al regno di Inghilterra e porrà le basi per la creazione dell’Impero Britannico.

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Guerra delle due Rose: la situazione finale

La situazione dell’Inghilterra, all’avvento al trono di Enrico VII Tudor, al termine della Guerra delle due Rose era disastrosa: in particolar modo la nobiltà feudale era quasi scomparsa dopo un’aspra lotta civile, la borghesia era stremata ed invocava la pace.

In questo particolare contesto, non fu affatto difficile per Enrico VII instaurare la monarchia assoluta, convocando sempre meno il Parlamento e restaurando gli antichi privilegi feudali. Ma durante il regno di Enrico VII, la situazione economico-sociale inglese venne progressivamente migliorando: la borghesia fu di nuovo favorita, le finanze di nuovo riorganizzate, l’economia trasformata con il passaggio delle attività agricole e quelle industriali (tessili) e commerciali.

In ultimo, si sviluppò un’intensa attività marittima per tutti i mari del mondo.

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Strade extraurbane principali e strade extraurbane secondarie, differenze https://cultura.biografieonline.it/strade-extraurbane-differenze/ https://cultura.biografieonline.it/strade-extraurbane-differenze/#respond Thu, 11 Jul 2024 15:22:28 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=24514 Quando si guida o semplicemente andando in giro per commissioni o al lavoro, si ha a che fare con termini come strade extraurbane principali e strade extraurbane secondarie.

Ti ricordi la differenza?

Quasi sempre le percorriamo in modo automatico senza soffermarci a pensare quali siano le caratteristiche di ognuna. E troppo spesso non ricordiamo le differenze studiate ai tempi della scuola guida. (State annuendo?)

strade extraurbane differenze - cartelli stradali

In generale, la “strada” (ovvero l’area ad uso pubblico destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali) può essere distinta a seconda delle sue caratteristiche funzionali, tecniche e strutturali. Vediamo di seguito le due definizioni per classificare correttamente le strade extraurbane principali e quelle secondarie.

Strade extraurbane principali

Le strade extraurbane principali sono diverse rispetto a quelle secondarie perché presentano una diversità strutturale dovuta ad una maggiore grandezza.

Questo tipo di strade è caratterizzato da carreggiate indipendenti o separate da spartitraffico invalicabile. Sono strade dotate di corsie di accelerazione / decelerazione ed hanno spazi eventuali per sostare con il proprio mezzo.

Il limite sulle strade extraurbane è di 110 km/h per le automobili, i camion e le moto. Bisogna prestare attenzione perché sono strade riservate solo ad alcune categorie di veicoli a motore e bandite per altri: ad esempio non vi possono transitare motocicli di cilindrata inferiore ai 150 cc e mezzi come biciclette e pedoni sono severamente vietati.

Strade

Strade extraurbane secondarie

Le strade extraurbane secondarie, come può essere facilmente intuibile dal nome, sono molto più piccole rispetto a quelle principali.

Presentano una singola carreggiata a doppio senso di marcia e possibili intersezioni laterali o passaggi a livello.
A differenza delle extraurbane principali, il limite di velocità su questo tipo di strade si abbassa a 90 km/h e sono abilitate al transito di tutte le tipologie di veicoli a motore. Non manca poi anche la circolazione di biciclette e, in casi eccezionali, addirittura il transito pedonale è ammesso.

Se volete continuare la lettura sull’argomento “strade”, vi consigliamo una selezione di celebri frasi, citazioni e aforismi dedicate proprio alle strade.

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Real Madrid: storia e curiosità https://cultura.biografieonline.it/real-madrid/ https://cultura.biografieonline.it/real-madrid/#comments Sat, 01 Jun 2024 21:55:13 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=7464 Tra le società calcistiche più importanti del mondo

Real Madrid Club de Fútbol, abbreviato in Real Madrid, è il nome di una delle società calcistiche più note e vincenti del mondo; pochi sanno però che la società – fondata il 6 marzo 1902 – è una polisportiva composta, oltre che dalla citata sezione di calcio, anche da una cestistica legata al basket. In questo articolo si racconta la gloriosa storia di questa grande squadra e società.

Lo stemma del Real Madrid
Breve storia del Real Madrid

Real Madrid: l’inizio di un mito sportivo

Il 13 giugno del 1956 il Real Madrid vince la prima Coppa dei Campioni d’Europa, la prima in assoluto della competizione più famosa del mondo, poi trasformatasi in Uefa Champions League. A Parigi, città designata ad ospitare la prima edizione del torneo, i campioni spagnoli si impongono per 4 a 3 sui francesi dello Stade de Reims. Una vittoria che segna l’inizio di una lunga storia di successi, la quale porterà “i blancos” a diventare il club più amato di sempre, tra i più titolati della storia del calcio.

La provocazione della stampa

E pensare che la competizione calcistica per club attualmente più seguita al mondo, è nata da una sorta di provocazione giornalistica. La si deve al quotidiano L’Équipe, all’epoca diretto da Gabriel Hanot, il quale, esattamente nel 1954, si inserì nell’ampio dibattito scatenato dall’inglese Daily Mail, impegnato a quei tempi a sancire – sulla base di presunte superiorità tecniche evidenti ma di fatto mai dimostrate sul campo – l’indiscussa superiorità del Wolverhampton su tutti gli altri club europei, all’epoca dominatore della lega inglese.

Certo, l’idea di un Campionato del Mondo, o almeno d’Europa – scrisse a tal proposito Hanot – per club, più esteso, più significativo, e meno episodico della Mitropa Cup, e più originale di un Campionato d’Europa per squadre nazionali, merita di essere lanciata. Noi ci proveremo“.

La stampa francese cavalcò l’onda della provocazione, la quale assunse in breve tempo il carattere della vera e propria proposta istituzionale.

Intanto, il dibattito era acceso.

Qual era la squadra più forte del continente europeo?

  • Gli spagnoli del Real Madrid?
  • Gli italiani del Milan?
  • Gli ungheresi dell’Honvéd?
  • O proprio il tanto acclarato Wolverhampton?

Un nuovo torneo

La FIFA e l’UEFA dovettero prendere in considerazione la proposta del quotidiano d’oltralpe, seppure non in modo entusiastico.

L’idea di un campionato fra i maggiori club d’Europa, infatti, a dire delle due federazioni (per giunta appoggiate da quella inglese), avrebbe potuto scalfire il fascino dell’allora Coppa Rimet (l’odierno Campionato Mondiale, ormai seguitissimo) e, soprattutto, quello nascente della Coppa Europea per nazioni.

Tuttavia, i giornalisti de L’Équipe si mossero privatamente coi dirigenti di numerose società e, nell’aprile del 1955, portarono attorno ad un tavolo i vertici dei più importanti club europei, alla fine costringendo proprio la Fifa ad imporre all’Uefa l’organizzazione del nuovo torneo.

Si optò per un torneo organizzato sul meccanismo dell’eliminazione diretta e ammettendo una sola società, indicata dalle federazioni nazionali, per ciascun paese.

Determinante, va detto, fu l’intervento di uno dei personaggi più influenti e ormai leggendari della storia del calcio mondiale: l’allora presidente del Real Madrid, Santiago Bernabeu.

Santiago Bernabeu: l’uomo che fece la competizione

Non è un caso che il più amato presidente della storia delle “merengues” sia stato anche tra i promotori più attivi per quanto riguarda l’organizzazione di una competizione europea per club. Forse Santiago Bernabeu aveva fiutato la forza, non solo nazionale, dei propri campioni, tanto che il Real Madrid si aggiudicò le prime cinque edizioni della futura Champions League, portandosi a casa il trofeo originale (spettante appunto a chi si aggiudica per cinque volte la competizione).

Fatto sta che fu proprio lui, nel corso dello storico summit lanciato da Gabriel Hanot nel 1955, a convincere i vertici delle due federazioni di Fifa e Uefa a dare vita al torneo in questione.

L’incontro si tenne all’Hotel Ambassador di Parigi e diede vita ad una “mutuazione” della precedente Coppa Latina (torneo riservato a squadre di Francia, Spagna, Portogallo e Italia, e che il Real Madrid si aggiudicò nel 1954 e nel 1957): la Coppa dei Campioni.

Una foto del 1967 di Santiago Bernabeu
Santiago Bernabeu, il presidente del Real Madrid più amato, in una foto del 1967

Fu uno dei tanti risultati conseguiti dal presidente del Real. Eletto al vertice del team madrileno il 15 settembre del 1943, Santiago Bernabeu ha ricoperto e mantenuto la carica per 35 anni, praticamente fino alla sua scomparsa. A lui si deve la grande ristrutturazione del club su ogni livello, in una chiave ultramoderna per l’epoca, già proiettata verso il futuro.

L’impresa di Bernabeu

Per ogni sezione della società, diede un team tecnico autonomo e, soprattutto, diede vita alla costruzione del nuovo stadio Chamartín, terminato nel 1947, poi ribattezzato proprio in suo onore “Stadio Santiago Bernabéu”.

Una struttura che si spostava effettivamente solo di alcuni metri da quella precedente e che, all’epoca, risultò essere la più ampia del mondo, forte dei suoi 75mila spettatori (poi portati a 125mila), tanto che durante i lavori non mancarono le critiche al presidente madrileno, considerato una sorta di folle ad impegnarsi in un’impresa così esagerata per l’epoca.

Bernabeu però, ci riuscì eccome nell’impresa, grazie soprattutto al sostegno degli oltre 40.000 soci del club, i quali contribuirono di propria mano alla realizzazione dello stadio. Infine, intraprese la strategia ambiziosa di acquistare giocatori di classe mondiale provenienti dall’estero. Ex giocatore egli stesso del Real, dotato di enorme carisma, Santiago Bernabeu dotò la “Casa bianca” di una struttura societaria superiore a tutte quelle del suo tempo.

Grazie all’acquisto di calciatori di grande prestigio, riuscì nell’impresa di vincere, da presidente del Real Madrid, la bellezza di 16 campionati, 6 Coppe di Spagna, 6 Coppe dei Campioni e 1 Coppa Intercontinentale. La morte lo colse il 2 giugno del 1978.

Il primo titolo del Real Madrid

Il 4 settembre del 1955, a Lisbona, si gioca la prima, storica partita della nuova competizione per club europei. Si affrontano Sporting e Partizan e la partita termina con uno spettacolare 3 a 3. Ed è proprio una di queste due compagini che il Real Madrid, guidato dal bomber Alfredo Di Stefano e dall’allenatore José Villalonga, dopo aver facilmente superato gli svizzeri del Servette nel primo turno, si ritrova davanti nel corso dei quarti di finale.

Allo stadio Chamartin, il Real si sbarazza del Partizan con un sonoro 4 a 0 anche se, al ritorno, deve soffrire non poco contro gli jugoslavi: il Partizan sfiora l’impresa, imponendosi per 3 reti a zero. I rischi però, a conferma di una competizione tutt’altro che banale e dacché ne dicano gli inglesi, non finiscono qui per i blancos. In semifinale infatti, la squadra del presidente Bernabeu deve affrontare i rossoneri del Milan, tra i team più forti d’Europa.

Allo Chamartin, entrando nel vivo della partita, il 19 aprile del 1956, termina 4 a 2 per i padroni di casa. In quell’occasione, vanno a segno Rial, Joseito su rigore, Olsen e il grande Di Stefano, mentre per il Milan segnano Nordhal e Schiaffino, entrambi pareggiando momentaneamente il doppio vantaggio madrileno. Al ritorno però, tocca soffrire un po’ di più, perché al vantaggio di Joseito al ’65 minuto (il quale trafigge con un preciso rasoterra da fuori area il portiere milanista Buffon), replica la doppietta di Dal Monte, il quale mette a segno due rigori, l’ultimo al minuto 86, con circa cinque minuti di estrema sofferenza da parte dei blancos.

Tutto sommato però, la compagine guidata da Di Stefano, Gento, Olsen e Rial, riesce a staccare il biglietto per la Francia, in vista della finalissima.

La finale parigina

Il 13 giugno del 1956, allo stadio “Parco dei Principi” di Parigi, c’è il tutto esaurito. Il Real si trova di fronte lo Stade Reims, forte compagine francese che ha in squadra elementi del calibro di Michel Hidalgo e del mago del dribbling, Raimond Kopa.

Oltre a queste due stelle europee, fanno parte del team guidato dall’allenatore Albert Batteux, anche altri giocatori importanti per l’epoca, come il portiere Raoul Giraudo, Léon Glovacki, l’attaccante Jean Templin e il forte difensore Michel Leblond.

La cronaca

Proprio quest’ultimo apre le marcature, dopo appena sei minuti di gioco, mettendo sotto il Real. Allo shock iniziale, segue il raddoppio, al decimo minuto, firmato Jean Templin.

Gli spagnoli si ritrovano a sorpresa sotto di due gol: al diagonale che apre le segnature, fa seguito la rete rocambolesca del 2 a 0, frutto dell’indecisione in uscita del portiere iberico.

Nel Real però, oltre a Di Stefano giocano altri grandi campioni, come il capitano Miguel Munoz, che suona la carica, l’impeccabile mediano Joseito, la forte ala Zarraga e l’attaccante Juan Alonso.

Così, al ’14 e al ’30, prima il grande Di Stefano con un diagonale da posizione centrale (ben servito da Munoz), e poi il bomber Hector Rial, al termine di un’azione concitata, riportano il punteggio in parità.

Non è finita però, perché il Reims torna ancora in vantaggio, esattamente al minuto 62, con un preciso colpo di testa di Hidalgo. Passano però appena cinque minuti, e Marquitos pareggia ancora: 3 a 3.

A questo punto, è solo il Real Madrid a spingere e a tentare di portare a casa la vittoria, la quale arriva al minuto 79, con il terzo gol nella competizione di Hector Rial, agevolato ancora una volta da una grandissima giocata al limite dell’area di Alfredo Di Stefano.

I blancos del presidente Santiago Bernabeu alzano per la prima volta nella storia la Coppa Campioni.

Un trofeo che parla madrileno

Le merengues domineranno la scena per altre quattro edizioni della sempre più seguita competizione calcistica europea. Giocatori come Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskas, Raymond Kopa, José Santamaría e Miguel Muooz faranno la storia, anzi la leggenda del club spagnolo, il quale trionferà in Europa fino al 1960.

Proprio quest’ultima edizione pertanto, rimarrà per sempre negli albori del calcio, grazie alla vittoria del Real Madrid sull’Eintracht Francoforte per ben 7 reti a 3. In quell’occasione, si divisero il bottino i due giocatori più forti di quel periodo storico: Alfredo Di Stefano, autore di tre segnature, e il grande Ferenc Puskas, mattatore delle altre quattro.

La finale si giocò all’Hampden Park di Glasgow, davanti alle telecamere della BBC e dell’Eurovisione, forte di un pubblico di oltre 135.000 persone. Ancora oggi, si tratta di un vero e proprio recordo di spettatori per una finale di Coppa dei Campioni.

Dopo la prima edizione, va detto, i blancos superarono in finale, nel 1957, i campioni uscenti della Serie A italiana, ossia la Fiorentina, grazie a un gol di Di Stéfano su rigore e ad un altro di Gento. Nell’edizione 1957-1958, fu ancora una volta un’italiana a contendere il titolo ai madrileni: il Milan.

Dopo una partita bellissima ed equilibrata, protrattasi fino ai tempi supplementari per via del perdurante 2 a 2, a decidere fu ancora una volta Gento, al minuto 107. Infine, prima del record di Hampden Park, toccò nuovamente al Reims fare posto al Real sul primo gradino del podio europeo: a Stoccarda, decisive furono le marcature di Mateos e del solito Di Stéfano.

La Champions League vinta nel 2022 contro il Liverpool è la numero 14 per la società; a guidare la squadra in panchina l’italiano Carlo Ancelotti, primo allenatore della storia del calcio a vincere quattro volte la competizione.

La cavalcata di Ancelotti porta la squadra spagnola a conquistare l’ottava Coppa Intercontinentale nel 2023: il Real Madrid batte per 5-3 i sauditi dell’Al Hilal nella finale che si svolge in Marocco l’11 febbraio.

Il 1° giugno 2024 Ancelotti guida il Real Madrid alla conquista della sua 15ª Champions League: vince a Wembley contro il Borussia Dortmund per 2-0.

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Miglior giornalista italiano 2024: premio a Daniele Bartocci https://cultura.biografieonline.it/premio-cesarini-miglior-giornalista-2024-bartocci/ https://cultura.biografieonline.it/premio-cesarini-miglior-giornalista-2024-bartocci/#respond Mon, 27 May 2024 14:40:23 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=42162 Il giovane talento di Jesi Daniele Bartocci, rinomato giornalista e pluripremiato food manager, ha ricevuto lunedì 27 maggio, durante la Cerimonia di Premiazione del prestigioso Premio Renato Cesarini 2024, il premio di miglior giornalista italiano dell’anno 2024 (Sezione Giovani). Una serata emozionante, in compagnia di numerosi big del mondo del calcio e dello sport, per celebrare il grande Renato Cesarini, nato nelle Marche, colui che ha inventato la Zona Cesarini. Daniele Bartocci, già vincitore nei mesi scorsi dell’illustre premio 100 Eccellenze Italiane a Montecitorio (Camera dei Deputati) si conferma ancora una volta giovane ‘fenomeno del giornalismo italiano’, uno status di rising star ormai acquisito da anni. Daniele Bartocci è stato premiato proprio per la sua grinta e determinazione, ovvero per i suoi valori assimilabili a quelli di Renato Cesarini: il non mollar mai e la voglia di abbattere ogni ostacolo e di raggiungere gli obiettivi anche all’ultimo secondo, dopo grandi sacrifici e grande tenacia. Elementi che hanno consentito a Bartocci di divenire, anno dopo anno, vero fuoriclasse del giornalismo regionale e nazionale, oltre che stimato food manager e personaggio tv.

La nona edizione dell’evento, seguita da Sky, Rai e Mediaset, si è svolta presso il Teatro Pergolesi di Jesi nel pomeriggio, con cena di gala all’Hotel Federico II di Jesi. Presenti anche il CT della Nazionale Italiana Luciano Spalletti, l’ex allenatore del Milan Arrigo Sacchi, Prof. Matteo Bassetti, il Presidente Lega Serie B Mauro Balata e l’ex Sottosegretario allo Sport Valentina Vezzali. Tra i giornalisti protagonisti (sezione Radio e social) Giusy Meloni, ma anche Marco Lollobrigida e Simona Rolandi di Rai Sport e Luca Marchetti di Sky Sport.

Daniele Bartocci, personaggio di enorme successo nel campo food e sport, è celebre anche per il suo ruolo all’interno del talent-show Sky “King of Pizza” ideato dalla Nazionale Italiana Pizzaioli di Dovilio Nardi (ben otto Guiness World Record). Al Cesarini ha confermato, nell’ennesima circostanza, il suo talento nel campo del giornalismo sportivo e mondo food.

Questo riconoscimento si aggiunge a una fitta serie di premi e riconoscimenti, già conseguiti da Daniele Bartocci, tra cui il premio di giornalista dell’anno in ambito food ricevuto a Piazza Affari Milano durante una precedente edizione della cerimonia Innovation&Leadership Le Fonti Awards e il premio 100 Eccellenze Italiane ricevuto a Montecitorio nei mesi scorsi, oltre ai Food and Travel Awards 2022, al premio Blog dell’Anno 2022 come miglior blogger sportivo italiano e svariati altri premi come il Premio (migliori talenti millennials) Myllennium Awards 2010 e 2020 (premiato a Roma dal Presidente Coni Malagò e dall’allora Ministro Sport e Politiche Giovanili Spadafora).

La sua capacità ed eleganza nel coniugare questi due mondi apparentemente distanti, sport e food, con passione, sacrificio e dedizione rende il giornalista gentleman (come lo ha ribattezzato qualcuno) Daniele Bartocci un punto di riferimento per le nuove generazioni di giornalisti che aspirano un giorno a diventare protagonisti assoluti del palcoscenico nazionale. Daniele Bartocci, lunedì 3 giugno, a pochi giorni di distanza dal Premio Cesarini, sarà ospite di Rai Isoradio per parlare di cibo e territorio. La sua motivazione sembra derivare dallo zio Alberto Santoni, primo vice-allenatore italiano del grande leader del volley mondiale Julio Velasco, con cui Santoni allenò a Jesi in Serie A2 nel lontano 1983. Interessante la prima avventura italiana di Julio Velasco (Jesi – 1983), descritta e raccontata nello specifico proprio all’interno di un libro del giornalista Daniele Bartocci.

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Strage dell’Heysel: 29 maggio 1985 https://cultura.biografieonline.it/strage-heysel/ https://cultura.biografieonline.it/strage-heysel/#respond Thu, 25 Apr 2024 16:13:12 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=41171 Poco prima del fischio d’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool, presso lo Stadio Heysel di Bruxelles, in Belgio, si verifica un gravissimo episodio, passato alla storia come strage dell’Heysel. È il 29 maggio 1985. In quella partita maledetta perdono la vita 39 persone, tra cui 32 italiani. I feriti sono invece circa seicento. È uno degli episodi più tristi della storia del calcio.

La cronaca: ricostruiamo i fatti

C’è molta attesa per il match, soprattutto da parte dei tifosi juventini, che accompagnano la squadra del cuore sperando che possa aggiudicarsi la prima Coppa dei Campioni della carriera.

Il Liverpool invece, campione d’Europa in carica, è intenzionato a ripetere l’ottima esperienza dell’anno precedente, ed è molto carico dopo aver sconfitto facilmente in semifinale la squadra greca del Panathinaikos.

Lo stadio scelto per disputare la partita è l’Heysel di Bruxelles, il fischio di inizio è fissato per le ore 20.15.

L’impianto, ristrutturato una prima volta negli anni Settanta, se valutato oggi sicuramente non rispetterebbe gli standard di sicurezza previsti per una finale europea. Ma quella partita si giocò lo stesso, in condizioni generali alquanto precarie.

Lo stadio

L’Heysel non dispone di vie di fuga adeguate, ed anche il servizio d’ordine fa acqua da tutte le parti.

Le tribune ed il campo di gioco, poi, non sono certo adatti ad una competizione calcistica di alto livello. Per non parlare dei muri divisori dei settori, che si sgretolano in calcinacci che colpiscono gli spettatori. Sono del tutto inadeguati i servizi igienici.

Lo stadio, predisposto per ospitare al massimo 60 mila spettatori, viene riempito con circa 400 mila persone (la maggior parte dei tagliandi viene venduta agli italiani).

I biglietti e le zone

La vendita dei ticket allo stadio viene gestita male, in maniera alquanto approssimativa. Ai tifosi bianconeri sono assegnati i settori M, N, O (posizionati nella zona sud-est dell’impianto), mentre gli Inglesi occupano la curva opposta (zone X e Y).

Il “settore Z”, adiacente a quello degli Ultrà del Liverpool, è separato da semplici reti metalliche, e viene destinato ai tifosi neutrali, ovvero non appartenenti ad un gruppo organizzato.

Sono i tifosi bianconeri ad acquistare la maggior parte dei biglietti, ma l’organizzazione sottovaluta l’eventualità che tra le due tifoserie opposte possa scoppiare qualche tafferuglio o scontro.

Probabilmente entrambe le società ritengono che la situazione possa essere facilmente gestita seguendo le regole burocratiche e il senso di civiltà e rispetto che dovrebbero contraddistinguere qualsiasi evento sportivo.

Gli scontri tra i tifosi

Nelle ore che precedono la partita i tifosi del Liverpool arrivano in città, abusano di alcol e accade qualche scaramuccia, ma nulla di preoccupante. O meglio, niente che lasci presagire la tragedia che sarebbe accaduta dopo, tra gli spalti dello stadio Heysel.

All’apertura dei cancelli i controlli sono pochi e disattenti.

Il settore Z viene occupato per lo più da persone tranquille, famiglie, non solo italiane ma anche di altri paesi, che simpatizzano per la Juventus. Circa seimila tifosi inglesi riescono ad entrare senza biglietto e vanno ad occupare la Curva: insieme a loro ci sono anche alcuni Ultrà del Chelsea, del gruppo Headhunters di estrema destra, particolarmente violenti e facinorosi.

Purtroppo ci sono tutti i presupposti per trasformare un evento sportivo in una tragedia di cui parlare a lungo.

Manca un’ora all’inizio della partita, e gli animi cominciano a riscaldarsi. I tifosi inglesi, molti dei quali entrati ubriachi allo stadio, iniziano a lanciare cori e slogan contro gli juventini.

I settori dello stadio dell'Heysel
I settori dello stadio dell’Heysel

La tragedia

Alcuni Ultras del Liverpool, credendo che i tifosi presenti nel settore Z siano tutti italiani, allo scopo di intimidirli cominciano ad ondeggiare con forza. Dopo tre cariche da parte degli Hooligans, le recinzioni cedono paurosamente.

I poliziotti non riescono a fronteggiare gli Ultras inglesi, che invadono letteralmente lo spazio occupato dagli altri tifosi.

Cominciano i lanci di bottiglie, che colpiscono i tifosi, ferendone qualcuno alla testa.

I tifosi del settore Z, terrorizzati dalla furia degli hooligans, cercando disperatamente di lasciare lo stadio.

I cancelli di uscita in alto dell’impianto sono serrati, e non è possibile raggiungere il terreno di gioco perché i poliziotti lo impediscono a suon di manganellate.

Presi dal panico, i tifosi italiani finiscono con l’asserragliarsi nell’angolo più basso e lontano del settore, schiacciati contro il muro che divide le opposte tifoserie.

Alcuni tentano di lanciarsi nel vuoto, nello spazio che separa il settore Z dalla tribuna. Altri però non ce la fanno, perché vengono raggiunti dalla calca in fuga e restano schiacciati. Ad un certo punto, il muretto crolla. È la strage.

Una pattuglia della polizia belga raggiunge lo stadio Heysel, ma solo dopo mezz’ora. L’impianto ha le sembianze di un campo di battaglia, ci sono morti e feriti ovunque.

La partita

Nonostante l’entità della tragedia, la partita si gioca comunque: si verifica solo un rinvio di un’ora e 25 minuti. Le autorità prendono tale decisione per motivi di ordine pubblico: si teme che i tifosi bianconeri possano rivendicare ciò che è successo.

Pare che i giocatori siano stati obbligati a giocare. Sia la Juventus che il Liverpool non hanno intenzione di scendere in campo, ma l’effetto rinuncia fa paura.

La Juventus vince per 1-0.

Molti ricorderanno per sempre la telecronaca di quella partita maledetta, i surreali festeggiamenti finali, e tutte le polemiche – legittime – che ne seguirono.

Alcune emittenti televisive, come quella tedesca ed austriaca, si rifiutarono di trasmettere la partita.

In Italia Bruno Pizzul, poco prima dell’inizio della telecronaca, rilascia queste dichiarazioni:

Gentili telespettatori, la partita verrà commentata in tono il più neutro, impersonale e asettico possibile.

Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, rimane uno degli episodi più tristi del calcio e dello sport in genere.

Strage dell’Heysel
La targa commemorativa

Lo stadio è stato completamente ristrutturato nel periodo 1994-1995; il suo nome è cambiato ed è stato intitolato a Re Baldovino. Oggi è presente una targa commemorativa con i nomi delle vittime della strage dell’Heysel, a loro imperitura memoria.

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