Stati Uniti Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 27 Jan 2023 10:38:36 +0000 it-IT hourly 1 Zio Sam: perché gli USA vengono chiamati (anche) così? La storia del celebre poster I WANT YOU https://cultura.biografieonline.it/zio-sam-i-want-you-storia/ https://cultura.biografieonline.it/zio-sam-i-want-you-storia/#respond Fri, 27 Jan 2023 09:20:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=28251 In lingua americana si chiama Uncle Sam. In italiano è letteralmente tradotto come Zio Sam. E’ un modo alternativo e metaforico di definire gli Stati Uniti d’America. Di fatto lo Zio Sam è una personificazione nazionale degli USA. Di seguito raccontiamo e riassumiamo la storia di questa figura.

Zio Sam - Uncle Sam • E' la personificazione che rappresenta gli USA
Zio Sam – Uncle Sam • E’ la personificazione che rappresenta gli USA – La prima illustrazione è del 1917

Zio Sam: descrizione

Il personaggio è protagonista di un’illustrazione iconica. Le caratteristiche principali sono essenzialmente tre:

  • il dito indice della mano destra: esso punta lo spettatore così come lo sguardo penetrante
  • le caratteristiche fisiche: è un anziano con una barba lunga
  • l’abbigliamento: il cilindro con le stelle e l’abito elegante con i suoi colori, celebrano la bandiera degli Stati Uniti d’America

La capigliatura, lo stile della barba (lunga, concentrata sul mento e senza la presenza di baffi), ma anche lo stile del vestiario, ricordano ai più la figura di Abraham Lincoln.

Discorso di Gettysburg - Lincoln
Il Presidente Lincoln durante il celebre discorso di Gettysburg

La storia dell’immagine dello Zio Sam

Sebbene l’illustrazione risalga al 1917, storicamente il personaggio dello Zio Sam (o Uncle Sam) venne citato per la prima volta oltre un secolo prima, nel 1812, durante la guerra anglo-americana.

Prima dello Zio Sam

Prima ancora di Uncle Sam, esistevano già altre rappresentazioni umane dedicate all’incarnazione degli USA. Tra queste c’era Brother Jonathan (fratello Jonathan) il quale comparve in origine sulla rivista satirica Punch.

Brother Jonathan
Una rappresentazione satirica di Brother Jonathan con la gamba distesa sul busto di George Washington

Brother Jonathan venne pian piano, nel tempo, sostituito da Uncle Sam. Jonathan comunque resistette venendo – in un certo senso – declassato a rappresentare il solo stato del New England. Divenne più che altro un’allegoria del capitalismo.

La nascita dello Zio Sam

Il momento storico in cui lo Zio Sam vide la luce è il periodo della Guerra di secessione americana.

Esiste una tradizione che ne spiega il nome. Le origini del protagonista di questo articolo riconducono alla città di New York.

Le truppe dei soldati allora in servizio ricevevano barili contenenti carne; i contenitori erano marchiati con due lettere maiuscole: U.S.

Il significato dell’acronimo era chiaramente quello di United States (Stati Uniti) ma nell’ambiente militare si diffuse in modo collettivo l’ironica idea di tradurlo con Uncle Sam. La scelta del nome aveva un motivo preciso: il fornitore di carne dei militari, si chiamava Samuel Wilson (originario della città di Troy, dello stato di New York). Così, il nomignolo Uncle Sam calzò a pennello!

La prima apparizione in Letteratura

Il personaggio dello Zio Sam come rappresentante della nazione comparve per la prima volta in letteratura in un libro allegorico del 1816, di Frederick Augustus Fidfaddy. Esso si intitolava “The Adventures of Uncle Sam in Search After His Lost Honor” (Le avventure dello Zio Sam alla ricerca del suo onore perduto).

Il grande pubblico statunitense ha ormai accettato questa come prima apparizione, tuttavia esiste una pubblicazione di tre anni prima – 1813 – del Troy Post: il giornale della città di Samuel Wilson sovrappose la figura dello Zio Sam con quella del suo concittadino, imprenditore nel settore della carne.

Altri articoli di giornali locali dell’epoca omettono la connessione con Sam Wilson: per loro “Uncle Sam” sembra essere direttamente derivato dalle lettere U.S. senza altre motivazioni addotte.

Nei giornali di quel periodo si ritrova inoltre una traccia risalente al 1812 in cui il termine Uncle Sam viene usato dai giornali pacifisti con tono dispregiativo verso il governo.

Samuel Wilson è il vero Zio Sam?

E’ il giorno 15 settembre 1961, un venerdì, quando l’87º Congresso degli Stati Uniti d’America riconosce ufficialmente Samuel Wilson come progenitore del simbolo nazionale dello Zio Sam.

A quest’uomo vengono in seguito dedicati due memoriali: uno nella sua città natale ad Arlington (nel Massachusetts), e l’altro nell’Oakwood Cemetery di Troy, dove è sepolto.

Lo Zio Sam e il celebre manifesto “I Want You”

Se fin qui le notizie potevano al nostro lettore essere sconosciute o poco note, l’immagine che segue susciterà enorme familiarità, tanto è stata nel corso della storia moderna grazie alla sua diffusione massiva e capillare. E forse, ancora più celebre dell’illustrazione del personaggio, è lo slogan “I WANT YOU”.

I WANT YOU, poster e manifesto dello Zio Sam (Uncle Sam), simbolo degli Stati Uniti
I WANT YOU, celeberrimo poster e manifesto dello Zio Sam

Questo ormai super celebre manifesto venne creato durante il periodo della Prima guerra mondiale. L’obiettivo era quello di convincere i giovani ad arruolarsi nell’esercito. Esso a sua volta si ispirò ad un manifesto di reclutamento dell’esercito inglese del 1914.

L’originale anglosassone fu ideato da Alfred Leete; in esso compariva il generale Horatio Herbert Kitchener.

Il manifesto britannico in cui compare Horatio Herbert Kitchener con il messaggio "Your Country Needs You"
Il manifesto britannico in cui compare Horatio Herbert Kitchener con il messaggio “Your Country Needs You”

Il messaggio del poster originale recitava “Your Country Needs You” (il tuo paese ha bisogno di te). Il messaggio dello Zio Sam americano diventò invece più di impatto. Con quel dito puntato in mezzo agli occhi del lettore, la frase “I WANT YOU FOR U.S. ARMY” (Voglio te per l’esercito degli Stati Uniti) tuona imperativa.

Se analizziamo le pose dei protagonisti dei due manifesti, si può notare come l’inglese distanzia la mano da sé allungando il braccio. Mentre lo Zio Sam mantiene il braccio più vicino al corpo, comunicando più sicurezza e protezione rispetto alla perentorietà militare dell’originale.

L’autore del manifesto dello Zio Sam e il suo modello

A disegnare l’illustrazione di Uncle Sam fu l’artista James Montgomery Flagg, pubblicitario e prolifico cartellonista dell’epoca, originario dello stato di New York.

Flagg dipinse il manifesto nel 1917. A fargli da modello per la posa fu il veterano Walter Botts. Ma il celebre volto – che a tanti ricorda quello del 16° Presidente americano Lincoln – è una versione modellata del volto dello stesso Flagg.

Oggigiorno i riferimenti, le citazioni e le parodie di questa icona statunitense sono innumerevoli.

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Simbolo del dollaro $: dove nasce? https://cultura.biografieonline.it/simbolo-dollaro/ https://cultura.biografieonline.it/simbolo-dollaro/#respond Wed, 18 Jan 2023 11:05:57 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=9858 Esistono differenti versioni su come è nata la scelta del simbolo del dollaro $, quello che noi tutti oggi conosciamo ed usiamo.

L’ipotesi messicana

A detta di molti ricercatori e studiosi, il simbolo dovrebbe provenire dalla fine del XVIII secolo, quando veniva usato nelle corrispondenze epistolari di affari e commercio tra le colonie britanniche del nord America ed il Messico.

Esso indicava la moneta “peso” ispano-messicana. Il peso o piastra era chiamato all’epoca “spanish dollar”, nell’America settentrionale britannica. Da lì il simbolo S che poi diventa $.

Il simbolo del Dollaro
Quali sono le origini del simbolo del dollaro?

Le sovrapposizioni di lettere

Secondo altri invece, fu il presidente statunitense Thomas Jefferson ad inventarlo, partendo dalle lettere delle sue iniziali TJ che avrebbe in qualche modo sovrapposto.

Altri ritengono invece che il simbolo del dollaro derivi dalla sovrapposizione della lettera U e della lettera S, acronimo di United States (Stati Uniti); in seguito, per errore di trascrizione, venne rappresentato da una S e due linee verticali I I.

L’impero spagnolo

Un’altra teoria porta la nascita del simbolo durante l’impero spagnolo, poiché la casa reale ispanica aveva nel proprio blasone un’immagine composta da due colonne (che rappresentavano le colonne d’Ercole) e una bandiera spiegata al vento, su cui si trovava la dicitura “Plus Ultra”.

Questa immagine appariva sul peso spagnolo e poi venne incisa anche su quello in uso nelle colonie americane.

Zio Paperone e l'amore per i dollari
Il celebre Zio Paperone (Paperon de’ Paperoni) è esso stesso un personaggio simbolico associato al simbolo del dollaro.

La prima volta del simbolo del dollaro

Il dollaro, con termine corretto dollar ed il suo simbolo, $, venne adottato come valuta degli Stati Uniti d’America il 6 luglio 1785. Fu la prima valuta ad adottare il sistema decimale.

Nel 1792 la legge austriaca sulla coniazione autorizzò la Zecca Statunitense a coniare delle monete da un dollaro d’argento. La produzione regolare venne effettuata fino al 1836.

I primi dollari d’argento coniati il 15 ottobre 1794, precisamente 1.758, furono immediatamente consegnati a David Rittenhouse; egli, responsabile della Zecca Statunitense, li distribuì a tutti i dignitari americani come souvenir.

In realtà però, la prima volta che il simbolo è apparso su una moneta è stata sul rovescio di una moneta da $1 emessa solo nel febbraio del 2007.

Attualmente, per velocizzare la scrittura, il simbolo viene sempre più spesso rappresentato con una sola barra, anche perché sulle tastiere qwerty viene riprodotto così.

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Differenze tra il Presidente della Repubblica Italiana e il Presidente USA https://cultura.biografieonline.it/differenze-presidente-italia-usa/ https://cultura.biografieonline.it/differenze-presidente-italia-usa/#comments Thu, 06 Jan 2022 15:40:54 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=17526 Ecco le principali differenze tra il Presidente della Repubblica Italiana e il Presidente degli Stati Uniti d’America.

Casa Bianca - Come viene eletto il Presidente degli Stati Uniti

Età

In America il candidato alla Presidenza deve avere almeno 35 anni, mentre in Italia l’età si alza, raggiungendo i 50.

Organi di elezione

In Usa il Presidente viene eletto da un gruppo di “grandi elettori” appositamente designati a tale scopo; in Italia il Presidente della Repubblica viene eletto dal Parlamento in seduta comune.

Durata del mandato

In America il mandato del Presidente ha durata di 4 anni; in Italia resta in carica per 7 anni.

Mentre in America il Presidente può essere rieletto solo per 2 volte (è il caso ad esempio di Barack Obama), nel nostro Paese non vi è alcun limite alla sua rielezione (storicamente solo Giorgio Napolitano è rimasto in carica per 2 mandati consecutivi).

Rinnovo anticipato

In caso di dimissioni o morte, negli Usa subentra il Vicepresidente fino ala scadenza del mandato; mentre in Italia il Parlamento in questo caso procede a nuove elezioni presidenziali.

I poteri

Per quanto riguarda i poteri del Presidente, in America il Presidente non ha alcuna possibilità di sciogliere il Congresso, al contrario di quello che succede in Italia; qui il Presidente può sciogliere una sola delle Camere oppure l’intero Parlamento.

Negli USA il Presidente rappresenta sia il Capo dello Stato che del Governo; in Italia è Capo dello Stato con potere di nominare il Capo del Governo (ossia il Presidente del Consiglio dei Ministri).

In America il Presidente ha il potere di nominare i 9 giudici appartenenti alla Corte Suprema, mentre nel nostro Paese il Presidente procede alla nomina di 5 dei 15 giudici della Corte Costituzionale.

Ultima importante differenza: al termine del suo mandato il Presidente americano torna ad essere un cittadino come tutti gli altri, mentre da noi il Presidente della Repubblica Italiana continua a mantenere i privilegi con la nomina di senatore a vita.

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Campagna di Guadalcanal: riassunto, fatti storici e protagonisti https://cultura.biografieonline.it/campagna-di-guadalcanal/ https://cultura.biografieonline.it/campagna-di-guadalcanal/#comments Sun, 03 May 2020 10:01:00 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=28550 La Campagna di Guadalcanal ebbe inizio con lo sbarco dei marines nelle isole Salomone Meridionali, il 7 agosto 1942 e terminò il 9 febbraio del 1943, quando gli Americani constatarono che il nemico aveva evacuato l’intero settore. Secondo molti storici, rappresentò il turning point, il punto di svolta, della intera guerra nel Pacifico. Prima di questa campagna il Giappone aveva dettato tempi e modi della guerra, da Guadalcanal in poi l’offensiva fu sempre nelle mani degli Alleati.

Sbarco dei marines americani sulla spiaggia di Guadalcanal
7 agosto 1942: lo sbarco dei marines americani sulla spiaggia di Guadalcanal

Giappone e USA: la situazione alla vigilia

Dopo la disastrosa sconfitta a Midway, l’alto comando giapponese era come un pugile alle corde, incapace di reagire ai pugni subiti. Per diverse settimane, lo staff dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto – comandante in capo della Flotta Combinata – non fu in grado di elaborare piani.

Si trattava di un momento delicato: l’irreparabile perdita di 4 delle 6 portaerei della squadra di attacco esigeva un ridimensionamento degli obiettivi, se non proprio il passaggio a una fase difensiva.

Midway: portaerei in fiamme
Midway: una portaerei in fiamme

Di contro, gli americani non erano nella situazione ideale per sfruttare il successo: le loro forze erano ancora troppo deboli, in gran parte a causa della scelta politica sintetizzata nella locuzione Germany first, che privilegiava il teatro bellico europeo nell’assegnazione di risorse per la guerra.

Per ripetere una efficace metafora di dello storico H. P. Willmott, l’iniziativa era come una pistola abbandonata in strada: quale dei due contendenti l’avrebbe raccolta e avrebbe sparato per primo?

Guadalcanal: l’isola e la geografia

Nella parte meridionale delle Salomone giace l’isola che, fino allora sconosciuta, sarebbe diventata teatro di una delle campagne militari più famose e sofferte dell’intera seconda guerra mondiale.

Cartina geografica del teatro del Pacifico - 1942 - con la posizione di Guadalcanal
La cartina mostra l’area geografica del teatro del Pacifico. La grafica mostra i punti delle principali battaglie: Midway, Pearl Harbor, e Mar dei Coralli. Guadalcanal si trova vicino a quest’ultimo punto.

Nell’estate del 1942 Guadalcanal era un appezzamento di terra, per lo più disabitato, lungo circa 150 km e largo al massimo 53. Non era certo un luogo ospitale: le piogge erano frequenti e a carattere torrenziale, la zanzara della malaria molto diffusa e la giungla estremamente fitta. Eppure era stata scelta dal comando giapponese per allestire un aeroporto.

Gli Alleati temevano, con ragione, che questa posizione avrebbe consentito al nemico di minacciare la vitale rotta che collegava Stati Uniti e Australia; lungo tale via venivano indirizzati i mercantili che portavano uomini, armi e munizioni destinati alla difesa della Nuova Guinea e del continente australiano stesso.

Fu principalmente questo timore che indusse l’ammiraglio Chester W. Nimitz, comandante in capo della Flotta del Pacifico, a scegliere l’isola di Guadalcanal come teatro della prima offensiva americana nel Pacifico.

Lo sbarco e la reazione giapponese

L’operazione Watchtower ebbe inizio il 7 agosto, con gli sbarchi preliminari sugli isolotti di Gavutu-Tamambogo, seguiti dall’invasione di Tulagi, dove i giapponesi avevano approntato una base per idrovolanti nel maggio precedente, in occasione della battaglia del Mar dei Coralli.

L'incrociatore della Royal Australian Navy HMAS Canberra e 3 navi da carico al largo di Tulagi (Guadalcanal)
L’incrociatore della Royal Australian Navy HMAS Canberra (D33) al largo di Tulagi, durante gli sbarchi del 7 e 8 agosto 1942. Le navi visibili in lontananza sono tre mezzi da carico che sbarcano uomini e materiale. Sullo sfondo: Tulagi e le isole della Florida, parte delle Salomone.

Entrambe le operazioni incontrarono una resistenza maggiore del previsto, basata soprattutto su efficaci infiltrazioni notturne, tattiche nelle quali il fante nipponico eccelleva. Tutti gli obiettivi vennero comunque conquistati il 9 agosto, non senza la necessità di rinforzi.

Sull’isola di Guadalcanal erano acquartierati 2.230 giapponesi, circa 1.700 dei quali erano operai militarizzati. Alle 9.19 del 7 agosto cominciarono a sbarcare i marines del 1° e 5° reggimento, incorporati nella 1a divisione marines del generale Alexander A. Vandegrift, per un totale di 8.500 uomini.

La resistenza iniziale fu pressoché inesistente e gli americani, già nel primo pomeriggio, si impadronirono dell’aeroporto appena ultimato, che ribattezzarono Henderson Field, trovandovi anche una discreta quantità di materiale abbandonato dal nemico.

Attorno a questo obiettivo venne costituito un perimetro difensivo che sarà poi il teatro delle principali controffensive terrestri giapponesi. I soldati giapponesi, nonché opporsi allo sbarco dei marines, scelsero invece di rifugiarsi nella giungla all’interno dell’isola.

La battaglia di Savo

La reazione del Sol Levante fu affidata all’Ottava Flotta del viceammiraglio Gunichi Mikawa, composta da 5 incrociatori pesanti, 2 leggeri e un solo cacciatorpediniere.

Nella notte tra l’8 e il 9 agosto, questa squadra ottenne una delle vittorie numericamente più clamorose dell’intera guerra. Nel corso della battaglia di Savo riuscì infatti ad affondare 4 incrociatori pesanti alleati, senza perdere alcuna unità.

Fallì invece nell’obiettivo di localizzare e attaccare i mercantili nemici, ancora alla fonda e impegnati nello sbarco di materiali, e, in ultima analisi, nel conseguire un completo successo strategico.

La distruzione, o anche solo l’allontanamento dei mercantili, avrebbe certamente messo in crisi i marines, riducendo la loro capacità di opporsi alle imminenti controffensive terrestri.

Sviluppo della campagna di Guadalcanal

La campagna si sviluppò da allora secondo un canone ben preciso. Il possesso di Henderson Field garantiva agli americani il predominio dei cieli e, conseguentemente, la possibilità di operare, facendo giungere rinforzi e rifornimenti, alla luce del giorno.

Viceversa, l’oscurità, costringendo a terra gli aerei, andava a vantaggio dei giapponesi, addestrati a combattere di notte e in grado di far giungere, a loro volta, convogli ribattezzati Tokyo Express dagli americani; essi erano composti prevalentemente da cacciatorpediniere che, quasi ogni notte, trasportavano soldati e armi leggere dalle basi nelle Salomone settentrionali a Guadalcanal.

Le principali battaglie

È difficile isolare le singole battaglie perché la storia di Guadalcanal si compone di piccole azioni aeree, navali e terrestri quasi quotidiane.

Entrambe le parti si risolsero a inviare via mare flussi di rifornimenti di dimensioni ridotte per eludere l’opposizione nemica. Inoltre, la morfologia dell’isola si prestava ad incursioni di piccoli reparti.

È forse possibile identificare 6 azioni principali.

  • La battaglia terrestre del Tenaru, 21 agosto, quando il distaccamento Ichiki provò a forzare il perimetro di Henderson Field e venne annientato.
  • La battaglia aeronavale delle Salomone Orientali, 24-25 agosto, originata dal tentativo di eseguire azioni di rifornimento in grande stile; si trattò di uno scontro inconcludente che vide l’affondamento della portaerei leggera nipponica Ryujo e il danneggiamento della USS Enterprise.
  • Il 12 settembre venne combattuta la battaglia terrestre di Edson’s Ridge, nota anche come cresta insanguinata. Fu uno scontro durissimo che sfociò spesso in terribili corpo a corpo. L’offensiva giapponese, che mirava a Henderson Field, venne respinta con gravissime perdite.
  • L’11 ottobre ebbe luogo la battaglia aeronavale di capo Speranza, con bombardamenti navali dell’aeroporto americano che si protrassero fino al 15 ottobre.
  • Al 24 ottobre risale la battaglia di Henderson Field, ultimo serio tentativo nipponico di occupare l’aeroporto nemico. Questa offensiva terrestre coincise con lo scontro aeronavale del 26 ottobre, nota come battaglia delle Isole Santa Cruz.
  • La battaglia navale di Guadalcanal, combattuta nella notte tra il 12 e il 13 novembre. Determinata da un’operazione nipponica di rifornimento e al contempo bombardamento, incontrò l’opposizione di una flotta americana inferiore che venne annientata ma seppe precludere all’ammiraglio giapponese l’esecuzione della sua missione. Ripetuta il 14 novembre, l’operazione fallì nuovamente e questa volta gli americani si aggiudicarono anche il successo tattico.

La fine della campagna

Dopo l’ultimo scontro, il quartier generale giapponese non fu più in grado di organizzare un’offensiva. Di fatto, le perdite subite convinsero soprattutto la Marina che era giunto il momento di accettare la sconfitta.

L’evacuazione di Guadalcanal venne ordinata nell’ultima settimana di dicembre e portata a termine il 7 febbraio del 1943 con perdite modestissime. Due giorni più tardi, il generale Alexander Patch, recentemente nominato comandante delle forze alleate sull’isola, dichiarò conclusa la campagna.

Con la vittoria, gli americani poterono fare di Guadalcanal il punto di partenza delle loro successive offensive, sviluppando l’aeroporto già esistente e costruendone altri. Ma, soprattutto, poterono far tesoro della crescente debolezza del nemico, che non era in grado di compensare le perdite subite.

Gli Americani avevano raccolto la pistola abbandonata per strada, l’iniziativa, e non l’avrebbero più mollata fino alla resa senza condizioni del Giappone.

Bilancio e motivi della sconfitta giapponese

Se le perdite di uomini furono molto superiori per il Giappone, il computo delle navi affondate fu sostanzialmente pari. Nonostante questo, il quartier generale imperiale uscì dalla campagna di Guadalcanal in condizioni di grande inferiorità.

Perché?

Il motivo è presto detto: gli americani erano in grado di far fronte alle perdite subite grazie alle loro capacità industriali, in rapido e imponente aumento, i giapponesi no. Ma non si può tacere che il 7 agosto 1942 era il Giappone a detenere una certa superiorità di uomini e mezzi nel settore.

Quale fu allora il motivo della disfatta?

In primo luogo, è necessario far riferimento a una cattiva pianificazione dello Stato Maggiore nipponico. Per diverse settimane, a Tokyo ritennero che gli americani si fossero insediati a Guadalcanal con forze esigue, sufficienti tutt’al più a una ricognizione su vasta scala.

Da questa erronea convinzione derivarono sconfitte e perdite di uomini e materiali, con offensive lanciate in condizioni di netta inferiorità numerica, confidando anche nella (presunta) superiorità combattiva del soldato nipponico.

Contribuirono alla disfatta anche l’inferiorità qualitativa e quantitativa dei rifornimenti e la mancanza di adeguate strutture sanitarie all’interno dell’esercito che invece sarebbero state necessarie in un ambiente malsano come la giungla di Guadalcanal.

Basti dire che i soldati giapponesi evacuati nel febbraio 1942 erano così emaciati da scioccare i marinai dei vascelli su cui si imbarcarono.

I motivi della vittoria americana

Per parte loro, gli americani incominciarono la campagna con alcuni seri handicap, in primis l’inferiorità nel combattimento navale notturno al quale non erano addestrati, mentre la Marina Imperiale ne aveva fatto uno dei suoi punti di forza.

Seppero però recuperare, grazie a un rapido e intenso ciclo addestrativo e all’imponente produzione che consentì a esercito, marina e corpo dei marines di disporre di abbondanti riserve di materiale; questo nonostante periodi di crisi per la difficoltà di trasferire tanta abbondanza alla prima linea.

Considerazioni finali

Se c’è un aspetto sul quale i due nemici si trovano assolutamente d’accordo, è la durezza della campagna. Guadalcanal fu una tragedia per chi vi combatté perché le condizioni psicologiche e fisiche dei protagonisti furono messe a durissima prova.

Il termine che ricorre più spesso nei resoconti è “inferno”, valga per tutti l’epigrafe che accompagna la tomba di un marine e che recita:

«Quando questo marine si presenterà a Pietro gli dirà: Signore, io ho già servito all’inferno, sono stato a Guadalcanal».

And When He Gets To Heaven, To Saint Peter He Will Tell; One More Marine Reporting Sir, I’ve Served My Time In Hell – (Marine Grave inscription on Guadalcanal, 1942)

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Bandiera americana: breve storia della bandiera statunitense https://cultura.biografieonline.it/bandiera-americana-storia/ https://cultura.biografieonline.it/bandiera-americana-storia/#comments Tue, 05 Mar 2019 16:36:47 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26069 La bandiera americana, meglio nota come “Stars and stripes” (Stelle e strisce), fece la sua prima comparsa il 3 settembre 1777 in Maryland durante la Guerra di indipendenza dalla madrepatria, l’Inghilterra. Allora campeggiavano sul vessillo soltanto 13 stelle.

Bandiera Americana USA Flag
La bandiera statunitense al vento

La nascita della bandiera americana: da Betsy Ross a Bob Heft

Molti storici legano la nascita della bandiera americana al nome di Betsy Ross, sarta di Philadelphia che si racconta l’allora presidente George Washington chiamò per confezionare il vessillo.

A questa donna, in particolare, si riconosce il valore di averne cucite moltissime alla fine del Settecento, ma permangono i dubbi sulla sua autorialità.

Quanto alla grafica e al design della bandiera americana, è altrettanto molto diffusa la teoria che vede la Stars and stripes come evoluzione della bandiera della Compagnia britannica delle Indie orientali.

Bandiera della Compagnia britannica delle Indie orientali
La bandiera della Compagnia britannica delle Indie orientali – L’ultima versione della bandiera fu adottata fra il 1801 e il 1858

È noto, invece, che l’attuale bandiera americana, quella “moderna”, deve i suoi natali a Robert G. Heft di Lancaster, Ohio. Questo il nome dello studente 17enne il cui progetto fu scelto, fra oltre mille, dal presidente Eisenhower nel 1960.

Bob Heft la cucì in casa come sua idea per la fiera di scienze. Quando il suo professore, a scuola, la rigettò, il giovane prese a chiamare la Casa Bianca fino alla risposta (positiva) dell’allora presidente.

L’evoluzione della bandiera americana

Dal suo primo sventolare, nel 1777, la bandiera americana è mutata ben 28 volte. Ogni volta con l’aggiunta di una stella, ovvero uno Stato in più fra gli Usa.

Quello di accludere una stella, in particolare, è un atto ufficiale che si è sempre svolto pubblicamente a Philadelphia durante l’Indipendence Day, il 4 luglio, il giorno in cui si commemora la fondazione della Nazione.

Le ultime due celebrazioni sono avvenute nel 1959 per l’annessione dell’Alaska e nel 1960 per quella dello stato delle Hawaii.

Oggi la bandiera americana è riconosciuta ufficialmente su tutto il territorio degli Stati Uniti (oltre 9 milioni di chilometri quadrati) e tenuta in altissima considerazione da tutta la popolazione (oltre 300 milioni di abitanti). Questo ad eccezione degli atolli di Johnson, Midway, Palmyra e delle isole di Navassa e Wake, dove vengono utilizzate bandiere interne, non ufficiali.

Inoltre, la bandiera americana ha influenzato decine di vessilli del mondo come quelli di Cuba, Brasile, Liberia e Uruguay, fra gli altri.

Stelle, strisce e simbologia: il significato dei colori e dei numeri

L’attuale bandiera americana ha 50 stelle, quanti sono gli Stati che compongono la Nazione. Queste stelle sono di colore bianco e sono racchiuse in 9 file. Le file alternano 6 oppure 5 stelle e campeggiano in un rettangolo dal fondo blu, posto nell’angolo in alto a sinistra della bandiera.

Nella bandiera americana vi sono 13 strisce e 50 stelle
Nella bandiera americana vi sono 13 strisce e 50 stelle. Le stelle sono disposte in 5 file da 6 stelle, alternate a 4 file da 5 stelle.

Il resto dell’area è occupato da 13 strisce, quanti furono gli Stati coloniali, di colore rosso e bianco.

Le 13 colonie

Colonie del New England

  • Provincia del New Hampshire
  • Provincia della Massachusetts Bay
  • Colonia di Rhode Island e delle Piantagioni di Providence
  • Colonia del Connecticut

Colonie di mezzo

  • Provincia di New York
  • Provincia del New Jersey
  • Provincia di Pennsylvania

Colonie del sud

  • Provincia del Maryland
  • Colonia della Virginia
  • Provincia della Carolina del Nord
  • Provincia della Carolina del Sud
  • Provincia della Georgia
  • Colonia del Delaware

I colori

Tre, dunque, sono i colori di questo rispettatissimo simbolo degli Usa:

  • Il rosso significa durezza e valore.
  • Il bianco indica purezza e innocenza.
  • Il blu, infine, ricorda i valori di perseveranza e giustizia.

In generale, nella “Stars and stripes” gli americani – mano destra sul cuore – riconoscono i valori fondanti della propria Nazione: libertà, giustizia e umanità. Questi stessi vengono celebrati nel “Flag day” che ricorre il 14 giugno, come istituito dal presidente Truman nel 1950.

Il Codice della bandiera americana: istruzioni per l’uso

Esiste una legge, la numero 829, interamente dedicata alla bandiera americana. Fra le varie istruzioni, la norma specifica il reato gravissimo di vilipendio alla bandiera. Indica che il vessillo che versa in cattive condizioni e non può più essere riparato o rammendato, va bruciato solennemente.

Ancora, sempre secondo il codice, la bandiera può essere esposta dall’alba al tramonto, ma se posta pubblicamente 24 ore su 24 va illuminata a dovere nelle ore di buio.

La bandiera americana, infine, vanta il primato di sventolare anche oltre il pianeta Terra, sulla Luna. Qui, infatti, la pose per primo Neil Armstrong, nel 1969, a compimento dell’epica missione Apollo 11 che portò i primi uomini sulla Luna.

Anche l’inno americano ha un titolo che si rifà alla sua bandiera nazionale: The Star Spangled Banner (La bandiera adornata di stelle).

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Monte Rushmore: celebre monumento nazionale americano https://cultura.biografieonline.it/monte-rushmore/ https://cultura.biografieonline.it/monte-rushmore/#respond Fri, 01 Mar 2019 08:56:19 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26058 Il Monumento nazionale del Monte Rushmore è uno dei simboli degli Stati Uniti d’America nell’immaginario collettivo. Situato nelle Black Hills, in Dakota del Sud, nel Midwest, questo memoriale dalle dimensioni gigantesche è il lascito dello scultore Gutzon Borglum.

Monte Rushmore - Monumento - Mount Rushmore National Memorial
Mount Rushmore National Memorial (Monumento nazionale del Monte Rushmore) – Il complesso scultoreo rappresenta i volti di 4 celebri presidenti degli Stati Uniti d’America

Lo scultore, di origini danesi, formatosi fra Parigi e New York, insieme a Luigi Del Bianco, maestro carpentiere di origini italiana, naturalizzato americano, diede vita al progetto nel 1927.

Monumento nazionale del Monte Rushmore: i numeri

Impiegò oltre 400 operai e rimosse 450mila tonnellate di granito dalla montagna, il 90 per cento attraverso esplosioni dinamitarde. Il progetto iniziale, che non si limitava a quanto oggi possiamo ammirare, subì una prima frenata nel 1939 quando il Congresso disse no a quanto lo scultore avrebbe voluto aggiungere ai quattro volti.

Due anni dopo si arrestò del tutto con la morte prematura di Borglum. L’opera, seppur non adempiendo al cento per cento al progetto primario, fu portata a termine dal figlio, Abraham Borglum.

Chi sono i quattro Presidenti

La prima scelta che spettò a Borglum fu quella relativa ai Presidenti da rappresentare nella sua gigantesca scultura sulla roccia.

George Washington

Scelse senza dubbio George Washington, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti oltre che il 1° presidente in carica fra il 1789 e il 1797. E’ il primo a sinistra.

Thomas Jefferson

Gli affiancò Thomas Jefferson, 2° presidente (1801 – 1809) a cui la nazione deve più di tutto la Dichiarazione di indipendenza firmata al termine dell’omonima guerra che fra il 1775 e il 1783 liberò 13 colonie nordamericane dalla bandiera del Regno di Gran Bretagna.

Abraham Lincoln

La terza scelta cadde su Abraham Lincoln, 16° presidente in carica fra il 1861 e il 1865. A Lincoln la storia americana riconosce la capacità di aver tenuto unito il paese durante la sanguinosa Guerra civile americana. Nel monumento del Monte Rushmore compare come ultimo a destra.

Theodore Roosevelt

Il quarto volto scolpito, infine, fu quello di Theodore Roosevelt, 26° presidente. Fu alla Casa Bianca dal 1901 al 1909 e conquistò un posto speciale nella storia a stelle e strisce per il ruolo di mediatore nella guerra fra Russi e Giapponesi che gli valse il Premio Nobel per la pace nel 1906.

Roosevelt, infine, si contese il posto sul monumento con un altro presidente molto ben voluto dagli statunitensi: Woodrow Wilson. Wilson fu il 28° presidente e fu in carica dal 1913 al 1921. Ebbe un ruolo chiave nei trattati di pace al termine della Prima Guerra Mondiale. Per questo ricevette il Premio Nobel per la pace nel 1919.

La Hall of records del Monte Rushmore

Il progetto di Borglum era più ampio di quanto oggi vediamo. Intanto, lo scultore aveva inizialmente pensato e progettato di scolpire i quattro presidenti a mezzo busto e non solo le loro teste.

Lo scultore Gutzon Borglum (25 marzo 1867 – 6 marzo 1941): il suo progetto del Monte Rushmore prevedeva figure a mezzo busto
Lo scultore Gutzon Borglum (25 marzo 1867 – 6 marzo 1941): il suo progetto del Monte Rushmore prevedeva figure a mezzo busto

In più, nell’idea di Borglum c’era una grande area situata dietro la testa di Lincoln in cui conservare i più importanti registri della politica americana, la Hall of records. Sarebbe stata una sorta di capsula del tempo e sarebbe apparsa come una grande camera segreta.

Come detto, nel 1939 il Congresso non autorizzò lavori ulteriori e aggiuntivi alla scultura dei presidenti e due anni dopo Borglum morì.

La Hall of records rimase incompiuta e ferma ai primissimi lavori di scavo.
Il 9 agosto del 1998 fu ultimato un deposito di documenti nel pavimento dell’entrata della sala. In una scatola di legno fu posto un ulteriore contenitore in titanio coperto da una pietra tombale con le parole di Burglum:

“… mettiamo là, scolpiti in alto, il più vicino possibile al Paradiso, le parole dei nostri leader, i loro volti, per mostrare ai posteri che tipo di uomini fossero. Sospira allora una preghiera affinché questi registri dureranno fin quando soltanto il sole e il vento li porteranno via”.

Con la pietra tombale, nell’area scavata nella roccia, si trovano anche sedici pannelli. In questi sono riportati il racconto del progetto del Monumento del Monte Rushmore, le informazioni sui suoi scultori, sui presidenti raffigurati e una breve storia degli Stati Uniti. Un lascito al mondo senza tempo, seppur inaccessibile ai visitatori.

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Little Bighorn: la battaglia, la storia e i protagonisti https://cultura.biografieonline.it/little-bighorn/ https://cultura.biografieonline.it/little-bighorn/#respond Mon, 25 Feb 2019 09:21:13 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=26027 La battaglia di Little Bighorn è un tragico episodio della storia dell’Ottocento statunitense. In particolare, fu un sanguinoso scontro fra i nativi americani delle tribù dei Lakota Sioux, con gli Cheyenne e gli Arapaho in alleanza, e il settimo reggimento della Cavalleria dell’esercito degli Stati Uniti d’America.

Oggi sul campo di battaglia di Little Bighorn campeggiano le lapidi in memoria dei caduti
Oggi sul campo di battaglia di Little Bighorn campeggiano le lapidi in memoria dei caduti

Lo scontro avvenne il 25 giugno 1876, vicino al torrente di Little Bighorn, nel Montana. In cinque ore di movimenti strategici sul campo di battaglia e soli 25 minuti di fuoco, persero la vita oltre 200 soldati statunitensi segnando la più storica vittoria – seppure successivamente pagata a carissimo prezzo – dei nativi americani.

La Guerra di Nuvola Rossa

Fra il 1866 e il 1868 i colonialisti bianchi invasero le terre abitate dai nativi indiani in Dakota del Sud, nelle Black Hills e nella Contea di Powder River. I Sioux ebbero la meglio aggiudicandosi il pieno dominio su questi territori.

Nel 1868 il Secondo trattato di Fort Laramie definì i confini della Riserva Sioux, area che andò sotto la tutela degli Stati Uniti. Parti degli stati di Wyoming, Montana, Nord Dakota e Nebraska, però, furono dichiarati territori “non ceduti” ovvero zone né appartenenti alla riserva indiana né sotto la sovranità degli Usa.

Tre anni prima dello scontro

Nel 1873, poi, i lavori per la ferrovia Northern Pacific toccarono i territori non ceduti generando la Guerra delle Black Hills. L’anno dopo, quando nelle Black Hills ovvero nella riserva Sioux fu scoperta la presenza di giacimenti di oro, numerosi cercatori invasero il territorio. L’esercito Usa intervenne da una parte per cacciare i cercatori, dall’altra per avviare una trattativa coi Sioux. In particolare, lo Stato mise sul piatto 6 Milioni di dollari (corrispondenti ad oltre 120 milioni odierni) per comprare o affittare l’area interessata dai bacini aurei. L’accordo non andò in porto.

Nuvola Rossa
Il capo indiano Sioux Nuvola Rossa

Nel 1875, quando le Black Hills contavano circa 15mila cercatori in azione, la tensione salì e gli Stati Uniti lanciarono un ultimatum: tutti i nativi americani dei territori non ceduti avrebbero dovuto riparare nella Grande riserva Sioux entro il gennaio del 1876; in caso contrario sarebbero stati giudicati “ostili”. Più di una campagna accerchiò i nativi americani, con gravi perdite da entrambe le parti.

E’ storica la disfatta Usa nella Battaglia di Little Bighorn. Precedente a questo evento si ricorda anche la battaglia di Sand Creek.

Toro Seduto contro il generale Custer

5 ore di strategia, 25 minuti di fuoco

La battaglia di Little Bighorn vide l’esercito statunitense giungere nell’area dell’omonimo torrente, nel Montana, in quattro colonne:

  • il generale George Armstrong Custer con cinque squadroni (211 uomini);
  • il generale Frederick Benteen con tre squadroni (115 uomini);
  • il comandante Marcus Albert Reno con tre squadroni (141 uomini);
  • l’ufficiale Thomas Mower McDougall con 128 uomini per scortare le salmerie.

Le truppe giunsero sul luogo il 25 giugno del 1876, alle 12. Fu Reno, alle 15, a dare l’assalto, ovvero le prima carica, mentre Custer aspettava sulle colline. Ciò che Reno si trovò davanti fu un numero molto al di sopra di quanto atteso.

Agli stimati 500/800 guerrieri Sioux, infatti, si erano intanto aggiunti i “nomadi invernali” che pure si aspettavano. Tuttavia, la Cavalleria si vide parare davanti numerosi “nomadi estivi” che si erano aggiunti per cacciare nei territori “non concessi” come credevano fosse loro diritto.

Tra i protagonisti della storica battaglia si ricorda il condottiero Sioux Toro Seduto.

Toro Seduto
Foto di Toro Seduto

Gli “ostili”, fuori dalla Riserva, ad attendere le forze statunitensi erano, a quel punto, alcune migliaia. Alle 17 Custer intervenne coi suoi, dando il via a circa 25 minuti di fuoco in cui caddero 268 americani e fra i 30 e i 300 nativi (mai stimati con precisione).

Le conseguenze della battaglia di Little Bighorn

Gli americani impiegarono tre giorni per fare la conta dei caduti e raccogliere i corpi da seppellire sotto la bandiera a stelle e strisce. In breve tempo, nella Grande riserva i Lakota furono costretti a consegnare armi e cavalli. Furono, inoltre, interdetti dalla caccia in tutti i territori non ceduti.

Nell’arco di tre mesi, al termine del mese di ottobre 1876, tutti i nativi americani rientrarono nelle riserve. Nel tempo furono battuti non tanto con armi e combattimenti, ma con privazioni di mezzi di sussistenza in una politica che molto ricorda gli “embargo” di storia politica moderna.

I territori non ceduti e l’area delle Black Hills andarono agli Stati Uniti.

I massimi esponenti delle tribù protagoniste di questi scontri subirono lo stesso triste destino. Cavallo Pazzo si arrese il 5 settembre del 1877 e fu ucciso a seguire.

Toro Seduto si rifugiò inizialmente in Canada. Dopo qualche anno si arrese e tornò alla riserva di Standing Rock, fra Sud e Nord Dakota. Fu ucciso da un poliziotto in uno scontro il 5 dicembre del 1890.

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Guerra del Golfo (1990-1991): antefatti, cause e analisi storica https://cultura.biografieonline.it/guerra-del-golfo/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-del-golfo/#comments Wed, 13 Feb 2019 11:08:01 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=25993 La Guerra del Golfo fu il primo atto delle ostilità fra il dittatore iracheno Saddam Hussein, detto il “Rais ” (il presidente) e la Coalizione di 30 Paesi capeggiati dagli Stati Uniti sotto l’egida dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ebbe luogo nei territori di Iraq e Kuwait tra il 2 agosto 1990 e il 28 febbraio 1991.

Guerra del Golfo: le truppe della Coalizione si preparano all'intervento militare
Guerra del Golfo: le truppe della Coalizione si preparano all’intervento militare

L’antefatto: Iraq, Iran e Kuwait

Nel settembre 1980 Saddam Hussein condusse il Paese in guerra contro il confinante Iran allo scopo di allargare i confini e aumentare il potere rispetto a estrazione ed esportazione del petrolio. La guerra tra Iraq e Iran finì nel 1988.

Hussein uscì dal conflitto senza aver ottenuto quanto sperato e, in più, con un ingente debito con Kuwait e Emirati Arabi contratto per l’acquisto delle armi utilizzate nella guerra contro Teheran.

A seguire, i creditori contravvennero alle direttive dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) superando le quote di produzione di greggio e facendo crollare così il prezzo del petrolio.

Saddam rispose che avrebbe tollerato tale azione solo se avesse ottenuto in cambio:

  • la cancellazione del debito di guerra;
  • la cessione a suo favore di un giacimento sul confine e di alcune isole strategiche.

Il Kuwait rispose negativamente a queste richieste guadagnandosi l’invasione irachena che partì il 2 agosto del 1990.

L’inizio della Guerra del Golfo: gli schieramenti

L’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein venne subito condannata dalle Nazioni Unite che risposero imponendo il ritiro delle truppe irachene entro il 15 gennaio del 1991.

Seguì l’operazione “Desert Shield” ovvero “Scudo nel deserto”, diretta dall’allora presidente statunitense George H. W. Bush. Un intervento, datato 7 agosto 1990, volto a prevenire l’invasione irachena dell’Arabia Saudita, paese alleato nonché fornitore di petrolio degli Usa.

A distanza di tre mesi, il 29 novembre del 1990, l’Onu lanciò un nuovo ultimatum secondo il quale, qualora Saddam non si fosse ritirato dal Kuwait entro il 15 gennaio del 1991, insieme alle sanzioni e alla condanna, si sarebbe legittimato l’uso della forza contro l’Iraq.

Intanto, si definirono gli schieramenti. Da una parte l’Iraq di Saddam Hussein appoggiato da Gheddafi (Libia) e Arafat (Organizzazione per la liberazione della Palestina, OLP), con l’Iran neutrale dopo la pace stipulata a fine del conflitto degli anni Ottanta.

Dall’altra parte la Coalizione guidata dagli Stati Uniti d’America in cui convogliano oltre 30 Paesi del mondo fra cui anche Francia, Germania e Italia. L’Italia partecipò al conflitto in 4 interventi dell’operazione “Golfo 2”, con la sua Marina militare.

La disattesa dell’ultimatum e l’operazione “Desert storm”

Mentre si avvicinava la scadenza dell’ultimatum Onu, l’Iraq chiuse le proprie frontiere, con stranieri e diplomatici bloccati e usati dal Rais come “scudi umani”. Il 16 gennaio del 1991, all’indomani dell’ultimatum, dissateso, la Coalizione fece scattare l’operazione “Desert Storm” o “Tempesta nel deserto”, la più imponente operazione alleata dal 1945 in poi.

Si contarono infatti circa 1000 uscite al giorno, venne bombardata fortemente la città di Baghdad, si combatté in aria e in terra. La missione contro l’Iraq di Hussein constò di tre fasi:

  1. la soppressione delle difese con il conseguente controllo di spazio aereo, linee di trasporto e posti di comando;
  2. la disabilitazione dell’esercito iracheno attraverso l’abbattimento delle infrastrutture demandate ai combattimenti e non solo;
  3. il combattimento diretto con le forze irachene a quel punto decimate e indebolite dalla resistenza alle due fasi precedenti.

Bombe intelligenti contro Scud

Il 13 febbraio del 1991 due bombe intelligenti della Coalizione andarono a colpire un presunto centro militare di comunicazione uccidendo 400 persone. Più avanti gli iracheni denunciarono l’accaduto spiegando come il luogo attaccato fosse un rifugio civile.

Documenti successivi dimostrarono che il sito era adibito ad entrambe le finalità presunte dall’una e dall’altra parte.

Saddam rispose con il lancio di missili Scud sulle basi della Coalizione in Arabia Saudita e Israele, sperando di trascinare questo ultimo in guerra. Non accadde: Israele non rispose nel timore di trascinare tutti gli stati arabi delle Coalizione in guerra (solo la Giordania, infatti, si era dichiarata neutrale).

Un nuovo ultimatum ONU e la fine della guerra

Il 22 febbraio del 1991 l’ONU lanciò un nuovo ultimatum per il ritiro definitivo di Saddam dal Kuwait. Quattro giorni dopo, mentre la Coalizione era penetrata nel Kuwait, Saddam batté in ritirata.

Il Rais, però, diede ai suoi l’ordine di incendiare tutti i pozzi petroliferi sulla strada del rientro in patria. Questo ultimo atto di belligeranza causò la cosiddetta “Autostrada della morte”: le forze irachene in ritirata furono bombardate dalla Coalizione fino a oltre 200 chilometri da Baghdad.

Guerra del Golfo: un carro armato statunitense con pozzi di petroli incendiati sullo sfondo
Un carro armato statunitense con pozzi di petrolio incendiati sullo sfondo

Il 28 febbraio 1991 Bush dichiarò la liberazione del Kuwait e la fine della guerra. Il 3 marzo l’Iraq firmò il cessate il fuoco, accettò il disarmo e le pesanti sanzioni economiche inflitte dalle Nazioni Unite.

L’Iraq dopo la Guerra del Golfo

Mentre gli Usa si insediarono nel Paese con le proprie basi militari, l’Iraq uscì dal conflitto con ingenti perdite militari, civili e anche economiche. Danni tali da creare una crisi da cui il Paese non si sarebbe mai più risollevato.

Al termine della Guerra del Golfo, poi, la palla passò nelle mani dei Curdi Sciiti (etnia in contrapposizione ai Sunniti di Saddam) che si sarebbero impegnati nel rovesciare la dittatura di Hussein.

Tuttavia, non solo questa rivoluzione non accade mai, ma anzi Hussein riprese il potere, reprimendo le rivolte con l’uso di armi chimiche e reinserendo la Sharia nel sistema legislativo del Paese.

All’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, anche Hussein entrò nel mirino di George W. Bush. Gli Stati Uniti, infatti, a causa del possesso di Hussein di armi di distruzioni di massa e per i suoi contatti con Al Qaida (fattori poi smentiti ufficialmente) si lanciarono in un secondo atto della guerra contro l’Iraq (Iraqi Freedom, dal 20 marzo 2003).

Questo conflitto condusse alla cattura di Hussein il 13 dicembre 2003. Il Rais, infine, fu processato e condannato a morte per crimini contro l’umanità. La sua impiccagione, il 30 dicembre del 2006, mise fine a un gravissimo capitolo della storia mondiale.

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La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America https://cultura.biografieonline.it/corte-suprema-usa/ https://cultura.biografieonline.it/corte-suprema-usa/#respond Sun, 10 Dec 2017 23:31:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=23743 La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America è stata istituita il 24 settembre del 1789 ed è la più alta corte federale americana. La sede è a Washington. Essa è composta da un presidente ed otto membri, i quali ricevono un incarico a vita ma hanno la libertà di ritirarsi quando lo ritengono opportuno. Può accadere sia per sopraggiunti limiti di età o perché ritengono di non poter più svolgere il loro incarico in modo imparziale, lucido e professionale.

Corte Suprema degli Stati Uniti d'America
Una foto del palazzo della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America a Washington. In alto campeggia la scritta EQUAL JUSTICE UNDER LAW (Uguale giustizia ai sensi della legge).

La nomina dei membri

Il presidente e i membri della corte vengono nominati dal presidente degli Stati Uniti, la cui decisione deve poi essere confermata dal Senato. Non ci sono particolari condizioni per la nomina di un giudice, né il presidente deve seguire norme di legge stabilite. Può infatti scegliere un giudice con esperienza oppure personalità senza un curriculum specifico.

Pur non essendoci obblighi particolari da seguire, è prassi che i giudici rappresentino tutti i segmenti sociali e geografici del paese.

La Corte Suprema degli Stati Uniti come specchio del paese

Insomma la Corte è anche lo specchio dei cambiamenti antropologici dell’America. Nel tempo sono stati quindi nominati giudici afroamericani e giudici donne. Nel 2009 Barack Obama ha nominato il primo giudice di origine ispanica, Sonia Sotomayor. La Corte Suprema degli Stati Uniti (Supreme Court of the United States, che si trova anche abbreviata con l’acronimo SCOTUS) è un organo importante non solo per il suo ruolo giuridico ma anche perché esprime libertà, lealtà ai principi della Carta costituzionale e indipendenza da qualsiasi schieramento politico.

La Dichiarazione di Indipendenza Americana del 4 Luglio
I diritti fondamentali dei cittadini statunitensi trovano espressione nella celebre Dichiarazione di Indipendenza Americana del 4 Luglio 1776

Cosa può fare la Corte Suprema

La Corte, che rappresenta quindi l’organo giuridico supremo, non appellabile, può decidere direttamente controversie disciplinate dalla legge che l’ha fondata e che riguardano quelle originate da ambasciatori, consoli, rappresentanti stranieri o dove una parte sia rappresentata da uno Stato. Oppure può decidere sulla base di un’eccezione formulata da un cittadino contro un tribunale inferiore che ha deciso, secondo l’opinione di quest’ultimo, in modo errato, illegale o non confacente con i principi della Costituzione.

La Corte Suprema può esprimersi anche giudicando una legge dello Stato che un giudice federale abbia ritenuto emessa in violazione della Costituzione. Può fare questo in virtù del suo ruolo di garante della Costituzione e di difensore della gerarchia delle fonti, dove la Carta Costituzionale è la legge suprema da cui derivano tutte le altre leggi. La Corte può sempre decidere di non prendere in esame una certa controversia.

Procedimenti semplici

Il procedimento per chiedere di essere ascoltati da parte dei giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti è semplice. Un cittadino può chiedere in forma scritta ad un tribunale di inoltrare gli atti alla Corte affinché decida di pronunciarsi o meno sul suo caso.

Un altro procedimento per chiedere un parere dei giudici costituzionali riguarda il quesito diretto. Un tribunale può porre un quesito di diritto su un caso che sta affrontando. La Corte può decidere di rispondere dando un parere oppure di prendere sotto la sua giurisdizione tutto il caso.

E’ evidente quindi che la Corte non difende solo la supremazia della Costituzione ma svolge anche il ruolo di interprete delle leggi costituzionali e delle leggi inferiori che devono essere emanate nel rispetto di quelle superiori.

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Il simbolismo massonico nel dollaro americano https://cultura.biografieonline.it/simboli-massoni-dollaro/ https://cultura.biografieonline.it/simboli-massoni-dollaro/#comments Sat, 27 Jun 2015 10:29:52 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14578 Guardando con attenzione una banconota americana da un dollaro, il cosiddetto The one dollar, è possibile notare alcuni simboli che celano in sé significati legati alla Massoneria. È noto che quest’ultima, definita anche come “arte reale”, è un’associazione iniziatica che si propone come patto etico-morale tra liberi individui, come perfezionamento delle più nobili condizioni umane.

Al suo interno, l’uso dei simboli, rappresenta l’essenza stessa della Massoneria, il mezzo tramite il quale dialogare a distanza con tutti i fratelli massoni. Infatti, stando alle stesse parole di Pierre Mariel, massone e martinista, “il simbolo dunque, non è destinato a nascondere la verità. Il suo scopo è invece quello di selezionare coloro che, integrandosi a esso, si mostrano degni di accedere alla Realtà ultima”.

Dollaro americano
Dollaro americano

Simbolismo massonico: realtà o coincidenza?

Esaminando il dollaro, l’attenzione si focalizza subito sull’effige del primo Presidente degli Stati Uniti d’America, George Washington. Eletto alla presidenza nel 1789, supervisore dei lavori di costruzione della Casa Bianca (sede ufficiale del Presidente in carica), Washington, in occasione della cerimonia ufficiale di insediamento, fece il suo solenne giuramento sulla sacra Bibbia di proprietà della loggia massonica St. John N°1 di New York.

Il primo Presidente degli Stati Uniti era già stato “iniziato” ai segreti esoterici in giovane età, come membro della Massoneria e dell’Ordine degli Illuminati Bavaresi, ben prima della sua candidatura al potere. È opportuno sottolineare che molti altri presidenti americani furono iscritti alla Libera Muratoria, come ad esempio Franklin Delano Roosevelt, 33° Grado del Rito Scozzese della Libera Muratoria (a lui si deve la decisione di stampare nel 1933 sul dollaro il “Delta Luminoso”); Harry Truman, raggiunto il 33° Grado si fece aggiungere il secondo nome di Solomon, in onore del re Salomone, eroe della Massoneria; William Jefferson Clinton, 33° Grado e George H. W. Bush, anch’egli 33° Grado.

Dipartimento del Tesoro - particolare
Dipartimento del Tesoro – particolare

Accanto a George Washington compare sulla sinistra il logo della Riserva Federale (Federal Riserve Bank, nella banconota presa in esame di New York, ma questa lettera cambia in base alla banca federale di emissione); mentre sulla destra vi sono il simbolo del Dipartimento del Tesoro (Department of the Treasury) e la sua data di fondazione, il 1789. Quest’ultima coincide, oltre che con la fondazione della Riserva Federale, anche con l’anno di inizio della Rivoluzione francese (Presa della Bastiglia), ovvero con un periodo di radicale sconvolgimento sociale e politico, il cui fervore fu alimentato dalle idee proprie dell’Illuminismo e della Massoneria, che prometteva di cambiare il mondo, di creare una società libera dalle ingiustizie, di realizzare una vera eguaglianza tra gli uomini, portandoli tutti ad un elevato grado di conoscenza.

Osservando attentamente il logo, è possibile rintracciare diversi simboli massonici: lo scudo, la bilancia, la chiave (tutti e tre facilmente identificabili) e la squadra (meno visibile, è la linea spessa con il vertice sotto la bilancia che divide in due lo scudo).

Quest’ultima, sulla quale sono disegnati tredici punti (Il numero tredici ricorre più volte nella banconota), è certamente uno dei simboli massonici più noti perché rappresenta lo strumento principe del lavoro massonico. Racchiudendo in sé il rigore morale e la perfezione, con il suo angolo sempre fisso, simboleggia infatti il mondo del concreto, o ancora la misura della realtà oggettiva. La chiave rappresenta il sapere esoterico tramandato nel tempo dai confratelli massoni, mentre la bilancia simboleggia chiaramente il delicato equilibrio tra le forze opposte.

Simbolismo massonico: Dollaro americano - particolare
Dollaro americano – particolare

Curiosità: la scritta “In God We Trust” è presente su tutte le monete: il Congresso degli Stati Uniti lo stabilì il 22 aprile 1864 con il Coinage Act.

Girando la banconota da un dollaro, sulla sinistra è possibile notare, all’interno di un cerchio, una piramide tronca sormontata al vertice da un Delta, al centro del quale vi è un occhio (“Delta Luminoso” o “L’occhio che tutto vede”). La piramide, uno dei simboli più famosi della Massoneria, è formata da tredici gradini e settantadue mattoni (7+2=9, numero della perfezione massonica). Alla base vi è incisa la data “MDCCLXXVI”, ovvero 1776, anno sia della dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America sia della nascita dell’Ordine degli Illuminati. Sotto la piramide la scritta Novus Ordo Seclorum (e non Secolorum come ci si aspetterebbe) è formata da diciassette lettere, numero che indica la mancanza della perfezione divina, rappresentata invece dal numero diciotto.

Come accennato il numero tredici ricorre numerose volte sulla banconota da un dollaro: tredici, infatti, sono gli stati che formarono la prima confederazione americana; tredici i “passi” da compiere durante il percorso di iniziazione degli Illuminati; tredici le lettere che compongono la scritta che sovrasta la piramide, Annuit Coeptis (“Approva le cose iniziate”).

A destra della banconota, è presente un altro simbolo massonico, l’Aquila.  Anche qui il numero tredici ritorna costantemente. Tredici sono le stelle nell’aureola sopra l’Aquila così come lo sono le strisce presenti sullo scudo; tredici i rami con altrettante olive che compongono il ramo d’ulivo sorretto dall’Aquila nell’artiglio destro, mentre nel sinistro vi sono tredici frecce; tredici infine le lettere che compongono le parole E Pluribus Unum (“Da molti uno”), presenti nel cartiglio che l’Aquila regge con il becco. Quest’ultime rivelano che l’insegnamento degli Illuminati si diffonderà per dare inizio ad un nuovo governo universale.

Che si tratti di realtà o di pure coincidenze, che si creda o meno all’esistenza della Massoneria, al suo insito simbolismo, il misterioso fascino della banconota da un dollaro statunitense resta del tutto intatto.

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