Unità d'Italia Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 31 May 2023 16:10:23 +0000 it-IT hourly 1 Battaglia di Magenta, riassunto. La storia e i protagonisti. https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-magenta/ https://cultura.biografieonline.it/battaglia-di-magenta/#respond Wed, 31 May 2023 16:09:55 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25931 Il nome di Magenta, una città della provincia di Milano, è legato ancora oggi alla famosa Battaglia che qui si combatté il 4 giugno 1859, durante la Seconda guerra di indipendenza italiana, tra gli schieramenti militari francesi e quelli dell’impero austriaco. La Battaglia di Magenta fu importante per la vittoria definitiva dei franco-piemontesi. Essa rappresenta un episodio significativo per l’avvio del processo di unificazione dell’Italia.

Battaglia di Magenta
Il campo della Battaglia di Magenta dopo gli scontri dipinto in un quadro di Giovanni Fattori: Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta (1859). Tela; 232 x 348cm; Galleria d’Arte Moderna, Firenze

Lo scenario europeo pre-Battaglia

Per comprendere le motivazioni e le dinamiche che hanno condotto alla battaglia di Magenta, è bene fare un passo indietro, per esaminare il contesto in cui si inserisce questo episodio della storia italiana.

A livello europeo vi è la presenza di due grandi poli di potenze contrapposte: l’impero francese e quello austro-ungarico. Da una parte c’è la Francia, che cerca di imporre una politica di espansione dei confini, dall’altra vi sono gli Austriaci che invece reprimono in maniera anche violenta ogni iniziativa di libertà e rinnovamento civile.  

Oltre a questi due imperi contrapposti, che vogliono imporre la loro politica a livello internazionale, c’è anche il regno di Piemonte e Sardegna, guidato da Vittorio Emanuele II, che gode di una discreta popolarità e che nella sua attività viene affiancato dal Primo Ministro Camillo Benso di Cavour.

Entrambi hanno un obiettivo ambizioso: trasformare l’Italia in una nazione moderna, eliminando le differenze e le divisioni esistenti. Per fare questo, lo stratega Cavour elabora un piano: allearsi con la Francia, e convincere Napoleone III a perorare la causa.

La contessa di Castiglione e la sua azione diplomatica

Il merito di convertire l’imperatore francese alla “causa italiana” va ad una donna straordinariamente bella ma anche molto abile nella diplomazia:  la contessa di Castiglione, il cui soprannome è “Nicchia”.

La nobildonna, molto ambita e sempre circondata da uno stuolo di ammiratori e spasimanti, sposa il conte Francesco di Castiglione (cugino di Camillo Benso di Cavour) e si trasferisce presso la sua lussuosa residenza. Ma i dissapori coniugali non tardano ad arrivare, tanto che il matrimonio capitola dopo poco tempo.

La donna fa il suo ingresso alla corte di Vittorio Emanuele II, e non passa certo inosservata.

Cavour espone all’imperatore il suo piano: incaricare “Nicchia” di sedurre Napoleone III e convincerlo a “sposare” la causa del Piemonte. La donna non se lo fa ripetere due volte, e accetta subito l’incarico.

Pochi mesi prima del Congresso di Parigi (16 aprile 1856) la donna si trasferisce nella capitale francese. L’incontro, che avviene nel mese di febbraio 1856, serve a ristabilire i confini dell’Europa dell’Est destabilizzati dopo la guerra di Crimea.

In tale circostanza il primo ministro Cavour riesce ad assicurarsi l’appoggio di Francia e Inghilterra, che si schierano ufficialmente contro l’Austria.

Cavour - Napoleone III - satira
La satira piemontese riconosceva nella Francia un’antagonista del Piemonte nel controllo della penisola. In questa vignetta che si rifà a “I promessi sposi” Don Abbondio è Cavour, Renzo è il Piemonte, Lucia è l’Italia e Don Rodrigo è Napoleone III.

La Battaglia di Magenta

Il 26 aprile 1859 gli Austriaci impongono il disarmo del Piemonte, ma la riposta di Cavour è negativa. Questo ultimatum segna l’inizio della Seconda Guerra di Indipendenza italiana.

Nel conflitto vengono coinvolti circa un milione di uomini. Gli Austriaci vogliono sconfiggere l’esercito sabaudo prima che accorrano in suo aiuto i Francesi guidati da Napoleone III, ma i piani non vanno come desiderano.

Il re francese, servendosi delle rete ferroviaria, trasporta velocemente le sue truppe in Italia. Queste sferrano un primo attacco agli Austriaci a Montebello. Le forze franco-piemontesi decidono di attraversare il fiume Ticino e puntare verso Magenta, mentre gli Austriaci fanno male i loro calcoli e attendono l’attacco nella zona più a sud, in Lomellina.

Magenta diventa così teatro di una sanguinosa battaglia tra l’esercito austriaco (formato da circa 58 mila uomini) e l’armata franco-piemontese (costituita da circa 59 mila uomini) alla guida di Napoleone III.

E’ il 4 giugno 1859. I morti sul campo di battaglia sono circa seimila, la maggior parte dei quali austriaci. La vittoria delle truppe franco-piemontesi apre la strada alla liberazione di Milano, e alla successiva unificazione del nostro Paese.

Rievocazione storica della Battaglia

Ogni anno a Magenta si rievoca questo episodio cruciale del periodo che prelude all’Unità d’Italia. Gli storici ritengono infatti che, senza la vittoria della compagine franco-piemontese, sicuramente la storia del nostro Paese avrebbe preso una piega diversa.

Rievocazione della Battaglia di Magenta
Magenta, in provincia di Milano: foto da una annuale rievocazione storica. Per maggiori info: www.battagliadimagenta.it

L’evento che si tiene annualmente nella città lombarda serve a ricordare questa decisiva battaglia affermando i valori della solidarietà, dell’amicizia, e della fratellanza tra i popoli.

La rievocazione storica della Battaglia di Magenta con le sue interessanti celebrazioni, richiama migliaia di persone da tutta Italia, e ha l’obiettivo di rinsaldare il senso di appartenenza nazionale e le forti radici comuni che ci legano in quanto italiani.

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Cuore, di Edmondo De Amicis: analisi e riassunto https://cultura.biografieonline.it/cuore-de-amicis/ https://cultura.biografieonline.it/cuore-de-amicis/#comments Wed, 17 Oct 2018 13:31:24 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25348 “Cuore” è un romanzo per ragazzi scritto da Edmondo De Amicis, pubblicato nel 1886, in cui il piccolo Enrico Bottini racconta le vicissitudini della sua classe nell’anno accademico 1881-82, a Torino. I ragazzi, collezione vasta e variopinta dello spettro umano di epoca fanciullesca, fra gli otto e i 14 anni circa, sono guidati dal maestro Perboni.

Cuore Libro Edmondo De Amicis

Trama di “Cuore”: diario scolastico e non solo

La trama si snocciola seguendo le storie di classe, fra compiti, litigi e riappacificazioni, e fatti esterni alla scuola. In essi, insieme a vicende di ricongiunzione famigliare, non mancano finestre narrative relative a lavoratori sfruttati, malattie e, purtroppo, anche lutti. “Cuore” scorre così da ottobre a luglio attraversando tutte le stagioni nella bella Torino post-unitaria fino agli esami di fine anno.

Nel finale si arriva alla rivelazione ad Enrico di un prossimo trasferimento dalla città piemontese.

Per quanto riguarda la struttura, in “Cuore”, Edmondo De Amicis mescola i racconti in prima persona di Enrico Bottini con due altri grandi contenitori; si tratta delle lettere al ragazzo da parte della sua famiglia e i racconti mensili proposti alla classe dal maestro.

Le lettere famigliari, il luogo della riflessione morale

A parlare in questa parte di “Cuore” sono per lo più i genitori di Enrico Bottini. Solo una volta, infatti, a scrivere sarà la sorella del ragazzo, Silvia.

Ogni volta, si riflette sul tema affrontato trasversalmente nel capitolo che sia quello del fatto scolastico o del racconto mensile. In linea di massima, ricorrono gli stessi grandi temi del libro tutto.

In prima linea il buon comportarsi come scolaro, nella visione di una scuola di grandissima utilità e di fondamentale importanza, non senza derive emotive e nostalgiche.

La scuola è una madre, Enrico mio: essa ti levò le braccia che parlavi appena, e ora mi ti rende grande, forte, buono, studioso: sia benedetta, e tu non dimenticarla mai più, figliuolo. Oh! È impossibile che tu la dimentichi. Ti farai uomo, girerai il mondo, vedrai delle città immense e dei monumenti meravigliosi, e ti scorderai anche di molti fra questi; ma quel modesto edifizio bianco, con quelle persone chiuse, e quel piccolo giardino, dove sbocciò il primo fiore della tua intelligenza, tu lo vedrai fino all’ultimo giorno della tua vita come io vedrò la casa in cui sentii la tua voce per la prima volta.

Allargando l’ottica e aumentando il tiro, le lettere famigliari in “Cuore”, poi, ribadiscono l’importanza del rigore a livello civico e dell’amor per la patria.

Io amo l’Italia, perché mia madre è italiana, perché il sangue che mi scorre nelle vene è italiano, […]. Oh, tu non puoi ancora sentirlo intero quest’affetto! Lo sentirai quando sarai un uomo, quando ritornando da un lungo viaggio, dopo una lunga assenza, e affacciandoti dal parapetto del bastimento, vedrai all’orizzonte le grandi montagne azzurre del tuo paese; lo sentirai allora nell’onda impetuosa di tenerezza che t’empirà gli occhi di lagrime e ti strapperà un grido dal cuore.

Edmondo De Amicis foto
Edmondo De Amicis

I racconti mensili, 9 storie di piccoli eroi da leggere

Altro grande contenitore, poi, è quello relativo al racconto mensile proposto dal maestro Perboni. Nove le storie di questa sezione di “Cuore”:

  1. Il patriotta veneto
  2. La piccola vedetta lombarda
  3. Il piccolo scrivano fiorentino
  4. Il tamburino sardo
  5. L’infermiere di Tata
  6. Sangue romagnolo
  7. Valore civile
  8. Dagli Appennini alle Ande
  9. Naufragio

Protagonisti di questi nove stralci di letteratura popolare italiana di fine Ottocento sono altrettanti bambini che si distinguono per il loro valore di cittadini ed essere umani. Lo fanno rispondendo nel migliore dei modi e con il massimo dell’umanità a situazioni di crisi a vario titolo. Si fanno così eroi, andando in contro alla morte, per la salvezza di battaglioni amici, parenti, genitori e amici.

Perla indiscussa di questa parte di “Cuore” resta il racconto “Dagli Appenini alle Ande” che narra il lungo viaggio di Marco, da Genova a Buenos Aires e poi, oltre, alla ricerca della madre emigrata. Un’avventura nel mondo, costellata di tanti pericoli e grandissima fatica, che si conclude con uno straziante lieto fine.

Breve quadro storico: vista sul giovane Regno d’Italia

Mentre Bottini si affaccenda nelle sue giornate con Garrone, De Rossi, Coretti, Nelli o Precossi, il Regno d’Italia compie 20 anni. Nel 1861, infatti, era nato sulle conseguenze della Seconda guerra d’Indipendenza che aveva consegnato la Lombardia al Regno di Sardegna e visto, via via, uscire di scena gli Austriaci.

Il re, che giunge anche in visita a Torino, è Umberto I, l’Italia è una monarchia costituzionale. Il Paese è tutto occupato in: standardizzazione delle leggi, unità dei territori e della moneta, lotta a povertà e alfabetizzazione. Quanto a quest’ultima, fondamentale fu la Legge Casati del 1860 che, oltre a organizzare gli anni scolastici nella maniera che appare anche in “Cuore”, introduce il fondamentale obbligo scolastico fino al primo biennio.

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Terza guerra di indipendenza italiana: riassunto https://cultura.biografieonline.it/3-guerra-indipendenza-italiana/ https://cultura.biografieonline.it/3-guerra-indipendenza-italiana/#comments Fri, 29 Jan 2016 13:39:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=16305 Dopo la Seconda guerra di indipendenza, l’Italia era stata fatta ma non era completa: all’appello mancavano ancora il Veneto, il Tirolo (Trentino), Trieste – tutte e tre in mano agli austriaci – e infine Roma, che era nelle mani di Papa Pio IXVittorio Emanuele II decise di assecondare una campagna militare per annettere il Veneto invece di preoccuparsi per la Questione Romana (la controversia dibattuta durante il Risorgimento relativamente al ruolo di Roma, sede del potere temporale del papa ma, al tempo stesso, capitale del Regno d’Italia, risolta poi nel 1870 con la presa di Roma), poiché era conscio che Napoleone III non avrebbe mai assecondato un attacco a Roma.

Terza guerra di indipendenza italiana - Battaglia di Custoza - 1866
La fanteria italiana respinge un attacco della cavalleria austriaca durante la battaglia di Custoza – Affresco del 1880 di Raffaele Pontremoli, conservato presso la Torre di San Martino della Battaglia (Brescia).

L’Alleanza italo-prussiana

Nello stesso periodo, il primo ministro prussiano Otto von Bismarck era intento a muovere una guerra contro l’Austria per ottenere maggior presenza e visibilità negli Stati Tedeschi; egli cercava un alleato e, conoscendo la questione del Veneto, propose ad Alfonso La Marmora, capo del governo italiano un accordo di massima intesa.

Bismarck, uomo molto astuto e cinico, sapeva che sulla posizione italiana pesava molto l’opinione di Napoleone III, perciò propose a quest’ultimo un accordo d’alleanza che venne accettato; di conseguenza l’Italia fu convinta e rassicurata dalla Francia che aveva confermato il patto, il quale prevedeva che se l’Austria l’avesse attaccata, l’esercito francese sarebbe intervenuto in suo soccorso; per cui l’8 aprile 1866 venne firmato a Berlino il trattato d’alleanza fra Bismarck e La Marmora (l’alleanza portò alla Guerra austro-prussiana che sul fronte italiano prese il nome di Terza guerra di indipendenza).

L’Austria venne a conoscenza dell’accordo e immaginando che una guerra sarebbe stata catastrofica, propose il passaggio del Veneto all’Italia; gli italiani e La Marmora in primis, tentennarono davanti ad un “regalo” del genere, ma la Prussia non aspettò ed attaccò l Austria nel nord; l’Italia a sua volta, dagli accordi presi, doveva intervenire in favore dell’alleato e così il 20 giugno 1866 dichiarò guerra all’Austria.

Italia - Prussia
Una vignetta satirica dell’epoca sull’alleanza italo-prussiana – Tratta dal giornale austriaco “Humoristické listy” (9 maggio 1866). La scritta in alto è in lingua ceca e dice: “Cosa darebbero i due per vedere anche all’indietro?”; sono rappresentati Vittorio Emanuele II in barca, con il peso del Veneto, e Bismarck con il peso dei ducati danesi; entrambe precipitano verso la guerra (“Valka”) e contro la roccia delle forze unite dell’Impero austriaco.

La Terza guerra di indipendenza italiana

Il 23 giugno le truppe si prepararono all’assalto del Veneto; il 24 giugno 1866 ci fu il primo incontro fra i due eserciti che avvenne a Custoza (Verona), l’Italia attaccò sotto gli ordini di La Marmora; dopo alcune ore di battaglia l’esercito italiano fu costretto alla sconfitta e alla ritirata dietro l’Oglio e il Panaro.

In seguito a questo sciagurato inizio, scese in campo Garibaldi, che insieme ai suoi volontari, fu protagonista delle operazioni in Val Vestino (nel bresciano) e dell’invasione del Trentino.

Furono giorni caldissimi e molto accesi. I garibaldini accumulavano vittorie su vittorie e conquistavano territori, dopo la battaglia di monte Suello il 2 luglio 1866; qualche giorno dopo Garibaldi e volontari furono sconfitti nella battaglia di Vezza d’Oglio. Contemporaneamente a queste guerriglie, il 20 luglio 1866 ci fu la battaglia navale di Lissa, sul mare Adriatico, tra la marina Italiana con al comando Carlo Pellion di Persano e quella austriaca con Wilhem von Togetthoff a dirigere gli austriaci. Il combattimento ebbe come episodio principale ma, anche come epilogo, l’affondamento della Re d’Italia dopo lo speronamento subiìo dalla nave austriaca.

La fine del conflitto

Dopo questa dolorosa sconfitta, la fine della terza guerra di indipendenza italiana era vicina, infatti poco dopo, precisamente il 12 agosto 1866 con l’Armistizio di Cormons, venne stabilita la fine delle ostilità tra Italia e Austria.

Qualche giorno prima, il 9 agosto, alle 6, il generale La Marmora telegrafò a Garibaldi che, aveva ben figurato nel Tirolo, l’ordine di ritirare le truppe e i suoi volontari. La risposta del generale provenne da Buzzecca poche ore dopo, essa fu essenziale e cinica, tanto da essere ricordata come una citazione storica tra le più celebri: “Obbedisco”.

A questi episodi seguì il trattato di Vienna, un accordo firmato il 3 ottobre 1866 da Italia e Austria con la supervisione della Francia – e quindi di Napoleone III – con il quale veniva ufficialmente dichiarata la fine della guerra; con il trattato il Veneto insieme al Friuli vennero ceduti dall’Austria all’Italia indirettamente, perché prima il passaggio avvenne dall’Austria alla Francia che a sua volta smistò il Veneto all’Italia; ciò avvenne perché l’Austria si rifiutò di avere accordi diplomatici diretti con l’Italia; il passaggio ufficiale dalla Francia all’Italia avvenne il 19 ottobre 1866. Il regno d’Italia dunque si trovò arricchito di una provincia facendo cosi un ulteriore passo verso l’unità nazionale.

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La Breccia di Porta Pia https://cultura.biografieonline.it/la-breccia-di-porta-pia/ https://cultura.biografieonline.it/la-breccia-di-porta-pia/#comments Fri, 30 Mar 2012 20:03:20 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=1266 La Breccia di Porta Pia fu un evento – ricordato anche come “presa di Roma” – che nell’epoca del Risorgimento italiano sancì l’annessione di Roma al Regno d’Italia. Riassumiamo di seguito il contesto storico e i principali fatti.

Il processo di unificazione dell’Italia si innesca, inesorabile, nel 1848, quando sommosse spontanee si verificano un po’ dovunque, dalla Lombardia alla Liguria, al Veneto fino alla Sicilia, passando per la Toscana, dando vita a governi locali.

Sollecitato dai liberali piemontesi, Carlo Alberto di Savoia, che aveva simpatizzato per le idee illuministiche, dichiara guerra all’Austria con l’intento di liberare le aree del nord Italia dalla sua oppressione. Nasce la prima guerra d’indipendenza, ma gli accadimenti che ci interessa porre in rilievo in questo frangente sono quelli che attengono allo Stato Pontificio.

La breccia di Porta Pia
La breccia di Porta Pia

Pio IX, infatti, che in un primo momento si mostra favorevole ai moti rivoluzionari inviando un proprio esercito a sostegno di Carlo Alberto, poco dopo si rende conto che la guerra contro l’Austria, potenza cattolica, potrebbe determinare uno scisma nella chiesa. Il 29 aprile 1848, dunque, abbandona l’alleanza. Il popolo romano, che aveva accolto con grande entusiasmo la partecipazione al conflitto, ora è preda di un furore cieco che porta all’assassinio del ministro pontificio Pellegrino Rossi e minaccia lo stesso Papa.

Pio IX lascia Roma e si rifugia a Gaeta, mentre nella città viene proclamata la Repubblica Romana che adotta il tricolore “per ispirare nell’animo delle truppe l’amore all’Italia”, e alla cui guida è posto un triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Ma per la neonata Repubblica i problemi iniziano immediatamente: con un esercito composto da 14.700 uomini, compresi gli “irregolari” di Garibaldi, deve far fronte a quelli, in arrivo, delle potenze amiche del Papa: Francia, Regno di Napoli, impero asburgico e Spagna. Anche se a difesa della repubblica giungono a Roma forze costituite da patrioti provenienti da tutt’Italia, i rapporti di forza rimangono notevolmente sproporzionati.

Iniziato il conflitto, la difesa della città assume in molti casi un carattere epico. Garibaldi ottiene molti successi sui nemici, pur con forze risicate, a Porta Angelica, Porta Cavalleggeri, Castel Guido, Tivoli, Velletri, Palestrina. Così scrive alla sua Anita:

Noi combattiamo sul Gianicolo e questo popolo è degno della passata grandezza. Qui si vive, si muore, si sopportano le amputazioni al grido di ‘Viva la Repubblica’. Un’ora della nostra vita in Roma vale un secolo di vita!

Ma ogni resistenza è vana. Fra le tantissime vittime vi sono Enrico Dandolo, Luciano Manara, Emilio Morosini, Goffredo Mameli morto in seguito all’amputazione di una gamba.

Pio IX, che aveva lasciato Roma il 24 novembre 1848, vi fa ritorno il 12 aprile 1850. La caduta della Repubblica non fa che congelare per circa un ventennio, per quel che riguarda la città di Roma, il processo di unificazione nazionale. Negli anni che seguono lo Stato Pontificio è scosso da ripetute sommosse un po’ dovunque, fino al 1959, quando la Romagna viene annessa al regno di Sardegna. Questo evento determina la rottura dei rapporti diplomatici fra lo Stato Pontificio e il regno di Sardegna, e segna l’apertura della cosiddetta “questione romana”.

Il 14 giugno 1959 a Perugia esplodono moti popolari che le truppe papaline reprimono nel sangue saccheggiando la città. Nel marzo 1860 anche la Toscana autodetermina la propria annessione al regno sardo.

Il 18 settembre Vittorio Emanuele II, succeduto nel 1849 a Carlo Alberto, nella battaglia di Castelfidardo sconfigge l’esercito pontificio conquistando l’Umbria e le Marche e annettendole al regno di Sardegna. I territori del Papa sono ormai ridotti al solo Lazio. Con la spedizione dei Mille, Garibaldi annette il sud dell’Italia determinando un quadro politico che vede lo stivale ormai praticamente unificato, ad eccezione del Veneto e di quel che resta dello Stato Pontificio.

Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele prende il titolo di Re d’Italia e la soluzione della “questione romana” assume ormai carattere improrogabile. Anche nel mondo ecclesiastico è nata da tempo una considerevole fronda liberale che si rivela in tutta la sua consistenza con l’”Indirizzo” del sacerdote Carlo Passaglia la cui petizione – con la quale si chiede al Papa di rinunciare al potere temporale – raccoglie le firme di circa 10.000 sacerdoti liberali.

Per tutta risposta Pio IX intraprende l’unica via di cui dispone: chiama a raccolta tutto il mondo della Chiesa cattolica con un Giubileo straordinario seguito dal ventesimo Concilio ecumenico della storia per ribadire e rinsaldare i concetti di inviolabilità del potere spirituale e temporale della Chiesa di Roma e per condannare quanto sta avvenendo. Ma il Pontefice sa che può fare la voce grossa perché protetto dalla Francia, non potendo prevedere la caduta di Napoleone III che, sconfitto a Sedan, è fatto prigioniero dai prussiani.

Vittorio Emanuele II si preoccupa subito di informare tutte le potenze straniere delle sue intenzioni di occupare Roma garantendo al Papa la sua indipendenza. Subito dopo scrive al Papa, al quale si rivolge “con affetto di figlio, con fede di cattolico, con lealtà di re, con animo d’italiano”, informandolo che sta inviando a Roma proprie truppe per evitare disordini di piazza ed assicurare la sicurezza del Pontefice. Dalla Santa Sede giunge una risposta nella quale si stigmatizza l’arbitrarietà delle decisioni del sovrano e la conseguente impossibilità a condividerne i principi ispiratori. Pio IX, del resto, già nel dicembre 1864 aveva esternato tutta la sua rigorosa intransigenza verso le istanze liberali – ma non solo – con la pubblicazione del “Sillabo”, un elenco dei principali “errori del secolo”. E’ l’11 settembre 1870 quando al generale Raffaele Cadorna (padre di Luigi), di stanza in Umbria con 50.000 uomini, giunge perentorio l’ordine di entrare nello Stato Pontificio e quindi in Roma, dove le forze avverse contano appena 13.000 soldati al comando del generale Hermann Kanzler.

Il 19 settembre Roma viene circondata e la mattina del 20 settembre 1870 inizia l’assalto. Edmondo De Amicis, (l’autore di Cuore) che partecipa alle operazioni, così descrive quelle ore:

Via via che ci avviciniamo (a piedi s’intende) vediamo tutte le terrazze delle ville affollate di gente che guarda verso le mura. Presso la villa Casalini incontriamo i sei battaglioni bersaglieri della riserva che stanno aspettando l’ordine di avanzarci contro Porta Pia. Nessun corpo di fanteria aveva ancora assalito. L’artiglieria stava ancora bersagliando le porte e le mura per aprire le brecce. Non ricordo bene che ora fosse quando ci fu annunziato che una larga breccia era stata aperta vicino a Porta Pia, e che i cannoni dei pontifici appostati là erano stati smontati. Quando la Porta Pia fu affatto libera, e la breccia vicina aperta sino a terra, due colonne di fanteria furono lanciate all’assalto… I soldati erano tutti accalcati intorno alla barricata; non si sentiva più rumore di colpi; le colonne a mano a mano entravano… Entrammo in città… È impossibile esprimere la commozione che provammo in quel momento; vedevamo tutto in confuso, come dietro una nebbia. Alcune case arse la mattina fumavano, parecchi zuavi prigionieri passavano in mezzo alle file dei nostri, il popolo romano ci correva incontro. Salutammo, passando, il colonnello dei bersaglieri Pinelli; il popolo gli si serrò intorno gridando… Giungiamo in piazza del Quirinale (allora residenza del Papa). Arrivano di corsa i nostri reggimenti, i bersaglieri, la cavalleria. Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati gridando e plaudendo… Nel Corso non possono più passare le carrozze. I caffé di piazza Colonna sono tutti stipati di gente; ad ogni tavolino si vedono signore, cittadini e bersaglieri alla rinfusa. Una parte dei bersaglieri accompagna via gli zuavi in mezzo ai fischi del popolo; tutti gli altri sono lasciati in libertà. Allora il popolo si precipita in mezzo alle loro file. Ogni cittadino ne vuole uno, se lo piglia a braccetto e lo conduce con sè. Molti si lamentano che non ce n’è abbastanza, famiglie intere li circondano, se li disputano, li tirano di qua e di là, affollandoli di preghiere e d’istanze. I soldati prendono in collo i bambini vestiti da guardie nazionali. Le signore domandano in regalo le penne.

Va detto che la difesa della città Eterna è volutamente blanda, per ordine del Papa: alle 14,00, a villa Albani, i due generali firmano la resa di Roma. Ed è così che la più antica diplomazia del mondo cede il passo, inerme e sgomenta, all’impeto travolgente della storia. Pio IX si rifugia in Vaticano dichiarandosi prigioniero politico ed impedendo, in tal modo, che la “questione romana”, sebbene risolta sul piano pratico, venga definita anche su quello formale.

La sua risoluzione si avrà soltanto con la sottoscrizione dei Patti Lateranensi, nel 1929, che daranno vita alla città del Vaticano e con i quali si perfezionerà, tra l’altro, il grande progetto di Cavour, racchiuso nel motto “Libera Chiesa in libero Stato”. Pio IX continuerà a dirsi “prigioniero dello Stato italiano” per il resto della sua vita, respingendo la “Legge delle Guarentigie” che regola i diritti e i doveri dell’autorità papale.

Intanto a Roma nasce la “Giunta provvisoria di governo di Roma e sua provincia”, riconosciuta dal Cadorna. Il referendum del 2 ottobre 1870 sancisce l’annessione al regno d’Italia della città che, subito dopo, ne viene proclamata capitale. La breccia di porta Pia rimarrà a simboleggiare una svolta storica della massima importanza, una pietra miliare che segna l’inizio della storia di Roma come capitale d’Italia e, soprattutto, la fine, dopo circa duemila anni, dello Stato Pontificio.

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