Toscana Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Tue, 03 Jan 2023 18:55:48 +0000 it-IT hourly 1 Traversando la Maremma toscana: riassunto, figure retoriche e parafrasi della poesia di Carducci https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/traversando-maremma-toscana-parafrasi/#comments Tue, 03 Jan 2023 17:38:02 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40819 La lirica Traversando la Maremma toscana è una delle più apprezzate di Giosuè Carducci. Essa descrive la commozione del poeta nel ripercorrere in treno l’itinerario tra Livorno e Roma passando per la sua adorata Maremma, dove egli aveva trascorso la sua infanzia.

L’autore e la poetica

Giosuè Carducci nacque in Versilia nel 1835 e trascorse l’infanzia proprio in Maremma. Si laureò in lettere alla Normale di Pisa e poi intraprese la carriera di insegnante del ginnasio in diversi paesi toscani. Si trasferì a Bologna dove insegnò all’Università fino a quando non gli subentrò Giovanni Pascoli.

Carducci era un grande appassionato della classicità ma poi col tempo ampliò i suoi interessi anche alla letteratura europea.

Da giovane fu un attivo anticlericale (scrisse l’inno A Satana nel 1863), poi però con gli anni divenne più moderato; accettò il Regno d’Italia e anche l’attivismo ecclesiastico.

Le sue raccolte poetiche più importanti sono:

  • Giambi ed epodi – composti in età giovanile, ricchi di vena polemica;
  • Rime nuove (1861-87);
  • Odi barbare (1873-89).

Venne eletto senatore a vita e ricoprì il ruolo di ultimo poeta-vate dell’Italia a lui contemporanea, come cantore della patria.

Nel 1906 Carducci vinse il Premio Nobel per la Letteratura.

Giosuè Carducci
Giosuè Carducci

Morì nel 1907 a Bologna.

La sua raccolta più importante è Rime Nuove, che include la poesia qui analizzata, Traversando la Maremma toscana, come numero 34, del libro II.

I temi della raccolta sono autobiografici e storici; il poeta infatti celebra eventi contemporanei ma anche ricordi della sua giovinezza e della terra natale. Egli ha un atteggiamento anti-romantico: celebra il culto dei classici contro la barbarie della moderna società italiana a lui contemporanea.

Altri temi importanti sono il contrasto tra ideale e reale, vita e morte e lo scorrere inesorabile del tempo.

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Traversando la Maremma toscana: testo completo

Dolce paese, onde portai conforme
L’abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov’ odio e amor mai non s’addorme,
Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.

Ben riconosco in te le usate forme
Con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
E in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
Erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
E sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
E dimani cadrò. Ma di lontano

Pace dicono al cuor le tue colline
Con le nebbie sfumanti e il verde piano
Ridente ne le pioggie mattutine.

Parafrasi

O dolce paese, da cui trassi la fierezza del mio carattere e la mia poesia sdegnosa (di compromessi)e il cuore, le cui passioni non si calmano mai, finalmente ti rivedo e il cuore mi balza nel petto.

Ritrovo in te, Maremma, i profili familiari con gli occhi tra il sorriso e il pianto, e in quelle immagini ricerco e ritrovo le tracce dei miei sogni giovanili.

Oh, molte cose che ho amato e sognato sono state vane, mi affannai sempre e non raggiunsi mai lo scopo e presto morirò.

Ma da lontano mi regalano gioia le tue colline con la nebbia che sale e le verdi pianure tra le piogge mattutine.

Maremma Toscana
Maremma Toscana

Traversando la Maremma toscana: analisi, spiegazione, figure retoriche e commento

Questa poesia è un sonetto.

Lo schema metrico è:

ABAB ABAB CDC DCD

Si tratta di una lirica molto intensa nella quale il poeta descrive il paesaggio della Maremma toscana, dove era vissuto fin da bambino.

Egli ricorda le sue emozioni con tanta nostalgia perché sente che la morte è vicina.

La lirica infatti ruota intorno a due nuclei tematici importanti:

  1. la nostalgia del tempo passato e della giovinezza;
  2. la sensazione dello scorrere del tempo e della precarietà del presente.

Il sonetto parte con un’invocazione (O dolce paese): la Maremma è un luogo di favola perché gli ricorda la sua infanzia. Ma ci sono anche tante opposizioni:

  • odio e amore;
  • sorriso e pianto;
  • speranza e delusione.

Il verso 9 arriva ad una triste conclusione: tutto ciò che ha sognato è stato vano e tra un po’ la morte sopraggiungerà: Carducci era infatti reduce da una malattia e temeva di morire.

Nell’ultima strofa invece si ritorna alla dolcezza iniziale grazie all’enjambement (lontano-pace v. 11-12); si conclude quindi in un modo meno amaro.

Altre poesie

Tra le altre poesie di Carducci comprese in Rime nuove qui analizzate, ci sono:

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La sera fiesolana: testo e parafrasi della poesia di D’Annunzio https://cultura.biografieonline.it/sera-fiesolana-testo-parafrasi/ https://cultura.biografieonline.it/sera-fiesolana-testo-parafrasi/#comments Mon, 17 Oct 2022 16:47:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=40334 La lirica La sera fiesolana fu scritta nel giugno del 1899 da Gabriele D’Annunzio: appartiene alla raccolta Alcyone. Si tratta di una delle sue liriche più famose; insieme a La pioggia nel pineto, fa parte di un’unica raccolta che racchiude le sensazioni e le descrizioni di un’ideale vacanza estiva, vissuta tra Marina di Pisa e la Versilia.

L’autore 

Gabriele D’Annunzio è stato uno dei più grandi autori del primo Novecento italiano. La sua stessa vita può considerarsi una vera e propria opera d’arte, vissuta seguendo le passioni e i principi dell’Estetismo e del Decadentismo, movimenti a cui l’autore si avvicina.

Egli nacque a Pescara nel 1863; sin da ragazzo scrisse poesie e a 18 anni si trasferì a Roma dove iniziò a frequentare tutti i salotti mondani.

In quegli anni aderì all’Estetismo e al concetto dì superuomo: mirava a creare un’immagine di uomo eccezionale anche nella vita reale oltre che nelle sue opere.

Scrisse molti romanzi, tra cui Il piacere (1889), opere teatrali come La figlia di Iorio (1904), sette libri di liriche intitolate Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi (rimasti incompiuti) e Notturno, appartenente all’ultima fase della sua vita.

Gabriele D'Annunzio
Gabriele D’Annunzio

La sera fiesolana: la lirica 

La poesia appartiene alla raccolta Alcyone; venne pubblicata del novembre del 1899 sulla rivista Nuova Antologia e poi inserita nel terzo libro delle Laudi.

Il tema dominante della raccolta è la fusione con la natura e una sensazione di evasione: il poeta descrive infatti le sensazioni e i panorami dell’estate trascorsa nella sua amata Versilia.

I versi sono stati scritti nella residenza dannunziana chiamata La capponcina, una villa situata nel comune di Settignano, vicinissimo a Fiesole. Fiesole oggi è un comune toscano, parte della città metropolitana di Firenze.

Le poesie seguono l’ordine della stagione estiva, da giugno fino al declino di settembre.

Da un punto di vista formale le poesie sono ricche di musicalità e di analogie; il tema centrale è il rapporto con la natura e l’immedesimazione in essa (panismo). 

La poesia in esame, La sera fiesolana, è composta da tre lunghe strofe di 14 versi ciascuna, intervallate da riprese di tre versi ciascuna.

Non c’è uno schema fisso delle rime e del tipo di versi utilizzati. 

Alcyone
Alcyone – Una copertina dell’opera di Gabriele D’Annunzio

Il testo completo

Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscìo che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s’attarda a l’opra lenta
su l’alta scala che s’annera
contro il fusto che s’inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.

Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l’acqua del cielo!

Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,

su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l’aura che si perde,
e su ’l grano che non è biondo ancóra
e non è verde,
e su ’l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.

Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!

Io ti dirò verso quali reami
d’amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne a l’ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s’incùrvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire

e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l’anima le possa amare
d’amor più forte.

Laudata sii per la tua pura morte,
o Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!

La sera fiesolana: rami di un albero di gelso, pianta evocata nel testo
La sera fiesolana: rami di un albero di gelso, pianta evocata nel testo

Parafrasi

Le mie parole siano per te come il fruscio delle foglie del gelso, che un contadino coglie silenzioso a sera, e ancora si rallenta sulla scala che si staglia contro il fusto dell’albero con i rami spogli, mentre la luna sta per emergere dalle soglie azzurre del cielo, il cui chiarore si distende come un velo nella compagna dove giace anche il nostro sogno e sembra che la campagna si senta già sommersa dal gelo notturno e assorba come una bevanda la pace senza però vederla. 

O sera, tu sia lodata per il tuo viso del colore della perla, e per i tuoi occhi dove si nasconde l’acqua del cielo. 

In questa serata le mie parole ti siano dolci come il ticchettio della pioggia, calda e rapida, pianto della primavera che si accomiata, sui gelsi, sugli olmi, sulle viti, sulle pigne novelle che sembrano dita che giocano con vento, e sul grano che non è ancora maturo ma non è più verde, e sul fieno già tagliato che sta scolorendo, e sugli ulivi, fratelli, che rendono le colline pallide come santi e sorridenti. O sera, sia lodata per le tue vesti profumate, e per la cintura che ti cinge come il ramo del salice cinge il fieno che profuma. 

Io ti racconterò verso quali regni d’amore ci invita il fiume, le cui fonti perenni si stagliano all’ombra dei rami e raccontano il mistero dei monti sacri e ti racconterò per quale segreto le colline si curvano verso gli orizzonti come delle labbra chiuse da un divieto, e perché la volontà di rivelare il loro segreto le renda belle oltre ogni desiderio umano e nel loro silenzio saranno comunque consolatrici così che sembri che ogni sera l’anima le possa amare di un amore più forte. 

O sera, sia lodata per la tua morte pura e per l’attesa che in te fa luccicare le prime stelle. 

Spiegazione e commento

Questa poesia descrive una sera di giugno, quando la primavera ha ormai lasciato il posto all’estate.

Le tre strofe rappresentano tre momenti diversi della sera:

  1. il tardo pomeriggio;
  2. la sera vera e propria;
  3. l’arrivo della notte.

Il poeta si rivolge ad un tu indefinito, probabilmente la donna amata.

Ogni strofa è indipendente dalle altre.

  • Nella prima il poeta evoca il sorgere della luna, si inizia a diffondere il gelo notturno come un liquido fresco;
  • nella seconda le parole si trasformano in un suono grazie agli accenti e alle rime; si chiude con la figura religiosa dell’ulivo;
  • nella terza il tema centrale è la sensualità, perfino le colline diventano una figura femminile.

Ricorre l’anafora “laudata sii” ripresa dal Cantico delle creature di San Francesco d’Asssisi, qui rivisto in chiave laica (come l’appellativo attribuito agli ulivi che vengono definiti fratelli).

Molte sono le metafore e le similitudini (v.18, v. 15) i francesismi (bruiva v. 19), le personificazioni (la sera, le colline).

La sera fiesolana è una poesia complessa e molto suggestiva che rappresenta pienamente l’estetismo dannunziano e l’immedesimazione nella natura.

Essa termina proprio con un’immagine di sensualità che mette al centro della poesia proprio l’amore, nella sua forma di bellezza sublime.

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Il bove (poesia di Carducci): analisi, parafrasi e commento https://cultura.biografieonline.it/il-bove-carducci/ https://cultura.biografieonline.it/il-bove-carducci/#comments Fri, 29 Apr 2016 06:18:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18062 Inserita nella raccolta “Rime Nuove“, la poesia “Il bove scritta da Giosuè Carducci in realtà è un sonetto, il cui testo autografo risale al 23 novembre 1872. Questo componimento può essere considerato una valida sintesi dello stile e della poetica di Carducci. Nonostante il tema sia agreste (il protagonista del sonetto è un bue che pascola placido nei campi della Maremma toscana) in realtà lo stile della poesia è piuttosto ricercato.

Il bove

L’occhio del poeta coglie il bue in una tipica scena rurale, e quindi ancora una volta predomina nel componimento l’idea della Natura che dona pace e serenità all’uomo che la contempla. Accanto ai concetti di lavoro e fertilità che si associano alla terra, il Carducci introduce quelli di “forte tranquillità” e “serenità virile“.

La Natura è infatti lontana dalle inquietudini e dalle suggestioni del mondo, è un luogo in cui rifugiarsi per ritrovare vigore e forza. Il placido bue, “fotografato” dall’autore nell’atto di pascolare, diventa l’emblema di una realtà priva di “contaminazioni” e bassezze moderne. Proprio questo animale serve al poeta per richiamare la sua concezione del mondo, che è appunto caratterizzato dall’osservanza di principi etico-morali e dalla serenità d’animo.

Il bove: testo della poesia

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,

0 che al giogo inchinandoti contento
L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
Giro de’ pazienti occhi rispondi.

Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;

E del grave occhio glauco entro l’austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.

Il bove: parafrasi

Ti amo, o pio bove; che mite mi infondi nel cuore
un sentimento di forza e di pace,
e che imponente come un monumento
guardi i campi vasti e fertili.

O che piegandoti di buon grado al giogo
assecondi lento il veloce lavoro dell’uomo:
egli ti esorta e ti pungola, e tu gli rispondi con il lento
movimento dei tuoi occhi pazienti.

Dalla larga narice umida e nera
esala il tuo alito, e come un canto felice
il muggito si perde nel cielo sereno;

E nella severa dolcezza dell’austero occhio azzurro
si rispecchia vasto e tranquillo il celeste
silenzio della verde pianura.

Analisi e commento

Il testo del sonetto riprende argomenti cari al poeta e che ritroviamo in altre famose opere di Carducci delle “Rime nuove” (ad esempio “Pianto antico“, “San Martino“, “Davanti San Guido“, “Maggiolata“): il mondo bucolico, la funzione morale ed etica dell’arte e la sincerità dei valori.

Nella prima strofa de “Il bove” Giosuè Carducci si sofferma a descrivere il bue mansueto che pascola nei campi fertili e che infonde calma e serenità a chiunque lo guardi.

Nella seconda strofa, invece, si mette in evidenza che il bue aiuta l’uomo a lavorare la terra ma da questo viene purtroppo spesso sfruttato. Girando gli occhi verso il suo padrone, che gli tende le redini per stimolarlo, il bue dimostra di apprezzare con pazienza e gioia il suo duro lavoro.

Nell’ultima strofa il poeta coglie il colore azzurro degli occhi dell’animale, e termina il sonetto scrivendo che in essi si rispecchia il silenzio della verde pianura.

Mansuetudine e laboriosità sono le due caratteristiche che il poeta attribuisce al bue e che suscitano in lui serenità e tranquillità d’animo. Nonostante il duro lavoro che l’animale compie per aiutare l’uomo nel coltivare i campi il bue appare fermo e soddisfatto in quanto consapevole di aver compiuto il suo dovere. In un certo qual modo il bue è contento di aver alleviato, con il suo aiuto, il lavoro campestre del padrone che, invece, spesso non lo tratta come dovrebbe (sfruttando anzi la sua tipica mansuetudine). Il bue acquisisce quindi la solennità di un monumento che si erge placido in mezzo ai campi.

L’esordio del Carducci in questo sonetto è: “T’amo o pio bove“, in cui traspare un sentimento di benevolenza del poeta nei riguardi di uno degli animali più devoti e servili. Il riferimento alla natura e agli animali rende la poetica del Carducci assai vicina a quella virgiliana. Virgilio è infatti il poeta prediletto di Carducci. Si coglie anche una vena nostalgica del paesaggio maremmano, che è particolarmente amato dal poeta per la sua bellezza.

Per quanto concerne la metrica, appare chiaro che il sonetto “Il bove” viene praticamente diviso in due parti. Il passaggio dalla prima alla seconda avviene però in maniera delicata e senza alcuna forzatura, tanto che solo un lettore accorto ed esperto se ne accorge.

Dal punto di vista sintattico si nota la presenza di diverse figure retoriche. Il lessico appare classicheggiante come in tutte le liriche carducciane, anche se non mancano termini più concreti e “rustici” che servono a descrivere la realtà agreste.

Pio bove

Molti critici letterari si sono soffermati a dare un’interpretazione del soggetto scelto dal Carducci nella poesia “Il bove”: il bue, essendo “pio” è in realtà una manifestazione del Divino. L’animale viene descritto in un’ottica religiosa che lo rende appunto solenne come un monumento, poiché ricorda la solennità di una statua, e questo lo fa ancora più amorevole agli occhi degli uomini.

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