storia militare Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 29 Dec 2021 13:57:31 +0000 it-IT hourly 1 Storia dei Bersaglieri https://cultura.biografieonline.it/storia-dei-bersaglieri/ https://cultura.biografieonline.it/storia-dei-bersaglieri/#comments Wed, 29 Dec 2021 11:44:21 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=765 Bersaglieri: breve storia

Quando, nel 1786, il trentaduenne capitano Celestino Ferrero, marchese della Marmora, sposa la sedicenne marchesa Raffaella Argentero di Bersezio, di certo non immagina che da tale unione nasceranno ben 16 figli; e ancor meno immagina che ben quattro di essi conseguiranno il grado di generale delle forze armate e che scolpiranno indelebilmente il nome della famiglia nella storia patria: Carlo Emanuele La Marmora, nato nel 1788, che sarà aiutante di campo di Carlo Alberto; Alberto La Marmora, nato nel 1789, che sarà comandante della Sardegna e poi senatore; Alfonso La Marmora, nato nel 1804, che sarà governatore di Napoli e di Milano, oltre che capo del Governo; e infine Alessandro La Marmora, nato nel 1799, che ha rappresentato una combinazione ottimale tra passione scientifica ed arte militare, con i risultati che vedremo.

Bersaglieri a Porta Pia
La carica dei bersaglieri a Porta Pia 1871, Olio su tela 290×467. Autore: Michele Cammarano (Napoli, Museo di Capodimonte)

Egli trova che, dopo l’esperienza napoleonica, l’esercito piemontese sia infiacchito, più dedito alla cura dell’esteriorità che alla preparazione militare.

Un reparto ben allenato e armato

Avverte l’esigenza di una fanteria leggera composta da reparti addestrati in modo da muoversi con agilità e in ordine sparso lungo i montuosi ed ostici confini del regno; occorrono, insomma, soldati allenati a muoversi sempre e solo al passo di corsa.

Mentre studia il modo migliore per ottenere reparti leggeri e veloci, avvezzi dunque a celeri spostamenti e composti da tiratori scelti, pensa anche ad un fucile adeguato. L’arma deve rispondere a requisiti di:

  • maneggevolezza;
  • leggerezza;
  • versatilità;
  • precisione.

Mette a punto egli stesso, in officine improvvisate, alcuni pezzi e prototipi.

Finalmente, nel 1835, il capitano La Marmora predispone e presenta al re Carlo Alberto il frutto dei suoi studi, sotto forma di

Proposizione per la formazione di una compagnia di Bersaglieri e modello di uno schioppo per suo uso.

La nascita del corpo dei Bersaglieri

Confortato dal parere del ministero preposto, il quale ha prodotto una relazione nella quale evidenzia l’opportunità della istituzione di un corpo di bersaglieri con il compito di:

compiere guerra minuta, avanguardia o esplorazione, fiancheggiamento, infestare le comunicazioni e i convogli nemici, andare per siti montuosi alla scoperta di facili piste anche sul confine

il 18 giugno 1836 il re istituisce formalmente il Corpo dei Bersaglieri.

Pone al comando il maggiore dei granatieri Alessandro La Marmora. Egli, qualche anno dopo, sarà promosso a luogotenente colonnello in un crescendo che lo porterà fino al grado di generale.

Il nuovo Corpo, che inizialmente si compone di uno stato maggiore e due compagnie, nel 1839 è costituito da un intero battaglione.

Negli anni 1848-49 i battaglioni diventano prima due, poi cinque e poi otto. Nel 1850 sono nove, nel 1852 dodici, poi 16, fino alla sua massima formazione, cioè 27 battaglioni negli anni 1859-60.

Le prime azioni

Il primo impiego in combattimento avviene l’8 aprile del 1848, a Goito. Già in questa occasione il comandante La Marmora dà dimostrazione dell’audacia dei suoi bersaglieri che riescono ad aver ragione del nemico. Lo stesso La Marmora rimane seriamente ferito ad una mandibola; ma il sacrificio è poca cosa rispetto alla grande soddisfazione ricevuta dai suoi uomini.

Da quel momento i bersaglieri diverranno parte caratterizzante dell’esercito piemontese e, successivamente, di quello italiano.

La guerra di Crimea offre nuovamente ai bersaglieri occasione di porsi in evidenza: la partecipazione del Piemonte alle ostilità, al fianco di Francia e Regno Unito, contro la Russia, vede l’impiego di un Corpo di Spedizione al comando del generale Alfonso La Marmora. Egli, a sua volta, offre il comando della 2ª Divisione, comprendente 5 battaglioni di bersaglieri, al fratello Alessandro il quale si imbarca con i suoi uomini il 5 maggio 1855.

Qualche mese dopo scoppia fra le truppe un’epidemia di colera. Se a fine conflitto le perdite sul campo ammonteranno a 26 soldati e 13 ufficiali, quelle causate dalla malattia saranno di 1288 soldati e 54 ufficiali tra i quali, purtroppo, si annovera anche il generale Alessandro La Marmora. Egli si spegne nella notte fra il 6 ed il 7 giugno 1855.

Alessandro La Marmora
Alessandro La Marmora

Ma il Corpo da lui creato è ormai in grado di camminare con le proprie gambe. Anche in questo caso, infatti, i Bersaglieri sanno distinguersi dando un prezioso contributo per il conseguimento della vittoria nella battaglia della Cernaia, il successivo 16 agosto.

Toccante rimane il ricordo del giovane tenente dei bersaglieri Carlo Prevignano il quale, colpito a morte, trova la forza di urlare ai suoi compagni parole di esortazione ed incoraggiamento a non mollare.

Seguiranno poi le battaglie della seconda guerra di indipendenza italiana, da quella di Palestro e del Vinzaglio del 30 e 31 maggio 1859, di Magenta del 4 giugno fino a quella conclusiva di San Martino, il 24 giugno 1859.

Nel XX secolo

Dopo mezzo secolo i bersaglieri sono nuovamente impiegati nel conflitto in Libia, nel 1911-12 e, subito dopo, nel primo conflitto mondiale (Monfalcone, Bainsizza, Iamiano, Piave, Vittorio Veneto), nell’ambito del quale hanno scritto pagine indelebili di eroismo e di gloria.

Nella seconda guerra mondiale vengono impiegati ben 12 reggimenti di bersaglieri che combattono su tutti i fronti.

Prendono parte, infine, alla guerra di Liberazione con il 29°, 32° e 51° battaglione.

Sempre ed ovunque si sono distinti per audacia e valore, anche se “i bersaglieri di La Marmora”, come vennero detti alla nascita del corpo, rimangono il simbolo dell’epopea risorgimentale. Però ancora oggi, con tutte le riserve che le coscienze hanno maturato nei confronti delle armi e della guerra, quando in una parata si approssimano quei soldati che avanzano correndo con le piume dei loro cappelli al vento, con alla testa una dozzina di trombettieri che, nonostante la corsa, riescono a dare fiato ai loro strumenti, è difficile non farsi cogliere da un brivido di commozione.

Vanno rapidi e leggeri quando sfilano in drappello, quando il vento sul cappello fa le piume svolazzar.

(dalla canzone “Flik Flok”).

Fanfara dei Bersaglieri
La fanfara dei Bersaglieri in una manifestazione cittadina

Oggi i bersaglieri sono nella fanteria meccanizzata e vengono impiegati in supporto alle unità corazzate.

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Campagna di Guadalcanal: riassunto, fatti storici e protagonisti https://cultura.biografieonline.it/campagna-di-guadalcanal/ https://cultura.biografieonline.it/campagna-di-guadalcanal/#comments Sun, 03 May 2020 10:01:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=28550 La Campagna di Guadalcanal ebbe inizio con lo sbarco dei marines nelle isole Salomone Meridionali, il 7 agosto 1942 e terminò il 9 febbraio del 1943, quando gli Americani constatarono che il nemico aveva evacuato l’intero settore. Secondo molti storici, rappresentò il turning point, il punto di svolta, della intera guerra nel Pacifico. Prima di questa campagna il Giappone aveva dettato tempi e modi della guerra, da Guadalcanal in poi l’offensiva fu sempre nelle mani degli Alleati.

Sbarco dei marines americani sulla spiaggia di Guadalcanal
7 agosto 1942: lo sbarco dei marines americani sulla spiaggia di Guadalcanal

Giappone e USA: la situazione alla vigilia

Dopo la disastrosa sconfitta a Midway, l’alto comando giapponese era come un pugile alle corde, incapace di reagire ai pugni subiti. Per diverse settimane, lo staff dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto – comandante in capo della Flotta Combinata – non fu in grado di elaborare piani.

Si trattava di un momento delicato: l’irreparabile perdita di 4 delle 6 portaerei della squadra di attacco esigeva un ridimensionamento degli obiettivi, se non proprio il passaggio a una fase difensiva.

Midway: portaerei in fiamme
Midway: una portaerei in fiamme

Di contro, gli americani non erano nella situazione ideale per sfruttare il successo: le loro forze erano ancora troppo deboli, in gran parte a causa della scelta politica sintetizzata nella locuzione Germany first, che privilegiava il teatro bellico europeo nell’assegnazione di risorse per la guerra.

Per ripetere una efficace metafora di dello storico H. P. Willmott, l’iniziativa era come una pistola abbandonata in strada: quale dei due contendenti l’avrebbe raccolta e avrebbe sparato per primo?

Guadalcanal: l’isola e la geografia

Nella parte meridionale delle Salomone giace l’isola che, fino allora sconosciuta, sarebbe diventata teatro di una delle campagne militari più famose e sofferte dell’intera seconda guerra mondiale.

Cartina geografica del teatro del Pacifico - 1942 - con la posizione di Guadalcanal
La cartina mostra l’area geografica del teatro del Pacifico. La grafica mostra i punti delle principali battaglie: Midway, Pearl Harbor, e Mar dei Coralli. Guadalcanal si trova vicino a quest’ultimo punto.

Nell’estate del 1942 Guadalcanal era un appezzamento di terra, per lo più disabitato, lungo circa 150 km e largo al massimo 53. Non era certo un luogo ospitale: le piogge erano frequenti e a carattere torrenziale, la zanzara della malaria molto diffusa e la giungla estremamente fitta. Eppure era stata scelta dal comando giapponese per allestire un aeroporto.

Gli Alleati temevano, con ragione, che questa posizione avrebbe consentito al nemico di minacciare la vitale rotta che collegava Stati Uniti e Australia; lungo tale via venivano indirizzati i mercantili che portavano uomini, armi e munizioni destinati alla difesa della Nuova Guinea e del continente australiano stesso.

Fu principalmente questo timore che indusse l’ammiraglio Chester W. Nimitz, comandante in capo della Flotta del Pacifico, a scegliere l’isola di Guadalcanal come teatro della prima offensiva americana nel Pacifico.

Lo sbarco e la reazione giapponese

L’operazione Watchtower ebbe inizio il 7 agosto, con gli sbarchi preliminari sugli isolotti di Gavutu-Tamambogo, seguiti dall’invasione di Tulagi, dove i giapponesi avevano approntato una base per idrovolanti nel maggio precedente, in occasione della battaglia del Mar dei Coralli.

L'incrociatore della Royal Australian Navy HMAS Canberra e 3 navi da carico al largo di Tulagi (Guadalcanal)
L’incrociatore della Royal Australian Navy HMAS Canberra (D33) al largo di Tulagi, durante gli sbarchi del 7 e 8 agosto 1942. Le navi visibili in lontananza sono tre mezzi da carico che sbarcano uomini e materiale. Sullo sfondo: Tulagi e le isole della Florida, parte delle Salomone.

Entrambe le operazioni incontrarono una resistenza maggiore del previsto, basata soprattutto su efficaci infiltrazioni notturne, tattiche nelle quali il fante nipponico eccelleva. Tutti gli obiettivi vennero comunque conquistati il 9 agosto, non senza la necessità di rinforzi.

Sull’isola di Guadalcanal erano acquartierati 2.230 giapponesi, circa 1.700 dei quali erano operai militarizzati. Alle 9.19 del 7 agosto cominciarono a sbarcare i marines del 1° e 5° reggimento, incorporati nella 1a divisione marines del generale Alexander A. Vandegrift, per un totale di 8.500 uomini.

La resistenza iniziale fu pressoché inesistente e gli americani, già nel primo pomeriggio, si impadronirono dell’aeroporto appena ultimato, che ribattezzarono Henderson Field, trovandovi anche una discreta quantità di materiale abbandonato dal nemico.

Attorno a questo obiettivo venne costituito un perimetro difensivo che sarà poi il teatro delle principali controffensive terrestri giapponesi. I soldati giapponesi, nonché opporsi allo sbarco dei marines, scelsero invece di rifugiarsi nella giungla all’interno dell’isola.

La battaglia di Savo

La reazione del Sol Levante fu affidata all’Ottava Flotta del viceammiraglio Gunichi Mikawa, composta da 5 incrociatori pesanti, 2 leggeri e un solo cacciatorpediniere.

Nella notte tra l’8 e il 9 agosto, questa squadra ottenne una delle vittorie numericamente più clamorose dell’intera guerra. Nel corso della battaglia di Savo riuscì infatti ad affondare 4 incrociatori pesanti alleati, senza perdere alcuna unità.

Fallì invece nell’obiettivo di localizzare e attaccare i mercantili nemici, ancora alla fonda e impegnati nello sbarco di materiali, e, in ultima analisi, nel conseguire un completo successo strategico.

La distruzione, o anche solo l’allontanamento dei mercantili, avrebbe certamente messo in crisi i marines, riducendo la loro capacità di opporsi alle imminenti controffensive terrestri.

Sviluppo della campagna di Guadalcanal

La campagna si sviluppò da allora secondo un canone ben preciso. Il possesso di Henderson Field garantiva agli americani il predominio dei cieli e, conseguentemente, la possibilità di operare, facendo giungere rinforzi e rifornimenti, alla luce del giorno.

Viceversa, l’oscurità, costringendo a terra gli aerei, andava a vantaggio dei giapponesi, addestrati a combattere di notte e in grado di far giungere, a loro volta, convogli ribattezzati Tokyo Express dagli americani; essi erano composti prevalentemente da cacciatorpediniere che, quasi ogni notte, trasportavano soldati e armi leggere dalle basi nelle Salomone settentrionali a Guadalcanal.

Le principali battaglie

È difficile isolare le singole battaglie perché la storia di Guadalcanal si compone di piccole azioni aeree, navali e terrestri quasi quotidiane.

Entrambe le parti si risolsero a inviare via mare flussi di rifornimenti di dimensioni ridotte per eludere l’opposizione nemica. Inoltre, la morfologia dell’isola si prestava ad incursioni di piccoli reparti.

È forse possibile identificare 6 azioni principali.

  • La battaglia terrestre del Tenaru, 21 agosto, quando il distaccamento Ichiki provò a forzare il perimetro di Henderson Field e venne annientato.
  • La battaglia aeronavale delle Salomone Orientali, 24-25 agosto, originata dal tentativo di eseguire azioni di rifornimento in grande stile; si trattò di uno scontro inconcludente che vide l’affondamento della portaerei leggera nipponica Ryujo e il danneggiamento della USS Enterprise.
  • Il 12 settembre venne combattuta la battaglia terrestre di Edson’s Ridge, nota anche come cresta insanguinata. Fu uno scontro durissimo che sfociò spesso in terribili corpo a corpo. L’offensiva giapponese, che mirava a Henderson Field, venne respinta con gravissime perdite.
  • L’11 ottobre ebbe luogo la battaglia aeronavale di capo Speranza, con bombardamenti navali dell’aeroporto americano che si protrassero fino al 15 ottobre.
  • Al 24 ottobre risale la battaglia di Henderson Field, ultimo serio tentativo nipponico di occupare l’aeroporto nemico. Questa offensiva terrestre coincise con lo scontro aeronavale del 26 ottobre, nota come battaglia delle Isole Santa Cruz.
  • La battaglia navale di Guadalcanal, combattuta nella notte tra il 12 e il 13 novembre. Determinata da un’operazione nipponica di rifornimento e al contempo bombardamento, incontrò l’opposizione di una flotta americana inferiore che venne annientata ma seppe precludere all’ammiraglio giapponese l’esecuzione della sua missione. Ripetuta il 14 novembre, l’operazione fallì nuovamente e questa volta gli americani si aggiudicarono anche il successo tattico.

La fine della campagna

Dopo l’ultimo scontro, il quartier generale giapponese non fu più in grado di organizzare un’offensiva. Di fatto, le perdite subite convinsero soprattutto la Marina che era giunto il momento di accettare la sconfitta.

L’evacuazione di Guadalcanal venne ordinata nell’ultima settimana di dicembre e portata a termine il 7 febbraio del 1943 con perdite modestissime. Due giorni più tardi, il generale Alexander Patch, recentemente nominato comandante delle forze alleate sull’isola, dichiarò conclusa la campagna.

Con la vittoria, gli americani poterono fare di Guadalcanal il punto di partenza delle loro successive offensive, sviluppando l’aeroporto già esistente e costruendone altri. Ma, soprattutto, poterono far tesoro della crescente debolezza del nemico, che non era in grado di compensare le perdite subite.

Gli Americani avevano raccolto la pistola abbandonata per strada, l’iniziativa, e non l’avrebbero più mollata fino alla resa senza condizioni del Giappone.

Bilancio e motivi della sconfitta giapponese

Se le perdite di uomini furono molto superiori per il Giappone, il computo delle navi affondate fu sostanzialmente pari. Nonostante questo, il quartier generale imperiale uscì dalla campagna di Guadalcanal in condizioni di grande inferiorità.

Perché?

Il motivo è presto detto: gli americani erano in grado di far fronte alle perdite subite grazie alle loro capacità industriali, in rapido e imponente aumento, i giapponesi no. Ma non si può tacere che il 7 agosto 1942 era il Giappone a detenere una certa superiorità di uomini e mezzi nel settore.

Quale fu allora il motivo della disfatta?

In primo luogo, è necessario far riferimento a una cattiva pianificazione dello Stato Maggiore nipponico. Per diverse settimane, a Tokyo ritennero che gli americani si fossero insediati a Guadalcanal con forze esigue, sufficienti tutt’al più a una ricognizione su vasta scala.

Da questa erronea convinzione derivarono sconfitte e perdite di uomini e materiali, con offensive lanciate in condizioni di netta inferiorità numerica, confidando anche nella (presunta) superiorità combattiva del soldato nipponico.

Contribuirono alla disfatta anche l’inferiorità qualitativa e quantitativa dei rifornimenti e la mancanza di adeguate strutture sanitarie all’interno dell’esercito che invece sarebbero state necessarie in un ambiente malsano come la giungla di Guadalcanal.

Basti dire che i soldati giapponesi evacuati nel febbraio 1942 erano così emaciati da scioccare i marinai dei vascelli su cui si imbarcarono.

I motivi della vittoria americana

Per parte loro, gli americani incominciarono la campagna con alcuni seri handicap, in primis l’inferiorità nel combattimento navale notturno al quale non erano addestrati, mentre la Marina Imperiale ne aveva fatto uno dei suoi punti di forza.

Seppero però recuperare, grazie a un rapido e intenso ciclo addestrativo e all’imponente produzione che consentì a esercito, marina e corpo dei marines di disporre di abbondanti riserve di materiale; questo nonostante periodi di crisi per la difficoltà di trasferire tanta abbondanza alla prima linea.

Considerazioni finali

Se c’è un aspetto sul quale i due nemici si trovano assolutamente d’accordo, è la durezza della campagna. Guadalcanal fu una tragedia per chi vi combatté perché le condizioni psicologiche e fisiche dei protagonisti furono messe a durissima prova.

Il termine che ricorre più spesso nei resoconti è “inferno”, valga per tutti l’epigrafe che accompagna la tomba di un marine e che recita:

«Quando questo marine si presenterà a Pietro gli dirà: Signore, io ho già servito all’inferno, sono stato a Guadalcanal».

And When He Gets To Heaven, To Saint Peter He Will Tell; One More Marine Reporting Sir, I’ve Served My Time In Hell – (Marine Grave inscription on Guadalcanal, 1942)

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Corpo Forestale dello Stato, storia e curiosità https://cultura.biografieonline.it/corpo-forestale-storia/ https://cultura.biografieonline.it/corpo-forestale-storia/#respond Thu, 08 Aug 2019 08:22:49 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26924 La compagine del Corpo forestale dello Stato nasce il 15 ottobre 1822 e, possiamo dirlo, muore alla fine dell’anno 2016. Per due secoli ha prestato servizio in termini di tutela e difesa del patrimonio forestale dello Stato italiano con una storia molto travagliata fatta di definizioni continue. Fino alla soppressione, con le funzioni e il personale redistribuiti fra gli altri corpi.

Corpo Forestale dello Stato
Corpo Forestale dello Stato: stemma

Corpo Forestale dello Stato: le origini nell’800

Per ricostruire la storia del Corpo Forestale dobbiamo andare indietro nell’Ottocento ai tempi del re Carlo Felice di Savoia. A questo regnante, infatti, è attribuito il prodromo del corpo con le regie patenti da cui il 15 ottobre 1822 crea l’Amministrazione forestale per la custodia e la tutela dei boschi nel Regno di Sardegna.

A distanza di 11 anni, Re Carlo Alberto di Savoia torna a occuparsi di gestione del territorio e riorganizza anche il corpo. Suddivide i Regi Stati di terra ferma in 21 circondari, separati, a loro volta, in distretti e mandamenti.

Ogni circondario ha il suo ispettore, ogni distretto un capo guardia. La guardia, nello specifico, si occupa di vigilare sui boschi, garantirne la conservazione e migliorare, in generale, il patrimonio forestale.

La costituzione del Regno d’Italia segna un cambiamento in tutto il Paese e anche per la storia dei forestali. Nel 1877, infatti, il Regio decreto numero 4239 si staglia come prima legge per il comparto, ponendo l’attenzione sull’importanza della conservazione del territorio e la difesa di questo dal fenomeno del dissesto idrogeologico.

Il primo 900: i forestali in guerra

La Legge Luzzatti del 2 giugno 1910 istituisce il “Corpo reale delle foreste”, all’interno del Ministero dell’agricoltura e fa salire il numero del personale fino a 3.500 unità nel 1915.

Durante il primo conflitto mondiale i forestali confluiscono nel Regio Esercito combattendo su tutti i fronti, perdendo circa 70 unità sul campo in totale. Provvedono in maniera pressoché esclusiva all’approvvigionamento del legname per le forze combattenti, e del carbone per usi bellici e civili.

Con la fine della guerra, come prevedibile, le forze sono tutte impegnate nel risanamento e nella ricostituzione dei boschi danneggiati.

Il corpo reale delle foreste durante il Fascismo e nel Secondo dopoguerra

Nel 1926 Mussolini sopprime il Corpo reale delle foreste e costituisce la Milizia nazionale forestale, dipendente dalla Milizia Volontaria per Sicurezza Nazionale (MVSN). Durante il ventennio fascista, le aumentate unità del corpo si occupano di manutenere e salvaguardare il territorio in fatto di boschi, selvicoltura, caccia e assetto idrogeologico.

Nel 1944, nella Repubblica Sociale Italiana, viene costituita la Guardia nazionale repubblicana della montagna e delle foreste. Il decreto legislativo 804 del 1948 legittima la denominazione attuale della compagine in Corpo forestale di Stato, definendolo composto da personale tecnico con funzioni di polizia.

Le leggi sul tema e i cambiamenti dagli anni Ottanta del ‘900

Nel 1981, con la legge 121, il Corpo forestale di Stato entra effettivamente nelle cinque forze di Polizia di Stato:

  • Polizia di Stato
  • Carabinieri
  • Guardia di Finanza
  • Polizia penitenziaria
  • Corpo Forestale

Nel 1995 è nelle tre forze di Polizia ad ordinamento civile (insieme a Polizia di Stato e penitenziaria).

Nel 2004 un nuova più dettagliata definizione sancisce che il Corpo forestale di Stato è:

forza di polizia dello Stato ad ordinamento civile, specializzata nella difesa del patrimonio agro-forestale italiano e nella tutela dell’ambiente, del paesaggio e dell’ecosistema.

Anni 2000: nuove leggi, nuove trasformazioni del Corpo forestale

Il disegno di Legge Madia, nel 2015, dispone l’assorbimento del Corpo forestale dello Stato in un’altra forza di Polizia, rimandando agli appositi decreti delegati per definire riordino delle funzioni sui temi da sempre legati al corpo.

L’anno successivo un decreto legislativo attuativo determina che il Corpo si riorganizzi come “Comando per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare” all’interno dell’Arma dei Carabinieri, determinando come si definisce in seguito il passaggio delle unità da polizia civile a militare. Nei Vigili del Fuoco confluiscono gli agenti specializzati nell’antincendio.

Lo spegnimento di un incendio in un intervento del Corpo Forestale
Lo spegnimento di un incendio in un intervento del Corpo Forestale

Ultimo atto: la riorganizzazione col decreto legislativo 177 del 2016

Una volta pubblicato in Gazzetta ufficiale, trascorsi 60 giorni, il personale e alcuni interi reparti vengono via via trasferiti.

In particolare partendo dalle competenze espresse nel servizio le singole unità trovano diversa collocazione:

  • i forestali impegnati in organizzazione formativa, sport, giudiziaria nelle Procure della Repubblica confluiscono nell’Arma dei Carabinieri;
  • quelli operativi nell’ambito di Servizio di Soccorso alpino forestale, squadre nautiche e marittime nella Guardia di Finanza;
  • gli addetti a Centri operativi antincendio boschivo, Nuclei operativi speciali e protezione civile si uniscono ai Vigili del Fuoco;
  • chi competente in materia di ordine pubblico e Direzione investigativa antimafia va alla Polizia di Stato;
  • le unità, infine, certificate Cites per il Commercio internazionale fauna e flora nell’ambito del servizio doganale vengono destinata al Ministero delle politiche agricole.

Tale distribuzione in termine di numeri ha visto, sempre nel 2016, del totale di 7.781 forestali l’assorbimento di: 7.177 nei Carabinieri, 390 nei Vigili del Fuoco, 126 nella Polizia di Stato, 41 nella Guardia di Finanza.

Curiosità: il patrono del Corpo Forestale è San Giovanni Gualberto, fondatore della Congregazione vallombrosana. Fu dichiarato patrono del Corpo forestale italiano nel 1951 da papa Pio XII, che lo dichiarò patrono anche dei forestali del Brasile nel 1957.

La fine del Corpo Forestale

Il 17 ottobre 2016, con una cerimonia, è stata ritirata la bandiera del Corpo Forestale, facendone un cimelio nel Museo storico della scuola forestale e decretando la fine di una storia tutta italiana durata ben due secoli.

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Franco tiratore: cosa significa e qual è l’origine dell’espressione https://cultura.biografieonline.it/franco-tiratore/ https://cultura.biografieonline.it/franco-tiratore/#respond Thu, 01 Aug 2019 08:35:03 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26862 Il franco tiratore: ieri sul campo di battaglia, oggi al Governo

L’espressione Franco tiratore nasce in ambito militare. Indica un soldato che spara franco cioè libero contro le truppe regolari, da solo o in gruppo, nei centri abitati occupati e non. Questa locuzione, con un riferimento nel tempo chiaro e preciso, a un certo punto della sua esistenza viene assorbita dal linguaggio politico. E qui si ferma.

Franco tiratore Franchi tiratori politica votazione
Votazione in una delle camere del Parlamento italiano

Oggi quella politica è cioè l’interpretazione più diffusa. Il franco tiratore nel linguaggio corrente è inteso come quel politico che nel votare, segretamente, sceglie in opposizione al suo gruppo di appartenenza; anche a dispetto di quanto deciso da questo.

La prima vita del Franco tiratore: campo militare, metà Ottocento, Francia

La lingua italiana di metà Ottocento trae dal francese franc-tireur la locuzione franco tiratore. I francesi, infatti, coniarono questa espressione per definire le milizie volontarie a difesa della Francia fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento; questi divennero poi la fanteria leggera di Napoleone Bonaparte.

Andando avanti, nell’Ottocento i franchi tiratori erano la struttura dell’esercito dei Vosgi, sotto Garibaldi, nella guerra contro la Prussia del 1870.

Franco tiratore franc tireur militare
Il franco tiratore (franc-tireur) nel contesto originale militare.

Ancora, si parla di corpi franchi nella Prima guerra mondiale. Nel secondo conflitto mondiale, infine, sotto il nome di cecchini si opposero alle forze di liberazione sparando dai tetti delle città; in Italia come nella Resistenza francese.

Il passaggio di campo e El Francotirador di Che Guevara

Il primo a utilizzare l’espressione di franco tiratore mutuandola dalla sfera militare per riversarla in quella politica fu Ernesto Che Guevara durante la Rivoluzione Cubana. Il Che, infatti, firmò con lo pseudonimo El francotirador il suo articolo El principio de la fin; l’articolo comparve sul ciclostilato El cubano libre, fra il 1957 e il 1958.

Foto di Che Guevara
Foto di Che Guevara

La seconda vita del franco tiratore: l’Italia di metà 900

La seconda vita di questa espressione ricade nella sfera della politica andando a definire colui che a fronte di una decisione di gruppo in merito ad una votazione spara liberamente, anche se in segreto; in sostanza vota in opposizione ai suoi compagni di partito o coalizione.

Nella storia politica italiana si ricordano bene i franchi tiratori del partito democristiano; essi fecero in modo di negare l’elezione a Presidente della Repubblica di Amintore Fanfani, Arnaldo Forlani e Giovanni Leone, fra gli altri.

Anche, più recentemente, nel 2013 Romano Prodi subì tale arresto per mano dei 101 franchi tiratori delle file del centro sinistra del tempo. Inoltre, si ricorda di “franche tirate” in votazioni di leggi spinose e discusse.

La situazione venne arginata con i regolamenti di Camera e Senato del 1988. Da un sistema di votazione a maggioranza a scrutinio segreto si passò a un regime con il voto a scrutinio palese per tutto, ad eccezione dell’espressione di voto su persone alla Camera; mentre è più complesso il voto segreto al Senato. Non è segreto, infine, il voto sulla legge finanziaria o in merito a spese o entrate.

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Alpini, breve storia del corpo militare https://cultura.biografieonline.it/alpini-storia/ https://cultura.biografieonline.it/alpini-storia/#comments Sat, 27 Jul 2019 10:22:19 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26798 L’origine e la nascita del corpo degli Alpini è da riferirsi al giovane Ufficiale del Corpo di Stato Maggiore Giuseppe Domenico Perrucchetti. Siamo nel 1872 e i confini del Regno d’Italia vanno difesi dopo la guerra del 1866 contro l’Austria. L’idea di Perrucchetti è quella di istituire un corpo a difesa del confine alpino costituito, però, da soldati nati e cresciuti sul posto: i valligiani stessi sono chiamati alla difesa del territorio giacché conoscitori unici di tutte le sue specifiche.

Alpini Storia Nascita

L’idea dell’Ufficiale è accolta con freddezza, tuttavia piace al Ministro della guerra, il Generale Cesare Ricotti Magnard. Inoltre, la costituzione di un nuovo Corpo impone l’approntarsi di una legge apposita da discutersi in Parlamento; vi sono tutte le difficoltà di incappare in una bocciatura anche e non solo per le difficili condizioni di bilancio in cui il Paese versa.

L’escamotage e la nascita del corpo degli Alpini

Il Generale Ricotti inserisce l’iniziativa fra gli allegati del Regio Decreto numero 1056 del 15 ottobre 1872; l’atto tratta la riforma e il riordinamento dei distretti militari. Nell’allegato si parla della costituzione di 15 nuove “compagnie permanenti” reclutate su base territoriale.

Il decreto va a buon fine e i primi reparti alpini chiamano a sé i ragazzi della classe 1852. Inizialmente definiti “distrettuali”, gli alpini vedono incominciare la propria lunga e oggi gloriosa storia.

La crescita delle compagnie fra Ottocento e Novecento

Partite da 15, a settembre del 1873 le compagnie diventano 24, divise in 7 “reparti alpini”. Quattro anni dopo sono già a cinque batterie e nel 1882, a dieci anni dalla nascita, gli alpini contano in totale 6 reggimenti.

Nel 1887 nasce a Torino il primo reggimento di artiglieria da montagna. Nello stesso anno, come da Regio Decreto del 10 luglio 1887, si costituisce a Conegliano Veneto il settimo Reggimento alpini, contraddistinti dalle fiamme verdi. Nel 1910 nascono le Brigate, che restano come principale organizzazione fino al 1916.

Primi Alpini foto antica

Gli Alpini e la Prima guerra mondiale

Dopo diverse organizzazioni provvisorie, fra la fine del 1917 e l’inizio del 1918, gli Alpini sono ordinati in tre battaglioni alpini, due compagnie mitraglieri, un gruppo d’artiglieria da montagna, un reparto cannoncini.

All’inizio della Prima guerra mondiale nasce la Quinta divisione alpina, attiva in Alta Val Camonica, Alta Valtellina, Passo del Tonale, Adamello.

Sul finire del conflitto nascono altre tre divisioni con 44 penne nere. E’ di questo momento storico il sacrificio dell’eroica cinquantaduesima divisione nell’Ortigara nel giugno 1917.

Sul cappello che noi portiamo
c’è una lunga penna nera
che a noi serve da bandiera
su pei monti a guerreggiar.

Dalla canzone “Sul cappello”.

Vi sono molte e celebri canzoni legate al corpo degli Alpini, tra cui quella appena citata “Sul cappello”, ma anche La canzone del Piave e “Quel mazzolin di fiori”.

Assetto in rivoluzione

Alla fine della Grande Guerra, degli Alpini restano i Reggimenti, sciolti nel biennio 1915-1916, e poi presto ricostituiti. Tre anni dopo vengono create le Brigate alpine che nel 1920 diventano tre Divisioni alpine.

Con il decreto del 7 gennaio del 1923 i Comandi di divisione diventano Comandi di raggruppamento: tre reggimenti alpini più uno di artiglieria di montagna. Nel 1926 vengono inquadrate le Brigate alpine che nel 1933 diventano quattro. Nel 1934, con il nuovo Ordinamento dell’Esercito, i Comandi di Brigata diventano Comandi superiori alpini. Questi vengono sostituiti, fra il 1935 e il 1943, con le Divisioni alpine: Prima Taurinense, Seconda Tridentina, Terza Julia, Quarta Cuneenese, Quinta Val Pusteria, Sesta Alpi Graie.

A seguito della Seconda guerra mondiale e del trattato di pace di Parigi che, con l’adesione dell’Italia alla NATO determina la riorganizzazione delle Forze armate, fra il 1949 e 1953 vengono costituite 5 brigate: Prima Taurinense, Seconda Tridentina, Terza Julia, Quarta Orobica, Quinta Cadore.

Tale organizzazione resta immutata fino al 1975. Con la riforma delle Forze armate di quell’anno, la nuova unità elementare è la Brigata alpina che guida battaglioni e gruppi e impiega alpini, artiglieri da montagna, genieri, trasmettitori, nuclei logistici. I Reggimenti, però, riprenderanno a esistere nel 1991, ammodernati e depositari di un lungo patrimonio storico e militare.

L’eredità degli Alpini: l’ANA

L’Associazione Nazionale Alpini nasce l’8 luglio del 1919 a Milano, alla birreria Spatenbräu di Angelo Colombo, socio fondatore. Il primo presidente è Daniele Crespi. Risale a settembre 1920 la prima Adunata nazionale sull’Ortigara. Ne seguono altre venti fino al 1940, a Torino, poi la sospensione per sette anni a causa del conflitto mondiale.

L’adunata riprende nel 1948, si stoppa nel 1950, anno del Giubileo, per poi mai più interrompersi.

L’associazione è costituita da circa 350 mila soci, con 80 sezioni in Italia, 30 sezioni nelle varie nazioni del mondo, più 8 gruppi autonomi: cinque in Canada (Calgary, Sudbury, Thunder Bay, Vaughan e Winnipeg), in Colombia, Slovacchia e a Vienna. Le Sezioni si articolano in quasi 4.500 Gruppi. Ai 270mila (circa) soci ordinari si aggiungono 80mila Aggregati.

Alpini Adunata
“100 anni di coraggioso impegno”, questo il motto dell’Adunata del centenario che ha avuto luogo a Milano nel 2019

I valori e l’intervento

Con l’amor di Patria anche l’amicizia, la solidarietà e il senso del dovere

Questi valori, al centro del lavoro quotidiano come anche delle celebrazione del corpo degli Alpini. Si sono rinnovati in molti territori di guerra e drammatici scenari nel mondo. Fra questi, il Vajont nel 1963, il Friuli fra il 1976 e il 1977 (qui nasce di fatto la Protezione Civile nazionale), l’Irpinia nel 1980 e la Valtellina nel 1987. E ancora Armenia, Albania, Abruzzo terremotato nel 2009 e molti altri scenari internazionali devastati da guerre e calamità naturali.

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La nave scuola Amerigo Vespucci https://cultura.biografieonline.it/amerigo-vespucci-nave-scuola/ https://cultura.biografieonline.it/amerigo-vespucci-nave-scuola/#comments Wed, 21 Nov 2012 06:24:02 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=4834 Ideato nel 1925 con l’obiettivo di sostituire la nave scuola della classe “Flavio Gioia”, il veliero “Amerigo Vespucci” viene progettato nel 1930 dall’ingegnere Francesco Rotundi, per addestrare gli allievi che frequentano l’Accademia navale della Marina Militare Italiana. Pare che l’ingegner Rotundi abbia ricopiato il progetto già esistente di un veliero simile all’Amerigo Vespucci, denominato il “Monarca”, elaborato da un certo Sabatelli, ingegnere navale di Napoli. Il progetto in questione si trova in custodia a Castellammare di Stabia. Il veliero, varato il 22 febbraio 1931, parte proprio da qui, il 2 luglio 1931, per raggiungere Genova.

La Amerigo Vespucci ormeggiata a Venezia
La Amerigo Vespucci ormeggiata a Venezia

Il suo compito è di affiancare il gemello “Cristoforo Colombo” durante le crociere di addestramento della Marina Militare sia nell’Atlantico che nel Mar Mediterraneo. Dopo la seconda guerra mondiale il “Cristoforo Colombo” viene ceduto in seguito ad accordi internazionali.

L’Amerigo Vespucci rimane l’unica nave scuola della Marina Militare Italiana fino a quando non subentra un’altra, l’Ebe, acquistata nel 1952. Dal 1955 il Vespucci viene affiancato negli addestramenti dal veliero “Palinuro”, proveniente dalla Francia. Attualmente in servizio, l’Amerigo Vespucci è – dopo quasi ottanta anni – la nave più antica della Marina Militare.

Questo imponente veliero, oltre a viaggiare per i mari svolgendo le crociere di istruzione (vere e proprie campagne di addestramento), ha rappresentato la Marina Militare Italiana in occasione di eventi particolari come ad Atene per le Olimpiadi del 2004, oppure nell’ottobre 2002 per la trentunesima edizione dell’America’s Cup.

Questi, in sintesi, i “numeri” del veliero Vespucci: è stato venti volte nel Mediterraneo, trentasette volte nell’Europa del Nord, sette volte in Nord America, una volta in Sud America, quattro volte in Atlantico orientale, ed in più ha effettuato una circumnavigazione della Terra.

L’Amerigo Vespucci è un veliero che ha fatto la storia della Marina Militare Italiana. Basti pensare che a bordo tutto avviene seguendo le vecchie tradizioni: manovre a mano, ordini impartiti dal nostromo utilizzando il fischietto, imbarco e sbarco secondo il grado degli ospiti, cime in materiale vegetale, vele in tela olona.

Nel 2006 la nave scuola viene sottoposta a lavori di manutenzione per renderla più moderna e funzionale, dopo ben settantacinque anni di attività! L’equipaggio dell’Amerigo Vespucci si compone di 72 sottufficiali, 14 ufficiali, 190 sottocapi e comuni, cui si aggiungono circa 140 allievi dell’Accademia Navale di Livorno, durante i mesi estivi.

L’equipaggio è così suddiviso, a seconda dei compiti assegnati: Servizio Dettaglio, Servizio Operazioni, Servizio Armi, Servizio Marinaresco, Servizio Amministrativo/Logistico, Servizio Genio Navale/Elettrico, Servizio Sanitario.

La nave-scuola Amerigo Vespucci
La nave-scuola Amerigo Vespucci

Proprio per la maestosità e la tradizione che contraddistingue la nave Amerigo Vespucci, quando un transatlantico la incrocia sulla rotta in genere rinuncia alla precedenza che gli spetta per legge, spegne i motori e “saluta” il veliero con tre colpi di sirena. Il nome della nave-scuola si riferisce al navigatore Amerigo Vespucci, cui si deve l’attribuzione del nome “America” al “Nuovo Mondo” che era stato scoperto nel 1492 dal “collega” esploratore Cristoforo Colombo.

Amerigo Vespucci
Amerigo Vespucci

Il motto a bordo della nave è: “Non chi comincia, ma quel che persevera”. In origine era “Per la Patria e per il Re”. Le possibilità di accesso alla nave non sono molto frequenti; in genere vengono organizzate visite guidate su appuntamento tramite associazioni nautiche, oppure bisogna conoscere i porti in cui si ferma durante le campagne addestrative. A questo scopo può essere utile consultare l’Ufficio Relazioni con il Pubblico della Marina Militare Italiana, il cui recapito si può trovare sul sito ufficiale www.marina.difesa.it

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