Vittorio Emanuele III Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 28 Oct 2022 08:50:58 +0000 it-IT hourly 1 La marcia su Roma – riassunto https://cultura.biografieonline.it/la-marcia-su-roma/ https://cultura.biografieonline.it/la-marcia-su-roma/#comments Fri, 28 Oct 2022 08:12:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3849 La marcia su Roma avvenne il 28 ottobre 1922 e fu una manifestazione ispirata e voluta da Benito Mussolini, capo del Partito Nazionale Fascista (PNF). Vi parteciparono decine di migliaia di fascisti che raggiunsero la capitale nella notte fra il 27 e il 28 ottobre dando vita ad una concatenazione di eventi che portarono il re Vittorio Emanuele III a dare incarico a Mussolini di guidare il nuovo governo con il quale iniziò il ventennio fascista.

La marcia su Roma
La marcia su Roma

Preambolo

Le cause che permisero il successo della Marcia su Roma vanno cercate nella debolezza dello Stato liberale e dei governi che si erano succeduti negli anni precedenti. Il distacco sempre più forte dalle esigenze e necessità a delle rappresentanze economiche e sociali e delle classi medie avevano generato un pericoloso vuoto politico.

Le istituzioni apparivano incapaci di mantenere l’ordine, mentre movimenti rivoluzionari formati da socialisti, comunisti e fascisti, ognuno seguendo propri scopi politici, creavano seri problemi all’ordine pubblico.

Mussolini fu uno dei leader politici più abili nel saper governare questi moti rivoluzionari, fondando il Partito Nazionale Fascista nel 1921 e riuscendo a pilotare le sue diverse anime verso un unico obiettivo: la conquista del potere politico attraverso un colpo di mano.

Fu aiutato da Gabriele D’Annunzio che gli permise di ottenere il consenso popolare e contemporaneamente di contenere i moti più violenti.

Tenendo sotto controllo le bizzarrie del poeta e avvicinando i poteri economici e politici del paese, Mussolini realizzò le prime strategie politiche che lo portarono rapidamente a controllare gli equilibri politici del paese.

La sua tattica fu copiata successivamente da Hitler che ammirava il Duce proprio per la sua abilità nel gestire diverse alleanze politiche, senza dividere il potere con nessuno.

Una della mosse più scaltre che realizzò Mussolini fu rompere l’alleanza fra D’Annunzio e Luigi Facta, delfino di Giolitti, facendo credere allo stesso Facta che ricopriva la carica di Presidente del consiglio, che avrebbe appoggiato le sue istanze politiche.

La marcia su Roma

La realizzazione della marcia su Roma ebbe due prove generali.

La prima si tenne ad Ancona, dove i fascisti occuparono gran parte della città senza alcuna resistenza da parte dei militanti socialisti e comunisti che malgrado il loro aperto contrasto al fascismo decisero di non contrastare le colonne fasciste. Il successo della manifestazione di Ancona galvanizzò Mussolini e i suoi seguaci.

A questo punto era inevitabile puntare su Roma.

Tuttavia quattro giorni prima della marcia, Aurelio Padovani, un alto dirigente del partito, organizzò un’altra adunata di fascisti alla quale partecipò anche Mussolini; durante questa seconda prova, Mussolini tenne due discorsi entrambi minacciosi ma che non compromisero il piano della marcia.

La sera stessa nella città partenopea il Duce si riunì con il suo stato maggiore per ragionare sull’organizzazione della marcia e mettere a punto gli ultimi dettagli.

Il Duce, Benito Mussolini
Il Duce, Benito Mussolini

Dopo Napoli il governo presieduto da Facta si riunì in un Consiglio dei ministri durante il quale furono rimesse le deleghe al Presidente del consiglio affinché avesse la possibilità di trattare con i fascisti e di usare le poltrone dei ministeri come merce di scambio. Infatti, dopo Napoli, Facta sapeva – anche se lo sottovalutava – che Mussolini e i suoi fascisti erano diventati una minaccia concreta per il proseguimento del suo governo.

Il 27 ottobre alcune squadre di fascisti presero possesso di edifici pubblici a Cremona, Pisa e Firenze. Facta chiese al re di proclamare lo stato d’assedio che comportava una serie di limitazione dei diritti e della libertà dei cittadini ponendo in allerta le forze dell’ordine.

Il re rifiutò.

Lo stato di assedio

Marcia su Roma
Marcia su Roma

Il 27 ottobre i fascisti partirono per raggiungere in migliaia Roma.

Il Presidente del consiglio convocò una riunione d’urgenza al Viminale, sede del suo ufficio, a cui parteciparono tutti i ministri. Decretò lo stato di assedio.

Nelle stesse ore il re si consultò con lo Stato maggiore dell’esercito che di fatto sconsigliò uno scontro diretto con i fascisti. Probabilmente per questo motivo il re decise di non avallare lo stato d’assedio, provocando inevitabilmente le dimissioni di Facta.

Mentre il re rifiutava lo stato d’assedio e Facta si dimetteva, Mussolini si trovava a Milano.

La mattina del 28 ottobre il re, dopo aver accettato le dimissioni del Presidente del consiglio, diede immediatamente avvio alle consultazioni di rito.

I suoi uomini gestivano le operazioni organizzative della marcia e il Duce, malgrado sapesse il rischio di uno scontro con l’esercito o della possibilità di defezioni e tradimenti da parte dei suoi, manteneva una strategia bilaterale: da una parte l’unità del partito e dei suoi dirigenti, e dall’altra la possibilità di ripiegare qualora il re avesse avvallato l’ipotesi dello stato d’assedio.

Antonio Salandra
Antonio Salandra

Il potere a Mussolini

A questo punto l’incarico di formare il nuovo governo sembrava già di Mussolini.

Così fu, infatti; anche se per poche ore Antonio Salandra, ex Presidente del consiglio e senatore, sembrò essere il copilota di un nuovo governo con il futuro Duce.

Il 29 ottobre Benito Mussolini ricevette un telegramma da parte del generale Arturo Cittadini, uomo vicinissimo al re, che gli confermava l’incarico come Presidente del consiglio.

La mattina del 30 ottobre Mussolini arrivò a Roma e incontrò il re.

Ricevuto l’incarico formò rapidamente un governo e autorizzò i fascisti, accampati fuori della capitale, ad entrare e sfilare per le vie della città.

Il 31 ottobre Mussolini ordinò di lasciare la capitale e iniziò a ricoprire il ruolo di Primo ministro che mantenne per più di vent’anni.

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La Luogotenenza di Umberto II https://cultura.biografieonline.it/luogotenenza-di-umberto-2/ https://cultura.biografieonline.it/luogotenenza-di-umberto-2/#respond Wed, 28 Sep 2016 01:03:21 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=19990 La Luogotenenza del regno è un istituto di affidamento del potere regio a un luogotenente – il quale è solitamente di rango principesco. Il luogotenente esercita l’autorità reale in caso di assenza o impedimento del re legittimo. All’indomani della Liberazione di Roma, nel giugno del 1944, re Vittorio Emanuele III si ritirò nominando suo figlio Umberto II di Savoia Luogotenente generale del Regno. In questa fase storica Umberto, dunque, esercitò le funzioni di capo dello Stato senza tuttavia possedere la dignità di re.  Egli fu Luogotenente del regno e non del Re, proprio a radicare il legame più con lo Stato che con la figura del Re. Umberto II guadagnò così la fiducia degli Alleati e lasciò che fosse il popolo italiano, attraverso il referendum, a decidere per la Monarchia o la Repubblica.

Umberto II di Savoia
Umberto II di Savoia

Il contesto storico

La guerra civile in Grecia fu uno degli aspetti più dibattuto verso la fine della Seconda Guerra mondiale. Già nel 1944 Winston Churchill, insieme ad Anthony Eden, avevano deciso di passare alcuni giorni nella capitale greca per organizzare una resistenza ai focolai comunisti che attendevano una decisione da parte di Stalin.

La Grecia infatti sarebbe stato uno dei territori più importanti nei futuri equilibri europei. E sulla Grecia Churchill avrebbe giocato la sua maggiore influenza. In Italia, invece, la guerra civile scoppiata dopo la fondazione della Repubblica Sociale, non destava particolari preoccupazioni agli alleati.

Gli occhi sull’Italia

La lotta in questo caso era fra gli Alleati che sostenevano la resistenza e i tedeschi che appoggiavano la Repubblica di Mussolini. Ovviamente gli Alleati si erano posti il problema di cosa sarebbe accaduto all’Italia dopo la guerra. Churchill aveva manifestato l’interesse affinché la monarchia continuasse a rappresentare il paese, magari con funzioni ancora più limitate.

Roosevelt invece propendeva per una soluzione repubblicana ma aveva deciso di lasciare all’alleato inglese prevalenza nelle decisioni riguardanti il Mediterraneo. In Italia, Pietro Nenni, leader del Partito socialista, e il partito d’Azione chiedevano a gran voce la convocazione di un’Assemblea costituente.

Togliatti, invece, rientrato dall’Urss manteneva una posizione neutrale, osservando gli avvenimenti, secondo i suggerimenti di Stalin. Ma anche prendendo alcune posizioni in favore della repubblica per non lasciare solo a Nenni la possibilità di indossare l’abito del repubblicano.

I sostenitori monarchici, che avevano ancora una certa influenza nel paese, erano consapevoli che Vittorio Emanuele III non era più popolare fra i suoi sudditi. Si doveva cercare una soluzione in poco tempo. E fu Enrico De Nicola – come scrive Ludovico Incisa di Camerana nel suo libro “L’ultimo re, Umberto II di Savoia e l’Italia della Luogotenenza” pubblicato da Garzanti – a trovare la soluzione.

L'ultimo Re Umberto II di Savoia e l'Italia della Luogotenenza
La copertina del libro “L’ultimo Re” (Garzanti, 2016)

Verso la Luogotenenza

L’avvocato, futuro primo presidente della Repubblica, ricordò che la Luogotenenza era già stata utilizzata in passato. Essa era quindi una possibilità contemplata nella storia dei Savoia.
Vittorio Emanuele III non era convinto. Tuttavia alla fine accettò di firmare il decreto attuativo della luogotenenza dopo la liberazione di Roma.

La capitale venne liberata il 4 giugno del 1944. Il giorno dopo un generale americano in maniche di camicia obbligò il re a firmare il decreto nella residenza di Ravello. La Luogotenenza era la penultima carta dei monarchici. Mentre l’ultima fu l’abdicazione di Vittorio Emanuele III in favore del figlio Umberto.

La Luogotenenza di Umberto II

I repubblicani capirono che Umberto II sarebbe stato un alleato contro Badoglio. Così lo convinsero, senza troppi problemi, ad appoggiare Ivanoe Bonomi alla Presidenza del Consiglio. Subito dopo Umberto firmò il decreto che prevedeva la costituzione di un’assemblea. Essa avrebbe scritto la nuova Costituzione, e il referendum che avrebbe deciso le sorti della monarchia.

Umberto era un gentiluomo e non avrebbe mai difeso con forza estrema la monarchia, forse non voleva nemmeno governare e quando il referendum decretò la vittoria della Repubblica. Accettò quindi l’esilio per evitare qualsiasi tensione fra repubblicani e monarchici. I primi erano maggioritari al nord e i secondi al sud.

Umberto II al seggio
Umberto II al seggio

La giovane Repubblica Italiana

L’Italia comunque stava vivendo molti conflitti e i governi della giovane repubblica già dimostravano fragilità e precarietà che avrebbero contraddistinto la successiva storia politica del paese.

Ferruccio Parri governò per sei mesi. Mentre il governo De Gasperi, grazie all’intelligenza del Primo ministro, durò di più e trovò il modo di convivere con i comunisti comandati da Togliatti.

La situazione economica dell’Italia era disastrosa. I problemi da affrontare erano immensi, non solo dal punto di vista politico ed economico ma anche sociale. Molte questioni che riguardavano la giovane democrazia facevano ben sperare, c’erano infatti molti fervori per un futuro migliore.

Ma altre situazioni, soprattutto per ciò che riguarda la ricostruzione economica e l’epurazione, mostravano sfide importanti.
La storia della Luogotenenza racchiude molti elementi che si sarebbero ritrovati negli anni successivi. Il libro di Camerana li condensa tutti con un racconto ricco di spunti e pieno di riferimenti storici suggestivi.

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Storia del Giornalismo italiano: la stampa durante il fascismo https://cultura.biografieonline.it/storia-giornalismo-fascismo/ https://cultura.biografieonline.it/storia-giornalismo-fascismo/#comments Fri, 08 Jan 2016 18:36:31 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16168 La stampa nel periodo fascista vede sfruttare il prestigio e la diffusione delle maggiori testate per accattivarsi il consenso della popolazione. Punta soprattutto al “Corriere della Sera” e a “La Stampa”. Vediamo nel contesto della storia del giornalismo italiano come si evolve la stampa.

Omnibus - Storia del giornalismo italiano
Storia del giornalismo italiano: uno dei primi numeri del settimanale Omnibus (giugno 1937).

La stampa e Mussolini

In un primo momento, pretende la fascizzazione della parte politica e poi arriva a manipolarli totalmente. È il momento di nuovi mutamenti e di cambi di direzione: egli vuole eliminare i direttori che gli sono avversi e ci riesce. È così che il “Corriere della Sera”, in soli tre anni, cambia tre volte direttore; succede anche in altri quotidiani, come “La Stampa”, il “Giornale d’Italia”, il “Messaggero” e la “Tribuna”. Mentre muore “Il Secolo”, riprendono invece le pubblicazioni del “Gazzettino” (Venezia). Inoltre, Mussolini impone il blocco del numero dei quotidiani e gli editori rispondono passando all’impaginazione a sette colonne. Ciò comporta un distacco dal punto di vista editoriale e tecnico tra la stampa italiana e quella degli altri paesi: i quotidiani francesi, inglesi e americani hanno già intrapreso una diversificazione dei contenuti come metodo per combattere la diffusione della radio, che in Italia nasce nel 1930.

Mussolini si serve dell’ufficio stampa come mezzo principale di sorveglianza, dal quale partono le “veline”, che contengono le disposizioni ai giornali sugli argomenti da trattare: prima di ogni cosa la costruzione del “mito” del duce, le questioni politiche e la cronaca nera. L’iscrizione al sindacato è riservata ai giornalisti aderenti al partito fascista. Viene istituito l’albo e, per poter esercitare la professione, bisogna esserne iscritti: l’iscrizione si ottiene se si ha un regolare contratto con un quotidiano.

Storia del giornalismo italiano: il giornalismo radiofonico

Torniamo alla nascita della radio. Nel 1930, al giornalismo della carta stampata si affianca quello radiofonico. I giornali radio raggiungono indici di ascolto elevatissimi. Nello stesso anno, il guardasigilli Alfredo Rocco prepara il codice “Rocco”. Le nuove norme penali servono ad integrare alcuni punti lasciati in sospeso dalla legge 31 dicembre 1925. Eccoli: viene accentuata la responsabilità del direttore e il sequestro avviene per opera dei prefetti. La modernizzazione della stampa si sviluppa su tre piani: tecnico (vengono introdotte rotative più veloci), editoriale (la creazione del numero del lunedì, aumento delle pagine – alcune giornate sino a dodici – distribuzione più rapida), giornalistico (una maggiore diversificazione dei contenuti, maggiore uso delle fotografie, impaginazione di tipo orizzontale, stagione trionfale per la terza pagina).

Con l’installazione delle prime macchine per stampare in rotocalco (1930), nascono nuovi settimanali (femminili, sportivi, di cinema, per ragazzi), editori importanti sono Rizzoli e Mondadori. Nel 1933, il duce nomina capo dell’ufficio stampa Ciano, suo genero, mentre lui sta pensando all’Abissinia (Africa orientale). I giornali e la radio contribuiscono a far rinascere il mal d’Africa: Ciano estende il suo controllo sulla radio e decide di mandare in onda, dopo il notiziario delle venti, un commento ai fatti del giorno. La rubrica si intitola “Cronache del regime” e se ne occupa Roberto Forges Davanzati.

Gli inviati

Durante la conquista dell’Etiopia, gli inviati speciali sono trentasei. La censura militare e la sorveglianza del Ministero della Stampa nascondono le incertezze che si registrano nella prima fase; man mano che la vittoria si avvicina l’enfasi cresce: il duce torna ad occupare il titolone della prima pagina. Le tirature dei quotidiani registrano vette mai viste. Nel 1937, il Ministero della Cultura popolare viene chiamato “Minculpop”.

Nascono i settimanali di attualità Omnibus (Rizzoli), Tempo (Mondadori). Comincia anche la guerra delle onde con l’attivazione di emittenti antifasciste. La stampa è chiamata ad abbandonare ogni pietismo e a diffondere la campagna antisemita: ogni quotidiano partecipa, ad eccezione di quelli cattolici. Nel 1939, ottengono particolare successo le corrispondenze di Indro Montanelli, inviato del “Corriere”.

L’entrata in guerra dell’Italia e la censura fascista

La sera del 10 giugno 1940 viene dato l’annuncio dell’entrata in guerra. Due ore dopo l’annuncio, Pavolini, ministro della Cultura popolare, tiene rapporto ai direttori dei maggiori quotidiani e raccomanda di intensificare la campagna sulle ragioni dell’intervento.

Corriere della Sera - 10 giugno 1940, l'Italia entra nella Seconda Guerra Mondiale
10 giugno 1940, l’Italia entra nella Seconda Guerra Mondiale. La prima pagina del Corriere fa parte della storia del giornalismo italiano

Sono scarse le veline sull’andamento del combattimento, perché sulle notizie militari e sulle corrispondenze di guerra esiste un doppio vaglio censorio. Così i corrispondenti di guerra sono costretti a descrivere più le impressioni che i fatti. All’inizio, i quotidiani devono uscire a 4 pagine. Calano le vendite, perché la gente non si accontenta più dei bollettini e dei comunicati. Allora Pavolini concede due numeri a sei pagine alla settimana e invita i direttori a ridare alla terza pagina il suo tradizionale carattere. Avviene così che le vendite cominciano a salire e la crescita non si arresta più.

Propaganda fascista - Terza pagina del giornale Popolo di Romagna - 15 gennaio 1938
Propaganda fascista: terza pagina del giornale Il Popolo di Romagna

Dalla metà del 1942 i quotidiani devono uscire a quattro pagine e nel 1943 si arriva a scendere alle due pagine. Il “Corriere” è in testa, seguito da “La Stampa”, “Stampa sera” e dal “Popolo d’Italia”. Anche la guerra delle onde si sviluppa enormemente. Così Mussolini invita i giornali a dire di tutto ed a occuparsi di tutto. Caduta Pantelleria, l’ordine che viene dato è di evitare polemiche dirette a distinguere tra fascisti e antifascisti. Gli angloamericani sbarcano in Sicilia.

L’arresto di Mussolini

Mussolini viene sconfessato dal Gran Consiglio del fascismo in una riunione avvenuta nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 e viene fatto arrestare da Re Vittorio Emanuele III. L’annuncio delle “dimissioni” del duce e dell’incarico dato dal re a Badoglio di formare il governo venne diramato dalla radio dopo le 22 del 25 luglio.

26 luglio 1943 - giornale - La Stampa
La prima pagina de La Stampa del 26 luglio 1943

E’ un momento importante nel contesto della storia del giornalismo italiano. Per i giornali comincia una notte frenetica, Morgagni, presidente dell’agenzia Stefani, si toglie la vita. Cessa le pubblicazioni “Il popolo d’Italia”. Escono brevi commenti nei quotidiani che, a partire dal “corriere”, sono quasi tutti intitolati “Viva l’Italia”.

La stampa e Badoglio

Le prime misure adottate da Pietro Badoglio per la stampa e la radio sono molto severe. A causa della penuria della carta, i quotidiani sono autorizzati ad uscire a quattro pagine soltanto due volte la settimana. Due testate vengono soppresse: “IL popolo d’Italia” e “Il regime fascista”. Con la nomina di Galli al ministero della Cultura viene concessa alla stampa qualche possibilità di parlare del fascismo, ma solo su aspetti scandalistici: l’amante del duce e i suoi familiari, ad esempio.

Dopo la fuga del re e di Badoglio da Roma i giornali e la radio sono allo sbando. Per alcuni giorni dei quotidiani non escono e il giornale radio non trasmette il notiziario. I quotidiani escono a due pagine e sono firmati da “redattori responsabili”. Si apprende la notizia della liberazione di Mussolini, avvenuta per opera di paracadutisti tedeschi, che lo trasferiscono in Germania.

La stampa in mano ai tedeschi e la stampa clandestina

Da Monaco, arriva l’annuncio di Mussolini della creazione della Repubblica sociale italiana (La Repubblica di Salò – Lombardia). Da questo momento, fu solo uno strumento in mano tedesca. I tedeschi obbligano i giornali romani a pubblicare il testo integrale del discorso di Hitler sul tradimento dell’Italia.

Nelle prime settimane, i canali d’informazione sono soltanto rappresentate dalle agenzie tedesche e i notiziari del nuovo regime fascista trasmessi da Monaco. È attraverso l’istituzione dell’ufficio propaganda Staffel, nato a Milano, che i tedeschi esercitano il controllo della radio e dei giornali. Mussolini pubblica sul “Corriere” una lunga serie di articoli nei quali ripercorre le vicende svoltesi tra il 1942 e il 1943. Nel 1945 si avvicina la fine. Ha inizio la stampa clandestina. Si distinguono due filoni: da una parte la stampa clandestina dei partiti e dall’altra i fogli partigiani.

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Storia del Giornalismo italiano: la stampa da Giolitti a Mussolini https://cultura.biografieonline.it/giornalismo-giolitti-mussolini/ https://cultura.biografieonline.it/giornalismo-giolitti-mussolini/#respond Sat, 05 Dec 2015 15:07:36 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=15705 In questo articolo affrontiamo un nuovo capitolo della serie di articoli dedicati alla storia Storia del Giornalismo in Italia. Quello che vede il periodo che va dal governo di Giolitti a quello di Mussolini. Durante i primi governi, Giolitti, oltre a dover subire l’avversione del “Corriere” e del “Giornale d’Italia”, vede indebolire la sua posizione anche per le incertezze che si verificano tra i fogli che lo sostengono. Così, Giolitti reagisce facendo ricorso ai vecchi metodi, quindi riprende a funzionare la macchina delle sovvenzioni ai giornali.

La Tribuna del 20 ottobre 1918
La Tribuna: la prima pagina del 20 ottobre 1918 racconta della zona di guerra del fiume Piave, durante la Prima Guerra Mondiale.

Un caso esemplare di intreccio tra potenti industriali e finanzieri, tra politica e giornali è quello che riguarda “La Tribuna”. Il più diffuso quotidiano della capitale da vari anni è in crisi e per la sua sopravvivenza si forma un gruppo di finanziatori che comprende la Banca commerciale, la Banca d’Italia e il Banco di Roma e vari industriali siderurgici, mentre Giolitti ne sceglie il direttore, Olindo Malagodi.

Olindo Malagodi
Olindo Malagodi

Altro cambiamento importante riguarda il “Secolo”. Edoardo Sonzogno vende la testata e lo stabilimento tipografico a condizione che chi lo acquista resti fedele ai suoi ideali politici (Sinistra). Gli acquirenti sono Giuseppe Pontremoli e Luigi Della Torre. La direzione politica viene affidata a un vecchio garibaldino, Edoardo Pantano, mentre la fattura del giornale a Mario Borsa, che reputa opportuno un minor coinvolgimento politico del giornale e lo vuole rendere più facile alla lettura, vario e informativo.

Prevale invece la scelta di Pontremoli (il quale in pratica dirige il giornale, e lo farà ufficialmente dal 1911), ovvero quella di fare concorrenza al “Corriere”, mirando allo stesso pubblico. Tuttavia, il tentativo di Pontremoli fallisce e un po’ di respiro finanziario il “Secolo” lo trova quando i suoi proprietari comprano il “Messaggero” nel 1911 e fondono le due gestioni.

Nel periodo tra il 1908 e il 1911, nascono vari periodici d’impronta nazionalista, che combattono il movimento socialista e osteggiano Giolitti. È il 1910 quando viene fondata l’Associazione nazionalista italiana, alla quale aderisce anche D’Annunzio e, nel 1911, esce a Roma il più importante settimanale di questo movimento: “L’Idea nazionale”.

Giovanni Giolitti
Giovanni Giolitti

Ad un certo punto, proprio quando Giolitti sta maturando la decisione di dichiarare guerra all’impero turco per la conquista della Libia e i giornali che lo sostengono (Giornale d’Italia, Il Mattino, Il Secolo XIX, Stampa e Tribuna) stanno ottenendo sostanziosi risultati diffusionali, Albertini con il “Corriere” si unisce al coro e ne diventa capofila: il distintivo del “Corriere” è in Terza pagina ed è Gabriele D’Annunzio che, con le sue Canzoni d’Oltremare, invade il Paese.

Altro grande dispensatore di mal d’Africa è Edoardo Scarfoglio che, quando si avviano le trattative per la pace con la Turchia, lancia accuse di tradimento. “L’Avanti!” è accusato di essere filo turco in quanto è l’unico a segnalare le deficienze della condotta della guerra.

Storia del Giornalismo: Mussolini e “L’Avanti!”

Dal 1912, il direttore de “L’Avanti!” diventa Benito Mussolini e, sotto la sua direzione, aumenta la diffusione del giornale. “Il Corriere” è sempre in testa, seguito dal “Giornale d’Italia”, dalla “Tribuna”, “La Stampa” e “La Gazzetta del popolo”. Mentre il “Mattino” si assicura il primo posto tra i quotidiani del Mezzogiorno.

È di rilevante importanza la parte svolta dai giornali durante la neutralità proclamata dal governo Salandra: lo scontro tra neutralisti e interventisti avviene prima sulla stampa che sulle piazze.

A Milano, nel 1914, Mussolini fonda “Il Popolo d’Italia”. Radicalizza la lotta contro i neutralisti, che definisce disfattisti e contro gli incerti. Sono per l’interventismo “Il Corriere”, “La Gazzetta del popolo”, “Il Resto del Carlino”, “Il Giornale d’Italia”, “Il Messaggero” e il “Roma”. Mentre nell’interventismo si profila un filone democratico di cui fanno parte “Il Secolo” e il “Gazzettino”. Al contrario, il campo neutralista, può contare sul sostegno de “La Stampa”, “La Tribuna”, “La Nazione” e “Il Mattino”.

Il periodo della guerra

Il 23 maggio 1914, quando ormai l’annuncio della guerra è imminente, un nuovo decreto vieta ai giornali di dare notizie all’infuori di quelle dei comunicati ufficiali. La guerra si rivela più lunga e sanguinosa del previsto, così i comandi si rendono conto dell’importanza della stampa nel fronte interno e anche nelle trincee.

Ai corrispondenti di guerra viene affidato il compito di dare una visione ottimistica della guerra, che provoca un arresto dello sviluppo. La stampa è in crisi: le aziende che hanno raggiunto una situazione solida sono pochissime. Tra queste, spicca il “Corriere” e anche “La Stampa”. Pontremoli e Della Torre cedono il “Messaggero” ai fratelli Perrone, che sono già proprietari del “Secolo XIX”. Si trovano in una situazione di difficoltà anche “La Tribuna”, “Il Mattino”, “La Nazione” e il “Popolo d’Italia”, mentre “L’Avanti!”, dopo il calo di diffusione registrato all’inizio della guerra, si è ripreso.

Nonostante ciò, i quotidiani del primo anno di pace, pur costretti a uscire a quattro pagine a causa della penuria di carta, si presentano più vivaci.

Il ritorno di Giolitti al governo nel 1920, è accolto senza grande ostilità dai giornali, ma l’atteggiamento di neutralità adottato da Giolitti di fronte all’occupazione delle fabbriche e i provvedimenti economici che propone suscitano nuovamente un’ampia coalizione di opposizione politica e giornalistica.

La stampa e il fascismo

Nel 1921, 29 sedi di giornali vengono assalite dalle squadre fasciste e l’autorità pubblica non interviene. E’ un capitolo buio per la storia del giornalismo italiano. È la fase in cui il fascismo viene considerato come unico mezzo per ristabilire l’ordine. In questa fase, “Il Corriere”, diretto da Alberto Albertini (in quanto Luigi si trova a Washington), “Il Giornale d’Italia” e il “Secolo”, appoggiano il fascismo; soltanto alla fine del 1922 avvertono che ormai il gioco è nelle mani di Benito Mussolini che, nel frattempo, ha raggiunto Roma e il re (Vittorio Emanuele III) gli affida l’incarico di formare il governo.

Nelle prime settimane del governo Mussolini, le prime pagine dei quotidiani si presentano spente politicamente. Sono soltanto gli organi dell’opposizione socialista, comunista e repubblicana che reagiscono al fatto compiuto. Eppure, le intenzioni manifestate da Mussolini compaiono chiare nei tre articoli pubblicati sul “Popolo d’Italia”, diretto da Arnaldo Mussolini. Il primo articolo affronta il problema della gerenza, il secondo quello del sequestro e il terzo quello della censura.

Il Regio Decreto minaccia la libertà di stampa

Arriva con il Regio Decreto annunciato dal governo e controfirmato dal re un segnale molto grave per la libertà di stampa. L’articolo 1 prescrive che il gerente debba essere il direttore o uno dei principali redattori; l’articolo 2 conferisce ai prefetti la facoltà di diffidare il gerente e, dopo aver ascoltato il parere di un magistrato e di un giornalista, di dichiararlo decaduto. “Il Corriere” e “La Stampa” prendono una netta posizione contro il Regio Decreto e Albertini scrive: “I provvedimenti di Pelloux erano meno gravi”.

Reagisce in modo deciso la Federazione della Stampa, votando un documento di rigetto del Regio decreto. Una delegazione si reca da Mussolini, il quale risponde con assicurazioni vaghe ma distensive. Mussolini percorre quindi altre vie: i sequestri, le aggressioni e le intimidazioni contro i giornalisti.

“Il Secolo” passa di mano attraverso un’operazione messa a punto da Arnaldo Mussolini e il nuovo direttore è il nazionalista Bevione. Bergamini è sostituito da Vettori; Malagodi da Giordana, filofascista. La stampa cattolica appoggia il governo.

Don Sturzo reagisce fondando a Roma “Il Popolo”, organo del partito popolare che aveva fondato e lascia l’Italia. Così lo sostituisce Donati, che continua a battersi contro il fascismo.

La nascita dell’Unità, l’omicidio di Matteotti e la dittatura fascista

Nasce nel 1924 a Milano, diretto da Pastore, l’organo del partito comunista “L’Unità”. Esplode in questa situazione il caso Matteotti, segretario del partito socialista unitario, che denunciò in Parlamento le illegalità fasciste: venne perciò rapito e assassinato a Roma.

L’opinione pubblica partecipa in modo intenso alla battaglia intrapresa dalla stampa contro il fascismo e Mussolini. A dimostrare ciò, intervengono gli aumenti delle vendite. La reazione di Mussolini è quella di dare attuazione al Regio Decreto, aggravandone le modalità di esecuzione: i prefetti possono sequestrare i giornali senza far precedere la diffida.

La protesta della stampa è decisa e più ampia di quanto Mussolini possa aspettarsi. Al Congresso nazionale della Federazione della Stampa, tenutosi a Palermo, l’ordine del giorno chiede e ottiene la revoca del regio Decreto. A questo punto, Mussolini sceglie definitivamente la soluzione di forza ed è nel 1925 che annuncia l’instaurazione della dittatura.

Benito Mussolini
Benito Mussolini

Si decide l’istituzione dell’Ordine dei giornalisti, al quale bisogna iscriversi per esercitare la professione. Il governo decreta lo scioglimento dei partiti di opposizione e la soppressione dei giornali avversi al fascismo. Inoltre viene approvata la legge per la difesa dello Stato, la quale introduce la pena di morte. La storia d’Italia appare legata a doppio filo alla storia del giornalismo.

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L’Operazione Quercia: la liberazione di Mussolini https://cultura.biografieonline.it/mussolini-operazione-quercia/ https://cultura.biografieonline.it/mussolini-operazione-quercia/#comments Mon, 06 Jul 2015 15:22:25 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14612 Operazione Quercia è il nome in codice del progetto di liberazione di Mussolini da parte dei nazisti. Venne messa in atto il 12 settembre 1943; protagonisti attivi furono i paracadutisti tedeschi. Ma andiamo con ordine.

Mussolini
Benito Mussolini

Benito Mussolini venne arrestato, per ordine del re Vittorio Emanuele III, il 25 luglio 1943, dopo che aveva comunicato al sovrano l’esito del Gran Consiglio del Fascismo che si era tenuto la notte prima. Il Consiglio, con 19 voti a favore, 8 contrari e un astenuto, aveva pronunciato la destituzione da ogni potere e funzione statale del Duce.

Dopo l’arresto, Mussolini fu trasferito sull’isola di Ponza e il re nominò Presidente del Consiglio dei Ministri il maresciallo Pietro Badoglio. Dopo l’isola di Ponza, il Duce venne portato sull’isola della Maddalena e da lì, il 26 agosto, venne definitivamente trasportato sul Gran Sasso in Abruzzo, nella località di Campo Imperatore, dove rimase fino alla sua liberazione.

Questi spostamenti furono ordinati dal Governo di Badoglio che era, probabilmente, a conoscenza dell’intenzione del Führer di liberare Mussolini. Subito dopo l’arresto del Duce, Hitler decise che avrebbe fatto liberare l’amico alleato e che, una volta trasferito in Germania, lo avrebbe aiutato a riprendere il potere in Italia.

Il progetto venne codificato sotto il nome di: Operazione Quercia, in tedesco Fall Eiche.

Già verso la fine di luglio, infatti, Hitler convocò il generale dell’aviazione Student per ordinagli di organizzare la liberazione di Mussolini.

Il piano prevedeva l’utilizzo di alcuni reparti dei paracadutisti comandati dal maggiore Harold Mors e il supporto dei servizi segreti militari coordinati da Herbert Kappler e dal capitano delle SS Otto Skorzeny. I servizi scoprirono rapidamente che Mussolini era detenuto sull’isola della Maddalena e in breve organizzarono il piano per liberarlo. Improvvisamente, il Duce venne trasferito sul Gran Sasso ed è probabile che il trasferimento sia avvenuto perché il governo italiano era stato informato che La Maddalena non era più un luogo segreto.

Tuttavia, i tedeschi non impiegarono molto tempo per scoprire il nuovo rifugio del Duce e, grazie alle intercettazioni, vennero a conoscenza anche del dispiegamento di forze che era stato mandato a proteggerlo. Un dispiegamento, comunque, non particolarmente nutrito e questo, in seguito, ha fatto supporre agli storici che Mussolini sia stato messo di proposito senza una scorta adeguata, affinché i tedeschi lo portassero via, forse in cambio della promessa di non svolgere alcuna rappresagli contro il governo.

Scoperta la nuova ubicazione, gli uomini del maggiore Mors elaborarono subito un piano d’attacco. Vennero organizzate due azioni, una dal cielo e una da terra. Mors, infatti, pianificò un attacco con alianti che avrebbe dovuto svolgersi di notte e uno da terra per bloccare qualsiasi accesso dall’Aquila verso il Gran Sasso.

Benito Mussolini
Benito Mussolini

La scorta di protezione al Duce, formata da 73 uomini, 43 carabinieri e 30 poliziotti, non costituiva un grande problema; la vera preoccupazione per Mors era causata dagli eventuali rinforzi che dall’Aquila avrebbero potuto confluire rapidamente a Campo Imperatore. Il generale Student approvò il piano.

Il 12 settembre 1943 gli uomini di Mors occuparono la funivia che porta a campo Imperatore, mentre gli alianti atterravano vicino all’albergo. Mussolini venne liberato poco dopo, la resistenza italiana fu quasi nulla.

Non ci furono vittime e mentre Skorzeny comunicava a Mussolini di essere lì per liberarlo per volontà di Hitler. L’Operazione Quercia si compiva: il Duce usciva dalla stanza che lo aveva ospitato per più di un mese, con la consapevolezza di essere non più prigioniero degli italiani ma di essere – e forse era peggio – sotto la pesante influenza dei tedeschi.

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