stilnovo Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 05 Nov 2021 11:39:50 +0000 it-IT hourly 1 Al cor gentil rempaira sempre amore: parafrasi, analisi e commento https://cultura.biografieonline.it/al-cor-gentil-guinizzelli/ https://cultura.biografieonline.it/al-cor-gentil-guinizzelli/#comments Fri, 05 Nov 2021 10:09:57 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21132 La lirica “Al cor gentil rempaira sempre amore” è considerata il manifesto dello Stilnovismo. Essa è una delle più celebri tra le cinque rimaste di Guido Guinizzelli (Bologna, 1235 – Monselice, 1276). L’autore venne definito da Dante Alighieri nel XXVI canto del Purgatorio (vv. 97-99) “Il padre mio e de li altri miei miglior che mai rime d’amor usar dolci e leggiadre”. Dante considera Guinizzelli come il capostipite dello Stilnovismo, il movimento poetico che nacque nella seconda metà del Duecento. Lo Stilnovismo riuniva intorno a sé un pubblico colto che considerava l’amore nella sua visione più nobile.

Dante inserì nel XXVI canto del Purgatorio la figura di Guido Guinizzelli, autore della lirica "Al cor gentil rempaira sempre amore"
Dante inserì nel XXVI canto del Purgatorio la figura di Guido Guinizzelli, autore della lirica “Al cor gentil rempaira sempre amore”

Di Guido Guinizzelli sappiamo che era impegnato nella vita politica e apparteneva al partito dei ghibellini. Della sua produzione sono rimaste solo cinque canzoni, tra cui quella in esame – Al cor gentil rempaira sempre amore – che è certamente la più importante, oltre a una ventina di sonetti. Tra le sue liriche non manca la visione di un amore tormentato, la visione stilnovistica che inquadrava l’amore come un’elevazione dell’animo umano, e soprattutto una nuova concezione di nobiltà, legata non al sangue ma alla virtù individuale.

Queste sono tutte le tematiche che si ritrovano all’interno della canzone in esame, che è diventata il manifesto della nuova poetica stilnovistica, introducendo argomenti che saranno poi ripresi da Dante e dagli altri autori.

La canzone è formata da sei stanze di dieci versi ciascuna (endecasillabi e settenari) con schema metrico:

ABAB cDcEdE

Al cor gentil rempaira sempre amore

Al cor gentil rempaira sempre amore
come l’ausello in selva a la verdura;
né fe’ amor anti che gentil core,
né gentil core anti ch’amor, natura:
ch’adesso con’ fu ‘l sole,
sì tosto lo splendore fu lucente,
né fu davanti ‘l sole;
e prende amore in gentilezza loco
così propïamente
come calore in clarità di foco.

Foco d’amore in gentil cor s’aprende
come vertute in petra prezïosa,
che da la stella valor no i discende
anti che ‘l sol la faccia gentil cosa;
poi che n’ha tratto fòre
per sua forza lo sol ciò che li è vile,
stella li dà valore:
così lo cor ch’è fatto da natura
asletto, pur, gentile,
donna a guisa di stella lo ‘nnamora.

Amor per tal ragion sta ‘n cor gentile
per qual lo foco in cima del doplero:
splendeli al su’ diletto, clar, sottile;
no li stari’ altra guisa, tant’è fero.
Così prava natura
recontra amor come fa l’aigua il foco
caldo, per la freddura.
Amore in gentil cor prende rivera
per suo consimel loco
com’adamàs del ferro in la minera.

Fere lo sol lo fango tutto ‘l giorno:
vile reman, né ‘l sol perde calore;
dis’omo alter: “Gentil per sclatta torno”;
lui semblo al fango, al sol gentil valore:
ché non dé dar om fé
che gentilezza sia fòr di coraggio
in degnità d’ere’
sed a vertute non ha gentil core,
com’aigua porta raggio
e ‘l ciel riten le stelle e lo splendore.

Splende ‘n la ‘ntelligenzïa del cielo
Deo crïator più che [‘n] nostr’occhi ‘l sole:
ella intende suo fattor oltra ‘l cielo,
e ‘l ciel volgiando, a Lui obedir tole;
e con’ segue, al primero,
del giusto Deo beato compimento,
così dar dovria, al vero,
la bella donna, poi che [‘n] gli occhi splende
del suo gentil, talento
che mai di lei obedir non si disprende.

Donna, Deo mi dirà: “Che presomisti?”,
sïando l’alma mia a lui davanti.
“Lo ciel passasti e ‘nfin a Me venisti
e desti in vano amor Me per semblanti:
ch’a Me conven le laude
e a la reina del regname degno,
per cui cessa onne fraude”.
Dir Li porò: “Tenne d’angel sembianza
che fosse del Tuo regno;
non me fu fallo, s’in lei posi amanza”.

Parafrasi

I stanza

Amore fa sempre ritorno nel cuore nobile, come l’uccello ripara nel bosco tra le fronde degli alberi; e la natura non ha creato l’amore prima del cuore nobile, né il cuore nobile prima dell’amore. Infatti non appena ci fu il sole, all’istante rifulse la sua luce, ed essa d’altra parte non apparve prima del sole e amore prende posto nel cuore con la stessa naturalezza con cui il calore vive nella luminosità del fuoco.

II stanza

Il fuoco amoroso si accende nel cuore nobile nello stesso modo in cui nella pietra preziosa si attivano le sue concrete proprietà, in cui nella gemma non scende la virtù dell’astro prima che il sole non l’abbia purificata rendendola nobile. Dopo che il sole, con la sua potenza, ha estratto dalla pietra ogni impurità, la stella conferisce ad essa la virtù: così il cuore, reso dalla natura eletto, puro e gentile, riceve dalla donna come da una stella l’amore, che lo rende nobile.

III stanza

L’amore si trova nel cuore nobile allo stesso modo in cui si trova il fuoco in cima al candelabro: qui brilla liberamente, luminoso e sottile, per lui non sarebbe adatta altra natura, tanto è fiero. Quindi, l’indole malvagia è avversa all’amore come l’acqua al fuoco incandescente a causa della sua freddezza. Amore prende posto nel cuore come luogo che gli è affine, come il diamante nel minerale di ferro.

IV stanza

Il sole colpisce con i suoi raggi il fango tutto il giorno: eppure il fango rimane vile e il sole non perde il suo calore. L’uomo superbo dice:” Sono di nobile stirpe”, io paragono lui al fango e il sole alla vera nobiltà: perché non si deve credere che esista nobiltà al di fuori del cuore, cioè soltanto per stirpe, se non si ha un cuore nobile incline alla virtù, allo stesso modo di come l’acqua si lascia trapassare dai raggi del sole, mentre il cielo trattiene la luce delle stelle e lo splendore.

V stanza

Dio creatore splende davanti all’intelligenza angelica che muove il cielo più del sole davanti ai nostri occhi: tale intelligenza riconosce il proprio creatore al di là del cielo e gli obbedisce mettendo il cielo in movimento e nello stesso modo che il compimento della beatitudine consegue, immediatamente, all’ordine di Dio giusto, similmente, in verità, la bella donna dovrebbe concedere la beatitudine non appena il desiderio, che non smette mai d’obbedirle, spende negli occhi del suo nobile amante.

VI stanza

O donna, quando la mia anima sarà davanti a Dio, lui mi dirà: “Che presunzione avesti? Hai attraversato il cielo e sei giunto fino a me e mi hai paragonato ad un amore profano: poiché la lode spetta a me e alla regina del nobile regno, grazie alla quale è vinto ogni peccato”. Io potrò dirgli: “Aveva l’aspetto di un angelo appartenente al tuo regno, quindi non fu colpa mia se mi innamorai di lei”.

Analisi

La lirica “Al cor gentil rempaira sempre amore” è molto complessa perché argomenta, attraverso una fitta trama di similitudini, tutti i nuclei concettuali dello Stilnovo. Nella prima stanza si afferma l’inscindibile unione tra il cuore gentile e l’amore, che vengono paragonati al sole con la sua luce e al fuoco con la fiamma. Sono quindi un binomio naturale.

Nella seconda stanza si spiega l’effetto che ha la donna su un cuore nobile. Ella è in grado di far nascere in esso l’amore come la stella fa nascere la virtù nelle pietre. Nel Medioevo, infatti, si riteneva che le pietre preziose fossero portatrici di particolari virtù.

Nella terza stanza si dimostra che il sentimento non può avvicinarsi ad una persona vile e indegna, perché non è nella sua natura. Come l’acqua e il fuoco sono opposti tra loro.

Nella quarta stanza si introduce il tema della vera nobiltà. Essa non deriva dalla stirpe ma nasce dalla bontà d’animo, che viene resa ancora più grande dall’amore stesso.

Nella quinta stanza, quella più intrisa di dottrina, si afferma che la donna, attraverso l’amore, riesce a purificare l’uomo, proprio come fa Dio. La donna assume quindi fattezze angeliche.

Nella sesta stanza, viene giustificato l’amore terreno davanti a Dio. Quando l’uomo si troverà al suo cospetto, potrà affermare di aver amato una donna-angelo.

Commento

Dal punto di vista stilistico, oltre all’impianto filosofico della lirica, si noti come vengono introdotti per la prima volta termini stilnovistici. Si cerca di evitare i suoni aspri e la sintassi è quasi sempre lineare. Ci è coincidenza del ritmo con il verso: sono pochi gli enjambements.

La canzone diventa quindi fondamentale per tutta la tradizione lirica successiva. Soprattutto per Dante Alighieri, che, insieme con gli altri stilnovisti, introdurrà e svilupperà queste tematiche fino a farne parte dei grandi capolavori della letteratura italiana.

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Dolce stil novo (Stilnovismo): riassunto https://cultura.biografieonline.it/dolce-stil-novo/ https://cultura.biografieonline.it/dolce-stil-novo/#comments Fri, 05 Nov 2021 07:10:31 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21844 Nella seconda metà del Duecento nacque, tra Bologna e Firenze, un nuovo movimento poetico e letterario definito da Dante Alighieri nella sua CommediaDolce stil novo” (oggi identificato anche come Stilnovo, o Stilnovismo). Secondo Dante, la novità di questo stile consisteva prima di tutto in un processo di progressiva interiorizzazione e spiritualizzazione del sentimento amoroso. Questo nuovo fermento poetico prese avvio a Bologna grazie all’opera di Guido Guinizzelli e, in particolare, alla poesia Al cor gentil rempaira sempre amore.

Dante e Beatrice, Stilnovismo, Dolce stil novo
Dante e Beatrice. Particolare del “Saluto di Beatrice”, dipinto di Dante Gabriel Rossetti (1859-1863)

Ma è a Firenze, tra il 1280- 1310, che si sviluppò in maniera più consistente grazie alle opere di Dante e Guido Cavalcanti. Oltre agli altri stilnovisti come Cino da Pistoia, Lapo Gianni, Dino Frescobaldi. Non si tratta di una vera e propria scuola fondata su regole metriche precise da rispettare quanto piuttosto di uno schieramento omogeneo consolidato da valori, pratiche ed esigenze comuni.

Questi poeti, infatti, erano legati ad un forte sentimento di amicizia, testimoniato dalle numerose corrispondenze. Già dai loro contemporanei essi venivano percepiti come legati da un’unica idea e consapevolezza.

Il Dolce stil novo

Questa nuova poesia stilnovistica si affermava in esplicita contrapposizione all’esperienza precedente dei poeti siculo- toscani e del loro maestro, Guittone d’Arezzo. Si sentiva l’esigenza di un chiaro rinnovamento poetico.

Questo cambiamento riguardava sia le scelte contenutistiche che le forme utilizzate dal nuovo gruppo di poeti. Veniva così messa al centro dei componimenti la propria esperienza personale e banditi tutti i temi politici e sociali, spesso l’oggetto scelto da Guittone.

Venivano bandite anche le sperimentazioni linguistiche per ricercare una nuova dolcezza e melodia all’interno del verso. Gli stilnovisti quindi abbandonarono i riferimenti alla vita comunale, che era spesso travagliata, per un ritorno ad una poesia d’amore. Non più accostabile alla tradizione siciliana ma diretta verso nuove sperimentazioni.

L’ambiente in cui nacque questo tipo di poesia rimase ovviamente quello comunale e cortese. Ma la riflessione sul sentimento dell’amore divenne più profonda e con una spiccata dimensione filosofica.

La definizione

La definizione di dolce stil novo la si deve proprio a Dante che la inserisce nel canto XXIV del Purgatorio. Qui l’autore incontra Bonagiunta Orbicciani, un poeta della scuola legata a Guittone d’Arezzo, che ammette che Giacomo da Lentini, Guittone e lui stesso sono stati superati dai poeti stilnovisti e dalle loro nove rime:

O fratem issa vegg’io, diss’elli, il nodo che ‘l Notaro e Guittone e me ritenne di qua dal dolce stil novo ch’io odo!

Quale verso prima della definizione del nuovo stile, Dante dichiara l’oggetto della poesia stilnovista:

I’mi son un che, quando Amor mi spira, noto, e a quel modo ch’e’ ditta dentro vo significando

ossia l’espressione di tutto ciò che l’amore ispira nell’animo del poeta.

Lo stilnovismo e la donna angelo

Nella poesia stilnovista influisce quindi anche la riflessione filosofica, in particolare il pensiero di San Tommaso d’Aquino e Averroè. Essi cercano una conciliazione tra amore terreno e spiritualità. Teorizzano così il concetto di donna angelo, che diventa un tramite tra uomo e Dio. La donna cessa di essere una figura terrena e diventa così una figura spirituale che riesce a far emergere nell’uomo la sua virtù.

Un nuovo concetto di nobiltà

Un altro tema importante nello stilnovo è quello della nobiltà. Questa non è più considerata come la nobiltà di sangue ma è identificata con quella dello spirito. Non si è più nobili solo per nascita ma soprattutto se si conquista questa caratteristica nella vita pratica. Si diventa nobili nel cuore grazie ad una serie di qualità come la saggezza e la pratica delle virtù.

Dal punto di vista stilistico, i componimenti assimilabili allo Stilnovo hanno una sintassi piana e lineare. Hanno un lessico semplice e raffinato e non sono presenti particolari artifici retorici. Nonostante la naturalezza del verso, le poesie del Dolce stil novo sono piuttosto complesse perché ricche di riferimenti filosofici. Erano quindi indirizzate essenzialmente ad un pubblico colto e sensibile, capace di comprenderle a pieno.

Lo stilnovismo è stato un movimento fondamentale della poesia italiana delle origini. Esso è riuscito ad influenzare tutti i poeti successivi, almeno fino a Petrarca. Inoltre lo stilnovismo ha dato avvio alla produzione del più grande autore della letteratura italiana, Dante Alighieri. Egli con la Vita Nova e la sua Divina Commedia è riuscito a portare ai massimi livelli la visione della donna angelo e ad incarnarla nel personaggio di Beatrice. Senza dubbio i poeti stilnovisti restano i più importanti di tutta la letteratura italiana delle origini, pertanto imprescindibili per lo studio della tradizione storico letteraria italiana.

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Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, sonetto di Petrarca https://cultura.biografieonline.it/voi-ascoltate-rime-sparse-suono/ https://cultura.biografieonline.it/voi-ascoltate-rime-sparse-suono/#respond Sat, 13 May 2017 09:05:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22416 Il sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, uno dei più importanti della produzione letteraria di Francesco Petrarca, è collocato in apertura al Canzoniere. Ha quindi una funzione importante. Il poeta enuncia il suo itinerario spirituale, dall’errore giovanile fino al pentimento e alla consapevolezza che i beni terreni sono evanescenti. Il componimento venne scritto probabilmente intorno al 1349-1350. Quindi, pochi anni dopo la morte di Laura. E’ il periodo in cui il poeta progettava di riunire in un unico libro tutte le rime sparse che aveva composto negli anni precedenti.

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, Petrarca

Il Canzoniere di Petrarca

Il Canzoniere, infatti, è la raccolta delle liriche in volgare di Petrarca, il cui titolo originario è Rerum vulgarium fragmenta (frammenti di cose in volgare). Essa è frutto di una grande opera di lavoro e sistemazione dei testi da parte dell’autore, che voleva strutturarla in modo da lasciare ai posteri una sua autobiografia ideale. Si tratta di una raccolta di 366 componimenti, per la maggior parte sonetti. Ma sono comprese anche ballate, canzoni, madrigali e sestine.

È suddiviso in due parti: le rime in vita e quelle in morte di Laura, avvenuta nel 1348. Questa data è significativa per Petrarca in quanto segna per lui un rinnovamento interiore. La prima parte della raccolta è infatti dedicata all’amore per la donna. La seconda invece ad un’immagine più spirituale di questo sentimento. Il tutto è percorso da un costante tormento interiore che gravava sullo spirito del poeta, diviso tra l’amore della donna e la sua condizione di chierico, che imponeva l’obbligo del celibato.

Il componimento in esame, Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, offre quindi una chiave di lettura per l’intera opera, essendo posto in apertura di essa. Esso svolge non solo la funzione di introduzione ma anche quella di riepilogo dell’intero contenuto dell’opera.

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

Parafrasi

Voi che ascoltate in forma di versi sparsi il suono
di quei sospiri con i quali io nutrivo il mio cuore
durante il mio giovanile turbamento amoroso
quando ero in parte un altro uomo rispetto a quello che sono oggi,

dei diversi stili e metri nei quali esprimo il mio dolore e ne parlo
tra le vane speranze e l’inutile dolore,
qualora vi sia qualcuno che per esperienza conosca che cosa sia amore,
spero di trovare pietà e perdono.

Ma ora mi accorgo come io fui oggetto della derisione e delle risa della gente
per lungo tempo, per cui spesso di me stesso,
nel mio intimo, provo vergogna;

le conseguenze del mio vaneggiare sono la vergogna,
il pentimento e la consapevolezza che ciò che si desidera nel mondo
è un sogno che svanisce troppo presto.

Analisi del testo

La lirica è un sonetto, composto da 14 versi con il seguente schema di rime:

ABBA ABBA CDE CDE

Nella prima quartina il poeta si rivolge ai lettori attraverso il vocativo iniziale “voi”. Il pubblico che egli sceglie è chiaramente selezionato, di chiara ispirazione stilnovista (può capirlo solo chi è stato veramente innamorato). Qui introduce con la formula “rime sparse” il titolo dell’opera (rerum vulgarium fragmenta) e soprattutto la tematica: il turbamento amoroso (errore giovanile) che provava quando era un uomo diverso rispetto ad oggi.

Nella seconda quartina si rivolge a coloro che hanno provato il sentimento dell’amore almeno una volta nella vita e spera proprio che essi possano capirlo e perdonarlo.

Nella prima terzina invece si rende conto che il suo sentimento lo ha portato ad essere schernito dal popolo. Per questo prova vergogna di sé stesso. E’ un sentimento che poi lo porta ad pentimento (seconda terzina) e alla consapevolezza della vanità delle esperienze terrene.

La struttura sintattica delle quartine è molto elaborata. E’ presente il vocativo d’apertura (voi) seguito da una serie di subordinate, il cui soggetto è spesso l’io. Ci sono infatti molti verbi in prima persona proprio a partire dal verso 2, perché l’autore concentra la sua attenzione sul suo processo interiore, non nominando mai Laura esplicitamente.

Laura e Francesco Petrarca
Laura e Francesco Petrarca

Le terzine sono introdotte dalla avversativa “ma”, che segna il passaggio ad un momento diverso della vita e ad una diversa disposizione interiore.

Al verso 11 troviamo un’allitterazione delle m e una ripetizione dei pronomi di prima persona (me, medesmo, meco, mi). Nella terzina conclusiva si trovano una serie di coordinate per polisindeto (utilizzo di congiunzioni) che rappresentano graficamente l’angoscia del poeta. Le parole chiave sono sicuramente quelle appartenenti al campo semantico del vano, che domina la lirica.

Commento

Il sonetto rappresenta quindi a pieno la contrapposizione tra passato e presente, il dissidio che esiste nell’animo del poeta, diviso tra l’uomo del passato che ha peccato amando una donna e quello del presente che vuole riscattarsi e che si sta ravvedendo.

Ovviamente il processo non è ancora del tutto compiuto e il lettore avverte a pieno i sentimenti dell’autore, ancora turbato, e resosi conto della vanità delle cose terrene. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, è un sonetto essenziale per entrare nel mondo di Francesco Petrarca, dei suoi turbamenti e del suo stato d’animo.

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S’i’ fosse foco, poesia di Cecco Angiolieri https://cultura.biografieonline.it/si-fosse-foco/ https://cultura.biografieonline.it/si-fosse-foco/#respond Sat, 21 Jan 2017 09:23:52 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21010 S’i’ fosse foco è uno dei sonetti più famosi dell’autore Cecco Angiolieri (Siena, 1260-1313) ed ha contribuito alla nascita della sua fama di poeta maledetto, specialmente in età romantica. In esso l’autore proclama, prima con toni distruttivi poi con quelli più reali, tutti i suoi desideri, coinvolgendo tutti gli elementi naturali.

Cecco Angiolieri
Cecco Angiolieri fu contemporaneo di Dante Alighieri

La lirica S’i’ fosse foco è certamente insolita per il periodo. Tuttavia è una delle più importanti e famose del genere comico-realistico. Appartiene all’ultima parte del canzoniere di Cecco Angiolieri. Essa è considerata una delle prove più importanti del genere.

Cecco Angiolieri e lo Stilnovismo

Angiolieri era infatti un contemporaneo di Dante, ma che viaggiava su uno stile di poetica totalmente opposto. Insieme ad altri poeti comico realistici, come Rustico Filippi, egli rovesciò tutti i canoni dello Stilnovismo, scegliendo una poesia popolare, comica, dissacratoria. Mentre la donna stilnovista era una donna angelo, quella di Cecco Angiolieri si chiamava Becchina ed era una donna pienamente sensuale.

Anche la vita dell’Angiolieri rispecchiava a pieno la sua poesia. Egli fu un uomo fuori dal comune, sempre impegnato a giocare, bere e sperperare i soldi di famiglia. Un vero e proprio poeta maledetto ante litteram.

La lirica in esame è un sonetto, composto quindi da due quartine e due terzine con schema

ABBA- ABBA- CDC- DCD

Essa può essere considerata un’invettiva che l’autore rivolse ai suoi avari genitori, che non volevano più concedergli denaro per i suoi vizi.

S’i’ fosse foco

S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti cristïani embrigarei;
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre,

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.

Parafrasi

Se io fossi fuoco, brucerei tutto il mondo
se io fossi vento, lo sconquasserei con le tempeste,
se io fossi acqua, lo sommergerei per annegarlo,
se io fossi Dio, lo scaglierei nell’abisso;

Se io fossi papa, sarei felice perché
metterei nei guai tutti i cristiani;
se io fossi imperatore, lo saprei fare molto bene:
taglierei la testa a tutti.

Se io fossi la morte, andrei da mio padre;
se fossi la vita non starei con lui:
mi comporterei ugualmente con mia madre,

Se io fossi Cecco, come sono e sono stato,
mi prenderei le donne giovani e graziose;
le vecchie e brutte le lascerei agli altri.

Commento e breve analisi

La lirica è un rovesciamento ironico del plazer provenzale. Nella versione classica questo è un elenco di cose piacevoli. Qui invece l’autore lo trasforma in un proclamo di odio universale.

Nella prima quartina l’autore immagina di immedesimarsi negli elementi naturali e in Dio stesso, quindi in tutto il creato e nel creatore.
Nella seconda quartina, Cecco Angiolieri diventa papa e imperatore: le due personalità più importanti del tempo. Immagina di compiere soltanto atti brutali verso le persone.
Nella prima terzina, sceglie i principi fondamentali della vita e della morte, augurando un infausto destino ai suoi genitori.
Nell’ultima terzina si esprime in tutta la sua vera essenza. Dimostra qui un grande egocentrismo. Sono espressi il suo amore per le donne e i suoi desideri in tutto il loro realismo.

Cecco Angiolieri, S'i' fosse foco
Cecco Angiolieri

Lo stile

Dal punto di vista stilistico, la poesia sembrerebbe apparentemente un semplice sfogo, ma in realtà racchiude un grande lavoro e soprattutto una grande conoscenza delle tecniche retoriche. Ogni verso è ben calcolato ed equilibrato nella struttura: il ritmo diventa incalzante perché ogni verso coincide con una frase indipendente (questo cambia solo nell’ultima terzina).

Sicuramente il ritmo stesso può definirsi crescente grazie ai continui paragoni realizzati attraverso la ripetizione (anafora) del costrutto “S’i’ fosse” sin dalla prima terzina. Nell’ultima terzina, il costrutto diventa “sono e fui“, per far tornare il lettore alla realtà.

S’i’ fosse foco di Cecco Angiolieri, è un sonetto certamente fuori dal comune. Esso conduce i lettori in un universo ironico, reale e soprattutto comico, che certamente all’epoca si distinse dall’opera stilnovista. Angiolieri rappresenta quindi il primo grande esponente dei poeti comici-realistici: è uno dei primi autori piuttosto discussi per lo stile di vita, ma che certamente seppe trarsi fuori dal coro per esprimere a pieno la sua audace personalità.

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