sonetto Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Wed, 06 Nov 2024 07:57:22 +0000 it-IT hourly 1 In morte del fratello Giovanni: testo, parafrasi, analisi e commento alla poesia di Foscolo https://cultura.biografieonline.it/in-morte-del-fratello-giovanni/ https://cultura.biografieonline.it/in-morte-del-fratello-giovanni/#comments Wed, 06 Nov 2024 05:45:31 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21576 La poesia In morte del fratello Giovanni è uno dei sonetti più famosi di tutta la produzione di Ugo Foscolo. Il sonetto è stato composto sicuramente dopo la primavera del 1803 ed è dedicato alla morte del fratello del poeta, Gian Dionisio detto Giovanni. Questi si tolse la vita con un pugnale l’8 dicembre 1801 mentre era soldato a Venezia. Giovanni Foscolo, fratello maggiore (nato a Zante il 27 febbraio 1781) di Ugo, scelse di suicidarsi perché aveva pagato un debito di gioco con del denaro sottratto alla cassa dell’esercito. Questo fu un avvenimento molto doloroso per il poeta, che – oltre alla poesia In morte del fratello Giovanni – affronta l’argomento soprattutto nel suo epistolario.

Ugo Foscolo - Poesie

La raccolta Poesie

La lirica fa parte della raccolta di poesie dell’autore, che sono state pubblicate in un’edizione definitiva nel 1803.

Le Poesie raccolgono dodici sonetti e due odi, composte tra il 1798 e il 1803, e restituiscono ai lettori un ritratto dell’autore.

Tra i componimenti più noti vi sono:

I sonetti sono notevolmente autobiografici, mentre le due odi neoclassiche (A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All’amica risanata) si discostano dalla vena personale.

Una parte importante della raccolta è rappresentata dai 12 sonetti, che mettono in luce l’animo tormentato dell’autore e i suoi pensieri.

Ugo Foscolo rinnova completamente la forma del sonetto, inserendovi tematiche lontane dalla tradizione metrica e stilistica precedente.

Nella lirica in esame l’autore inserisce il tema dell’esilio e della morte, vista nei suoi risvolti più tristi.

In morte del fratello Giovanni è un sonetto di endecasillabi, che segue lo schema di rime:

ABAB ABAB CDC DCD

In morte del fratello Giovanni, testo completo

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo
Di gente in gente, mi vedrai seduto
Su la tua pietra, o fratel mio, gemendo
Il fior de’ tuoi gentili anni caduto:

La madre or sol, suo dì tardo traendo,
Parla di me col tuo cenere muto:
Ma io deluse a voi le palme tendo;
E se da lunge i miei tetti saluto,

Sento gli avversi Numi, e le secrete
Cure che al viver tuo furon tempesta;
E prego anch’io nel tuo porto quiete:

Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.

Parafrasi

Un giorno, se non andrò sempre vagando
di popolo in popolo,
mi vedrai seduto sulla tua tomba,
o fratello mio, piangendo il fiore reciso della tua giovinezza.

Solo adesso la madre, portando con sé i giorni della sua vecchiaia (suo dì tardo),
parla di me con il tuo corpo silenzioso,
ma io tendo invano verso di voi le mie mani
e solo da lontano saluto la mia patria.

Sento le avversità del destino e i travagli dell’animo
che hanno provocato la tempesta nella tua vita,
e anche io prego di poter raggiungere la quiete del tuo porto (la morte).

Solo questo mi rimane oggi di tutta speranza!
O genti straniere, restituite al cuore di mia madre triste
almeno le mie ossa.

Analisi

La struttura del sonetto è ben definita. Nella prima quartina vengono introdotti subito i due temi principali: l’esilio e la morte dell’amato fratello.

Nella seconda quartina viene introdotto il terzo personaggio della lirica: la madre che piange per la morte del figlio.

Nella prima terzina il poeta esprime tutti i suoi affanni e le pene del suo animo.

Nella seconda terzina egli rovescia la visione negativa della morte, che diventa così un luogo di pace, che il poeta vuole raggiungere.

Il modello a cui si ispira Foscolo è il Carme 101 di Catullo. I primi versi corrispondono ad una perfetta traduzione dei versi del poeta latino (traduzione del carme di Catullo: “Condotto per molte genti e molti mari, sono giunto a queste tue tristi spoglie, o fratello“). Foscolo, però, non si limita a copiare o citare i versi di Catullo, ma li reinterpreta in chiave moderna, aggiungendovi maggiore pathos e sentimento, perché dubita che possa mai tornare sulla tomba del fratello.

Dal punto di vista stilistico, bisogna ricordare: i numerosi enjambements che spezzano i versi (v. 1-2, v. 2-3., v. 3-4 etc.) sia nelle due quartine che nelle due terzine, la rima in gerundio (fuggendo-gemendo v. 1-3) e l’utilizzo di questo modo verbale anche in altri versi della poesia (v.5).

È presente, inoltre, il latinismo “cenere” al verso 6 e un utilizzo accentuato dei pronomi personali.

Foto di Ugo Foscolo, In morte del Fratello Giovanni
Ugo Foscolo

Commento

Il sonetto In morte del fratello Giovanni è uno dei più intensi della produzione dell’autore.

Qui Ugo Foscolo mette in evidenza il tema dell’esilio, che provocherà sempre un dolore in lui. Evidenzia anche il valore della tomba, che sarà poi approfondito nel carme Dei sepolcri.

Spicca però l’importanza della famiglia: questo è il valore che consola il poeta, in particolare la figura della madre, che crea una connessione tra lui e il fratello morto.

Si tratta di un sonetto intenso e struggente, nel quale Foscolo utilizza il tema della morte del fratello Giovanni per esprimere il dolore per il suo esilio e i suoi affanni.

Questa poesia rappresenta non solo un lamento funebre per la morte del fratello, ma anche una riflessione più ampia sulla condizione umana e sull’esilio. La distanza fisica dalla tomba del fratello diventa metafora della distanza esistenziale che separa i vivi dai morti.

Dal punto di vista letterario vi sono 3 elementi innovativi:

  1. La fusione tra elemento autobiografico e riflessione universale.
  2. L’intreccio tra dolore personale e condizione storica.
  3. La modernità della riflessione sulla solitudine dell’individuo.

La perfezione formale del sonetto si fonde con l’intensità emotiva del contenuto, creando un equilibrio magistrale tra forma e sostanza.

Il tema dell’esilio, così centrale nella vita di Foscolo, si intreccia qui con il dolore per la perdita del fratello, creando un doppio livello di separazione: quella fisica dalla patria e quella esistenziale dalla persona amata.

Il componimento rappresenta uno dei momenti più alti della lirica foscoliana, dove l’esperienza personale si trasforma in poesia universale.

Foscolo riesce di fatto a trasformare un evento tragico personale in una riflessione universale sulla condizione umana.

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Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io, sonetto di Dante Alighieri: analisi e parafrasi https://cultura.biografieonline.it/guido-vorrei-che-tu-lapo-ed-io/ https://cultura.biografieonline.it/guido-vorrei-che-tu-lapo-ed-io/#comments Fri, 10 Nov 2023 07:37:45 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=20860 Il sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io è uno dei più celebri di tutta la produzione di Dante Alighieri. Probabilmente risale alla prima fase dell’attività lirica di Dante, databile intorno al periodo tra il 1283 e il 1290. Nella lirica in esame, il poeta si rivolge a Guido Cavalcanti, il “primo amico” (come viene definito nella Vita Nova), che gli risponde anche lui con un sonetto intitolato “S’io fosse quelli che d’amor fu degno“, di atmosfera però più cupa. Guido è citato dal padre Cavalcante dei Cavalcanti nel Canto X dell’Inferno. L’altro amico citato nel titolo è Lapo Gianni, anch’egli poeta.

Dante Alighieri - Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
Dante Alighieri

Il componimento dantesco fa parte delle Rime, che sono state raccolte non dall’autore ma dagli studiosi e filologi. Esse sono un corpus di poesie composte tra il 1283 e il 1307 che comprende:

  • rime giovanili (prestilnoviste su modello di Guittone d’Arezzo);
  • rime stilnoviste in senso stretto;
  • rime allegoriche e dottrinali;
  • le rime petrose dedicate alla donna Petra;
  • rime varie.

Alla raccolta appartengono anche tutte le rime che sono state poi inserite dall’autore all’interno della Vita Nova e del Convivio, lavori considerati tra le opere minori di Dante, rispetto al suo capolavoro La Divina Commedia. Le Rime, che racchiudono diversi stili al loro interno, sono un esempio importante dello sperimentalismo e del plurilinguismo dantesco, precedente alla Commedia.

La lirica in esame – Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io – è un sonetto, composto quindi da due quartine e due terzine con il seguente schema di rime:

ABBA, ABBA, CDE, EDC

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

Parafrasi

Guido, io vorrei che tu, Lapo ed io
fossimo soggetti ad un incantesimo
e posti su un vascello, che ad ogni soffio di vento
andasse lungo il mare secondo il nostro volere;

cosicché la tempesta od ogni altra sventura
non ci potesse essere d’ostacolo,
ma anzi, avendo gli stessi desideri,
crescesse il desiderio di stare assieme.

E che Monna Vanna e Monna Lagia,
oltre a colei che è la trentesima
il nostro mago ci ponesse vicino:

e qui discutere sempre sull’amore,
e ciascuna di loro fosse felice,
così come, credo, lo saremmo noi [poeti].

Analisi del testo

Il tema centrale del sonetto “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io” è incentrato sulla visione stilnovista dell’amore e dell’amicizia. Dante Alighieri sogna di trovarsi su una nave incantata con Guido Cavalcanti e Lapo Gianni, i suoi migliori amici, circondati dalle donne che amano e a parlare d’amore. I modelli a cui Dante si ispira sono quelli del plazer, un componimento tipico francese che è un elenco di cose piacevoli e desideri, e del ciclo bretone e carolingio per il tema della magia e dell’incanto.

Le quartine

La prima quartina quindi inizia in un clima di amicizia tra tre poeti. L’incipit presenta i primi tre personaggi maschili. Dante li immagina presi da una magia e messi insieme in un piccolo vascello che può navigare con ogni tipo di vento. I termini rinviano tutti alla tradizione medievale del ciclo bretone, in particolare la nave incantata, che ricorda quella di Mago Merlino.

Nella seconda quartina Dante continua la descrizione dell’atmosfera magica del vascello. Egli auspica che essi possano continuare a navigare in qualunque condizione atmosferica e uniti sempre da una comune volontà (vivendo sempre in un talento, v.7).

Nella prima terzina vengono presentate le tre figure femminili:

  • Donna Vanna, amata da Cavalcanti (di questo poeta abbiamo analizzato la poesia d’amore Perch’i’ no spero di tornar giammai);
  • Donna Lagia, amata da Lapo;
  • quella che è sul numer de le trenta, ossia la donna che si trova al 30° posto. Ella non è Beatrice, bensì una donna schermo che Dante avrebbe nominato in un sirventese (composizione poetica) ormai perduto.

Dante immagina che il buon incantatore (l’artefice di questo sogno, forse Mago Merlino) possa portare su questo vascello le donne, e che tutti insieme (seconda terzina) possano parlare sempre dell’amore.

L’atmosfera è rarefatta. Questo gruppo di poeti è ovviamente isolato dal resto del mondo perché la nave è un luogo privilegiato dove essi possono immergersi completamente nei loro discorsi sull’amore. Il pubblico a cui l’autore si rivolge è elitario, infatti soltanto gli intellettuali possono apprezzare i valori di cortesia e gentilezza. Il lettore è quindi immerso in pieno clima stilnovistico.

Commento all’opera

Dal punto di vista stilistico bisogna evidenziare la presenza del polisindeto (presenza di congiunzioni) al v.1 “che tu e Lapo e io” e la forte ricorrenza di verbi al plurale. Dal punto di vista delle scelte lessicali, prevalgono i termini che ricordano la letizia, la felicità (es. ripetizione della parola “sempre” ai versi 7 e 12, la parola “disio” al v. 8, “contenta” al v. 13 etc.). Molti sono poi i termini che rinviano alla dimensione fiabesca: “incantamento” (v. 2), “incantatore” v. 11, “vasel” v. 3.

La poesia “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io” è senz’altro una delle più belle testimonianze che ci ha lasciato Dante Alighieri della sua produzione. E’ un componimento che proietta immediatamente il lettore in un mondo fantastico, in cui i letterati si dedicano all’amore tutto il giorno e rappresentano a pieno gli ideali del Dolce stil novo.

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Amor è uno desio che ven da core: testo, parafrasi e analisi della poesia https://cultura.biografieonline.it/amor-uno-desio-poesia-analisi/ https://cultura.biografieonline.it/amor-uno-desio-poesia-analisi/#respond Fri, 18 Feb 2022 16:29:14 +0000 https://cultura.biografieonline.it/?p=38864 Amor è uno desio che ven da core è una poesia di Jacopo da Lentini. Questo sonetto, scritto intorno al 1241, è uno dei più importanti e rappresentativi della scuola siciliana e della letteratura italiana delle origini. L’autore è notaio alla corte di Federico II di Svevia; visse probabilmente tra il 1210 e il 1260. E’ considerato l’iniziatore di questa nuova scuola poetica. A Jacopo da Lentini è attribuita anche l’invenzione del sonetto come forma metrica.

A volte è indicato come Giacomo da Lentini; in un documento messinese del 1240 si firma Jacobus de Lentini domini imperatoris notarius. Dante lo cita come il “Notaro”, nella Divina Commedia: Purgatorio, Canto XXIV, verso 56.

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La scuola poetica siciliana

Con il termine scuola poetica siciliana ci si riferisce ai poeti che scrissero le loro opere alla corte di Federico II nella città di Palermo, intorno alla prima metà del XIII secolo. La Scuola siciliana infatti assunse questa denominazione proprio perché fiorì in Sicilia, ed in particolare alla corte dell’imperatore: egli era un grande estimatore della lirica e della cultura in generale.

I poeti narravano nelle loro composizioni soprattutto l’amore: esso non era però visto come un sentimento individuale. Il legame tra il poeta e la donna diventava una sorta di rapporto feudale, simile a quello tra il vassallo e il suo signore.

Il poeta era quindi sottomesso alla sua dama, che era lontana ed insensibile.

Si ricorda la Scuola siciliana anche perché è stato il primo movimento poetico italiano, in cui gli autori componevano poesie in volgare, non più in latino, e con uno stile molto ricercato.

Amor è uno desio che ven da core: spiegazione della poesia

La poesia Amor è uno desio che ven da core è il manifesto dell’amore secondo il poeta: secondo lui, infatti, l’amore è un desiderio che nasce dal cuore; ma in realtà sono gli occhi la causa dell’amore perché essi vedono la persona amata.

Secondo il poeta l’amore nasce solo dalla vista della donna; esso è l’unico sentimento autentico e vero che comporta la violenza della passione.

Gli occhi infatti hanno il potere di trasmettere al cuore tutto ciò che è buono e cattivo, ma soprattutto la vera natura del cuore stesso.

Testo della poesia

Amore è uno desio che ven da core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima generan l’amore
e lo core li dà nutricamento.

Ben è alcuna fiata om amatore
senza vedere so ’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi ha nascimento:

ché li occhi rapresentan a lo core
d’onni cosa che veden bono e rio
com’è formata naturalemente;

e lo cor, che di zo è concepitore,
imagina, e li piace quel desio:
e questo amore regna fra la gente.

Parafrasi

Amore è un desiderio che viene dal cuore
per abbondanza di grande piacere;
e gli occhi in primo luogo generano l’amore
e il cuore gli dà nutrimento.

È vero che talvolta l’uomo può innamorarsi
senza aver visto la persona di cui è innamorato
ma quell’amore che ha la violenza della passione
nasce dalla vista della persona amata:

perché gli occhi trasmettono al cuore
di ogni cosa che vedono il buono e il cattivo,
come è formata secondo la propria natura;

e il cuore, che di questo è iniziatore,
crea in sé l’immagine della bellezza rivelatagli dagli occhi,
e prova piacere nel desiderio di essa:
questo è l’amore che regna tra gli uomini.

Analisi metrica

La poesia è un sonetto: è composta infatti da:

  • due quartine,
  • due terzine

per un totale di 14 versi endecasillabi.

Lo schema metrico è il seguente:

  • ABAB,
  • ABAB,
  • CDE,
  • CDE.

Sono presenti una serie di personificazioni legate alle parole cuore e amore.

Lo stile è molto elegante e raffinato; sono presenti alcune parole che derivano dal provenzale (provenzalismi):

  • nutricamento,
  • piacimento,
  • ‘namoramento,
  • nascimento.

Questa è di fatto uno degli esempi più belli di poesia italiana delle origini.

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Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, sonetto di Petrarca https://cultura.biografieonline.it/voi-ascoltate-rime-sparse-suono/ https://cultura.biografieonline.it/voi-ascoltate-rime-sparse-suono/#respond Sat, 13 May 2017 09:05:23 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22416 Il sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, uno dei più importanti della produzione letteraria di Francesco Petrarca, è collocato in apertura al Canzoniere. Ha quindi una funzione importante. Il poeta enuncia il suo itinerario spirituale, dall’errore giovanile fino al pentimento e alla consapevolezza che i beni terreni sono evanescenti. Il componimento venne scritto probabilmente intorno al 1349-1350. Quindi, pochi anni dopo la morte di Laura. E’ il periodo in cui il poeta progettava di riunire in un unico libro tutte le rime sparse che aveva composto negli anni precedenti.

Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, Petrarca

Il Canzoniere di Petrarca

Il Canzoniere, infatti, è la raccolta delle liriche in volgare di Petrarca, il cui titolo originario è Rerum vulgarium fragmenta (frammenti di cose in volgare). Essa è frutto di una grande opera di lavoro e sistemazione dei testi da parte dell’autore, che voleva strutturarla in modo da lasciare ai posteri una sua autobiografia ideale. Si tratta di una raccolta di 366 componimenti, per la maggior parte sonetti. Ma sono comprese anche ballate, canzoni, madrigali e sestine.

È suddiviso in due parti: le rime in vita e quelle in morte di Laura, avvenuta nel 1348. Questa data è significativa per Petrarca in quanto segna per lui un rinnovamento interiore. La prima parte della raccolta è infatti dedicata all’amore per la donna. La seconda invece ad un’immagine più spirituale di questo sentimento. Il tutto è percorso da un costante tormento interiore che gravava sullo spirito del poeta, diviso tra l’amore della donna e la sua condizione di chierico, che imponeva l’obbligo del celibato.

Il componimento in esame, Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, offre quindi una chiave di lettura per l’intera opera, essendo posto in apertura di essa. Esso svolge non solo la funzione di introduzione ma anche quella di riepilogo dell’intero contenuto dell’opera.

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono

Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono
di quei sospiri ond’io nudriva ’l core
in sul mio primo giovenile errore
quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

del vario stile in ch’io piango et ragiono
fra le vane speranze e ’l van dolore,
ove sia chi per prova intenda amore,
spero trovar pietà, nonché perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto
favola fui gran tempo, onde sovente
di me medesmo meco mi vergogno;

et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto,
e ’l pentersi, e ’l conoscer chiaramente
che quanto piace al mondo è breve sogno.

Parafrasi

Voi che ascoltate in forma di versi sparsi il suono
di quei sospiri con i quali io nutrivo il mio cuore
durante il mio giovanile turbamento amoroso
quando ero in parte un altro uomo rispetto a quello che sono oggi,

dei diversi stili e metri nei quali esprimo il mio dolore e ne parlo
tra le vane speranze e l’inutile dolore,
qualora vi sia qualcuno che per esperienza conosca che cosa sia amore,
spero di trovare pietà e perdono.

Ma ora mi accorgo come io fui oggetto della derisione e delle risa della gente
per lungo tempo, per cui spesso di me stesso,
nel mio intimo, provo vergogna;

le conseguenze del mio vaneggiare sono la vergogna,
il pentimento e la consapevolezza che ciò che si desidera nel mondo
è un sogno che svanisce troppo presto.

Analisi del testo

La lirica è un sonetto, composto da 14 versi con il seguente schema di rime:

ABBA ABBA CDE CDE

Nella prima quartina il poeta si rivolge ai lettori attraverso il vocativo iniziale “voi”. Il pubblico che egli sceglie è chiaramente selezionato, di chiara ispirazione stilnovista (può capirlo solo chi è stato veramente innamorato). Qui introduce con la formula “rime sparse” il titolo dell’opera (rerum vulgarium fragmenta) e soprattutto la tematica: il turbamento amoroso (errore giovanile) che provava quando era un uomo diverso rispetto ad oggi.

Nella seconda quartina si rivolge a coloro che hanno provato il sentimento dell’amore almeno una volta nella vita e spera proprio che essi possano capirlo e perdonarlo.

Nella prima terzina invece si rende conto che il suo sentimento lo ha portato ad essere schernito dal popolo. Per questo prova vergogna di sé stesso. E’ un sentimento che poi lo porta ad pentimento (seconda terzina) e alla consapevolezza della vanità delle esperienze terrene.

La struttura sintattica delle quartine è molto elaborata. E’ presente il vocativo d’apertura (voi) seguito da una serie di subordinate, il cui soggetto è spesso l’io. Ci sono infatti molti verbi in prima persona proprio a partire dal verso 2, perché l’autore concentra la sua attenzione sul suo processo interiore, non nominando mai Laura esplicitamente.

Laura e Francesco Petrarca
Laura e Francesco Petrarca

Le terzine sono introdotte dalla avversativa “ma”, che segna il passaggio ad un momento diverso della vita e ad una diversa disposizione interiore.

Al verso 11 troviamo un’allitterazione delle m e una ripetizione dei pronomi di prima persona (me, medesmo, meco, mi). Nella terzina conclusiva si trovano una serie di coordinate per polisindeto (utilizzo di congiunzioni) che rappresentano graficamente l’angoscia del poeta. Le parole chiave sono sicuramente quelle appartenenti al campo semantico del vano, che domina la lirica.

Commento

Il sonetto rappresenta quindi a pieno la contrapposizione tra passato e presente, il dissidio che esiste nell’animo del poeta, diviso tra l’uomo del passato che ha peccato amando una donna e quello del presente che vuole riscattarsi e che si sta ravvedendo.

Ovviamente il processo non è ancora del tutto compiuto e il lettore avverte a pieno i sentimenti dell’autore, ancora turbato, e resosi conto della vanità delle cose terrene. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, è un sonetto essenziale per entrare nel mondo di Francesco Petrarca, dei suoi turbamenti e del suo stato d’animo.

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Pace non trovo et non ò da far guerra (Petrarca) https://cultura.biografieonline.it/pace-non-trovo-petrarca/ https://cultura.biografieonline.it/pace-non-trovo-petrarca/#respond Fri, 28 Apr 2017 09:06:38 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=22333 La lirica Pace non trovo, et non ò da far guerra è uno dei più importanti componimenti scritti da Francesco Petrarca. Essa rappresenta a pieno il suo dissidio interiore. Questa composizione risale intorno al 1344-1345 ed è posizionata al numero 134 nella prima parte del Canzoniere. Nell’opera sono presenti le liriche dedicate a Laura ancora in vita. Il componimento che analizziamo qui, è ricco di artifici retorici e scelte stilistiche che sarebbero poi diventate un modello per tutti gli autori del Cinquecento.

Laura e Francesco Petrarca - Pace non trovo
Laura e il Poeta (autore anonimo): dettaglio dell’affresco presente nella casa di Francesco Petrarca ad Arquà Petrarca (Padova)

L’importanza del Canzoniere di Petrarca

Tutto il Canzoniere petrarchesco è diventato il principale ispiratore della lirica cinquecentesca e, in generale, un modello per i letterati italiani di tutte le epoche. La raccolta comprende 366 componimenti, per la maggior parte sonetti ma anche canzoni, sestine e ballate. Idealmente è suddiviso in due parti: la prima parte (fino al componimento n. 263) è dedicata alle rime scritte in vita di Laura. La seconda parte (dal componimento n. 264 al 364) raccoglie le rime scritte in morte di Laura.

In realtà i componimenti non sono stati scritti nell’ordine in cui si trovano all’interno della raccolta. E’ stato il poeta, nel corso delle numerose revisioni dell’opera, a volerli collocare non in ordine cronologico. In generale, il Canzoniere tratta dell’amore per Laura e della scissione interiore del poeta. Vista la sua condizione di chierico, egli si divide tra l’amore terreno per la donna e quello celeste. È una sorta di autobiografia ideale in poesia.

Pace non trovo, et non ò da far guerra

Pace non trovo, et non ò da far guerra;
e temo, et spero; et ardo, et son un ghiaccio;
et volo sopra ’l cielo, et giaccio in terra;
et nulla stringo, et tutto ’l mondo abbraccio.

Tal m’à in pregion, che non m’apre né serra,
né per suo mi riten né scioglie il laccio;
et non m’ancide Amore, et non mi sferra,
né mi vuol vivo, né mi trae d’impaccio.

Veggio senza occhi, et non ò lingua et grido;
et bramo di perir, et cheggio aita;
et ò in odio me stesso, et amo altrui.

Pascomi di dolor, piangendo rido;
egualmente mi spiace morte et vita:
in questo stato son, donna, per voi.

Parafrasi

La lirica in esame rappresenta a pieno la scissione interiore di Petrarca. E’ una prova di grande virtuosismo poetico e stilistico. Il sonetto è composto da 14 endecasillabi con il seguente schema di rime

ABAB ABAB CDE CDE

Di seguito la parafrasi.

Non trovo pace e non ho armi per poter combattere;
ho paura e ho speranza e brucio e sono freddo come il ghiaccio;
volo nel cielo e resto a terra;
non stringo nulla tra le mie mani e abbraccio tutto il mondo.

Una certa persona, Laura, mi tiene prigioniero e non mi libera ma non mi rinchiude,
né mi trattiene come suo prigioniero né mi lascia libero;
Amore non mi uccide né mi libera dalle catene,
né mi vuole vivo né mi libera attraverso la morte.

Vedo pur non avendo gli occhi e grido senza avere lingua,
desidero morire eppure chiedo aiuto,
e odio me stesso e amo gli altri.

Mi nutro di dolore, rido piangendo;
odio la morte e la vita allo stesso modo:
donna, sono in questa condizione a causa vostra.

Analisi

Il testo di Pace non trovo et non ò da far guerra è costruito su una serie di antitesi e di opposizioni, che occupano ciascun verso. Ogni verso, infatti, è diviso in due parti contrapposte e ha una pausa (cesura) molto intensa. Si apre con l’antitesi tra pace e guerra. I due termini pace e guerra sono collocati all’inizio e alla fine del primo verso in posizione di rilievo. Si conclude poi in maniera speculare al v. 13 con la presenza di morte e vita collocati in posizione incrociata.

Oltre alle numerose antitesi, sono presenti anche altre figure retoriche come due chiasmi (v. 1 pace – trovo – ò – guerra; v. 3 volo – cielo – giaccio – terra). Il ritmo dei versi è molto incisivo grazie alla presenza delle cesure. Ricorrono suoni duri come quello delle –r e le rime sono molto forti. Importante poi è la scelta stilistica del polisindeto, ovvero la presenza delle congiunzioni ricorrenti che collegano semanticamente i diversi periodi.

Commento

Il sonetto di Petrarca esprime uno stato d’animo molto frequente nel suo Canzoniere. Il poeta si sente sospeso tra due stati d’animo contrapposti e non riesce a scegliere e quindi a risolvere il suo dilemma interiore. Egli non trova pace ma non riesce neanche ad impegnarsi in una guerra. Prova speranza ma anche molta paura. Sente caldo e freddo contemporaneamente. Crede di toccare il cielo con un dito eppure cade sempre a terra. Sono tutte sensazioni tipiche di chi è innamorato, ma il poeta non può viverle a pieno perché è un chierico e deve quindi rispettare la regola del celibato.

La figura di Laura viene introdotta progressivamente nel testo, fino a quando compare definitivamente nell’ultimo verso come destinataria della poesia. Il sonetto, grazie alla potenza metrica e stilistica dell’autore, riesce così ad esprimere pienamente questa condizione di divisione e separazione. E lo fa in modo molto drammatico e duro. “Pace non trovo et non ò da far guerra” è un componimento fondamentale perché esemplificativo del dissidio interiore che Francesco Petrarca non riuscirà mai a risolvere, di cui è testimonianza tutto il suo Canzoniere.

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Alla sera, poesia di Ugo Foscolo https://cultura.biografieonline.it/alla-sera-foscolo/ https://cultura.biografieonline.it/alla-sera-foscolo/#comments Wed, 22 Feb 2017 13:04:26 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21342 Il sonetto in esame, Alla sera, è uno dei più famosi della produzione di Ugo Foscolo. Venne composto tra la fine del 1802 e l’inizio del 1803. Fu scelto per aprire la serie di dodici sonetti, compresi nelle Poesie dell’autore. È uno dei più importanti e struggenti scritti dal Foscolo perché dedicato all’arrivo della sera, un momento della giornata molto caro al poeta che, nel viverlo, riesce a liberarsi dagli affanni della vita.

Alla sera, Ugo Foscolo

La raccolta Poesie, di Ugo Foscolo

La raccolta Poesie è una delle prime opere della maturità stilistica del poeta. Essa include 12 sonetti e 2 odi, composte tra il 1802 e il 1803. Foscolo, con quest’opera, vuole dare un ritratto di sé stesso a modello del Canzoniere di Petrarca e, soprattutto, delle poesie di Alfieri. Nella raccolta quindi si alternano componimenti più autobiografici, come A Zacinto o In morte del fratello Giovanni (dedicato al tema dell’esilio), con alcuni di riflessione poetica (Alla Musa o Alla sera). Altri invece sono ispirati ad eventi precisi, come quello dedicato alla guarigione dell’amica Antonietta Fagnani Arese (All’amica risanata, ode neoclassica).

Il canzoniere di Foscolo, se così più definirsi, è una raccolta molto importante perché rappresenta un momento fondamentale della sua storia letteraria e umana. E’ come se, in essa, egli stilasse un bilancio della prima parte della sua vita. Foscolo è stato uno scrittore importantissimo all’interno del panorama letterario italiano perché ha saputo fondere, nella sua produzione, elementi neoclassici con temi romantici e idee illuministe, andandosi a collocare proprio nella fase di transizione tra queste correnti letterarie.

Alla sera, testo della poesia

La lirica in esame è un sonetto (due quartine e due terzine) di endecasillabi con schema di rime:

ABAB ABAB CDC DCD

 

Forse perché della fatal quïete
Tu sei l’imago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,

E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all’universo meni
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.

Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme

Delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch’entro mi rugge.

Parafrasi

Forse perché sei l’immagine della morte, arrivi a me così gradita, o sera.
Sia quando ti accompagnano le nubi estive e in calmi venti tiepidi, sia quando dal cielo invernale, carico di neve, porti le tenebre sull’universo.

In ogni situazione, sempre sei invocata da me e occupi le zone più segrete del mio animo dandomi dolci sensazioni.

Mi fai errare sulle orme che vanno verso la morte e intanto questo tempo malvagio scorre, e con esso vanno via anche i numerosi affanni in cui quest’epoca si sta logorando insieme con me.

E mentre io contemplo la tua quiete, si placa quello spirito guerriero che rugge nel mio cuore.

Analisi

Alla sera è una rielaborazione del sonetto classico petrarchesco. Nelle quartine vi sono le premesse di ciò che verrà detto nelle terzine.

Nelle due quartine (vv. 1-8) vengono presentate tutte le circostanze che accompagnano l’arrivo della sera: sia che essa arrivi in una stagione calma, sia nella stagione invernale. Qui prevalgono quindi le sensazioni descrittive. Il primo verso, inoltre, inizia con forse, come se il poeta volesse continuare in questo componimento un suo ragionamento iniziato precedentemente.

Nelle due terzine (vv. 9-14) prevalgono invece le sensazioni meditative e riflessive: l’autore racconta gli effetti dell’arrivo della sera nel suo animo. In particolare l’arrivo di questo momento della giornata, in cui riesce finalmente a domare il suo spirito di ribelle, che raggiunge un po’ di quiete.

Dal punto di vista stilistico, è importante notare l’utilizzo delle metafore perché in esse vengono espressi i nodi concettuali più importanti (v. 9: la sera lo fa vagare sulle orme che portano al nulla eterno).

Il sonetto è poi caratterizzato dall’utilizzo di molti enjambements, che spezzano il ritmo dell’endecasillabo (v. 2, v. 3, v. 5, v. 6 etc).

Dal punto di vista del lessico, nel sonetto sono presenti sia parole auliche e termini poetici (imago, aere) sia parole comuni (cara, estive, vieni).

Foto di Ugo Foscolo
Ugo Foscolo

Commento

Il tema centrale della lirica è quindi la contemplazione della pace che porta la sera. Finalmente in quest’ora della giornata il poeta riesce a calmare il suo spirito romantico e a riflettere sulla propria vita. La riflessione diventa poi generale e si sposta sulla vita, sul tempo moderno che è pieno di affanni, come viene qui definito.

Il tema della sera e della sua quiete è un topos letterario, perché utilizzato sin dall’antichità da numerosi autori: per definizione, la sera è infatti il momento della giornata in cui ci si più fermare a pensare. Soprattutto, alla sera si cerca un po’ di pace dopo i problemi affrontati durante la giornata.

Foscolo, a causa della sua vita travagliata, esalta in questo sonetto il suo desiderio di ritrovare la pace spirituale. Essa per lui può essere raggiunta in maniera definitiva solo con la morte, il nulla eterno che, però, non lo spaventa.

L’autore ci regala così un capolavoro della letteratura italiana, improntato su un tema classico ma rivisto in chiave moderna, attraverso l’esaltazione degli ideali illuministi che hanno sempre contraddistinto il pensiero foscoliano.

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S’i’ fosse foco, poesia di Cecco Angiolieri https://cultura.biografieonline.it/si-fosse-foco/ https://cultura.biografieonline.it/si-fosse-foco/#respond Sat, 21 Jan 2017 09:23:52 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=21010 S’i’ fosse foco è uno dei sonetti più famosi dell’autore Cecco Angiolieri (Siena, 1260-1313) ed ha contribuito alla nascita della sua fama di poeta maledetto, specialmente in età romantica. In esso l’autore proclama, prima con toni distruttivi poi con quelli più reali, tutti i suoi desideri, coinvolgendo tutti gli elementi naturali.

Cecco Angiolieri
Cecco Angiolieri fu contemporaneo di Dante Alighieri

La lirica S’i’ fosse foco è certamente insolita per il periodo. Tuttavia è una delle più importanti e famose del genere comico-realistico. Appartiene all’ultima parte del canzoniere di Cecco Angiolieri. Essa è considerata una delle prove più importanti del genere.

Cecco Angiolieri e lo Stilnovismo

Angiolieri era infatti un contemporaneo di Dante, ma che viaggiava su uno stile di poetica totalmente opposto. Insieme ad altri poeti comico realistici, come Rustico Filippi, egli rovesciò tutti i canoni dello Stilnovismo, scegliendo una poesia popolare, comica, dissacratoria. Mentre la donna stilnovista era una donna angelo, quella di Cecco Angiolieri si chiamava Becchina ed era una donna pienamente sensuale.

Anche la vita dell’Angiolieri rispecchiava a pieno la sua poesia. Egli fu un uomo fuori dal comune, sempre impegnato a giocare, bere e sperperare i soldi di famiglia. Un vero e proprio poeta maledetto ante litteram.

La lirica in esame è un sonetto, composto quindi da due quartine e due terzine con schema

ABBA- ABBA- CDC- DCD

Essa può essere considerata un’invettiva che l’autore rivolse ai suoi avari genitori, che non volevano più concedergli denaro per i suoi vizi.

S’i’ fosse foco

S’i’ fosse foco, arderei ‘l mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;

s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti cristïani embrigarei;
s’i’ fosse ‘mperator, sa’ che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.

S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre,

S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.

Parafrasi

Se io fossi fuoco, brucerei tutto il mondo
se io fossi vento, lo sconquasserei con le tempeste,
se io fossi acqua, lo sommergerei per annegarlo,
se io fossi Dio, lo scaglierei nell’abisso;

Se io fossi papa, sarei felice perché
metterei nei guai tutti i cristiani;
se io fossi imperatore, lo saprei fare molto bene:
taglierei la testa a tutti.

Se io fossi la morte, andrei da mio padre;
se fossi la vita non starei con lui:
mi comporterei ugualmente con mia madre,

Se io fossi Cecco, come sono e sono stato,
mi prenderei le donne giovani e graziose;
le vecchie e brutte le lascerei agli altri.

Commento e breve analisi

La lirica è un rovesciamento ironico del plazer provenzale. Nella versione classica questo è un elenco di cose piacevoli. Qui invece l’autore lo trasforma in un proclamo di odio universale.

Nella prima quartina l’autore immagina di immedesimarsi negli elementi naturali e in Dio stesso, quindi in tutto il creato e nel creatore.
Nella seconda quartina, Cecco Angiolieri diventa papa e imperatore: le due personalità più importanti del tempo. Immagina di compiere soltanto atti brutali verso le persone.
Nella prima terzina, sceglie i principi fondamentali della vita e della morte, augurando un infausto destino ai suoi genitori.
Nell’ultima terzina si esprime in tutta la sua vera essenza. Dimostra qui un grande egocentrismo. Sono espressi il suo amore per le donne e i suoi desideri in tutto il loro realismo.

Cecco Angiolieri, S'i' fosse foco
Cecco Angiolieri

Lo stile

Dal punto di vista stilistico, la poesia sembrerebbe apparentemente un semplice sfogo, ma in realtà racchiude un grande lavoro e soprattutto una grande conoscenza delle tecniche retoriche. Ogni verso è ben calcolato ed equilibrato nella struttura: il ritmo diventa incalzante perché ogni verso coincide con una frase indipendente (questo cambia solo nell’ultima terzina).

Sicuramente il ritmo stesso può definirsi crescente grazie ai continui paragoni realizzati attraverso la ripetizione (anafora) del costrutto “S’i’ fosse” sin dalla prima terzina. Nell’ultima terzina, il costrutto diventa “sono e fui“, per far tornare il lettore alla realtà.

S’i’ fosse foco di Cecco Angiolieri, è un sonetto certamente fuori dal comune. Esso conduce i lettori in un universo ironico, reale e soprattutto comico, che certamente all’epoca si distinse dall’opera stilnovista. Angiolieri rappresenta quindi il primo grande esponente dei poeti comici-realistici: è uno dei primi autori piuttosto discussi per lo stile di vita, ma che certamente seppe trarsi fuori dal coro per esprimere a pieno la sua audace personalità.

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Il bove (poesia di Carducci): analisi, parafrasi e commento https://cultura.biografieonline.it/il-bove-carducci/ https://cultura.biografieonline.it/il-bove-carducci/#comments Fri, 29 Apr 2016 06:18:37 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=18062 Inserita nella raccolta “Rime Nuove“, la poesia “Il bove scritta da Giosuè Carducci in realtà è un sonetto, il cui testo autografo risale al 23 novembre 1872. Questo componimento può essere considerato una valida sintesi dello stile e della poetica di Carducci. Nonostante il tema sia agreste (il protagonista del sonetto è un bue che pascola placido nei campi della Maremma toscana) in realtà lo stile della poesia è piuttosto ricercato.

Il bove

L’occhio del poeta coglie il bue in una tipica scena rurale, e quindi ancora una volta predomina nel componimento l’idea della Natura che dona pace e serenità all’uomo che la contempla. Accanto ai concetti di lavoro e fertilità che si associano alla terra, il Carducci introduce quelli di “forte tranquillità” e “serenità virile“.

La Natura è infatti lontana dalle inquietudini e dalle suggestioni del mondo, è un luogo in cui rifugiarsi per ritrovare vigore e forza. Il placido bue, “fotografato” dall’autore nell’atto di pascolare, diventa l’emblema di una realtà priva di “contaminazioni” e bassezze moderne. Proprio questo animale serve al poeta per richiamare la sua concezione del mondo, che è appunto caratterizzato dall’osservanza di principi etico-morali e dalla serenità d’animo.

Il bove: testo della poesia

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,

0 che al giogo inchinandoti contento
L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ‘l lento
Giro de’ pazienti occhi rispondi.

Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;

E del grave occhio glauco entro l’austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quieto
Il divino del pian silenzio verde.

Il bove: parafrasi

Ti amo, o pio bove; che mite mi infondi nel cuore
un sentimento di forza e di pace,
e che imponente come un monumento
guardi i campi vasti e fertili.

O che piegandoti di buon grado al giogo
assecondi lento il veloce lavoro dell’uomo:
egli ti esorta e ti pungola, e tu gli rispondi con il lento
movimento dei tuoi occhi pazienti.

Dalla larga narice umida e nera
esala il tuo alito, e come un canto felice
il muggito si perde nel cielo sereno;

E nella severa dolcezza dell’austero occhio azzurro
si rispecchia vasto e tranquillo il celeste
silenzio della verde pianura.

Analisi e commento

Il testo del sonetto riprende argomenti cari al poeta e che ritroviamo in altre famose opere di Carducci delle “Rime nuove” (ad esempio “Pianto antico“, “San Martino“, “Davanti San Guido“, “Maggiolata“): il mondo bucolico, la funzione morale ed etica dell’arte e la sincerità dei valori.

Nella prima strofa de “Il bove” Giosuè Carducci si sofferma a descrivere il bue mansueto che pascola nei campi fertili e che infonde calma e serenità a chiunque lo guardi.

Nella seconda strofa, invece, si mette in evidenza che il bue aiuta l’uomo a lavorare la terra ma da questo viene purtroppo spesso sfruttato. Girando gli occhi verso il suo padrone, che gli tende le redini per stimolarlo, il bue dimostra di apprezzare con pazienza e gioia il suo duro lavoro.

Nell’ultima strofa il poeta coglie il colore azzurro degli occhi dell’animale, e termina il sonetto scrivendo che in essi si rispecchia il silenzio della verde pianura.

Mansuetudine e laboriosità sono le due caratteristiche che il poeta attribuisce al bue e che suscitano in lui serenità e tranquillità d’animo. Nonostante il duro lavoro che l’animale compie per aiutare l’uomo nel coltivare i campi il bue appare fermo e soddisfatto in quanto consapevole di aver compiuto il suo dovere. In un certo qual modo il bue è contento di aver alleviato, con il suo aiuto, il lavoro campestre del padrone che, invece, spesso non lo tratta come dovrebbe (sfruttando anzi la sua tipica mansuetudine). Il bue acquisisce quindi la solennità di un monumento che si erge placido in mezzo ai campi.

L’esordio del Carducci in questo sonetto è: “T’amo o pio bove“, in cui traspare un sentimento di benevolenza del poeta nei riguardi di uno degli animali più devoti e servili. Il riferimento alla natura e agli animali rende la poetica del Carducci assai vicina a quella virgiliana. Virgilio è infatti il poeta prediletto di Carducci. Si coglie anche una vena nostalgica del paesaggio maremmano, che è particolarmente amato dal poeta per la sua bellezza.

Per quanto concerne la metrica, appare chiaro che il sonetto “Il bove” viene praticamente diviso in due parti. Il passaggio dalla prima alla seconda avviene però in maniera delicata e senza alcuna forzatura, tanto che solo un lettore accorto ed esperto se ne accorge.

Dal punto di vista sintattico si nota la presenza di diverse figure retoriche. Il lessico appare classicheggiante come in tutte le liriche carducciane, anche se non mancano termini più concreti e “rustici” che servono a descrivere la realtà agreste.

Pio bove

Molti critici letterari si sono soffermati a dare un’interpretazione del soggetto scelto dal Carducci nella poesia “Il bove”: il bue, essendo “pio” è in realtà una manifestazione del Divino. L’animale viene descritto in un’ottica religiosa che lo rende appunto solenne come un monumento, poiché ricorda la solennità di una statua, e questo lo fa ancora più amorevole agli occhi degli uomini.

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