Siria Archivi - Cultura Canale del sito Biografieonline.it Fri, 16 Oct 2020 07:04:47 +0000 it-IT hourly 1 La guerra dei sei giorni https://cultura.biografieonline.it/guerra-sei-giorni/ https://cultura.biografieonline.it/guerra-sei-giorni/#comments Thu, 14 May 2015 22:59:17 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=14253 Il 6 giugno 1967 il comandante del 55° paracadutisti dell’aviazione israeliana fece un annuncio storico alle sue truppe. Gli disse che sarebbero stati i primi ad entrare a Gerusalemme. La città santa che tutti gli israeliani sognavano di poter abitare e che le truppe israeliane riuscirono a conquistare il secondo giorno del conflitto conosciuto come la “Guerra dei sei giorni“.

La Guerra dei 6 giorni
La Guerra dei sei giorni ebbe luogo dal 5 al 10 giugno 1967 e vide l’esercito di Israele combattere e vincere in breve tempo contro Egitto, Siria e Giordania.

I primi scontri militari iniziarono il 5 giugno del 1967 e terminarono il 10 giugno con la vittoria di Israele su Egitto, Siria e Giordania. Israele dimostrò la forza dirompente del suo esercito e della sua aviazione e conquistò la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza che appartenevano al territorio Egiziano, la Cisgiordania e Gerusalemme che appartenevano alla Giordania e le alture del Golan che erano governate dalla Siria.

Le conseguenze del conflitto moltiplicarono il territorio occupato da Israele e influenzarono per molti anni i rapporti fra gli Stati medio orientali.

La conquista più importante fu quella di Gerusalemme. Una vittoria importantissima per le truppe dislocate sul territorio di guerra, non solo perché galvanizzò l’esercito e i cittadini di un giovane stato israeliano circondato da governi ostili ma anche perché permise agli israeliani di religione ebraica di appropriarsi di luoghi sacri come il Monte del Tempio, conosciuto anche come la Spianata delle moschee e il Muro del Pianto.

Israele conquistò un ampio territorio, dimostrò a quale livello era arrivata la sua forza e la sua organizzazione militare e impose al mondo una politica estera composta dalla minaccia militare e dal controllo dei territori conquistati con la forza delle armi.

Prima della Guerra: la situazione in Egitto

Il presidente egiziano Gamal Abd el-Nasser decise, nel maggio del 1967, di dislocare le sue truppe lungo il confine con Israele. La motivazione che lo indusse a prendere una tale decisione, pare furono dei dispacci provenienti dai servizi segreti sovietici che lo avvertivano di strani movimenti delle truppe israeliane vicino ai suoi confini.

Gamal Abd el Nasser
Gamal Abd el Nasser

Nasser decise anche di ammassare parte del suo esercito nel Sinai, nella zona di Sharm el – Sheikh e, punto fondamentale, sugli stretti di Tiran, decidendo in seguito, malgrado le minacce israeliane, di chiuderli.

Dopo la decisione di chiudere gli stretti alle navi israeliane, di fatto una dichiarazione di guerra, Nasser firmò con re Hussein di Giordania un patto di reciproco aiuto nel caso in cui uno dei due firmatari, avesse subìto un attacco militare. La risposta israeliana non si fece attendere. Il 1° giugno venne formato un governo di unità nazionale con lo scopo di difendere i confini dello Stato da attacchi militari e ripristinare la libera circolazione attraverso gli stretti di Tiran. Il 4 giugno il governo ordinò allo Stato maggiore di attaccare l’Egitto.

I giorni di guerra

La guerra scoppiò nelle prime ore del mattino del 5 giugno, quando l’aviazione israeliana bombardò e distrusse gran parte della flotta aerea egiziana. Con il nome di Operazione Focus gli israeliani, in poche ore, misero in ginocchio l’aviazione egiziana distruggendo anche le piste per il decollo degli aerei e poi annientarono l’aviazione siriana, permettendo così al proprio esercito di muoversi liberamente senza il timore di un attacco dal cielo.

Gli israeliani non attaccarono l’aviazione giordana, perché erano convinti che re Hussein sarebbe rimasto neutrale, grazie all’intervento degli Stati Uniti. Ma non fu così, perché re Hussein fu male informato dalla propaganda egiziana, la quale sbandierava successi mai ottenuti contro l’esercito israeliano.

Israele e la Guerra dei sei giorni
Un grafico che mostra l’attacco di Israele il 5 giugno 1967 in Cisgiordania

Tale propaganda lo indusse a decidere di attaccare i confini di Israele. Decisione di cui si pentì amaramente. Lo Stato Maggiore giordano diede, quindi, l’ordine di bombardare Gerusalemme Ovest e Tel Aviv e poi di bombardare tre basi aeree israeliane. La risposta israeliana azzerò le forze dell’aviazione giordana, distruggendo anche le basi aeree di Mafraq e Amman.

Nel pomeriggio l’esercito rispose all’attacco su Gerusalemme Ovest, bombardando la parte est della città santa e preparandosi all’invasione del giorno dopo. Nel frattempo le truppe entrarono in Cisgiordania conquistandola definitivamente, mentre la fanteria e i mezzi corazzati israeliani si muovevano verso Gaza e la penisola del Sinai.

L’esercito egiziano non aveva più copertura aerea ma manteneva ancora la superiorità numerica rispetto a quello israeliano, benché quest’ultimo avesse una miglior dotazione di mezzi e un coordinamento più rapido ed efficace rispetto ai suoi nemici. E questo fece la differenza, perché gli israeliani avanzarono compatti su tutto il fronte ovest sbaragliando tutte le resistenze egiziane e in particolare distruggendo l’importante roccaforte di Abu Ageila.

Questa azione, rapida e inaspettata, costrinse l’esercito egiziano ad organizzare un rapido ritiro fino al canale di Suez, lasciando all’esercito israeliano il vantaggio di colpire le truppe nemiche mentre si ritiravano.

L’ordine del Feldmaresciallo e capo dell’esercito egiziano Hakim Amer di far ritirare rapidamente le truppe, fece precipitare nel panico i comandanti delle divisioni, regalando un vantaggio notevole agli israeliani che non avevano immaginato di poter sbaragliare il loro principale nemico in così poco tempo.

Durante la mattinata del 6 giugno i paracadutisti israeliani erano fuori le mura di Gerusalemme, pronti all’invasione. Mentre in Cisgiordania gli scontri con l’esercito giordano stavano determinando vittorie e sconfitte su entrambi i fronti. Il vantaggio israeliano però si manifestò con l’arrivo dell’aviazione, che non subendo alcun contrasto dagli Hawker Hunter giordani, i quali erano stati distrutti il giorno prima, poté bombardare la fanteria giordana senza troppi problemi.

Ciò permise alle truppe corazzate e alla fanteria israeliana di avanzare su Jenin e Ramallah. Il giorno successivo entrambi gli eserciti, egiziano e giordano, erano battuti. I paracadutisti israeliani entrarono nella zona vecchia di Gerusalemme, tappa più importante e di gran lunga la più simbolica di tutta la guerra, mentre re Hussein chiedeva trattative di pace segrete con il governo di unità nazionale israeliano.

Sul fronte egiziano la confusione era totale e alla fine del conflitto gli egiziani si trovavano oltre il canale di Suez e con la certezza di aver perso il Sinai. A questo punto gli israeliani proseguirono il loro inseguimento giungendo fino ai passi di Giddi e Mitla con lo scopo di sbarrargli la strasa. Si preparava così lo scontro dell’8° giorno.

Verso la fine della giornata ci furono diverse incursioni aeree da parte israeliana contro le difese siriane del Golan. Gli israeliani si preparavano a conquistare anche quel territorio.

Le fasi finali della guerra dei sei giorni

L’8 giugno ci fu la resa dei conti fra egiziani e israeliani. Fanteria e mezzi corazzati si scontrarono vicino ai passi di Giddi e Mitla. La sconfitta per gli egiziani fu totale, con un ingente perdita di uomini e la cattura di molti prigionieri. Quasi tutti i carri armati e i cannoni dell’artiglieria furono distrutti. Anche gli israeliani subirono delle perdite ma la sconfitta degli egiziani fu catastrofica.

Per evitare il peggio il presidente Nasser accettò la proposta del cessate il fuoco lanciata dall’ONU. La guerra era di fatto finita: giordani, egiziani e siriani erano pronti a firmare la pace ed accettare i compromessi che ne sarebbero derivati. Tuttavia gli israeliani vollero approfittare del loro vantaggio militare conquistando anche il Golan.

Dopo un pesante bombardamento delle alture, i mezzi corazzati israeliani avanzarono distruggendo le difese nemiche. Il percorso accidentato non fu facile da affrontare, mentre i siriani lanciavano i loro attacchi; tuttavia alla fine della giornata gli israeliani avevano conquistato anche il Golan mettendo fine ad un conflitto dall’esito totalmente inaspettato. Il giorno seguente, 10 giugno, anche Israele accettò il cessate il fuoco.

Conclusioni

Dopo il cessate il fuoco fu chiaro che Israele non aveva alcuna intenzione di ritirarsi dai territori occupati. Il suo esercito aveva conquistato le alture del Golan sottratte alla Siria, la striscia di Gaza e la penisola del Sinai all’Egitto, la Cisgiordania e Gerusalemme Est alla Giordania.

Gli Stati Uniti chiesero il ritiro immediato delle truppe dai territori occupati ma per Israele questa nuova situazione geopolitica era indubbiamente favorevole e poneva la questione dei suoi confini al centro dei temi che occupavano le diplomazie del mondo.

L’Onu, come era sua tradizione, trovò un compromesso che scricchiolava ma che venne accettato dai paesi arabi e da Israele: il ritiro dai territori qual ora si fosse ottenuta una pace duratura e la sicurezza che alcune fazioni palestinesi non avrebbero continuato ad organizzare attacchi terroristici contro i territori e i cittadini israeliani. Una proposta vaga che difficilmente avrebbe potuto essere onorata; difatti la situazione dei territori occupati continuò a rimanere irrisolta per molti anni, influenzando la vita e il destino di migliaia di persone.

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Isis: cosa è? La spiegazione https://cultura.biografieonline.it/isis-minaccia-mondiale/ https://cultura.biografieonline.it/isis-minaccia-mondiale/#respond Wed, 24 Sep 2014 11:06:30 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=12111 L’Isis è un gruppo terroristico conosciuto in Occidente per essere il principale avversario militare del regime siriano di Bashar al Assad. Nel 2012 sono iniziati i primi scontri con le truppe regolari siriane. Tuttavia l’Isis ha un’identità e scopi più complessi. Si definisce uno “stato” che ha lo scopo di fondare un califfato. Il significato della sigla è: Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.

Un missile Scud in mano alle forze militari dell'Isis
Luglio 2014: un missile Scud mostrato dall’Isis per propaganda (Foto: NBC news)

Le sue basi sono distribuite su un territorio assai vasto, posto fra l’Iraq e la Siria, in cui agisce in modo autonomo, ricavando le risorse economiche per le sue attività militari e terroristiche dai giacimenti petroliferi e dalle centrali elettriche sottratte dalle truppe allo stato Siriano.Il suo scopo militare non è solo la distruzione dell’Occidente ma anche fomentare una guerra interna all’Islam e contro tutti i mussulmani che vengono definiti o si definiscono moderati.

Bashar Al-Assad
Bashar Al-Assad, leader politico e presidente della Siria

Dove nasce l’ISIS

L’Isis, in un certo senso, nasce da Al Qaeda, il gruppo terroristico conosciuto soprattutto per aver organizzato gli attacchi alle Torri gemelle di New York, l’11 settembre 2001. Il primo leader dell’Isis è stato Abu Musab al-Zarqawi, uno dei leader di Al Qaida, che nel 2000 si staccò da Bin Laden e decise di fondare una propria organizzazione. Al-Qaida era nata per colpire tutti i paesi occidentali che avevano interessi ed esercitavano pressioni militari, politiche ed economiche sui paesi mussulmani. Zarqawi invece ebbe l’ambizione di voler scatenare una guerra religiosa fra sunniti e sciiti.

Bin Laden
Osama Bin Laden

Scopo e ideologia dell’Isis

L’obiettivo dell’Isis di al-Zarqawi era la creazione di un califfato di religione sunnita. Per farlo Zarqawi aveva progettato una serie di attentati molto cruenti in siti turistici e in luoghi ad ampia densità di persone, come luoghi religiosi o commerciali. Lo scopo era seminare il terreno mettendo in seria difficoltà le istituzioni, e facendo sollevare i sunniti a favore del califfato.

Breve storia dell’Isis

Per realizzare questo progetto, Zarqawi ordinò nel 2003 di fare esplodere un’autobomba in una delle moschee della città di Najaf. Morirono 125 persone di religione sciita e fra queste il leader sciita Muhammad Bakr al-Hakim. Ma fu solo l’inizio.

Gli attentati si moltiplicarono e il gruppo di al-Zarquawi, che all’epoca si chiamava AQI, si alleò con Osama Bin Laden.

Nel 2006 Zarqawi venne ucciso dagli americani e al-Baghdadi prese il suo posto. Gli attentati continuarono ma la strategia degli americani, comandati dal generale Petreus che operò una repressione militare del terrorismo con un’alleanza con le tribù sunnite moderate, ridimensionò notevolmente l’efficacia degli attentati dell’ AQI.

Dal 2011 al 2013, invece, il gruppo si rafforzò e riorganizzandosi, grazie anche ai successi dell’offensiva militare in Siria. E’ nel 2013 che l’AQI cambiò il suo nome in Isis (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) ufficializzando così la sua ambizione di conquistare anche i popoli del Mediterraneo orientale.

Nel 2014

L’isis nel 2014 si compone di 8.000 guerriglieri che però sono alleati con alcune tribù sunnite e con gruppi baathisti iracheni. Il suo scopo è rovesciare il primo ministro iracheno Nuri al-Maliki di religione sciita e per ottenere questo risultato cerca di fomentare una guerra religiosa fra sunniti e sciiti.

Dall'estate del 2014 l'ISIS ha iniziato a mostrare al mondo la sua violenza diffondendo video delle decapitazioni di prigionieri occidentali.
Dall’estate del 2014 l’ISIS ha iniziato a mostrare al mondo la sua violenza diffondendo video delle decapitazioni di prigionieri occidentali.

La tattica militare dell’Isis trova l’opposizione della maggior parte dei paesi occidentali, Stati uniti in testa. L’Isis deve inoltre contrastare truppe d’elite di diversi paesi fra cui anche gli iraniani che non vedono positivamente la crescita sunnita in Iraq.

L’Isis non gode dell’appoggio di al Qaida, che ha rotto l‘alleanza con loro, per i massacri perpetrati contro i ribelli siriani moderati.

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Lo scenario futuro

L’Isis è autonoma, economicamente indipendente, ma in Iraq non ha le stesse risorse conquistate in Siria. Inoltre in Siria ha potuto muoversi agevolmente perché non c’è stato alcun intervento esterno, mentre oggi si trova a dover contrastare potenze estere ben più forti e ricche della Siria.

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La guerra in Siria: cause e conseguenze della crisi siriana https://cultura.biografieonline.it/siria-guerra-crisi/ https://cultura.biografieonline.it/siria-guerra-crisi/#comments Thu, 19 Jul 2012 12:09:48 +0000 http://cultura.biografieonline.it/?p=3265 La crisi in Siria, iniziata nel marzo del 2011, pone diversi interrogativi sulle sue cause e i suoi effetti. La Siria, governata dal presidente Bashar Al-Assad, un dittatore autoritario che ha ereditato la carica dal padre, Hafiz Al-Assad il quale ha guidato la Siria per trent’anni soffocando ogni opposizione, sta affrontando la crisi politica più pericolosa e potenzialmente deflagrante da quando il partito Ba’th, unico partito di governo, controlla il Paese; cioè dal colpo di Stato del 1963 che lo ha portato al potere.

La crisi in Siria
La crisi in Siria

La causa principale di questa crisi è di natura politica: l’opposizione, che ha ricevuto alcune assicurazioni, negli ultimi anni, dal regime su riforme e cambiamenti strutturali nella forma dello Stato, ha chiesto maggiori libertà e la possibilità di avere libere elezioni ma le risposte del regime sono state insufficienti.

Perché sono iniziate le proteste?

Le prime proteste sono avvenute nella città di Dar’a nella Siria meridionale dopo che 14 ragazzi sono stati arrestati e torturati per aver scritto su un muro uno slogan che ha accompagnato spesso le rivoluzioni della Primavera araba: “The people want the downfall of the regime”.

Le proteste sono iniziate a metà marzo del 2011 e mentre aumentavano di numero, moltiplicandosi nel paese, gli oppositori aggiungevano altre richieste tra cui maggiore libertà,  più democrazia e le dimissioni del presidente Assad. Le forze di polizia e l’esercito, facendo leva sul divieto di manifestazioni pubbliche in vigore dal 1963, ha represso duramente le manifestazioni ferendo e uccidendo centinaia di persone.

Il presidente Assad ha rifiutato di dimettersi preferendo una resistenza ad oltranza, mentre assicurava riforme strutturali e cambiamenti radicali nella forma istituzionale e nel limitato e repressivo corpo legislativo dello Stato.

Bashar Al-Assad
Bashar Al-Assad

Quali sono gli scenari?

Questa crisi ripropone a livello internazionale un problema politico che attraversa l’area territoriale al centro della quale c’èla Siria.Infatti, i sommovimenti popolari sono diventati in poco tempo un problema di carattere regionale e internazionale coinvolgendo non solo l’Unione Europea,la LegaAraba e l’ONU ma anche i Paesi confinanti come Israele che vede una destabilizzazione della Siria potenzialmente pericolosa anche per i suoi confini.

La crisi siriana, inoltre, ripropone tre questioni preesistenti:

  1. la possibilità che con questa crisi si rafforzino le monarchie sunnite che controllano il mercato del petrolio eliminando  i governi dell’Iran e della Siria che si pongono in contrasto a tale politica;
  2. la possibilità che si rafforzi l’influenza americana sul territorio, progetto iniziato con l’invasione dell’Iraq nel 2003 e che vorrebbe concludersi con l’abbattimento del regime siriano e iraniano. Ovviamente questa strategia è osteggiata dai governi russo e cinese che vogliono mantenere una situazione di stallo nella regione continuando a dialogare diplomaticamente e commercialmente con i due regimi;
  3. la possibilità di un attacco israeliano contro gli impianti nucleari iraniani.

Rispetto a ciò che è avvenuto negli altri Paesi arabi: Tunisia, Egitto e Libia è molto probabile che questa crisi venga risolta senza che ne paghi le conseguenze il presidente Bashar al-Asad, il quale appartiene ad una setta sciita molto importante benché minoritaria che però ha un forte radicamento nel Paese e che non ha mai contestato Asad.

Inoltre il regime ha un forte apparato organizzativo nelle due principali città siriane: Damasco, la capitale, e Aleppo dove il regime gode ancora dell’appoggio di gran parte della popolazione e delle istituzioni. Anche il leader libico Gheddafi proveniva da una tribù forte e radicata sul territorio ma già prima della crisi ne aveva perso l’appoggio, anzi proprio le tribù del territorio montagnoso ne avevano decretato la fine.

Mappa della Siria
Mappa della Siria

Quali sono gli scenari militari di questa crisi?

Le tre ipotesi sopra citate sono quelle che prevedono un ampliamento del conflitto con il coinvolgimento di altri stati come il Libano, la Giordania, l’Iraq, la Turchia e Israele fino a coinvolgere le monarchie del Golfo Persico. Per questo motivo la comunità internazionale ha cercato una mediazione che evitasse l’invasione militare da parte di altri Stati.

Siccome le cause della crisi sono di carattere politico e prevedono una trasformazione interna della forma di governo del Paese è chiaro che una soluzione interna è auspicabile in modo tale da evitare un contagio che destabilizzi ancora di più il Libano, anche perché i gruppi etnici che compongono la popolazione sono in larga parte ancora a favore del regime, in particolare i sunniti e gli alawiti sostengono il governo di Damasco, mentre sembra che i cristiani, in forte minoranza, siano dalla parte dell’opposizione.

La composizione etnica e religiosa della Siria la rende, apparentemente, immune ad un intervento esterno che creerebbe una condizione ancora più destabilizzante perché porrebbe in contrapposizione cristiani, minoranze (sciiti, druidi e ismaeliti) contro gli estremisti sunniti sviluppando una pericolosa guerra civile. Insomma il regime fa comodo a tutti quindi il tentativo più logico è quello di conservarlo. Ma fino a quando?

 

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